29/03/09

Kurt Cobain About a Son

Domenica 29 Marzo ore 21.30 al Clan Destino
Kurt Cobain About a Son
di AJ Schnack
(2006 USA 97')
"Mi piace mantenere opinioni forti senza argomenti per sostenerle al di fuori della mia connaturata sincerità. Mi piace la sincerità. Mi manca la sincerità..." (Kurt Cobain)
Biografia del musicista Kurt Cobain, suicidatosi nel 1994, basata su più di 25 ore di interviste inedite rilasciate al giornalista Micael Azerrad per il libro "Come As You Are: The Story of Nirvana". La voce della star è la protagonista indiscussa e rievoca la sua vita, dall'infanzia all'adolescenza, dalla scoperta della passione per la musica all'esplosione del talento e al successo. In un vortice di situazioni e di sentimenti, Cobain offre un ritratto inedito di se stesso e uno spunto non banale per riflettere sul mondo di oggi con le sue contraddizioni e sulla difficoltà di esserne parte.

"Incertezza: come spalancare gli occhi al buio e poi chiuderli forte forte e poi aprirli e restare accecati dai puntini d'argento creati dalla pressione sulle cornee, strizzarli, farli roteare, mettere a fuoco e accecarsi di nuovo, ma almeno hai visto la luce" (Kurt Cobain)

27/03/09

Persone Strane

Persone Strane - Surprise Cinema
di Bill Plympton (1999 USA 7')

25/03/09

Cinema Scaglie Aprile 2009

Cinema Scaglie Aprile 2009 al Clan Destino


Domenica 5 Aprile ore 21.30
La Selva dei Dannati
di Luis Buñuel
(1956 FRA/MEX 100’)
In uno dei suoi film più politici e inquietanti, Luis Buñuel torna ad esplorare con la consueta maestria le dinamiche di un universo chiuso in cui finisce per esplodere la violenza. La vicenda si svolge in una cittadina sudamericana, dove il governo decide di nazionalizzare i giacimenti di diamanti, facendo scoppiare la rivolta dei cercatori. È in questa occasione che si intrecciano i destini di un forestiero, di una prostituta, di un missionario e di uno dei cercatori accompagnato dalla figlia sordomuta: accusati della sommossa dal corrotto capitano Ferrero, sono costretti a fuggire in una foresta tropicale, ma la lotta estrema per la sopravvivenza finirà presto per metterli l’uno contro l’altro. Forte dell’apporto di attori di rango come Simone Signoret e Michel Piccoli, e di una sceneggiatura firmata con il regista da Luis Alcoriza e Raymond Queneau, La selva dei dannati è una conferma dell’ineguagliabile stile di Buñuel, sospeso tra ironia e crudeltà, tra impronta surreale e spirito anarchico. (dalla presentazione del dvd)

Domenica 12 Aprile ore 21.30
Il Pianeta Proibito
di Fred McLeod Wilcox
(1956 USA 65')
Il pianeta proibito è una trasposizione quasi letterale del capolavoro “La Tempesta” di Shakespeare e si può considerare ancora oggi uno dei capolavori della science fiction cinematografica. Ma in quegli anni il film, per come il genere si stava sviluppando, costituì una sorta di aporia. Innanzitutto non c’era traccia di invasioni aliene ma si trattava semplicemente di un viaggio. Il viaggio è quello di un’astronave terrestre diretta verso un pianeta al di fuori del sistema solare e i mostri che lottano contro gli uomini non sono creature aliene ma generati dal lato oscuro della psiche di uno scienziato terrestre naufrago sul pianeta Altair 4. Il tutto condito da una realizzazione scenica ed effetti speciali ancora oggi ammirati. I mostri dell’Id, creati dall’inconscio del dottor Morbius, sono una geniale rappresentazione cinematografica delle dinamiche psicoanalitiche giocate tra Es, Io e Super-Io, che conferma il tentativo di realizzare un prodotto di classe superiore, affrontando un tema sino ad allora completamente estraneo al genere. La struttura del racconto e dei personaggi ricalca abbastanza fedelmente quella dell’originale di Shakespeare. Il robot Robbie fu l'oggetto scenico cinematografico più costoso mai costruito all'epoca e fu successivamente impiegato anche nel film “Il robot e lo Sputnik”. Divenne anche un giocattolo molto popolare, ed è in qualche modo un antesignano di tutti i robot dei film di fantascienza. (dalla presentazione al Bergamo Film Meeting)

