28/02/09

Boxcar Bertha (Martin Scorsese)

Domenica 1 Marzo ore 21.30 al Clan Destino di Faenza
Boxcar Bertha
di Martin Scorsese (1972 USA 92’)

Film liberamente tratto dall’autobiografia di Bertha Thompson. Bertha, diciottenne rimasta orfana in America negli anni di regressione economica, vaga alla ventura in cerca di un modo per non sentire la crisi del 1929. Casualmente fa amicizia con Big Bill Shelly, socialista sindacalista, al quale si concede su un treno merci e dal quale viene momentaneamente abbandonata. Poi si lega a Rake Brown, un baro di cui diviene spalla. Ritrovato Shelly, la ragazza interviene per liberare da un bagno penale lo stesso e l’altro amico: in questa situazione il terzetto si completa con un negro e costituisce una banda che, suggestionata dalle idee rivoluzionarie del sindacalista romantico, si getta a capofitto in una serie di rapine che vorrebbero essere un attacco al signor Sartoris, il padrone schiavista di una grossa ferrovia. La battaglia tra l’F.B.I. e il quartetto enumera diverse avventure e conosce vittorie e sconfitte; si conclude con la morte tragica di Shelly e Rake, oltre che con la separazione dolorosa della ragazza dal negro.
Boxcar Bertha è dominato dal tema della fuga e dalla figura del cerchio. Subito colpisce la linearità della trama: il cerchio degli avvenimenti luttuosi si apre e si chiude con la protagonista in posizione di osservatrice e testimone dolorosa di due morti, prima quella del padre poi quella dell’amante, quest’ultima resa più tragica e crudele dal modo (frutto del sadismo degli aggressori prezzolati). Naturalmente c’è una circolarità più esplicita e letterale: quella del percorso obbligato dei treni, motivata anche qui da ragioni pratiche di economia narrativa. Circolare è anche la configurazione materiale degli agguati e degli spostamenti, e si potrebbero trovare altri particolari a sostegno dell’argomento. Tuttavia, ciò che interessa maggiormente sottolineare è il rapporto di filiazione in cui Scorsese si pone verso il periodo storico considerato (gli Stati Uniti della Grande Depressione) e della raffigurazione che il cinema americano ne ha dato, particolarmente negli anni ’60 e oltre. Interessa anche mettere in rilievo l’esistenza di una sottile rete di allusioni, citazioni, ammiccamenti e richiami interni che collegano Boxcar Bertha a modelli filmici anteriori, e insieme precorrono i film successivi di Scorsese. Ad esempio: la trovata delle porte e l’intervista alla prostituta sono tolte di peso, per ammissione esplicita dell’autore da Vivre sa vie (Questa è la mia vita) di Godard; la crocifissione finale con la separazione degli amanti e Bertha che si trascina sulla ghiaia è chiaramente ispirata a Duel in the Sun (Duello al sole) di King Vidor, il grande mélo che è tra i pilastri della formazione scorsesiana; trasparente è l’omaggio alla coppia di registi inglesi Powell e Pressburger, di cui due dei personaggi portano il nome (a sua volta l’attore Chicken Holleman, che ha il ruolo di “Michael Powell”, darà il nome ad uno dei personaggi di Alice non abita più qui; numerosi risvolti figurativi e alcune battute alludono a The Wizard of Oz (Il mago di Oz) di Victor Fleming; infine – di tutti questi elementi forse il più significativo – è palese l’autobiografismo del personaggio di Rake Brown, interpretato da Barry Primus, l’attore designato in un primo momento a ricoprire il ruolo che sarà di Harvey Keitel in Mean Streets. Secondo Michael Henry, «in questa cronaca, in cui citazioni bibliche e strizzate d’occhio cinefiliche vanno surrealisticamente a braccetto, si riconosce il nostro italo-americano nella persona di Rake Brown, l’ebreo del Bronx talmente spiazzato nell’Arkansas della Depressione che non osa aprir bocca per paura di tradire il proprio accento e le proprie origini» («Positif» n. 170). E Scorsese conferma: «Il personaggio di Rake Brown l’ho completamente riscritto, al punto che mi rappresenta nel film, si veste come me, si direbbe uscito da Mean Streets. Dice in continuazione: "Ma che ci stiamo a fare qui nell’Arkansas? Tagliamo la corda". Esattamente ciò che io non cessavo di ripetere sul set! Commentavo l’azione attraverso di lui. Lui pensava, come me, che quando ci si trova faccia a faccia con qualcuno che ha una pistola di calibro più grosso della tua non resta che darsela a gambe... E, anche, che la si deve estrarre dalla fondina solo quando si è decisi e pronti a sparare! Nel momento in cui dimentica questo principio, il suo gesto gli è fatale!».
Nonostante si muova nell’area di influenza di Roger Corman, facendo un film da lui voluto, prodotto e distribuito, Scorsese adotta uno stile lirico e visionario del tutto personale. Si riscatta da vincoli di eredità o da influssi di modelli recenti, avvicinandosi forse più a Bonnie and Clyde (Gangster Story, ’67, di Arthur Penn) che allo stesso Bloody Mama di Corman o ad altri esempi appartenenti alla sua “scuola” (...).
Boxcar Bertha ha in comune con la “mamma sanguinaria” del maestro, poco più che gli ingredienti spettacolari, quella quantità esattamente dosata di sesso, violenza e caratteri forti richiesta dai canoni del genere gangsteristico.
Di fronte alla materia grezza, ed esplosiva, che la sceneggiatura gli offre, Scorsese lavora d’intuito e con fermezza, la adatta alla propria misura espressiva e, fondamentalmente, alle proprie convinzioni ideologiche che lo inducono a parteggiare apertamente per il personaggio del “rivoluzionario” Big Bill Shelley. In un certo senso, il regista, a questo stadio iniziale ma decisivo della carriera, fa politica per fare cinema. Passa volentieri sotto il giogo dell’industria perché sa che nelle potenzialità di audience offerte dal sistema (attraverso la relativa libertà lasciata agli autori da un producer intelligente e illuminato come Corman) egli potrà incanalare il suo desiderio di fare film, traendone risultati concreti.
(tratto da Gian Carlo Bertolina, Martin Scorsese, Il Castoro Cinema-L’Unità, 1995)

“Ho trent’anni, adesso, e da quindici sono vagabonda, una sorella della strada, un membro di quella strana, eterogenea comunità di donne che è cresciuta tanto all’epoca della Depressione. Ho sempre bazzicato strana gente, girovaghi e hobo di ambo i sessi. Per quel che ricordo, ho sempre saputo che esistevano i vagabondi, prostitute e rivoluzionari. Da piccola giocavo sui treni merci. Negli scali ferroviari, i conduttori mi lasciavano salire sulla locomotiva con loro, e a dodici anni avevo già viaggiato avanti e indietro da uno scalo all’altro su un vagone vuoto. Poliziotti, arresti, prigioni, manicomi e bettole hanno fatto parte della mia vita da sempre.”
(Box-Car Bertha di Bertha Thompson - Autobiografia di una vagabonda americana
Traduzione di Michele Buzzi, Giunti Editore)

25/02/09

Rapporto Confidenziale Numero Dodici

Rapporto Confidenziale - rivista digitale di cultura cinematografica
numerododici (febbraio 2009)


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ANTEPRIMA

EDITORIALE di Roberto Rippa
Dopo otto anni bui, nei conservatori e comunque sempre un po’ puritani Stati Uniti il popolo ha eletto presidente un quarantasettenne nero con idee liberali e ora attende di vedere come lavorerà. Intanto, con l’intento di «tornare agli standard della Costituzione, anche in un momento di guerra», si chiude quella vergogna che è stata Guantanamo. Nel 2009 a Sean Penn è stato attribuito il premio Oscar come migliore attore protagonista grazie al ruolo di un attivista per i diritti civili, primo gay eletto, trent’anni fa, ad una carica pubblica.

Il buio in Italia piace: abbiamo un presidente del Consiglio settantaduenne che di nero ha solo le idee, che è liberale unicamente a riguardo dei suoi interessi personali - che sono molti essendo il terzo uomo più ricco d’Italia, secondo la rivista Forbes, grazie a un patrimonio di 9.4 miliardi di dollari - e che parla di una ragazza in coma irreversibile da diciassette anni come di una persona che potrebbe partorire. In Italia la guerra non c’è - almeno ufficialmente - ma la Costituzione viene da lui definita come filo-stalinista e vengono istituzionalizzate le ronde. Nel 2009 un innominabile cantante - tanto innovativo in forma e contenuti da fare apparire Nilla Pizzi come una cantante di Death Metal - ha quasi vinto la prima (perché unica) manifestazione musicale della televisione con un brano vergognoso che parla di “redenzione” di un gay che nel resto d’Europa nessuno avrebbe mai preso nemmeno lontanamente in considerazione di trasmettere. E il pubblico ha votato compatto per lui.

Allegria e buona lettura.

