di Cesare Canevari (1970 ITA/SPA 89')
Ecco uno spaghetti western spiazzante che affronta una storia dalle tematiche classiche, ma la arricchisce con uno stile selvaggio e sbilenco e con alcune trovate veramente singolari. Su tutte spicca il fatto che l'eroe del film, interpretato da un timido Lou Castel, per combattere in duello si serve di svolazzanti boomerang e che l'enigmatico capo dei banditi (un destabilizzante Corrado Pani) si esprime quasi sempre cinguettando come un usignolo e suona l'arpa con il suo winchester. Punto di forza del film è la colonna sonora creata da Mario Migliardi che con il suo travolgente rock psichedelico e rumorista si sposa a meraviglia con le furenti cavalcate dei banditi. Tali sequenze sono valorizzate dai vorticosi e virtuosi movimenti di macchina voluti dal regista, probabilmente vittima di un'indigestione di peyote. I primi quaranta minuti, quasi privi di dialoghi, grazie alla commistione di musica e immagini (praticamente una carneficina a ritmo di rock) risultano affascinanti e quasi ipnotici per il meravigliato spettatore, poi nel seguito il film perde un po' del suo ritmo. Da citare comunque le impressionanti locations ricavate in una vera ghost town (Benson City), che danno vita ad un west spettrale in cui si avvertono presenze impalpabili e ci si aspetta da un momento all'altro di veder apparire un fantasma. Non mancano poi momenti che solleticano un erotismo morboso nello spettatore, dovuti alla sensuale interpretazione di una perversa dark lady interpretata da Claudia Gravì. Vi sono poi momenti che ci fanno precipitare in un allucinato sadomasochismo come quando l'effeminato bandito ossigenato picchia ripetutamente con una pesante catena il tenero (e perennemente assetato) Lou Castel o come quando la lasciva dark lady su un'altalena si lascia ondeggiare brandendo un coltello e ad ogni passaggio sfiora la gola dell'eroe legato a terra. Notevoli anche i diversi aforismi che compaiono nel film (es. Ci sono soltanto due uomini buoni...uno è morto, l'altro deve ancora nascere) e un monologo interiore sulla vita intesa come rapina degno delle sceneggiature del miglior Tarantino. Insomma Matalo! si colloca tra Monte Hellman e il delirio...
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