26/08/10

Le ultime parole di Dutch Schultz (William Burroughs)

Le ultime parole di Dutch Schultz
di William Burroughs

Delirante sceneggiatura di un film mai fatto di Burroughs, ambientata tra i primi del Novecento e gli anni Trenta e incentrata sul personaggio di Dutch Schultz che da piccolo proprietario di un bar clandestino diventa fondatore di un impero della birra. Una sceneggiatura costruita come un flusso di coscienza, in un turbinoso susseguirsi di immagini tra spacci clandestini, raffiche di mitra, tombe di faraoni e funerali di gangster. Costruita in alcune parti con una tecnica debitrice dei cut up burroughsiani, si lascia leggere con curiosità fino alle rivelatorie ultime parole del protagonista. Delle quali si può dire che "raramente il senso della vita e della morte è stato reso in modo più drammatico". Ma come mai nessuno ha mai pensato di farla diventare veramente un film?

23/08/10

Towers Open Fire (Balch & Burroughs)

Towers Open Fire
di Antony Balch & William S. Burroughs (1963 UK 10')

22/08/10

La lupa mannara (Rino Di Silvestro)

La lupa mannara
di Rino Di Silvestro (1976 ITA 98')
"Ho girato un film che si intitolava La lupa mannara. L'ho fatto per un mio bisogno vitale di uscire di senno, per cercare di capire se alcune forze misteriose hanno la capacità di cambiare il destino di una persona o no. Il misticismo ti porta all'anoressia e alle visioni mistiche. L'attacco licantropico a cosa ti può portare? La protagonista del film doveva essere una donna realmente in grado di calarsi in una licantropa...Annik Borel, non truccata, era incredibilmente simile a un lupo. La trovai in Svizzera, era un'aspirante attrice amica di un produttore. Le feci un provino, e scrissi la sceneggiatura su di lei. Non credo che nessun altro film abbia trattato il tema della licantropia col mio stesso rigore scientifico. Io non sono caduto nel tranello di portare sullo schermo gli ululati e simili. Ho preso il passato ancestrale del personaggio, una condizione di vita frustrante nella sessualità, in più ho voluto inserire l'elemento naturalistico: la luna piena, che è l'elemento scatenante della licantropia. Essendo il corpo umano composto in una buona percentuale da elementi liquidi, la luna piena porta all'alta marea. L'innalzamento del liquido nel nostro corpo frena, ostacola, l'afflusso del sangue al cervello. Le sinapsi impazziscono e i neuroni trasmettono informazioni sbagliate. Lo squilibrio mentale della protagonista è appunto dovuto agli influssi gravitazionali e lunari. La lupa mannara ha una forma sessuofobica omicida...", questa delirante dichiarazione di Di Silvestro la dice lunga sul suo autore. In realtà nel film di rigore scientifico ce n'è ben poco, l'aspetto sovrannaturale della storia (basata su un fatto realmente accaduto) viene abbandonato molto precocemente dallo script, mentre abbondano nudità gratuite, rozzo voyeurismo, pessima recitazione e si cade nel ridicolo involontario in più di un'occasione. Non si può però negare che l'incipit con la danza rituale della licantropa nuda ha decisamente un suo fascino, l'idea di base non è malvagia e il trucco della protagonista, pur nella pochezza di mezzi, è assurdamente conturbante. Quentin Tarantino lo inserì nel programma del suo primo Film Festival organizzato ad Austin in Texas nel 1996 (anche perché non lo aveva mai visto). Il film gli piacque a tal punto che per le edizioni successive del festival creò una sezione ad hoc denominata Wolf Woman in omaggio a questo film, in cui passava nella proiezione di mezzanotte un film cult/exploitation a sorpresa, in grado di mandare letteralmente in visibilio la platea. Dall'altra parte va detto che Nanni Moretti cita La lupa mannara nel suo debutto Io sono autarchico come film assolutamente orribile che decide di andare a vedere al cinema. Devo ammettere che per me è stato seriamente penoso arrivare alla fine della visione, ma una piccola scaglia di questo film rimane impressa nella memoria (incuneata nel cervello?) anche a distanza di tempo, forse perché Di Silvestro riesce tutto sommato a intuire il nucleo pulsante di un affascinante mito ancestrale.