Domenica 19 Aprile ore 21.30
The Human Film
di Walter Ciusa
(2005 ITA 80’)
Più vero di Truman show, più irriverente di Borat, più veloce di Forrest Gump, più trasformista di Zelig, più cazzone del grande Lebowski... Ted Hemmann? Mat Podman? Jeff Bouges? Tiny Power? Paul Malone? Quale di questi due uomini esiste? Sono, veramente la medesima persona? Chi sono e cosa si può dire di loro? Probabilmente non è necessario dire nulla, limitiamoci a guardare: l'occhio della telecamera di Walter Ciusa indaga il protagonista in ogni meandro, nell'intimità. Ci permette di stare seduti e godere le continue metamorfosi, e coltivare la segreta speranza di vederlo trasformarsi in un supereroe. Ciusa ha realizzato con pochissimi mezzi (circa 280 euro, un record) "The Human Film", film biografico che attraverso più stili, narra le vicissitudini di un americano in Italia, un certo Ted. 7 anni di riprese (1998/2005) tra Bologna, Roma e Venezia e 30 ore di girato: la maggior parte delle persone ci sfiora, ci passa accanto, senza lasciare alcuna traccia di se, senza che un loro pregio, un difetto rimanga. Altre no, sono diverse, si notano per dissonanza. Atipiche. Non sono migliori; non sono peggiori delle altre. Più interessanti, forse. Sono il nervo scoperto, il sintomo; sono i punti neri di un corpo che è moltitudine. Gli atipici non debbono essere coperti, guariti o schiacciati. Uomini apparentemente insignificanti, segnano invece un'originale tracciatura del tempo che stiamo vivendo. Da non perdere.
(dal sito del film http://www.myspace.com/thehumanfilm)
NEL TARDO POMERIGGIO APERITIVO CON IL REGISTA!!!

Domenica 26 Aprile ore 21.30
Viy
di Georggi Kropachev & Konstantin Ershov
(1967 URSS 78')
Storia soprannaturale e grottesca incentrata su streghe e possessioni maligne che affonda le proprie radici nella mitologia russa. Questo è uno dei primi film horror prodotti nell'ex Unione Sovietica, tratto da una novella del 1835 di Nikolai Gogol (la stessa che ha ispirato il capolavoro "La maschera del demonio" al maestro Mario Bava) e girato da due registi esordienti come loro fulminante tesi di diploma per il "Advanced Course for Film Directors". Questo film narra la storia di un filosofo seminarista dissoluto e inconcludente, di nome Khoma, che viene inaspettatamente convocato da un ricco signore per pregare, per tre notti consecutive, alla salma della figlia, misteriosamente deceduta, allo scopo di liberarla da una presumibile possessione maligna. Il paradosso è che la richiesta della sua presenza è stata fatta proprio dalla figlia in punto di morte e che i due non hanno mai avuto precedentemente alcun rapporto. Ma il giovane seminarista in un antefatto del film, durante una delle sue abituali ubriacature di cui purtroppo non serba ricordo, è venuto in contatto con una temibile strega sconfiggendola. Questa megera, prima di morire, è riuscita però a incarnarsi in una bellissima fanciulla, che è poi risultata essere la giovane defunta. Inizialmente il film risente degli anni passati e il ritmo è blando, l'atmosfera gotica un po' annacquata, i siparietti comici discretamente insulsi, ma poi, dal momento che entriamo nelle terribili notti del seminarista al capezzale della giovane, si viene immersi in un universo parallelo dove la visionarietà surreale dei due registi può avere libero sfogo, fino all'apoteosi del gran sabba finale con l'apocalittica apparizione dell'arcano demone "Viy" e della sua infernale congrega. Effetti speciali semplici, ma efficaci, mettono in luce tutte le potenzialità visionarie del cinema, quando a maneggiarlo ci sono menti libere (non dimentichiamoci che l'art director del progetto è il grande Aleksandr Ptushko).

22/03/09

Institute Benjamenta (Brothers Quay)

Domenica 22 Marzo ore 21.30 al Clan Destino
Institute Benjamenta
di Brothers Quay (1995 UK/GIAP/GER 104')

Poco utile cercare di raccontare o spiegare la trama di Institute Benjamenta, primo film non di animazione dei fratelli Quay, tratto dallo Jakob von Gunten di Robert Walser.
Atmosfera kafkiana, luogo e personaggi calati in una dimensione di isolamento e prigionia, presenza di uno sfuggente universo simbolico, metaforica riflessione sull’assenza d’amore e sulla società del potere, basata su rapporti servo-padrone, su sistemi di controllo, su protocolli ripetuti fino all’inverosimile…Straordinarie le prove degli attori e ipnotiche alcune sequenze di movimento. Il film è stato accolto senza entusiasmi alla sua uscita ma è diventato nel corso degli anni un oggetto di culto. Un’esperienza sensoriale cui abbandonarsi. (da Asianworld)