SOMMARIO

04 La copertina. Giampiero Assumma
05 Editoriale di Roberto Rippa
06 Metacinema. Quando l’autoreferenzialità si fa comunicazione di Alessandra Cavisi
09 L’imperatore di Roma di Samuele Lanzarotti
10 LINGUA DI CELLULOIDE El Topo cineparole di Ugo Perri
11 Changeling di Luciano Orlandini
12 CINEMA SERBO di Francesca Mitrovic
Apsolutnih 100 di Francesca Mitrovic
15 SPECIALE GUS VAN SANT. GENIO RIBELLE
Milk di Roberto Rippa 16
Milk di Luciano Orlandini 17
Mala Noche di Roberto Rippa 18
Drugstore Cowboy di Roberto Rippa 19
My Own Private Idaho di Roberto Rippa 20
Even Cowgirls Get the Blues di Alessio Galbiati 21
22 GIAMPIERO ASSUMA. FOTOGRAFO DI SCENA
28 Pierre Clémenti di Samuele Lanzarotti
30 America, oggi di Costanza Baldini
Man on Wire | Who the #$&% is Jackson Pollock?
31 W La foca di Francesco Moriconi
32 CECI N’EST PAS CINÉMA. DOPPIOSENSO UNICO. Intervista a Ivan Talarico sulla sorprendente creatività fuori tempo massimo degli ultimi dadaisti di Alessio Galbiati
DoppioSenso Unico videografia 38
43 cinemautonome
45 Indice filmografico
47 Arretrati

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21/02/09

Jorge Reyes

Jorge Reyes


Il tamburo sciamanico si distingue da tutti gli altri strumenti usati per la magia del rumore proprio perchè rende possibile un'esperienza estatica. L'uso dei tamburi e di altri strumenti di musica magica non è però limitato esclusivamente alle sedute. Molti sciamani battono il tamburo e cantano anche per il solo piacere, senza che tuttavia ci sia differenza quanto a ciò che a tali azioni si lega: salire in cielo o discendere negli inferi”.
- Mircea Eliade, “Lo sciamanismo”.

Allo scopo di guidare alla libertà gli esseri viventi, l'aquila ha creato il Nagual, essere duplice a cui è stata rivelata la Regola. Che abbia forma di essere umano, animale, pianta o qualsiasi vivente, il Nagual è spinto a cercare il passaggio nascosto”
- Carlos Castaneda, “Il dono dell'Aquila”.

La musica di Reyes è l'esperienza della morte iniziatica nella tradizione sciamanica mesoamericana, la stessa che Carlos Castaneda ha reso nota al mondo. L'icona della sua musica è il Dio-scheletro precolombiano Mictlan-Tecuthli, signore dei morti e custode delle loro ossa; nella sua opera rivivono miti, rituali e pratiche esoteriche del cosiddetto “popolo del sole”.
Inizialmente ignorato dalla critica ma da sempre amato da un manipolo di esoteristi e ricercatori, J.R. coniuga in modo inedito elettronica e sonorità tradizionali (canti rituali, flauti d'osso, bamboo, ocarine, percussioni ad acqua) scrivendo pagine di musica d'avanguardia. Superata una fase progressive iniziale, si tuffa nella tradizione pre-ispanica per riesumare tradizioni e divinità dimenticate; le sue esibizioni diventano rituali sciamanico-estatici. Nelle numerose esperienze immersive presso popoli autoctoni ha conosciuto le tradizioni ed i rituali, la sacralità dei vegetali psicoattivi mescalinici (Peyote in primis), le deità animali Aquila e Giaguaro, i miti messicani. Da sciamano, Reyes cerca l'apertura delle porte percettive tramite il suono, allineandosi a tradizioni millenarie e richiamando alla luce archetipi iniziatici antichi come l'uomo.

Il primo album è “Ek Tunkul” cui segue “A la Izquierda del Colibri”. Sono già presenti elementi magico-rituali, ma l'elettronica è ancora naif.

Il suo capolavoro, nonché personale suggerimento per l'avvicinamento all'artista, è “Comala”. Album oscuro ed inquieto, ed al tempo stesso magico ed estatico. Il mix di elettronica, ambient e musica rituale dilata il confine tra vita e morte creando uno spazio immaginifico popolato da spiriti. Su sfondi elementali di acqua, vento e fuoco si articolano canti rituali, imitazioni d'animali e percussioni coesi da tappeti elettronici.
Non sono nichilista o pessimista, anche se in Comala esploro le sonorità della morte. La musica è la via per accettare la vita e connettersi con altri livelli di esistenza. Tutti i nativi lo sanno: la musica connette, apre le cosiddette porte della percezione, ti introduce in realtà parallele”.
La voce femminile che affiora spesso nell'album, in particolare nella metafisica ed evocativa “
El arrullo de la Mujer dia, mujer luz” è dell'anziana Maria Sabina, la celebre sciamana dedita a rituali a base vegetali mescalinici, già nota dagli anni sessanta e meta di pellegrinaggio per numerosissime figure in cerca di illuminazione, spesso celebri come John Lennon e Bob Dylan.

A Comala succede “Nierika”, il suo disco più esoterico, in cui compaiono didjeridoo e tecniche di canto armonico. Le atmosfere e le sonorità si avvicinano per la prima volta alla scuola dei Popol Vuh, in particolare alla colonna sonora di “Aguirre” di Werner Herzog.
Seguono “Cronica de castas” con Saiz e “UAISCN4: Tlaloc” con Francisco Lopez, mente dell'avanguardia post industriale. La prima opera è un interessante opera ritual-ambient, in cui però la coproduzione lascia in secondo piano la veemenza spontanea delle prime opere, la seconda opera è l'incontro tra rumorismo e ritualità, una macchina di suoni primordiali, magici e metallici dedicata a Tlaloc, Dio della pioggia e del tuono.
Prehispanic mexican Music” è un ritorno alle origini con l'uso di numerosi strumenti primitivi, canti e danze. Interessante la collaborazione con Saiz in “Bajo el sol Jaguar”, ispirato alla lotta simbolica tra cielo e terra, rappresentati dall'aquila e dal giaguaro; la costruzione di Saiz libera le potenzialità di Reyes inquadrandole in un contesto musicale strutturato e completo. E' l'album più eterogeneo della sua discografia, e l'avvicinamento al misticismo dei Popol Vuh è qui un dato di fatto.
Seguiranno collaborazioni con Roach e Saiz nella formazione “Suspended Memories” e l'album “El Costumbre”, progetto ermetico ed ambizioso che mira ad un pubblico più vasto coinvolgendo moltissimi nomi della scena sperimentale.

La figura di questo musicista, nell'anarchia spirituale della contemporaneità, ha importanza archetipica poiché indica una via per lo spirito dimenticata ma antica e maestra: l'abbandono delle soprastrutture e la necessità di morire a se stessi per poter rinascere.


ascolti da “Comala”:

El Anima Sola
El Arrullo de la mujer dia, mujer luz

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20/02/09

Herbert Achternbusch

Herbert Achternbusch

(Articolo ad opera dell'amico Simone Buttazzi comparso sul suo blog, che consiglio caldamente a tutti i cinefili, Unwort)


"Ma adesso devo ancora chiarire perché faccio film. Per il fatto che sono un comico della religione. È l’oscura sensazione di paura che mi spinge a fare immagini in movimento. Questo timore non può accettare barriere né monetarie né di qualunque altro genere. Questa paura è talmente viva, come se l’oscurità fosse quasi un regno intermedio. Come se, visto da casa, tutto fosse luminoso e la zona oscura esistesse unicamente per permettere alla paura di creare le sue immagini. Si può tranquillamente immaginare tutto ciò come il cinema, la sala cinematografica, riferita a noi stessi. Quando ancora non esisteva il cinema si faceva religione: altrettanto oscura, familiare, variopinta e vivace, e le combinazioni fantastiche erano possibili come lo sono oggi al cinema".

In data 16 gennaio 1993, Herbert consegna queste e molte altre righe alla «Süddeutsche Zeitung». Trattasi di un testo d’occasione. L’occasione è il ricevimento del ghiotto Münchner Filmpreis, piccolo oscar alla carriera bavarese. Herbert è nato a Monaco, bavarese è e bavarese si considera. In quanto regista, oltre che bavarese, nell’articolo battuto a macchina per il prestigioso giornale Herbert si chiede ma io, cineasta bavarese, dove mi colloco. Che ruolo ho. Poco ma sicuro, bofonchia Herbert in incipit di articolo, non appartengo alla storia del cinema. Difficile dargli torto. Nella rosa di nomi del Nuovo Cinema Tedesco il suo non compare mai. Eppure c’era, eccome. Il primo film di Herbert Achternbusch trasmesso da una televisione tedesca entrò in palinsesto proprio nel 1993, a seguito della piccola onda anomala originata dal premio. Niente male, visto che la sua produzione di celluloide decolla nel 1974. Nel 1983, all’apice del suo estro di cineasta, Herbert licenzia Das Gespenst (Lo spettro), film in bianco e nero in cui interpreta il quarantaduesimo Gesù Cristo, omuncolo malconcio e verboso. L’allora Ministro degli Interni della Repubblica Federale Tedesca, Zimmermann, fresco di nomina, ritenne che il film fosse lesivo e offensivo nei confronti del comune sentire e di chi in Cristo ci credeva davvero. Come i bavaresi. Da quel momento in poi Herbert si trovò spesso costretto a girare in super 8, perché lo stato chiuse i rubinetti da un giorno all’altro. Il livore di Zimmermann andò ad aggiungersi a quello della potente CSU di Strauss (e poi di Stoiber), che aveva già messo Herbert in cima alla lista nera. Ma come poteva lamentarsi Herbert, il cui editore è sempre stato Suhrkamp, che è come dire Feltrinelli? Si lamentava. Soprattutto quando l’editore Suhrkamp si rifiutò di pubblicare il testo Es ist ein leichtes, beim gehen den Boden zu berühren (È roba da nulla calpestare il terreno coi piedi quando si cammina) pensato dall’autore come introduzione – eh, un po’ malandrina! – alla raccolta dei suoi testi teatrali, anno 1991. No, gli disse l’editore. Questo testo non va. Ci pensa il curatore a lisciarti il pelo. Herbert, il pelo, se lo voleva strappare a morsi. Il pelo proprio e quello altrui. Valga tuttavia come consolazione, oltre al premio del 1993, la causa vinta due anni prima per sbloccare Das Gespenst. Dopo otto anni di processo, i giudici dichiararono il film non osceno e distribuibile in sala. Anche in Baviera.