19/08/10

The Trip (Roger Corman)

The Trip
di Roger Corman (1967 USA 77')



Lo registrai da Italia7 nel lontano 1993 e a quei tempi era veramente un cult movie introvabile, tre anni dopo lo proiettammo a Scaglie con buon successo di pubblico, anche se avevamo molti dubbi circa l'integrità della copia televisiva (in realtà monca di ben cinque minuti). Il film racconta il viaggio esperito attraverso l'assunzione di LSD da parte di un giovane regista disilluso e in crisi esistenziale, la cui vita sta precipitando a causa di un sofferto divorzio. La pellicola è scritta da Jack Nicholson e contiene molti elementi autobiografici (divorzio, droga, controcultura, appetito sessuale insaziabile) e le psichedeliche visioni sono create dall'immaginazione di Corman, che comunque non nega di avere fatto uso di LSD prima di girarlo. Il protagonista è Peter Fonda, il traghettatore infernale è Bruce Dern (ma in origine doveva essere Jack Nicholson stesso) e il gran cerimoniere del Tempio Psichedelico che disserta su mistici viaggi al roybal è il mai troppo compianto Dennis Hopper, per cui i rimandi al futuro Easy Rider non sono certamente pochi. Peter Fonda attraverso l'esperienza lisergica spera di allontanare la sofferenza e di scoprire qualcosa su sé stesso, sulla propria più intima natura ed in effetti il film, in cui Corman dà libero sfogo alle sue fantasie, si configura come una pura materializzazione dei fantasmi dell'inconscio del protagonista, che ne uscirà frammentato in mille schegge impazzite. Molte sono le visioni piacevoli o più spesso angoscianti del protagonista tra filtri colorati, luci stroboscopiche, simboli archetipali e immagini subliminali che culminano nella prefigurazione della sua morte per impiccagione, susseguente ad un rito sacrificale. Tra le sequenze da ricordare si segnalano quelle amorose in cui i corpi degli amanti sono ricoperti dalla proiezione di immagini psichedeliche e quelle misteriose girate nel bosco (tra nani, streghe e cavalieri senza volto) che richiamano le atmosfere dei film di Corman tratti da Edgar Allan Poe. Il finale aperto lascia qualche dubbio sul futuro del regista, che dall'esperienza iniziatica, se capace di ricomporsi, potrebbe anche rinascere ad una nuova vita colma di creatività. Un film spiraliforme e caleidoscopico che, a distanza di quarant'anni, ancora incuriosisce e rimane testimonianza di un'epoca a suo modo unica e irripetibile. Dimenticavo...impreziosito dalla musica degli Electric Flag.

17/08/10

Matalo! (Cesare Canevari)

Matalo!
di Cesare Canevari (1970 ITA/SPA 89')

Ecco uno spaghetti western spiazzante che affronta una storia dalle tematiche classiche, ma la arricchisce con uno stile selvaggio e sbilenco e con alcune trovate veramente singolari. Su tutte spicca il fatto che l'eroe del film, interpretato da un timido Lou Castel, per combattere in duello si serve di svolazzanti boomerang e che l'enigmatico capo dei banditi (un destabilizzante Corrado Pani) si esprime quasi sempre cinguettando come un usignolo e suona l'arpa con il suo winchester. Punto di forza del film è la colonna sonora creata da Mario Migliardi che con il suo travolgente rock psichedelico e rumorista si sposa a meraviglia con le furenti cavalcate dei banditi. Tali sequenze sono valorizzate dai vorticosi e virtuosi movimenti di macchina voluti dal regista, probabilmente vittima di un'indigestione di peyote. I primi quaranta minuti, quasi privi di dialoghi, grazie alla commistione di musica e immagini (praticamente una carneficina a ritmo di rock) risultano affascinanti e quasi ipnotici per il meravigliato spettatore, poi nel seguito il film perde un po' del suo ritmo. Da citare comunque le impressionanti locations ricavate in una vera ghost town (Benson City), che danno vita ad un west spettrale in cui si avvertono presenze impalpabili e ci si aspetta da un momento all'altro di veder apparire un fantasma. Non mancano poi momenti che solleticano un erotismo morboso nello spettatore, dovuti alla sensuale interpretazione di una perversa dark lady interpretata da Claudia Gravì. Vi sono poi momenti che ci fanno precipitare in un allucinato sadomasochismo come quando l'effeminato bandito ossigenato picchia ripetutamente con una pesante catena il tenero (e perennemente assetato) Lou Castel o come quando la lasciva dark lady su un'altalena si lascia ondeggiare brandendo un coltello e ad ogni passaggio sfiora la gola dell'eroe legato a terra. Notevoli anche i diversi aforismi che compaiono nel film (es. Ci sono soltanto due uomini buoni...uno è morto, l'altro deve ancora nascere) e un monologo interiore sulla vita intesa come rapina degno delle sceneggiature del miglior Tarantino. Insomma Matalo! si colloca tra Monte Hellman e il delirio...