21/03/09

Rapporto Confidenziale Numero Tredici

RAPPORTO CONFIDENZIALE. rivista digitale di cultura cinematografica

NUMERO13 | MARZO’09

free download 10,5mb | 3,5mb | ANTEPRIMA

SOMMARIO

04 La copertina. Donato Di Blasi

05 Editoriale di Alessio Galbiati

06 Brevi. appunti sparsi di immagini in movimento di Alessio Galbiati

07 Estasi di un delitto di Samuele Lanzarotti

08 Él di Samuele Lanzarotti

10 LINGUA DI CELLULOIDE Mulholland D(e)rive cineparole di Ugo Perri

13 SPECIALE GUS VAN SANT. GENIO RIBELLE. II parte

To Die For di Roberto Rippa 14

Good Will Hunting di Andrea Fannini 15

Psycho di Alessio Galbiati 16

Finding Forrester di Jean-Maurice Rocher 17

Gerry di Luciano Orlandini 19

Elephant di Luciano Orlandini 20

22 DONATO DI BLASI. Berlino 1996, Bangkok 2001, Molise 2004, Marsala 2008

26 CINEMA SERBO Profesionalac di Francesca Mitrovic

27 ClanDeadStini di Alessandra Cavisi

28 Bride Wars di Francesco Chignola

28 The Wrestler di Alessandra Cavisi

29 Zack and Miri Make a Porno di Francesco Chignola

30 SPECIALE WATCHMEN

Watch…Amen! di Roberto Rippa 31

Lettera aperta dello sceneggiatore David Hayter ai fan di Watchmen 33

Watchmen. Zack, ma come hai fatto? di Francesco Moriconi 35

Perso nella simmetria. La guida italiana non ufficiale alla lettura di Watchmen di Roberto Rippa 46

Sette domande a Francesco Moriconi di Roberto Rippa 47

Watchmen in Italia. Le sette vite di un fumetto di Francesco Moriconi 49

52 www.rapportoconfidenziale.org

53 Arretrati


EDITORIALE

Perché Custer alle Halles, a Parigi, nel 1973?

Dal punto di vista dello spettacolo, le Halles di Parigi rappresentano un ambiente ideale per raccontare questa storia, la storia di un genocidio. Uno scenario fine secolo in via di distruzione. Un enorme buco al centro di tale scenario. Fa pensare a un’arena dove si uccidevano gli schiavi e intorno c’era un impero che si distruggeva e ricostruiva. Uno scenario mobile per una storia eterna.

Le case, gli edifici abbattuti e sostituiti da grattacieli. Il paesaggio cambia, ma la lotta degli oppressori contro gli oppressi rimane la stessa; è immutabile.

Ma perché fare una domanda del genere? Perché Custer alle Halles? Perché un’immagine stimola un’idea? Cerco di dare un significato a questo stimolo. L’immagine di questo buco in mezzo alla città mi ricorda l’immagine dei circhi di gladiatori, i deserti del Dakota, le piazze dove i poliziotti lanciano le bombe lacrimogene.

Perché un western? Perché secondo me noi viviamo in un clima western. Perché il western è sempre stato l’enorme trappola in cui siamo caduti fin da bambini.

Il western esprime in maniera semplice ed elementare i concetti: Dio, Patria, Famiglia. Io riprendo questi concetti e li faccio scoppiare dal ridere.

La Grande Bouffe era un film fisiologico. Questo è un film di sentimenti e di idee. Doveva quindi essere francamente comico. Oggi si può parlare di sentimenti e di idee solo in maniera comica.

Si può parlare di concetti superati solo in maniera irriverente.

Le Halles sono il Western, sono uno scenario da western. La vecchia frontiera, che cosa era? Al tempo di Custer, un secolo fa, si demolivano già vecchi edifici che somigliavano ai Pavillons di Baltard.

Non è il Dakota a fare il western. Il western sono anche le idee. Il western ci ha portato delle idee, perché non portare le nostre al western?

Forse che nelle città non esistono gli stessi elementi che troviamo in un western? A ogni angolo di strada non si incontrano i soldati del Settimo Cavalleria?

Quando io penso ai Pellirosse, io penso al proletariato e al sottoproletariato che si lascia schiacciare e umiliare.

L’opera di distruzione contro i Pellirosse era un etnocidio, la distruzione di un popolo di una nazione.

La cosa comica in questo film, come nella storia, è che coloro che si credono forti, invece di parlare come noi di genocidio, parlano di «diritto alla conquista». E diventa veramente comico quando i conquistatori sono schiacciati, perché i conquistati, loro, parlano di diritto alla resistenza e alla vittoria. È quello che è accaduto a Little Big Horn e accadrà, io spero, domani dappertutto.