Herbert Achternbusch nasce Schidl nell'autunno del 1938 e cresce insieme a genitori adottivi. Durante la sua formazione sguazza in ogni pozza dell’umanesimo, maturando una discreta ossessione per la scrittura e per le arti figurative. Allo scoccare degli anni ’70 un’idea in testa, chiara, ce l’ha. Non vuole diventare un artista di settore. Vuole fare tutto. Tutto in una volta. Gli andrà bene inizialmente con la letteratura. Il 1971 è l’anno del suo primo romanzo, pubblicato come il resto della sua produzione dalla suddetta Suhrkamp. Herbert è un grafomane con una propensione per le pagine di testo pieno, niente pause niente rientri. Monoliti neri di lettere. Dopo alcuni racconti fluidi ma privi di trama, di fatto degli esperimenti di scrittura automatica, Herbert trova quella che sarà la sua cifra di scrittore – da libro, da film e da palcoscenico. Come una spugna, l’Io narrante (imperante) assorbe tutto ciò che lo circonda, lo ibrida con fragili collegamenti e robuste digressioni e finisce per intessere tutto in una trama autobiografica che strizza il materiale narrativo come fa la corda con gli affettati. Quando scrive, Herbert non butta via niente. Né perde per strada una verve, di fatto un incazzo, che i suoi occhi fisici - invece - non tradiscono mai.

A muovere il polso di Herbert intervengono un amore e un odio. L’amore è per l’arte in ogni sua forma meglio se utopica e fanciulla, perché ancor più salvifica. L’odio, o meglio un amore più difficile da coltivare, è quello per la sua terra, la Baviera, bavaresi compresi. Un odio coltivato volontariamente in loco perché, dice Herbert, un po’ li conosco, un po’ me lo posso permettere. Herbert non ha mai lasciato il suo Land. Si è solo trasferito in campagna, al confine con l'Austria, dove si sente a suo agio. Non ha fatto, per intenderci, come il suo amico sfrombolone Werner Herzog, col quale scrisse la sceneggiatura di Herz aus Glas (1976), film in cui la logica, sospesa come l’incredulità, apre a eventi e maravigliose visioni incomprensibili ma tutto sommato coerenti. Non ha fatto come lui, che ha lasciato la Germania e ha cercato per il mondo il fiore dai mille colori. Herbert è rimasto lì, serpe in seno, Nestbeschmutzer, comico impossibile. Perché “della religione”, e perché tedesco.

I modelli di Herbert sono il monacense Karl Valentin, figura chapliniana di inizio secolo che contribuì a (re)inventare il nonsense; Buster Keaton, di cui ha sempre apprezzato la malinconia, l’inespressività e i concatenamenti macchinici dei gag; Woody Allen, perché, dice Herbert in un’intervista, riesce sempre a fare quello che vuole, e una volta l’anno. Fermo dal 2002, per ventotto anni anche lui ha fatto più o meno tutto quello che voleva fare, con ritmi stacanovisti. Ha irriso il concetto di Vergangenheitsbewältigung (la rielaborazione del proprio passato: concetto chiave nella cultura tedesca del dopoguerra), mettendo in luce l’ipocrisia e il tocco spesso assai lieve delle sue attuazioni. Ha lottato come un leone contro la propria rimozione – null’altro che dimenticanza pepata col dolo – sfidando la terra bruciata fattagli attorno dallo stato, dal Land e dagli addetti alla cultura. Per reazione, nei suoi film si è ucciso più volte dell'Harold di Harold e Maude. Suicida nell’acqua dell’oceano e nel fuoco dei vulcani, morto ammazzato o colto da improvviso coccolone. Stratagemma, questo, apotropaico e sornione, il cui fine è scoperto come i suoi travestimenti da scribacchino o da papa, da Picasso o da soldato, da poliziotto o da idiota. (differenza, quest’ultima, che Herbert non ha mai colto). Se è mossa apotropaica e ridanciana quella di eliminarsi, è invece pretesto puro, di volta in volta, la recitazione. Non ci crede nessuno. Come per Nanni Moretti, l’unico intento di Herbert è quello di procedere a una sovraesposizione che funga da autoanalisi.

Nel documentario Das Schaf im Wolfspelz (1990, di Walter Smerling: la pecora vestita con la pelle di lupo), lui, l’Artista eclettico e maledetto, i cui pochi film pubblicati sono appartenuti per anni al mondo delle VHS, l'iconoclasta che può vantare più querele che retrospettive, ecco, lui, il genio bavarese avente alle spalle un Gesamtkunstwerk di proporzioni (e ambizioni) quasi wagneriane è un uomo tranquillo e civile, innamorato della campagna e degli animali esotici che ritrae ossessivamente nelle sue tele. Gira con l’eterno cappello calato sulla capa, parla lentamente, prepara il tè. Ogni tanto accompagna i suoi quadri in giro per le gallerie. Ogni tanto, come nel 2004, lo commemorano a metà. Nell’ambito della mostra Grotesk! allestita negli spazi della Haus der Kunst di Monaco è stato possibile vedere molti manifesti dei suoi film e uno di questi, addirittura, veniva proiettato in loop e su grande schermo. Era Der junge Mönch (1978), storia di un monaco imbecille che diventa papa. Peccato che al momento di mandare il catalogo in stampa si siano dimenticati di lui, nel senso che il volumone uscì senza alcun accenno a Herbert. Venne tuttavia approntato un quartino frettoloso con un paio di immagini tratte dai suoi film, da inserire nei cataloghi a mo’ di ammenda. Un errata corrige fuori tempo massimo vale o non vale più di una condanna. Domanda.

***
Di recente è uscito un cofanetto con cinque film diretti da Achternbusch. Un esordio importante e mostruosamente tardivo sul mercato del cinema digitale. In questa sede, prendo in esame a mia volta cinque film del regista tedesco, tra i più rappresentativi della sua vasta filmografia.

Das Andechser Gefühl, 1974

Di fatto un mediometraggio, il primo film di Herbert reca già tutti i tratti della sua produzione successiva. Ambientato in un paesello della profonda Baviera tra Biergarten, laghi e anguste case private, il film vede protagonista Herbert in compagnia di Margarethe Von Trotta, destinata di lì a poco a una fulminante carriera registica. Il sentimento di Andechs, questo il titolo, sta a indicare quello stato di gioia in cui non si è mai soli ed è bel tempo, come in vacanza – o come in Italia, che il tedesco medio vede come supremo luogo di vacanza e di scorpacciate inaudite. Per Herbert, umile insegnante elementare e uomo sposato, questo sentimento è incarnato dalla donna dei suoi sogni (la Von Trotta) che si palesa improvvisamente in paese e getta scompiglio. La macchina da presa è fissa, i personaggi immobili, seduti davanti a una birra, sguardo perso nel nulla – salvo sbottare in aforismi surreali o monologhi degni del teatro di Racine… o di Achternbusch, che in più di un’occasione farà recitare davanti alla macchina da presa lunghi frammenti dei monologhi al femminile tipici del suo teatro. A fare da spalla a Herbert intervengono figure grottesche come il baffuto Heinz Braun, che pare balzato fuori da vecchie strisce come Max und Moritz o Vater und Sohn. Ferma restante (per l’appunto) la fissità dell’insieme, nel film s’incastonano giochi di parole e gag ispirati alla tradizione del teatro comico tedesco (Karl Valentin) o all’ingegnosa ineffabilità di Tati. La volontà di dare un segnale di stile molto forte cozza spesso con svarionate dilettantesche, mentre il campionario umano (quasi una carrellata felliniana) scorre senza alcuna, apparente ansia di raccontare una storia, analogamente alle scene. Di fatto, affastellate. La sequenza finale mischia il tardo Buñuel col primo Moretti. Herbert, che malsopporta la sua famiglia, improvvisa un matrimonio con la donna dei sogni, complice un prete di passaggio per reclamare una tazza (con Gesù Cristo disegnato sopra) che gli viene negata. Il prete si siede, mangia e se ne va attraverso il giardino, in campo lungo. La moglie accoltella Herbert. La bella donna se ne va in macchina così com’era venuta.

Die Atlantikschwimmer, 1975

"Du hast keine Chance, aber nutze sie!" Non hai alcuna chance, ma sfruttala – urla Herbert vestito da donna prima di buttarsi a mare. I nuotatori dell’Atlantico è la storia di due perdigiorno che decidono di attraversare l’oceano a nuoto perché un supermercato regala 100.000 marchi a chi riesce nell’impresa. Prima cosa da fare: imparare a nuotare. In questo verrà loro in aiuto l’istruttrice di nuoto interpretata dalla Von Trotta. Luoghi del film, alla rinfusa: uno zoo, un Biergarten, una Kneipe, la piscina, la spiaggia (topos in Achternbusch così come nei film di Marco Ferreri). I piani restano statici, gli spazi vengono attraversati irrimediabilmente da sinistra a destra. Il découpage è secco, elementare, senza sfumature. Il montaggio trancia e addiziona, trancia e addiziona. A volte un personaggio irrompe dal nulla nella conversazione che ha ascoltato fuori campo, un po’ come Marshall McLuhan “evocato” da Allen in Annie Hall (1977). I primi piani sono rarissimi, ma quando i personaggi si prendono la libertà di un monologo o di una canzone finiscono per guardare dritto in macchina. Vi sono, tuttavia, due primissimi piani di bocche (à la Svankmajer, verrebbe da dire), in particolare quando Braun cerca di mangiarsi un uccellino. In tema di maltrattamenti ai danni degli animali, segnaliamo a polsi tremanti anche Herbert che bastona un coniglio. Nei film di Achternbusch gli animali paiono avere la stessa funzione di apparizione o monito tipica dei film di Jodorowsky o di quelli messicani di Luis Buñuel… se non fosse che non ci sono veri simboli, in tutto il film, se non una costante reiterazione degli stereotipi bavaresi. Gli attori, in preda a un’imbalsamazione costante, vagano stanchi e idioti, lasciandosi andare ogni tanto a trovate grottesche proposte come il resto degli eventi: come se nulla fosse. Nell’ultima inquadratura una voce maschile urla dove vai, brutta troia!… e si vede Herbert, en travesti (vestito come sua madre), che starnazza lemme lemme nel Mare del Nord. Verso l’America, ma chi ci crede.