16/08/10

L'ultimo uomo della terra (Ubaldo Ragona)

L'ultimo uomo della terra
di Ubaldo Ragona & Sidney Salkow (1963 ITA 86')
Piccolo amaro gioiello dell'horror nostrano (noi Scaglie lo proiettammo nel marzo 2000), tratto dal capolavoro di Richard Matheson Io sono leggenda e illuminato da un'intensa interpretazione di Vincent Price e da una fredda e spettrale fotografia di Franco Delli Colli. L'attore riesce a rendere compiutamente tutta la desolazione di un'anima tragicamente rassegnata a vivere in un mondo apocalittico in cui l'intera umanità si e' estinta, colpita da un'epidemia veicolata da un misterioso germe trasportato dal vento. Gli esseri umani sono stati trasformati in non morti (a metà strada tra gli zombi e i vampiri), che si nutrono di sangue, sono ciechi e non sopportano l'aglio, gli specchi, le croci e la luce del sole. Le deprimenti giornate del protagonista, un affermato scienziato di nome Morgan (immune all'epidemia perché in passato morso da un pipistrello), da tre anni si susseguono ripetitive ed egli si comporta come un automa facendo fronte sempre alle medesime problematiche: procurarsi cibo, aglio, specchi e benzina prima che venga il tramonto; fabbricare paletti in frassino e perlustrare i quartieri della città alla ricerca di non morti da impalare e poi bruciare in una fossa comune. Il problema spesso e' tornare prima del tramonto, momento in cui gli zombi/vampiri si risvegliano assetati di sangue fresco e gli assediano la casa con estremo furore, arrivando anche a chiamarlo per nome, memori della loro vita passata. La vita del protagonista diventa così quella di uno sterminatore sull'orlo della follia, tormentato sia dalle urla e dalle scorrerie dei non morti che dai laceranti ricordi della vita passata. Numerose le sequenze che si imprimono nella memoria: tra cui quelle girate in un desolato Eur romano disseminato di cadaveri, poi le durissime sequenze del flashback in cui autocarri dell'esercito prelevano gli infetti per portarli al rogo e infine la scena geniale in cui un isterico Price ascolta sul giradischi musica jazz, mentre fuori dalla casa impazza l'inferno. Un barlume di speranza si ha nel film quando il protagonista intercetta un cane, ma l'esame microscopico del sangue di quest'ultimo mostrerà implacabilmente l'infezione in atto e Morgan dovrà provvedere all'ennesimo doloroso sacrificio. Sul finale lo scienziato verrà adescato da una donna mandata da una piccola comunità di superstiti, che hanno scoperto una forma di vaccino immunizzante transitorio, creando così una nuova razza, intermedia tra gli esseri umani e i non morti. Questa comunità di semi-vivi ha un'estrema paura dello scienziato, poiché questi nelle sue scorribande diurne ne ha già uccisi un buon numero scambiandoli per i non morti, ed è decisa ad eliminare la minaccia proveniente dall'ultimo uomo della terra, per dare così il via ad una nuova civiltà. Lo scienziato sul finale ha un'illuminazione sul possibile vaccino per il germe, ma la rabbia dei semi-vivi lo travolge. Dopo aver subito uno straziante martirio, finirà giustiziato sull'altare di una chiesa, mentre esclama "Fermi! io posso salvarci tutti!", è LUI ora il mostro, il diverso. E qui il film scopre le sue carte disvelandosi come imitatio christi e mostra come le speranze per l'umanità in piena guerra fredda siano veramente inesistenti. Non dimentichiamoci poi che dal germe di questo film e dal romanzo di Matheson prenderà vita, da lì a poco, il sovversivo filone degli zombi di Romero...