È bella la vittoria - la nostra.

MARCO FERRERI
[in Marco Ferreri e Rafael Azcona, Non toccare la donna bianca, Einaudi 1975]


EDITORIALE di Alessio Galbiati

È con le parole di Marco Ferreri che volevo (forzosamente) aprire questo tredicesimo numero di RC. Macerie della speranza, distruzione, genocidio e rivoluzione perché, come scrissi qualche editoriale fa, “il cinema certo, ma il problema è tutto il resto!”.

Si muovono nella società forze sempre più oscure, istinti bassi e sommari - che Buñuel fu maestro nel rappresentare sottoforma di pulsioni irrazionali e retrive (Lanzarotti racconta Estasi di un delitto ed Él) - istinti xenofobi che il gruppo Fart Film (ri)legge con acuminata intelligenza in chiave zombi movie (Cavisi in ClanDeadStini). La crisi appare un pretesto per metter mano a soldi pubblici, i governanti fanno e disfano qualsiasi cosa: Who Watches the Watchmen? (al film ed alla graphic novel abbiamo dedicato un approfondito speciale di Moriconi e Rippa).

I temi si intrecciano e scivolano di pagina in pagina, suggestioni fatte di immagini in movimento, idee luminose e realtà cinematiche che dovrebbero aiutarci a comprendere qualcosa in più della/sulla realtà che ci attornia. Il cinema è linguaggio e forma d’espressione, ipertesto mai innocuo (Chignola smonta Bride Wars) che (ci) parla attraverso sinestesie. Gus Van Sant è l’Autore sul quale torniamo a posare il nostro molteplice sguardo (Rippa, Fannini, Galbiati e Rocher), con la seconda parte dell’esplorazione del suo genio ribelle.

Insomma, non vi resta che leggerci!

La pubblicazione del numero13 coincide con la definitiva messa online del nuovo sito di RC. Un nuovo strumento che vuole essere ‘altro’ dalla rivista che avete di fronte agli occhi. www.rapportoconfidenziale.org

Buona lettura.

19/03/09

Rapporto Confidenziale Nuovo Sito Web

Rapporto Confidenziale Nuovo Sito Web


www.rapportoconfidenziale.org

THE MOVIE BRATS
Rapporto Confidenziale non ha propriamente una redazione nel senso classico del termine, RC è più che altro una rete di relazioni, una galassia di persone interessate a parlar di cinema che si ritrova una volta al mese sulle pagine della rivista. Quello che trovate di seguito è semplicemente l’elenco degli autori che sin qui sono comparsi su RC, ordinati alfabeticamente con un link che vi permetterà di conoscerli un po’ meglio.

Giampiero Assumma link

Costanza Baldini link

Roberto Bernabò link

Corinne Chaufour link

Alessandra Cavisi link

Matteo Contin link

DIGICULT – DIGIMAG link

Alessio Galbiati link

Maurizio Giuseppucci link

Samuele Lanzarotti link

Francesca Mitrovic link

Ciro Monacella link

Cesare Moncelli link

Francesco Moriconi link

Luciano Orlandini link

Emanuele Palomba link

Ugo Perri link

Roberto Rippa link

Luca Ruocco link

Ivan Talarico link

Mario Trifuoggi link

Mario Verger link

17/03/09

Il potere (Augusto Tretti)

Il potere
di Augusto Tretti
(1972 ITA 86’)