Servus Bayern, 1977

Ciao Baviera è uno dei titoli più conosciuti di Herbert, che qua interpreta un poetucolo spocchioso deciso a farla finita con la sua terra natìa. Da un punto di visto tecnico si notano una camera mobile (mai a casaccio) e un montaggio più attento e curato, che conferisce al film il fascino di una partita a scacchi. Tra le scene più interessanti, un incontro amoroso in campo lunghissimo a cui segue il dettaglio di un fiore scosso dalla meccanica dell’atto sessuale, e un siparietto demenziale tra Herbert e il solito Braun, nei panni rispettivamente del contadino scemo e del poliziotto tutto d’un pezzo (non a caso si chiama Knallhart!). Per tutta la durata del dialogo, Herbert bagna i piedi del compare con un innaffiatoio. Il film vanta un’impetuosa tirata contro la Baviera e la CSU che si conclude con la decisione, da parte di Herbert, di rifugiarsi in Groenlandia. Prima, però, si darà alla macchia vestendo il ruolo di ladro campagnuolo e finirà per crepare di cirrosi nel retro di un Biergarten, con la cacca nei pantaloni, mentre una cameriera sfodera un monologo lungo quasi dieci minuti interrotto solo dal primissimo piano di un occhio. Il finale è del tutto sognante: immagini di rane crocifisse (alas…), vento felliniano e, in chiusura, un panorama aereo della Groenlandia, muto, senza titoli di coda.

Bierkampf, 1978

La lotta della birra, girato durante l’Oktoberfest, è l’esempio più brillante di film d’improvvisazione targato Achternbusch. La struttura è ancora più sketchy del solito, ma invece dell’immobilità e degli spazi vuoti abbiamo qua l’universo brulicante, il viavai anarchico dell’evento bavarese per eccellenza in cui, semel in anno, tutto l’ordine così puntigliosamente mantenuto da mamma Baviera va a gambe all’aria – nel perimetro della kermesse, sia chiaro. Herbert interpreta un poliziotto in crisi che si aggira tra gli stand. La colonna sonora è dominata da un unico trombone che s’intravede, per un attimo, suonato da un tizio prima in un pisciatoio pubblico, poi appoggiato a un muro – al che Herbert si avvicina, prende lo strumento, lo suona e si sincronizza con la bande son. Piccolo gioco metacinematografico. Al di fuori dell’Oktoberfest vi sono solo due scene: una domestica e una bucolica, con una strada verso il nulla che ricorda Il fascino discreto della borghesia (1972), sappiamo di chi. Nella seconda parte del film Herbert si aggira nel luna park della birra al solo scopo di molestare gli avventori. La sua comicità è smaliziata ma confusa, tutta a base di faccia di bronzo e invadenza. Parla poco e per aforismi, sentenze sputate; fa i dispetti. Il suo gruppo di attori fa lo stesso. È come se applicassero un metodo ormai assodato a un ambiente solo più affolato del solito. Alla fine il caos aumenta e conduce al suicidio del poliziotto, fuori campo. Vediamo un clown che cade a terra. I suoi palloncini volano verso le statue di un palazzo storico, poi verso il cielo notturno. So hört es auf. Così (la) smette. Finis.

Das Gespenst, 1983

La pellicola più sudata di Herbert è suddivisa in cinque capitoli e fotografata in un bianco e nero che applica al film una patina più pauperista che sofisticata. Lo stesso effetto ottenuto in Das letze Loch (L’ultimo buco, 1981), in cui Herbert interpreta un soldato (demente) alle prese con l’Olocausto. Il Gesù Cristo di Herbert viene chiamato Ober, superiore, e in tale veste appare nel primo capitolo Ober und Oberin, in cui scende dalla croce e si confronta con una suora tra una scorreggia e una serpe che scivola tra le mele ai piedi di quella che sembrava una statua, e invece! E invece è viva, è Ober. Il capitolo successivo, Poli und Zisti, consiste in due piani-sequenza da suburra, in cui il Cristo prima colloquia a lungo con un paio di poliziotti poco brillanti (e dediti alla coprolalia), poi esce all’aperto e predica dinanzi a un gruppo di persone travestite da animali. In sottofondo, sirene e telefoni squillanti. Il terzo capitolo, Und der Mund, ripropone Ober in compagnia della sua Oberin, stavolta in campagna. Ober le fa un vero e proprio terzo grado sulla sessualità, poi passano all’azione. Nei pressi c’è un lago pieno di rane sulla cui superficie Ober fa giusto due passetti. Quarto capitolo, Freier Freitag: in interni, assistiamo al monologo di un’attrice che paragona Ober a uno spettro (sullo sfondo, una foto di Hemingway e una testa di animale tassidermizzata), poi Ober fa visita a un gruppo di centurioni che non sembrano molto diversi dai poliziotti di prima… L’ultimo capitolo è Ascher Fascher, in cui prima vediamo un vescovo intento in un’amabile conversazione dottrinaria, poi Ober sbuca d’improvviso da dietro una macchina come se fosse il mostro (bianco) della laguna nera, e infine lo vediamo alle prese con un miracolo. In realtà non compie nessun miracolo: si limita a spiare un adulterio e a sfruttare, una volta a tavola con la famiglia, le informazioni in suo possesso, generando sconcerto e meraviglia. Lo zoom dal suo volto adirato a una serpe, indicante metamorfosi, è forse uno dei suoi artifizi artiginali meglio riusciti. A scena conclusa, sullo schermo appare una parola sola soletta: amen.

***

Per consultazione e approfondimento, il miglior testo mai pubblicato finora è italiano: Tutto in una volta. Herbert Achternbusch, a cura di Marco Farano e Sergio Toffetti, Lindau, Torino, 1996. Il volume uscì a testimonianza di una retrospettiva torinese.

Tutti i film di Herbert Achternbusch:
Klatschen der einen Hand, Das (2002) - mediometraggio · Neue Freiheit - keine Jobs (1998) 
· Picasso in München (1997) 
· Hades (1995) 
· Ab nach Tibet! (1994) 
· Ich bin da, ich bin da (1993) 
· I Know the Way to the Hofbrauhaus (1991) 
· Mix Wix (1989) 
· Wohin? (1988) 
· Punch Drunk (1987) 
· Heilt Hitler! (1986) 
· Blaue Blumen (1985) 
· Föhnforscher, Die (1985) 
· Rita Ritter (1984) 
· Wanderkrebs (1984) 
· Olympiasiegerin, Die (1983) 
· Gespenst, Das (1983) 
· Depp, Der (1982) 
· Letzte Loch, Das (1981) 
· Neger Erwin, Der (1981) 
· Komantsche, Der (1980) 
· Junge Mönch, Der (1978) 
· Bierkampf (1977) 
· Servus Bayern (1977) 
· Atlantikschwimmer, Die (1976) 
· Andechser Gefühl, Das (1974) 
· 6. Dezember 1971 (1972) - corto
· Kind ist tot, Das (1971) - corto

Occhio, infine, al seguente documentario in progress: Achternbusch (2008).


(Articolo ad opera dell'amico Simone Buttazzi comparso sul suo blog, che consiglio caldamente a tutti i cinefili, Unwort)

14/02/09

Schegge

Schegge
Domenica 22 ore 21.30
La Rimpatriata
di Damiano Damiani
(1963 ITA/FRA 110')
Capolavoro misconosciuto del cinema italiano: storia agro-dolce di cinque amici che si ritrovano quarantenni nella Milano del boom economico per una breve notte di revival dei bei tempi andati. Protagonista è un Walter Chiari nella parte di sé stesso, brillante intrattenitore degli amici e irresistibile conquistatore di donne, simbolo per gli amici di una spensieratezza senza età e di una dolce vita ammaliante. In realtà la sua vaghezza superficiale nasconde un'amarezza di fondo e il suo apparente successo cela un destino da perdente. Ma come dice uno dei protagonisti del film: “Qua costruiscono, costruiscono, ma il miracolo economico è finito: ce ne accorgeremo...”. Profetico per i tempi attuali. Walter Chiari per questo film merita un monumento...inutile dire che film come “Il grande freddo” di Kasdan o “The return of secaucus seven” di John Sayles sono figli di questa pellicola. Da vedere e rivedere.

