15/11/07

Un posto sulla terra

Un posto sulla terra - Mesto na Zemle
di Artur Aristakisjan
(2001 Russia 120’)

Quando il cinema si fa opera d’arte e assume la complessità propria dei testi di filosofia, lo paragono all'illuminante "Stalker" di Tarkovskij come intensità di messaggio, dopo ambedue ho passato la notte insonne a rimuginarci sopra.
Il regista ha realmente fondato una comunità di hippies contemporanei dove senzatetto, diseredati, disabili e bambini si ritrovano per vivere assieme in piena Mosca, un vero e proprio squat alle soglie dell’illegalità per ritrovare la libertà individuale, altrimenti annientata dalla vita urbana e sociale contemporanea.
Il regista moldavo era, innanzitutto, interessato a svolgere uno studio sociologico e ciò lo ha spinto a fondare la comunità, rimasta in vita per cinque anni, durante i quali ha girato il film. Per realizzare il film ha venduto tutti i propri beni personali e messo in gioco letteralmente tutta la propria esistenza divenendo un senza tetto.
Gli attori professionisti utilizzati per la realizzazione del film sono stati solamente due, l'attrice fu scelta beffardamente perché alla domanda se si era sposata per amore o per soldi rispose senza esitazione che si era sposata per soldi.
La storia è quella di sei coppie che per diffondere l’amore e un tipo di vita anticonformista decidono, sotto la guida di un carismatico leader, di isolarsi dal mondo e alle stesso tempo di cercare nuovi adepti. Fondano così "Il Tempio dell'Amore", luogo dove ci si sacrifica in nome dell'altro, dove si aspira alla libertà, dove si pratica l'amore libero, dove continuamente si cerca la purezza e la salvezza dell'umanità, lontani dalla corruzione del mondo circostante.
Il film, commovente e profondo, è un pugno nello stomaco a tutte le nostre certezze occidentali e risulta indigesto anche al nostro sistema, solitamente capace di digerire agevolmente e riciclare ogni forma di controcultura ed espressione culturale antagonista.
Il linguaggio cinematografico di Aristakisjan è di una durezza marmorea, fastidioso e a tratti disgustoso (ma perfettamente aderente alla realtà che filma), non fa alcuno sconto, le immagini espressioniste bianco e nere si stagliano scomode sullo schermo, una sorta di violenta nausea attanaglia lo stomaco dello spettatore dall'inizio alla fine...tanto che i più abbandonano la visione quasi subito per tornare alle loro false certezze, al loro tranquilizzante e anestetizzante tran tran quotidiano e ai loro rassicuranti cult movies di cartapesta.
Ma dietro l'aspra apparenza si nasconde uno dei capolavori contemporanei, una spietata radiografia del nostro mondo, in qualsiasi posto della terra ci trovassimo, analisi profonda della complessità degli esseri umani e della crudeltà della nostra società ormai esportata globalmente (come non pensare alla comune come ad una metafora del Terzo Mondo).
La coscienza occidentale messa faccia a faccia con i propri scheletri nell'armadio (per giunta ancora vivi e agonizzanti) viene così selvaggiamente denudata e conseguentemente se ne rifugge via indignata e schifata. I reietti protagonisti del film sono gli spettri di ciò che con la nostra indifferenza, con la nostra superbia travestita spesso con sembianze religiose, con la nostra schiacciante egemonia, stiamo generando quotidianamente. Lo spettatore occidentale si affaccia sull'abisso che si trova "dall'altro lato dello specchio".
Ma anche "il Tempio dell'Amore" si dimostra un fallimento totale, per lo più popolato da opportunisti o fannulloni o drogati, il messianico leader si rivela un frustrato egocentrico dalla mentalità comunque piccolo borghese (disposto addirittura a castrarsi pur di ottenere l'attenzione degli adoranti adepti). Il film spietatamente dimostra come l'uomo in condizioni di libertà assoluta ricrei una realtà molto vicina ad un girone infernale (e visto che l'esperienza è reale, ciò colpisce maggiormente), non c'é proprio alcunché di mitico o mistico nella inquietante comunità.
La fine dell'Utopia è tragicamente lampante e quel che rimane potrebbe essere solo disillusione e disincanto. In realtà una scintilla di speranza rimane ed è data da una delle protagoniste Maria (vedi foto sotto), un essere umano puro e limpido, mosso veramente e profondamente dagli ideali che propaganda la comune, che dimostra come una scelta d'amore è l'unica possibile. Ma la spietatezza della società contemporanea è implacabile e viene immortalata nei fotogrammi finali in cui questa donna è accasciata, sofferente, lungo una scalinata e la folla indifferente le passa accanto scostandosi visibilmente, a nessuno viene in mente di porgerle aiuto.
Il grandissimo Robert Wyatt e le note di struggente dolcezza della sua "Sea Song" accompagnano la pellicola, toccando per l'eternità l'anima dello spettatore.
A mio parere Aristakisjan è il talento più puro emerso negli ultimi anni in campo cinematografico, ma quasi nessuno se ne è accorto, Gloria e Vita al sempiterno Enrico Ghezzi che lo ha ripetutamente proiettato nel suo Fuori Orario.
Propongo una colletta per permettere ad Aristakisjan di girare altri film...sono cibo prezioso per la mente e vaccini salvifici dal virus che è questa società.

"La speranza arriva quando non esiste più speranza"
"E' paradossale, il cinema si dovrebbe fare per i ciechi, che lo capterebbero senza vederlo, per l'energia che ha"
"Maria adesso legge libri di letteratura russa ai poveri e ai disabili. E' un'anima pura."
(Artur Aristakisjan)

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