Duchamp soleva dire che l’unica soluzione per l’artista del futuro è rifugiarsi nell’underground e Augusto Tretti questo lo ha fatto e perseguito con grande coraggio e determinazione. Nella sua carriera ha fatto solamente tre fiammeggianti film (La legge della tromba, Il potere e Alcool) e un mediometraggio (Mediatori e Carrozze). Tutte le sue opere sono state rese praticamente invisibili dalla distribuzione, fatta eccezione per qualche raro passaggio notturno televisivo sul programma Fuori Orario. Il suo cinema beffardo e irriducibile ha evidentemente ripetutamente colpito nel segno, rendendosi scomodo sia per il potere economico che per quello politico, tanto da risultare velenoso e indigesto per la società del tempo (ma anche per quella attuale), solitamente capace di assimilare agevolmente, monetizzare e riciclare a proprio favore ogni forma di espressione culturale antagonista. Dopo l’apprezzato esordio con “La legge della tromba” del 1960 Tretti ha dichiarato “non potevo fare film qualunque, non potevo compromettermi, svilire quei preziosi giudizi sul mio film” e da quello stato d’animo è infatti scaturito il suo film più sferzante, intitolato “Il potere”. Un apologo apparentemente naïf, girato con pochi mezzi e attori non professionisti, che si avvale del tono grottesco per lanciare pungenti staffilate riguardanti i meccanismi occulti che regolano la gestione del potere nei diversi periodi storici della storia umana. L’intuizione folgorante di Tretti è quella di mostrare tre strani personaggi dalla testa di belve (un leone una tigre e un leopardo), seduti su dei troni, come detentori del potere militare, commerciale e agrario. Sono coloro che nel corso dei secoli muovono le fila della spartizione del denaro e del potere, servendosi di volta in volta di ciò che gli fa più comodo. Davanti alla massa questi potenti non compaiono, formano una specie di setta che gli permette di rimanere nell’ombra e nei loro incontri analizzano i cambiamenti in atto nella società e decidono di conseguenza le strategie più idonee per perpetuare il potere, i privilegi e la ricchezza acquisiti. Ciò significa che i politici sono solo apparentemente i detentori del potere, dietro di loro c’è ben altro e questo Tretti lo mostra inequivocabilmente nella sequenza in cui la testa di Mussolini (in realtà una maschera di gomma), appesa ad un gancio, viene gettata via da una delle tre belve, che afferma beffarda “oggi questi burattini non servono più... oggi per continuare a sfruttare e speculare bisogna cambiare tattica e trarre profitto dalle leggi democratiche... oggi per conservare il potere è meglio camuffarsi da socialisti”. La dissacrante pellicola di Tretti non si tira indietro davanti a nessun potere costituito, evidenziando la cialtroneria, la scarsa memoria e l’ipocrisia dei vari protagonisti delle vicende storiche narrate. Il film parte dalle origini del potere, cioé dalla preistoria e più precisamente dall’età della pietra. Tretti mostra come uno scaltro individuo, fingendosi il Dio del Fuoco, riesca ad impaurire i suoi simili e ad assumere così il controllo dell’intera comunità. La seconda epoca trattata nel film è quella dell’Impero Romano in cui ci vengono mostrati i latifondisti intenti a fare il bagno nel latte, cullati e lavati da splendide schiave, alquanto preoccupati per l’imminente riforma agraria propugnata dal tribuno della plebe Tiberio Gracco. In questo frammento ricordo una scena pungente che mostra i senatori romani preoccupati durante una riunione a causa della minaccia rappresentata dalla rivoluzionaria riforma agraria e in cui i mugugni si trasformano in inequivocabili grugniti suini. Il successivo assassinio di Tiberio Gracco ad opera dei latifondisti viene inframmezzato con immagini che mostrano i corpi martoriati di altri martiri innocenti della nostra storia recente. La terza epoca affrontata nel film è quella del Far West in cui galeotti europei vengono liberati e a loro spetta il compito di colonizzare l’America liberandola dai selvaggi, i pacifici indiani. In questo spezzone si sente il motto “Bibbia e moschetto pioniere perfetto”. Le fila della strategia per lo sterminio degli indiani sono manovrate sempre dalle tre belve con l’intento di portare progresso, libertà e religione nel Nuovo Mondo. Lo sterminio finale degli indiani viene inframmezzato da Tretti con immagini di altri stermini, come quello del Vietnam. La quarta parte del film è incentrata sull’Italia del 1919 in cui si assiste all’insorgere dei primi scioperi contadini mossi dalle idee promulgate dalle cooperative socialiste, intente ad impedire speculazioni sui prodotti alimentari e a limitare il costante rialzo dei prezzi. Le tre belve spaventate da questi repentini cambiamenti e convinte del fatto che “i rivoluzionari si combattono nelle piazze” decidono di appoggiare l’ascesa del nascente partito fascista, cappeggiato da Benito Mussolini, colui che coagula l’aristocrazia del genio e quella del sangue, nel film interpretato dallo stesso