11/02/09

Al lettore

Al lettore

La stoltezza, l'errore, il peccato, la grettezza,
empiono i nostri spiriti e travagliano i corpi,
e noi alimentiamo i nostri cari rimorsi
come i mendicanti nutrono i loro insetti.
Peccati ostinati, pentimenti vigliacchi,
le nostre confessioni esigono lauti compensi,
e sulla via melmosa rientriamo contenti,
con vili lacrime illusi di lavare ogni macchia.
Satana Trismegisto sul cuscino del male
culla lungamente il nostro spirito incantato,
ed il ricco metallo della nostra volontà
da quel sapiente chimico è volatilizzato.
E' il Diavolo che tiene i fili che ci squassano!
Troviamo grazie agli oggetti più ripugnanti,
senza orrore, attraverso tenebre nauseanti,
verso l'Inferno ogni giorno discendiamo d'un passo.
Come un vizioso povero che bacia e che mangia
il seno martoriato d'una puttana antica,
afferriamo a volo un piacere clandestino
che spremiamo con forza come una vecchia arancia.
Fitta, brulicante come un milione d'elminti,
ci impazza nel cervello una folla di Demoni,
e quando respiriamo ci scende nei polmoni
la Morte, fiume invisibile, con sordi lamenti.
Se lo stupro, il veleno, il pugnale, l'incendio,
di fregi suggestivi non hanno ancora trapunto
la trama banale dei nostri avviliti destini,
è che l'anima, ahimè! non ha coraggio a tal punto.
Ma in mezzo agli sciacalli, le pantere, le linci,
le scimmie, gli avvoltoi, gli scorpioni, i serpenti,
fra i mostri strepitanti, urlanti, grugnenti, striscianti,
nel serraglio infame di tutti i nostri vizi,
uno ce n'è più orribile, più malvagio, più immondo!
Benché non lanci alte grida né faccia grandi gesti,
ridurrebbe la terra ad un misero resto
ed in uno sbadiglio inghiottirebbe il mondo!
E' la Noia! - L'occhio di pianto un incongruo rovello
gli colma, fuma l'houka sognando patiboli.
Lo conosci, lettore, questo mostro sensibile,
- ipocrita lettore - mio simile - fratello!
(Charles Baudelaire)

09/02/09

Appunti per un film sull'India

Appunti per un film sull'India
di Pier Paolo Pasolini (1968 ITA 34’)

I temi centrali del documentario sarebbero il contrasto tra l’arcaismo del mondo rurale e l’inurbazione del proletariato operaio industriale, il conflitto costante tra il problema della fame e quello della sovrappopolazione, tra la democrazia formale e il sistema delle caste. Pasolini però li trascende e riesce ad afferrare l'intimità dello spirito indiano confrontando l'opinione di varie persone provenienti da ogni casta e ruolo sociale riguardo alla veridicità dell’ipotesi di partenza di un suo prossimo film sull’India (si parla di un Maharajah che, in preda ad una pietà religiosa irrefrenabile, si offre in pasto a due tigrotti affamati e delle vicissitudini della sua famiglia piombata nella povertà più nera in seguito al suo gesto). Pasolini nel suo peregrinare e grazie al suo stupefacente occhio poetico trova tra la popolazione sia i volti per interpretarne i personaggi che i luoghi dove rappresentare la vicenda. Emerge il contrasto tra l’immane povertà di questa gente e la loro sorprendente quiete interiore, la dolcezza, la grazia dei loro gesti quotidiani, dei “loro sorrisi illuminati dall’interno”. Il documentario è un mirato atto d’accusa verso l’Occidente e le rivoluzioni apparentemente “democratiche” da esso pilotate, che riducono ogni realtà ad una traduzione nei termini del mondo borghese, il quale non accetta diversità e richiede per funzionare lo snaturamento e l’assimilazione di tutto ciò che è altro da sé. ”Un occidentale che va in India ha tutto, ma non dà niente. L’India, invece, che non ha nulla, in realtà dà tutto. Ma cosa?”, conclude il regista. La risposta è nelle immagini che accompagnano le sue parole: un corpo viene solennemente cremato. L’India, come il Maharajah della sua storia, al processo di “democratizzazione”, rischia di poter offrire solo la propria morte. C'era già arrivato quarant'anni fa...

02/02/09

Tyger (Guilherme Marcondes)

Tyger
di Guilherme Marcondes (2006 BRAZ 4')

Tiger! Tiger! Burning bright
in the forests of the night,
what immortal hand or eye
could frame thy fearful symmetry?
In what distant deeps or skies
burnt the fire of thine eyes?
On what wings dare he aspire?
What the hand dare seize the fire?
And what shoulder, and what art,
could twist the sinews of thy heart?
And when thy heart began to beat,
what dread hand? and what dread feet?
What the hammer? What the chain?
In what furnace was thy brain?
What the anvil? What dread grasp
dare its deadly terrors clasp?
(William Blake)

01/02/09

Distretto 13 (John Carpenter)

Distretto 13
di John Carpenter (1976 USA 91')
Stasera 21.30 al Clan Destino

John Carpenter con pochi soldi e tante idee si ispira a Rio Bravo di Howard Hawks, riuscendo a ricreare in un distretto di polizia di un sobborgo metropolitano un vero e proprio angosciante e claustrofobico assedio da parte di una misteriosa gang di criminali senza volto, che intendono vendicare l'uccisione di alcuni loro compari. Tra gli assediati spicca Napoleone Wilson, un po' l'antesignano di Snake Plinsky, sorta di villain dai modi bruschi, che le inusuali circostanze collocano come leader degli assediati. La trama e i dialoghi sono essenziali, lo stile è secco, impreziosito oltretutto da un montaggio, opera dello stesso Carpenter, che mantiene lo spettatore sul filo del rasoio dall'inizio alla fine e questo nonostante gli scarni contenuti della trama. Tutto è giocato sulla capacità che ha il cinema di inchiodare lo spettatore alla sedia e per far questo Carpenter si serve sia di un magistrale uso di luce e ombre, sia di musiche coinvolgenti, create appositamente da lui stesso per questo film. I trent'anni di età della pellicola non ne hanno smorzato l'impatto e la tensione e l'inaspettata scena dell'uccisione della bambina dal gelataio rimane tuttora un notevole pugno allo stomaco.