15/08/10

La Mancha de Sangre (Adolfo Best Maugard)

La Mancha de Sangre
di Adolfo Best Maugard (1937 MEX 64')

Unico film del regista di culto, Adolfo Best Maugard, amico delle arti e del cinema, pittore, pedagogo e funzionario politico, che venne ufficialmente affiancato a Sergej M. Eisenstein per le riprese dei suoi film girate in Messico, con lo scopo preciso di assicurare la veridicità delle immagini. Alcuni anni dopo a questa scintillante collaborazione, lo stesso Maugard realizzò un film: La mancha de sangre, considerato un capolavoro del cinema messicano, ma sconosciuto al mondo intero. Un film noir straordinario, un'impressione vibrante, flamboyant della vita notturna della metropoli, uomini e donne della notte nella propria febbrile danza per amore, denaro e potere. Best Maugard non aveva bisogno di attori, girò in un locale notturno con puttane e amici, in presa diretta. A metà uno spogliarello di un'intensità tale da minacciare di lacerare lo schermo. Nel 1943 il film uscì nelle sale, dopo che il regista lo aveva già aggiustato per la censura; ma poche settimane dopo il film fu definitivamente proibito, e scomparve. Solamente a metà degli anni Novanta ricomparve una copia in nitrato, poi restaurata nella cineteca di Città del Messico. La mancha de sangre è un vero esempio di cinema rivoluzionario, nella tradizione di Eisenstein e Bunuel (L'age d'or), uno dei pochi film che meritano la qualifica di maudit.
(con il contributo degli scritti di Fritz Gottler)

14/08/10

Il cervello è lo schermo

"Qualcosa di bizzarro mi ha colpito nel cinema: la sua attitudine inattesa a manifestare non il comportamento, ma la vita spirituale (e insieme i comportamenti aberranti). La vita spirituale non è il sogno o il fantasma, che sono sempre stati ostacoli del cinema, è piuttosto il campo della fredda decisione, della comprensione assoluta, di scelta dell'esistenza. Cos'è che rende il cinema così adatto a scavare nella vita spirituale? Questo può dare il peggio, un cattolicismo, un supplizio proprio al cinema, ma anche il più alto, Dreyer, Sternberg, Bresson, Rossellini e oggi Rohmer...In breve, il cinema non mette il movimento solo nell'immagine, ma anche nello spirito. La vita spirituale è il movimento dello spirito . Si passa in modo naturale dalla filosofia al cinema, ma anche dal cinema alla filosofia. Il cervello, questa è l'unità. Il cervello è lo schermo. Non credo che la linguistica e la psicanalisi siano di grande aiuto per il cinema. Lo è invece la biologia del cervello, la biologia molecolare. Il pensiero è molecolare, ha velocità molecolari che compensano il nostro essere lenti. La frase di Michaux: L'uomo è un essere lento, che è possibile solo grazie a velocità fantastiche. I circuiti e le concatenazioni cerebrali non preesistono agli stimoli, ai corpuscoli o ai granelli che li tracciano. Il cinema non è il teatro, compone i corpi con dei granelli. Le concatenazioni sono spesso paradossali e superano da tutte le parti le semplici associazioni di immagini. Il cinema, proprio perché mette l'immagine in movimento, o meglio, fornisce l'immagine di auto-movimento, non cessa di rintracciare dei circuiti cerebrali. Questo, ancora, è per il peggio o per il meglio. Lo schermo, cioè noi stessi, può essere un cervelletto deficiente d'idiota quanto un cervello creativo. Guardate i clip: la loro potenza stava in nuove velocità, in nuovi concatenamenti e riconcatenamenti, ma ancora prima di sviluppare la loro potenza sono già sprofondati in pietosi tic e smorfie, e in tagli distribuiti a caso. Il cattivo cinema passa sempre attraverso circuiti interamente di basso-cervello, violenza e sessualità in ciò che è rappresentato, un miscuglio di crudeltà gratuita e di debolezza organizzata. Il vero cinema coglie un'altra violenza, un'altra sessualità, molecolare, non localizzabile: i personaggi di Losey, per esempio, sono comprimari di violenza statica, tanto più violenti, quanto più immobili. Queste storie di velocità del pensiero, precipitazioni o pietrificazioni, sono inseparabili dall'immagine-movimento: si veda la velocità in Lubitsch, come egli metta degli autentici ragionamenti nell'immagine, dei bagliori, la vita dello spirito."
Gilles Deleuze, Divenire molteplice

05/08/10

A Phantasy (Norman McLaren)

A Phantasy
by Norman McLaren (1952 CAN 7')