Tretti, grazie all’ausilio di una folgorante maschera di gomma. L’ideale del nuovo potere si riassume nel trittico patria, famiglia e religione e le preoccupanti commistioni tra fascismo e Chiesa vengono mostrate senza remore. Una sequenza esilarante della pellicola è quella della marcia su Roma in cui vediamo un’armata brancaleone, in cui l’ultimo sgangherato soldato porta con sé il proprio fedele cagnolino al guinzaglio, che giunge alle scalcinate porte di Roma e trova il Re Vittorio Emanuele II pacifico ad attenderli per farli entrare. Il Mussolini del film in un’altra sequenza dichiara “io rispetto la libertà di stampa, ma se i giornali parlano male di me...io abolisco la libertà di stampa”... e questa è una frase che possiede un inquietante e profetico déjà vu... Altra scena memorabile è quella in cui assistiamo ad una parata fascista in cui, per dimostrare l’efficienza delle forze armate, vediamo gli stessi scalcagnati soldati riciclare ripetutamente sé stessi e i propri mezzi facendo di volta in volta la parte di alpini, bersaglieri, corrazzieri e granatieri e in cui le biciclette vengono trasformate all’occorrenza in cannoni o addirittura finti carrarmati. Ma il frammento stupefacente del film è quello che riguarda “l’epoca moderna” dove l’imperativo delle tre belve è quello di narcotizzare le masse con la stampa, la falsa cultura e con la televisione, quello di distrarre il popolo con lo sport e manipolare la gente con i beni di consumo...in poche parole la società contemporanea, aggiungendo la distrazione data dalle modelle svestite, dai videogiochi e dal vociare dei pettegolezzi. Tretti punta il dito su quello spaventoso fenomeno culturale omologatore, che Pasolini chiamava “edonismo di massa” e non esita a denunciare il nascente consumismo come nuovo fascismo. Citando una recensione del film di Rippa: “l'uniformità e l'obbedienza delle masse sono assicurate non dalla violenza né dalla propaganda politica, ma dalla facile imposizione di un modello di vita improntato alla produzione e al consumo, nella costante ricerca del prossimo bisogno indotto da soddisfare”. Numerose le scene graffianti come quella della fabbrica di galline con un unico operaio per 100000 galline, alternata ad immagini di bambini africani moribondi a causa della fame. In una sequenza degna del miglior Jodorowsky (ma ricordiamoci che questo film è antecedente alla “Montagna Sacra”), Tretti ci mostra un allevamento di galline, mostruosamente ammassate per evidenti motivi commerciali, in cui queste sono costrette ad indossare occhiali per evitare il cannibalismo, e in cui il padrone decanta ai suoi ospiti le qualità del Super-Uovo, in realtà una nullità piena d’acqua e senza tuorlo, emblema del cibo nella nostra società, bello da vedere, ma vuoto. Altra scena indimenticabile è quella in cui una specie di “nuovo sacerdote”, in una società il cui motto è “meno ospedali, meno scuole e più autostrade”, decanta le qualità di una super-auto, la “Super Leggera Special Sport”, dall’alto degli scalini di una chiesa ed incita la massa desiderante a fare debiti e firmare cambiali pur di aggiudicarsela...e vedendo le automobili che circolano ai nostri giorni è facile intuire quanto il film sia profetico...e ora che i debiti si sovrappongono e manca la liquidità...non resta altro che fare il botto. Altra scena incantevole è quella della pubblicità del Moblon, soprammobile inutile e insulso, che grazie ad un’accurato e quotidiano bombardamento a tappeto fatto di ammiccanti messaggi pubblicitari attraverso radio, TV, giornali e manifesti nelle città riesce a diventare un feticcio irrinunciabile per fare sentire l’ormai lobotomizzata massa veramente alla moda. La vena anarcoide di Tretti si manifesta poi nel sorprendente finale con le tre belve che abbracciano la fede della falce e martello, consacrati da un sole rosso, che li accompagna nel provvidenziale cambio di rotta. Chiude il tutto la chiarificante frase di Lenin “ma chi non sa che ai giorni nostri ogni furfante ama pavoneggiarsi in un vestito rosso?”.
Da non dimenticare anche la sperimentale colonna sonora composta da musica cacofonica e distorta ad opera della sorella di Tretti. Chiaro che con un film così l’unica certezza è quella pronunciata da Ennio Flaiano su Tretti: “resterà un fenomeno isolato, o peggio, da isolare...”, ricordandosi però, e sono sempre parole di Ennio Flaiano, che “il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presuppone la superba innocenza dell'eremita... niente in lui è ingenuo o copiato, ma viene da una cultura ben digerita, strizzata alla radice... Non lascia niente al caso. I suoi personaggi non sono mai burattini, esistono nel momento in cui si realizzano... I volti esemplari, il modo di muoversi, la solitudine dei suoi attori (folle di otto persone, eserciti di dodici soldati), riportano il cinema ad un Eden dimenticato, a grandi spazi fatti di paesi, monti e campagne della memoria...”
(post appositamente scritto per www.rapportoconfidenziale.org)