Filmografia Shoah

Filmografia Shoah

- Suss l’ebreo di Veit Harlan (1940 GER 150’)
E' il più famoso film di propaganda antisemita del Terzo Reich.
- Il grande dittatore di Charlie Chaplin (1940 USA 126’)
Un piccolo barbiere ebreo tedesco vive una serie di avventure a causa della straordinaria somiglianza con Hitler.
- The Mortal Storm di Frank Borzage (1940 USA 100’)
- Così finisce la nostra notte di John Cromwell (1941 USA 117’)
Tratto da un testo di E. M. Remarque: il dramma di due ebrei e di un ufficiale tedesco antinazista nella Germania degli ultimi anni Trenta.
- Vogliamo vivere di Ernst Lubitsch (1942 USA 99’)
- Hitler’s Children di Edward Dmytryk (1943 USA 82’)
- The Master Race di Herbert J. Biberman (1944 USA 95’)
- La settima croce di Fred Zinnemann (1944 USA 110’)
- Memory of the camps di Sidney Bernstein (1945 GB)
- Nazi concentration camps di George Stevens (1945 USA)
- Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945 ITA 98’)
Capolavoro del Neorealismo. Il film descrive il clima di paura e di sospetto in cui vive una città durante la guerra.
- Lo straniero di Orson Welles (1946 USA 95’)
- L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini (1948 ITA 100’)
- L’ultima tappa di Wanda Jakubowska (1948 POL 92’)
Documentario sulle tragiche condizioni delle deportate polacche e ebree nei campi nazisti in Polonia.
- Retour à la vie di Georges Lampin & Henri Georges Clouzot & Jean Dréville & André Cayatte (1949 FRA 120’)
- Il grido della terra di Duilio Coletti (1949 ITA 90’)
- Achtung!Banditi! di Carlo Lizzani (1951 ITA 90’)
- I perseguitati di Edward Dmytryk (1953 USA 86’)
Il dramma di un ebreo tedesco scampato ai Lager e rifugiato in Israele.
- Notte e nebbia di Alain Resnais (1955 FRA 60’)
Documentario girato da Resnais nei campi di sterminio, così come si presentavano nel 1955, con molti inserti di documenti originali girati nei giorni della liberazione. Un film che fece epoca e che contribuì a sollevare il velo di oblio che copriva i crimini nazisti, ma che fu rifiutato, a causa del suo contenuto, dal Festival di Cannes del 1956.
- Il processo di Norimberga di Feliz Podmaniczky (1958 GER 92’)
Un documentario molto accurato, che alterna le immagini del processo di Norimberga a carico dei massimi responsabili del nazismo alle prove delle atrocità commesse dal regime.
- La stella di David di Konrad Wolff (1959 GER 90’)
Film ambientato in Bulgaria, durante la seconda guerra mondiale: un ufficiale tedesco si innamora di una ebrea che sta scortando verso i Lager. Lei morirà, e lui passerà coi partigiani.
- Il diario di Anna Frank di George Stevens (1959 USA 156’)
Tratto dal celebre Diario della giovane ebrea uccisa a Bergen Belsen. Prova convincente di regia di George Stevens, che come operatore aveva filmanto le terribili immagini della liberazione di Dachau. Il film fu premiato con 3 Oscar.
- Il destino di un uomo di Sergej Bondarciuk (1959 URSS 103’)
- Kapò di Gillo Pontecorvo (1959 FRA/ITA 116’)
Parabola drammatica che, a soli 15 anni di distanza dall’orrore dell’Olocausto, ha il pregio di ricostruire e riportare davanti alla troppo labile memoria degli uomini un mondo che è di sterminio, la forza di mostrare non solo la distruzione fisica ma anche la degradazione morale a cui la follia umana può portare.
- Giulietta, Romeo e le tenebre di Jirí Weiss (1959 Cec 94’)
Tratto dal romanzo di Jan Otcenásek, narra con efficacia la vicenda di una coppia di giovani nella Praga occupata dai nazisti. Lui nasconde lei, ebrea, nella soffitta dello stabile dove abita, combattendo contro la meschineria piccolo-borghese della famiglia e dei vicini.
- Verboten! di Samuel Fuller (1959 USA 93’)
- Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini (1959 ITA/FRA 97’)
Giovanni Bertone, cinquantenne imbroglione, si spaccia per il generale Della Rovere, incaricato dal governo Badoglio di costituire nel Nord occupato una rete cospirativa. Arrestato dalle SS a Milano, nel giungo 1944 è trasferito con altri nel campo di Fossoli. Smascherato, reggerà il gioco fino alla fine, finendo nella lista dei 67 fucilati del Poligono di Cibeno.
- Il nono cerchio di France Stiglic (1960 YUG 107’)
- La guerra segreta di Suor Katryn di Ralph Thomas (1960 GB 113’)
- Jovanka e le altre di Martin Ritt (1960 USA/ITA 115’)
- Vincitori alla sbarra di Frédéric Rossif (1961 FRA 84’)
Documentario sulle atrocità dei nazisti nel ghetto di Varsavia.
- L’oro di Roma di Carlo Lizzani (1961 ITA 102’)
L'oro del titolo è quello chiesto da Kappler nell'autunno 1943 agli ebrei della capitale, prima delle deportazioni in massa.
- Vincitori e vinti di Stanley Kramer (1961 USA 178’)
- Transport from Paradise di Zbynek Brynych (1962 CEC 93’)
- La passeggera di Andrzej Munk (1963 Pol 62’)
E' l'ultimo film di Andrzej Munk, che morì in un incidente d'auto nel corso delle riprese. Durante una crociera una tedesca che fu guardiana di un Lager crede di riconoscere sulla stessa nave una delle prigioniere ebree di allora, una donna che lei aveva trattato particolarmente bene ricevendo in cambio un odio profondo. Andando con la memoria a quei giorni la tedesca si rende conto di aver sempre voluto schiacciare la forte personalità dell'altra e convincerla a tradire i compagni, e capisce perciò la sua avversione. L'incompiuta opera postuma è uno fra i più duri documenti sulla vita nei Lager nazisti, soprattutto per l'analisi dei rapporti fra carceriere e prigioniero, fra criminale e vittima, fra aguzzino e torturato. Il duello fra le due donne sovrasta tutta la storia.
- Fuga da Mauthausen di Edwin Zbonek (1963 GER 94’)
La storia di due fratelli: uno prigioniero a Mauthausen, l'altro comandante delle SS che sorvegliano i deportati.
- La ragazza di Bube di Luigi Comencini (1963 ITA/FRA 106’)
- L’uomo del banco dei pegni di Sidney Lumet (1965 USA 116’)
Una grande interpretazione di Rod Steiger; il film racconta la vicenda di un ebreo indurito dall'esperienza dei Lager richiamato alla vita da un ragazzo portoricano.
- Judith di Daniel Mann (1965 GB 109’)
Sophia Loren interpreta la figura di una ebrea che nel dopoguerra aiuta Israele a cercare suo marito, un ufficiale nazista che si è riciclato aiutando il terrorismo arabo.
- Negozio al corso di Jan Kadar, Elmar Klos (1965 CEC 128’)
In una cittadina slovacca del 1942, Tono Britko (Josef Kroner), un modesto falegname, viene designato "tutore ariano" del negozio di una vecchia donna ebrea, Rosalie Lautmann (Ida Kaminska). Fra i due si instaura un rapporto paradossale, che avrà una tragica conclusione nel momento della deportazione di tutti gli ebrei della zona. Splendido film, in cui giganteggia la figura dell’indimenticabile Ida Kaminska.
- La nave dei folli di Stanley Kramer (1965 USA 149’)
- Andremo in città di Nelo Risi (1966 ITA 102’)
La tragica storia di una famiglia, abitante in un paesino jugoslavo sotto l'occupazione nazista. Alcuni verranno uccisi, altri finiranno in un Lager.
- La venticinquesima ora di Henri Verneuil (1967 FRA/ITA/YUG 130’)
- Un uomo da abbattere di Philippe Condroyer (1967 SPA/FRA 95’)
- Archeologia di Andrzej Brzozowski (1968 POL 14’)
- Le Chagrin et la pitié di Marcel Ophuls (1969 FRA/SVIZ/RFT 251’)
- La caduta degli Dei di Luchino Visconti (1969 ITA 155’)
Gli anni dell'ascesa al potere del nazismo vista attraverso la decadenza di una potente famiglia di industriali.
- Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica (1970 ITA/GER 94’)
- Paesaggio dopo la battaglia di Andrzej Wajda (1970 POL 109’)
La drammatica storia d'amore tra un intellettuale polacco e una ragazza ebrea appena liberata da un Lager nazista.
- La confessione di Constantin Costa-Gavras (1970 FRA/ITA 139’)
- Cabaret di Bob Fosse (1972 USA 123’)
- Diario di un italiano di Sergio Capogna (1973 ITA 93’)
Film tratto dalla novella «Vanda» di Vasco Pratolini. Racconta la tragica storia d’amore tra Valerio, giovane tipografo, e Vanda, ebrea, nella Firenze del 1938 all'indomani delle leggi razziali.
- Il portiere di notte di Liliana Cavani (1974 ITA 120’)
- Jacob the Liar di Frank Beyer (1974 RDT/CEC 100’)
- Cognome e nome: Lacombe Lucien di Louis Malle (1974 FRA/GER/ITA 137’)
L’uomo qualunque diventa collaborazionista.
- Mr Klein di Joseph Losey (1976 FRA/ITA 123’)
Nella Parigi occupata dalle truppe naziste, la vicenda di un usuraio perseguitato perché omonimo di un ebreo.
- La linea del fiume di Aldo Scavarda (1976 ITA 92’)
Un bambino ebreo sfugge alla razzia del Ghetto di Roma del 16 ottobre '43. Una organizzazione clandestina lo conduce in salvo a Londra, attraverso la Francia.
- Il maratoneta di John Schlesinger (1976 USA 125’)
- Le deportate della sezione speciale SS di Rino Di Silvestro (1976 ITA 95’)
- L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (1976 ITA 135’)
- La vita davanti a sé di Moshe Mizrahi (1977 FRA 100’)
- Giulia di Fred Zinnemann (1977 USA 118’)
- Il viaggio dei dannati di Stuart Rosemberg (1977 GB 180’)
Film sull’indifferenza internazionale di fronte alla disperata situazione di 937 ebrei che ottennero il permesso di lasciare Amburgo nel maggio 1939 e il cui sbarco fu vietato sia da Cuba sia dagli Stati Uniti. La nave, La St-Louis, fu costretta così a far ritorno in Europa, dove il comandante ottenne l’autorizzazione di far sbarcare i passeggeri ad Anversa. Più di 600 di essi avrebbero trovato la morte nei campi di sterminio.
- Olocausto di Marvin J. Chomsky (1978 USA 425’)
Famosissima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Gerald Green. E’ la storia della Shoah narrata attraverso le vicende di una famiglia di ebrei berlinesi, i Weiss: le prime persecuzioni in Germania, il trasferimento nei ghetti in Polonia, il massacro ad Auschwitz, l’eroica resistenza ebraica, la fine della guerra, la partenza per il nascente Israele. Nonostante abbia suscitato numerose reazioni negative il film ha, tuttavia, il merito di aver fatto conoscere il tema al grande pubblico: è stato visto da 220 milioni di spettatori, 15 dei quali tedeschi dell’Ovest.
- I ragazzi venuti dal Brasile di Franklyn J. Schaffner (1978 USA 123’)
- Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi (1979 FRA/ITA 150’)
- L’ultimo metrò di François Truffaut (1980 FRA 130’)
A Parigi, negli anni dell'occupazione nazista, la proprietaria di un teatro prosegue nell'attività sostituendo il marito ebreo, nascosto negli scantinati.
- La barca è piena di Markus Imhoof (1980 Sviz 100’)
Cinque ebrei e un disertore cercano di rifugiarsi in Svizzera nel 1942. Ma le autorità ne riconsegnano alcuni alla Germania Nazista. Un film frutto di una lunga e documentata ricerca sulle ambiguità della Confederazione negli anni più bui della guerra.
- Playing for time – Ballata per un condannato di Daniel Mann (1981 USA 150’)
- Image Before My Eyes di Joshua Waletzky (1981 USA 90’)
- Diritto d’offesa di Herbert Wise (1981 USA 112’)
Una memorabile interpretazione di Danny Kaye: un avvocato ebreo difende un gruppo di neonazisti americani che avevano organizzato una manifestazione contro la comunità ebraica. Un caso di coscienza affrontato nel nome del diritto alla difesa.
- Genocide di Arnold Schwartzman (1981 USA 90’)
- Lili Marleen di Rainer Werner Fassbinder (1981 RFT 120’)
- La scelta di Sophie di Alan J. Pakula (1982 USA 151’)
Il dramma di una donna ebrea che ad Auschwitz aveva sacrificato una figlia per salvarsi insieme a un altro figlio. Grande interpretazione di Meryl Streep, vincitrice dell'Oscar per la migliore attrice protagonista nel 1983.
- La Rosa Bianca di Paul Verhoeven (1982)
- Veronika Voss di Rainer Werner Fassbinder (1982 RFT 102’)
- Ritorno ad Auschwitz di Daniel Toaff (1982 ITA 60’)
- Daniel di Sidney Lumet (1983 UK/USA 130’)
- I violini del ballo di Michel Drach (1983 FRA 110’)
- Essere o non essere di Alan Johnson (1983 USA 107’)
- In nome dei miei di Robert Enrico (1983 FRA/CAN 83’)
- Kaddish di Steve Brand (1984 USA 92’)
- Assisi Underground di Alexander Ramati (1984 USA/ITA 116’)
- Shoah – Olocausto di Claude Lanzmann (1985 FRA 566’)
Opera fondamentale per comprendere la Shoah, basata esclusivamente sulle testimonianze dei sopravvissuti. Illuminante il commento di Simone de Beauvoir: "Abbiamo letto, dopo la guerra, un gran numero di testimonianze sui ghetti, sui campi di sterminio; ne eravamo sconvolti…Malgrado tutte le nostre conoscenze rimaneva distante da noi. Per la prima volta la viviamo nella nostra testa, nel nostro cuore, nella nostra carne. Né romanzo né documentario, Shoah realizza questa ri-creazione del passato con una stupefacente economia di mezzi: dei luoghi, delle voci, dei volti. La grande arte di Claude Lanzmann consiste nel far parlare i luoghi, nel risuscitarli attraverso le voci e, aldilà delle parole, nell’esprimere l’indicibile attraverso i volti…Un puro capolavoro". Recentemente editato in dvd anche in Italia.
- Tornare per rivivere di Claude Lelouch (1985 FRA 117’)
- Heimat di Edgar Reitz (1985 RFT)
- War and love di Moshe Mizrahi (1985 Isr/USA 108’)
- Arco di trionfo di Waris Hussein (1985 UK 120’)
- Il prezzo della vittoria di Ate De Jong (1986 NL 100’)
- Nazi Hunter: The Beate Klarsfeld Story di Michael Lindsay Hogg (1986 USA/UK/FRA 100’)
- Arrivederci ragazzi di Louis Malle (1987 USA 103’)
- La tragica vicenda di tre ragazzi ebrei nella Francia occupata nel 1944 fino alla deportazione in un Lager. Leone d'Oro alla Mostra di Venezia.
- Fuga da Sobibor di Jack Gold (1987 YUG/UK 143’)
- Lena: My 100 Children di Edwin Sherin (1987 USA 100’)
- Gli occhiali d’oro di Giuliano Montaldo (1987 ITA/YUG/FRA 110’)
- L’amico ritrovato di Jerry Schatzberg (1988 GB/GER 110’)
Un ebreo tedesco, rifugiatosi negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni, torna in Germania nel dopoguerra e scopre la vera storia di un suo compagno di scuola, vittima della repressione nazista. Liberamente tratto dall'omonimo libro di Fred Uhlman.
- Testimoni di Marcel Lozinski (1988 FRA/POL)
- Non dire falsa testimonianza - Decalogo 8 di Krysztof Kieslowski (1988 POL 55’)
- Hotel Terminus: Klaus Barbie et son Temps di Marcel Ophuls (1988 FRA/USA 267’)
- Quella pagina strappata di Daniel Toaff (1988 ITA 60’)
Uno dei rarissimi lavori, certamente il migliore, dedicati alla storia degli ebrei in Italia durante il fascismo. L’unico che si occupi in modo esauriente della promulgazione delle leggi antiebraiche del 1938.
- The Passenger – Welcome to Germany di Thomas Brasch (1988 UK/SVIZ/RFT 102’)
- Nemici, una storia d’amore di Paul Mazursky (1989 USA 119’)
- Music Box – Prova d’accusa di Constantin Costa-Gavras (1989 USA 126’)
- Murderers Among Us: The Simon Wiesenthal Story di Brian Gibson (1989 UK/Ung/USA 168’)
- La ragazza terribile di Michael Verhoeven (1989 RFT 93’)
Tratto da un fatto realmente accaduto in Baviera, il film narra la vicenda di una studentessa di provincia che scopre, attraverso una travagliata indagine, l’ambiguo passato di molti suoi concittadini durante il periodo nazista.
- Mir Vam di Vladimir Dvinsky (1989 URSS/GER 101’)
- Oltre la vittoria di Robert Malcolm Young (1989 USA 121’)
La storia vera del giovane pugile ebreo di Salonicco Salamo Arouch, campione dei pesi medi, deportato nel campo di Auschwitz-Birkenau con tutta la sua famiglia e quella della sua fidanzata. Scrupolosa, dal punto di vista storico, la ricostruzione del processo di sterminio di Birkenau.
- Marta ed io di Jiri Weiss (1990 GER/FRA 107’)
- L’orologiaio di Klaus Maria Brandauer (1990 GER/USA 102’)
La vicenda dell'attentato a Hitler in una birreria di Monaco. Era il 1938.
- Max e Helen di Philip Saville (1990 UK/USA 109’)
- Dottor Korczak di Andrzej Wajda (1990 POL/GER/FRA 113’)
La tragedia di un gruppo di 200 orfani ebrei, affidati alle cure del dottor Henryk Goldzmit (noto a tutti con lo pseudonimo di Dottor Lorczak). Il 6 agosto 1942 il gruppo viene trasferito in blocco nel ghetto di Varsavia, anticamera della deportazione e dell'uccisione in massa nel campo di sterminio di Treblinka. Il "Dottor Korczak", pur avendo diverse occasioni di salvarsi, segue i bambini a lui affidati, fino in fondo, fino al compimento del loro tragico destino. Una grande prova di Wajda, un uso magistrale del bianco e nero.
- Homicide di David Mamet (1991 USA 102’)
- Europa, Europa di Agneszka Holland (1991 GER/FRA 110’)
Storia incredibile ma vera di Salomon Perel, ebreo tedesco, adolescente nella Germania nazista. Fuggito a Est, viene sedotto dall’ideologia comunista in un orfanotrofio in cui trova rifugio. Catturato nel corso dell’invasione nazista della Russia, riesce a spacciarsi per "ariano" e, suo malgrado, a diventare un eroe della Wermacht. Inserito addirittura nella Hitlerjugend, spinto dall’istinto di sopravvivenza, continuerà a rinnegare la sua origine e a identificarsi nel modello del perfetto tedesco, finché non sarà costretto a confrontarsi con la verità.
- Alan e Naomi di Sterling Vanwagenen (1992 USA 100’)
Naomi, bambina ebrea, ha perso il padre durante la guerra in Francia. Da allora è rimasta in stato catatonico. Solo l’aiuto di Alan potrà salvarla. Nella New York del ’44, gli orrori della Shoah visti attraverso lo sguardo di due bambini.
- Vite sospese di David Seltzer (1992 USA 132’)
- Jona che visse nella balena di Roberto Faenza (1993 ITA/FRA 100’)
Il Lager visto con gli occhi di un bambino ebreo. L'atmosfera da favola non cancella l'orrore.
- L’Oeil de Vichy di Claude Chabrol (1993 FRA 110’)
- Meditate che questo è stato di Silvia Brasca (1993 ITA 17’)
- Schindler’s List di Steven Spielberg (1993 USA 195’)
- 18000 giorni fa di Gabriella Gabrielli (1993 ITA 95’)
Tratto dal libro di Carlo Spartaco Capogreco, il film racconta la storia di un ebreo polacco fuggito nel '42 al Lager di Treblinka. Catturato in Italia, viene condotto nel campo fascista di Ferramonti, che questo film ha il merito di ricordare.
- Swing Kids di Thomas Carter (1993 USA 114’)
Ci si può opporre al nazismo ballando? E’ successo a un gruppo di giovani legati da una forte amicizia e dalla comune passione per il Swing, la musica americana che venne proibita perché degenerata. Il film offre una convincente descrizione della condizione dei giovani, di fronte al tentativo di nazificazione della società tedesca, nella Germania degli anni ’30.
- Never forget di Joseph Sargent (1994 USA 100’)
- America Experience: America and the Holocaust di Martin Ostrow (1994 USA 90’)
- Testimoni di Anna Missoni (1995 ITA 71’)
- Per ignota destinazione di Piero Farina (1995 ITA 76’)
- One Survivor Remembers di Kary Antholis (1995 USA 39’)
- Anne Frank Remembered di Jon Blair (1995 UK 117’)
- Saldi – i Testimoni di Geova saldi di fronte all’attacco nazista (1996 USA)
- Mother Night di Keith Gordon (1996 USA 114’)
- La tregua di Francesco Rosi (1996 ITA/FRA/SVIZ 125’)
- La settima stanza di Marta Meszaros (1996 ITA/FRA/POL/UNG 110’)
- La vita è bella di Roberto Benigni (1997 ITA 122’)
- Non li temete! Persecuzione e resistenza dei Testimoni di Geova sotto il regime nazista di Stefanie Krug & Fritz Poppenberg (1997 GER)
- Bent di Mathias Sean (1997 GB 100’)
Adattamento cinematografico dell'omonima commedia del 1979 di Martin Sherman, replicata per oltre vent'anni con grande successo di pubblico e il cui pregio è principalmente aver fatto conoscere all'opinione pubblica la sofferenza degli omosessuali sotto il nazismo. Il termine significa 'curvo' e indica la devianza che i nazisti suppongono esservi negli omosessuali, rispetto alla via 'diritta' dell'eterosessualità.
- L’isola in via degli uccelli di Soren Kragh-Jacobsen (1997 DAN/GER/GB 107’)
1944, nell’ultima retata nel Ghetto di Varsavia, Alex, un ragazzo di 11 anni, riesce a sfuggire ai nazisti. Completamente solo riesce a sopravvivere nel ghetto deserto, finché il padre farà ritorno e, insieme torneranno a sopravvivere.
- The Maelstrom: A Family Chronicle di Peter Forgàcs (1997 OLA )
- Mendel di Alexander Rosler (1997 Norv 95’)
- Il vortice - Free Fall di Peter Forgàcs (1997 Ung 75’)