Golem (Jiri Barta)

Golem
Jiri Barta

15/03/09

Day of the fight

Day of the Fight
di Stanley Kubrick
(1949 USA 16')
Documentario che tratteggia splendidamente il giorno che precede il combattimento di un pugile, Walter Cartier, giovane promessa ed aspirante al titolo mondiale dei pesi medi. Ottimamente reso il clima, misto di attesa nervosismo e speranza, che precede il match. Il film rappresenta per Kubrick un prolungamento diretto del suo precedente lavoro di fotografo, ma riesce lo stesso a metterlo in evidenza e lanciarlo verso quella fulgida carriera che tutti conosciamo. Singolare la presenza del gemello del pugile (come non pensare, trattandosi di Kubrick, alle due sorelline di Shining...). Da notare che in Killer’s kiss, primo film di Kubrick, il protagonista è proprio un pugile ex-promessa nel giorno dell’incontro decisivo. Quindi, ipotizzando che i due protagonisti coincidano, questo cortometraggio può essere visto come una preparazione/anticipazione del suddetto pregevole film. Raffinata, come sempre in Kubrick, la fotografia ed eccellente l’utilizzo della macchina da presa nel filmare il combattimento.



13/03/09

Tekkonkinkreet

Domenica 15 Marzo ore 21.30 al Clan Destino
Tekkonkinkreet
di Michael Arias
(2006 GIAP 111’)

Prodotto dallo Studio4°C, che ha già lavorato nello splendido “Animatrix” , e tratto da un manga in tre volumi, edito anche in Italia, di Taiyo Matsumoto, “Tekkonkreet” viene pubblicato direttamente in dvd (anche se avrebbe meritato di essere ammirato su grande schermo) e si propone come uno degli anime piu’ interessanti ed originali degli ultimi anni (sebbene dieci spanne piu’ sotto di una meraviglia quale “Ghost in the shell 2″ o di un qualsiasi film di Miyazaki) e soprattutto come una delle pù fedeli trasposizioni su schermo di strisce a fumetti, mantenendone l’esatto e peculiare tratto grafico ed esaltandolo grazie ad uno uso della CGI che non sovrasta mai, ma dinamizza, i disegni ed i movimenti di camera e li impreziosce con ottimi effetti speciali atmosferici che si fondono perfettamente con alcuni dei fondali più belli che si siano visti da diverso tempo.In realtà non tutte le premesse brillanti vengono mantenute e molte vengono sprecate per scarsa attenzione alla storia, ma nel complesso il comparto visivo merita sicuramente l’applauso.
“Tekkonkreet”
narra di Nero e Bianco, due ragazzi orfani che vivono letteralmente come gatti randagi e per i quali Treasure Town (periferia giapponese dominata da grandi complessi industriali, fogne e negozietti asserragliati) è tutto il loro mondo, una specie di grande parco-giochi in cui vivono in bilico tra la necessità di sopravvivenza quotidiana ed un innato (e quasi psicotico) ottimismo.
Il loro motto è “Sii felice”.
Uniti come in un tao, l’uno più infantile, quasi naif, puro, l’altro introverso e rabbioso, Bianco e Nero devono affrontare i progetti imprenditoriali sulla loro città organizzati da un gruppo della Yakuza, guidato dall’inquietante Serpente, al cui servizio sono umanoidi giganti privi di anima ed armati fino ai denti.
Durante questi scontri, spesso spettacolari grazie a salti su palazzi e mezzi pubblici che infrangono ogni legge basilare della fisica newtoniana, Bianco e Nero avranno modo di riflettere su se stessi e persino sul significato della loro esistenza e di quella di dio.
Costruito lungo 4 stagioni rappresentative di un particolare periodo della loro vita e delle loro evoluzioni psicologiche, “Tekkonkreet” diventa narrativamente e visivamente intrigante quando il meccanismo di fratellanza instaurato dai due protagonisti entra in crisi e si innesta in entrambi un processo di scissione psicologica, in particolare per Nero che andrà incontro ad una deriva sempre più pericolosa.
Adulto per i contenuti ed alcune sequenze violente (anche moralmente), le sfumature possibili della trama vengono disperse ad un certo punto in un delirio visivo nel sottofinale di assoluta bellezza e grande inventiva, che stravolge persino i canoni fino ad allora adottati, ma si riceve la sensazione che in fondo dei due ragazzini e delle loro vicende importasse veramente poco agli autori, per non parlare di personaggi secondari e sottotrame appena accennate seppure con un forte potenziale narrativo.
E’ un peccato perchè alcuni dialoghi, scarni, ma incisivi, avrebbero potuto elevare di molto l’autorialità dell’anime e l’emotività generale.
Restano in compenso il tratto deforme e volutamente stilizzato delle figure (ricordano moltissimo i disegni schizoidi di Ben Templesmith), l’ipercineticità delle scene di azione, l’esplosione cromatica dei fondali, dettagliatissimi ed eccellentemente realizzati, e scelte visive che ammiccano al cinema “vero” pur non tradendo la fonte originaria.
(Tratto dal blog Love is The Devil di Lenny Nero)

08/03/09

The Mermaid (Alexander Petrov)

The Mermaid
di Alexander Petrov (1996)

07/03/09

Il male supremo

Il mondo sta per finire. La sola ragione per la quale potrebbe durare è che esiste. Come è debole questa ragione, paragonata a tutte quelle che annunziano il contrario, e specialmente a quest'altra: che ha ormai da fare il mondo sotto il cielo? Perchè supponendo che continui a esistere materialmente, sarebbe poi un'esistenza degna di questo nome e del dizionario storico? Non dico che il mondo sarà ridotto agli espedienti e al disordine ridicolo delle Repubbliche dell'America del Sud, che forse anche noi ritorneremo allo stato selvaggio e che andremo a cercarci il cibo col fucile in mano, attraverso le rovine erbose della nostra civiltà. No, queste avventure presupporebbero ancora una certa energia vitale, eco delle età primitive. Nuovo esempio e nuove vittime delle inesorabili leggi morali, periremo per colpa di ciò di cui abbiamo creduto vivere. La meccanica ci avrà talmente meccanicizzati, il progresso avrà così bene atrofizzato in noi tutta la parte spirituale, che nulla delle fantasie sanguinarie, sacrileghe o antinaturali degli utopisti potrà essere paragonato ai suoi risultati positivi. Io che do a ogni uomo che pensi di mostrarmi che cosa sussista della vita. Della religione, credo inutile parlare, e cercare i residui, giacché darsi la pena di negare Dio è in questo caso il solo scandalo. La proprietà era virtualmente scomparsa con la soppressione del diritto di primogenitura; ma verrà il tempo in cui l'umanità, come un orco vendicatore, strapperà l'ultimo brandello a coloro che credono di essere legittimi eredi delle rivoluzioni. E nemmeno questo sarà il male supremo.
(Charles Baudelaire dai Diari intimi)

Post dedicato alla memoria di mio padre (nella foto)

05/03/09

Heaven

Heaven

Blog di Scaglie 51° nella classifica Intrattenimento/ Cinema Radio TV di Shinystat di ieri...come è possibile?
In Heaven everything is fine...

04/03/09

Black Cat (Edgar G. Ulmer)

Domenica 8 Marzo ore 21.30 al Clan Destino di Faenza
Black Cat
di Edgar G. Ulmer (1934 USA 65')
Ulmer, dopo aver studiato architettura e filosofia a Vienna negli anni '20, aveva lavorato come assistente alle scenografie ed alla regia con Max Reinhart e F.W. Murnau e aveva poi seguito quest'ultimo negli Stati Uniti. Il film, che avrebbe dato grande successo ad Ulmer, è vagamente ispirato all'omonimo racconto di Edgar Allan Poe e vede protagonisti, per la prima volta assieme, i due più grandi attori di film horror degli anni '30: Boris Karloff e Bela Lugosi. Girato negli Universal Studios, per gli esterni della villa in Ungheria viene utilizzata la Ennis-Brown House di Frank Lloyd Wright che ben si inserisce nel linguaggio filmico di Ulmer fortemente ispirato dall'espressionismo europeo. Cult Assoluto.

01/03/09

Nati Ciechi

Nati Ciechi
"Io volevo sapere una cosa: credete voi in Dio o no?" disse Stavrogin guardandolo con durezza" " Io credo nella Russia, nella sua ortodossia...Io credo nel corpo di Cristo...Io credo che la sua nuova venuta accadrà in Russia...Io credo..." si mise a balbettare esaltato Satov.
"E in Dio? in Dio?"
"Io...io crederò in Dio"
(Da "I Demoni" di Dostojevski)
Cosa aggiungere a questo? Qui é genialmente colta quella condizione di sgomento spirituale, quella carenza e quella deficienza dell'anima che sta diventando il carattere più costante dell'uomo moderno, il quale può essere definito un impotente spirituale. Il bello é celato agli occhi di coloro che non cercano la verità, o per i quali essa é controindicata. Questa profonda mancanza di spiritualità di colui che non percepisce, ma giudica l'arte, il suo rifiuto e la sua mancanza di disponibilità a riflettere sul significato e sullo scopo della propria esistenza nel significato più alto del termine, assai sovente vengono mascherate con l'esclamazione primitiva fino alla volgarità: "Non mi piace!", "Non mi interessa!".
Questo é un argomento a cui é impossibile controbattere, ma spesso assomiglia alla reazione di un nato cieco, al quale si sforzano di descrivere un arcobaleno.
Analogamente l'uomo contemporaneo, incapace di meditare sulla verità, rimane semplicemente sordo alla sofferenza, attraverso la quale é passato l'artista per condividere con gli altri la verità da lui attinta.
(Andrej Tarkovskij)