- Rescuers: Stories of Courage: Two Women di Peter Bogdanovich (1997 USA 106’)
- Gli ultimi giorni di James Moll (1997 USA 87’)
Premio Oscar nel 1999 come miglior documentario, è basato sui racconti personali di cinque persone, ora tutti cittadini degli Stati Uniti, che vivevano in Ungheria, l’ultimo paese a essere invaso e saccheggiato dalle forze tedesche nella Seconda Guerra Mondiale. Una produzione della Fondazione di Steven Spielberg Survivors of the Holocaust.
- Un vivant qui passe di Claude Lanzmann (1997 FRA/GER 65’ )
- L’anno prossimo a Gerusalemme di Mark Jonathan Harris (1997 USA 120’)
- Memoria di Ruggero Gabbai (1997 ITA 90’)
Un documento storico unico: è il racconto corale degli ebrei italiani deportati ad Auschwitz, le cui testimonianze sono state raccolte dagli storici del C.D.E.C. di Milano, Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto Fargion. Il film è stato selezionato dal Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1997 ed ha vinto il Festival Internazionale di Norimberga nel 1999. Considerato dalla critica come la massima espressione della Shoah in Italia, è stato trasmesso eccezionalmente in prima serata dalla Rai nell’aprile del 1997 (è stato visto da 5 milioni di persone) ed è stato distribuito in home video nel 2000 dal gruppo editoriale l’Espresso.
- Train de vie di Radu Mihaileanu (1998 BEL/FRA 103’)
La favola di un intero villaggio di ebrei che organizzano una falsa deportazione in massa per sfuggire alla persecuzione nazista. Un capolavoro.
- L’allievo di Bryan Singer (1998 USA/CAN/FRA 111’)
- L’aritmetica del diavolo di Donna Deitch (1999 USA 95’)
- Comedians harmonists di Joseph Vilsmaier (1999 Austria/GER 105’)
Trasposizione cinematografica di una storia vera. Negli anni dell'ascesa al potere del nazismo, a Berlino, un complesso di giovani musicisti conosce un crescente successo. Fino a che il regime non pone termine ai trionfi imponendo lo scioglimento del gruppo per motivi "razziali". I tre ebrei lasciano la Germania e fuggono in America. Gli altri tre restano. Non si rivedranno più. Il film mescola con disinvoltura la tragedia alla commedia e mostra con efficacia la "banalità del male" del razzismo diffuso e della persecuzione quotidiana in un crescendo di tensione. Efficace adattamento italiano di Moni Ovadia.
- Aimee and Jaguar di Max Farberbock (1999 GER 126’)
Racconta un amore lesbico nella Berlino nazista: Felice ha un'amante, è ebrea e omosessuale; una volta scoperta dal marito (che assume in sé molti stereotipi omofobici) fugge via conducendo una doppia vita - lavora per un giornale nazista ma anche per la resistenza ebraica.
- Jacob il bugiardo di Peter Kassowitz (1999 USA 114’)
- Mr. Death: The Rise and Fall of Fred A. Leuchter, Jr. di Errol Morris (1991 USA/UK 91’)
- Uno specialista di Eyal Sivan (1999 FRA 128’)
Capolavoro docu-fiction sul processo a Eichmann.
- Paragraph 175 di Rob Epstein, Jeffrey Friedman (1999 USA 76’)
Negli anni ’20, Berlino era conosciuta come il paradiso per tutti gli omosessuali del mondo. Tutto cambiò con l’avvento del nazismo. Tra il 1933 e il 1945, più di 100000 tra uomini e donne vennero arrestati seguendo il paragrafo 175, che condannava l’omosessualità come reato. Ne sopravvissero solo 4000. In questo importante e toccante documentario, cinque di questi sopravvissuti raccontano le loro storie per la prima volta.
- Canone inverso di Ricky Tognazzi (2000 ITA 107’)
- L’uomo che pianse di Sally Potter (2000 UK/FRA 100’)
- Le ultime riprese di Andrzej Brzozowski (2000 POL)
- Nuremberg di Yves Simoneau (2000 FRA/CAN/GB/USA 140’)
- La fuga degli angeli – Storie del kindertransport di Mark Jonathan Harris (2000 USA 122’)
- Il cielo cade di Andrea e Antonio Frazzi (2000 ITA 102’)
Gli ultimi anni del ventennio fascista e il passaggio della guerra visti con gli occhi di una bambina orfana, ospite con la sorellina minore della splendida villa sulle colline fiorentine dello zio ebreo e della sua famiglia. Una storia liberamente tratta dalla vicenda vera di Alfred Einstein (cugino del grande fisico) e dei suoi, vittime delle SS in ritirata dopo aver rifiutato di fuggire "per rispetto della propria dignità" nei giorni successivi al 25 luglio 1943.
- Concorrenza sleale di Ettore Scola (2001 ITA 118’)
Le leggi antiebraiche italiane e l'indifferenza con cui furono accolte in un film che rievoca l'Italia della fine degli anni '30.
- A torto o a ragione di Istvan Szabo (2001 Austria/FRA/GER/GB 105’)
Wilhelm Furtwängler, il direttore d’orchestra più illustre della sua generazione, viene convocato di fronte al Comitato Americano per la Denazificazione. Benché scagionato da tutte le accuse, il suo nome rimane macchiato dalla sua collaborazione con i nazisti. Dopo la presa del potere di Hitler nel 1933, molti artisti ebrei furono costretti ad abbandonare la Germania. Altri, per protesta, scelsero volontariamente la strada dell’esilio. Furtwängler decise di restare. Se da una parte egli aiutò a mettere in salvo molti musicisti ebrei, dall’altra egli rappresentò una delle più ragguardevoli personalità del mondo della cultura nazista.
- Nowhere in Africa di Caroline Link (2001 GER 141’)
- La rivolta di Jon Avnet (2001 USA 177’)
- The Grey Zone di Tim Blake Nelson (2001 USA 108’)
- Dated: 20th Century di Andrzej Brzozowski (2001 POL 10’)
- Anne Frank: The Whole Story di Robert Dornhelm (2001 USA/CEC 189’)
- Sobibor, 14 octobre 1943, 16 heures di Claude Lanzmann (2001 FRA 95’)
- Monsieur Batignole di Gérard Jugnot (2001 FRA 100’)
Gérard Jugnot narra con mano leggera (e interpreta in prima persona) le tappe dell'educazione morale e civile di un macellaio parigino nella Francia occupata dai tedeschi. Il racconto si snoda tra le preoccupazioni piccolo-borghesi del signor Batignole, tutto teso a evitare i guai per poter proseguire nei propri affari; le imprese ignobili del fidanzato della figlia (acceso collaborazionista dei nazisti) che fa arrestare e deportare i vicini ebrei, anche per appropriarsi della loro casa; fino all'incontro tra il macellaio e il piccolo ebreo scampato alla deportazione. Messo di fronte all'orrore della persecuzione antisemita, il macellaio Batignole trova la propria strada originale verso il riscatto e la dignità. Girato con il ritmo della commedia, il film (che ha ottenuto un enorme successo in Francia) apre uno squarcio sull'imbarazzante capitolo della partecipazione attiva di alcuni francesi alla persecuzione razziale. Il tono è leggero, ma la denuncia del conformismo e del collaborazionismo è implacabile.
- Amen di Costa Gavras (2002 FRA/GER 132’)
Film che ha fatto - soprattutto in Francia - grande scandalo, perché esamina la posizione della Chiesa, e di Pio XII in particolare, negli anni dell'affermazione del nazismo e della persecuzione degli ebrei.
- Il pianista di Roman Polanski (2002 FRA/POL/GER/GB 148’)
- Broken Silence di Pavel Chukhraj, Vojtech Jasny, Marcel Lozinski, Luis Puenzo, Janos Szasz, Andrzej Wajda (2002 USA/ARG/CEC 300’)
- La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek (2002 ITA 105’)
- Perlasca. Un eroe italiano di Alberto Negrin (2002 ITA/UNG/FRA/SVE 126’)
- Laissez-passer di Bertrand Tavernier (2002 FRA/GER/SPA 170’)
- L’ultimo treno di Yurek Bogayevicz (2002 USA 95’)
- Rosenstrasse di Margarethe von Trotta (2003 GER/OLA 136’)
La storia vera, rivisitata liberamente dalle due sceneggiatrici, di centinaia di donne "ariane" che si opposero, nella Berlino del 1943, alla deportazione dei loro mariti ebrei. Alcuni di quegli uomini - e questa pellicola ha il merito di ricordarcelo - furono effettivamente salvati dallo sterminio da questa inaudita dimostrazione di strada. Un film forte, percorso da una alta tensione. Un modo originale per raccontare da un punto di vista nuovo l'orrore del nazismo.
- Klezmer on Fish Street di Yale Strom (2003 USA 86’)
- Bonhoeffer di Martin Doblmeier (2003 USA 91’)
- Il servo ungherese di Massimo Piesco & Giorgio Molteni (2003 ITA 108’)
- Camminando sull’acqua di Eytan Fox (2004 Israele 104’)
Tra Tel Aviv e Berlino la vicenda di un agente del Mossad inviato sulle tracce di un ex criminale nazista novantenne, responsabile durante la guerra della deportazione di migliaia di persone. Obiettivo: arrivare "prima di Dio". Intorno incalza la vita di oggi, con gli attentati kamikaze, le violenze dei naziskin, il Kibbuz, l'amicizia...Da vedere.
- Watermarks di Yaron Zilberman (2004 FRA/Israele/USA 80’)
- Voices from the List di Michael Mayhew (2004 USA 77’)
- La caduta – gli ultimi giorni di Hitler di Oliver Hirschbiegel (2004 GER/ITA/Austria 156’)
Gli ultimi giorni di Hitler e del terzo Reich visti dall'interno del bunker del Fuhrer.
- Belzec di Guillaume Moskowitz (2005 FRA 100’)
- La rosa bianca – Sophie Scholl di Marc Rothemund (2005 GER 117’)
Gli ultimi 6 giorni di vita dei principali animatori del gruppo antinazista bavarese "Rosa Bianca", raccontati attraverso la vicenda personale dell'unica ragazza del gruppo, Sophie Scholl.
- Ogni cosa è illuminata di Liev Schreiber (2005 USA 102’)
Un giovane ebreo americano decide di andare alla ricerca della donna che durante la Seconda Guerra Mondiale in un villaggio in Ucraina aveva salvato la vita a suo nonno, nascondendolo durante un raid dei Nazisti. Il ragazzo viene aiutato nella sua ricerca da Alex, un ragazzo del luogo. E’ un film sul valore della memoria che, principiando con toni propri da commedia, man mano si drammatizza. Un po’ fiaba surreale, un po’ opera impegnata, il film, sul solco di Kusturica, è diretto con mano sicura dall’autore che azzarda anche aperture figurativamente interessanti. Da vedere.
- Senza destino di Lajos Koltai (2005 Ung/GER/FRA 140’)
Dall’autobiografia di Imre Kertesz, la storia di Gyuri, un giovane ebreo ungherese che viene rinchiuso in un campo di concentramento. La lotta per la sopravvivenza, le privazioni e le sofferenze non riusciranno a piegarlo. La condizione ebraica come sfida morale, le potenzialità catartiche insite nell’Olocausto, punto zero per l’umanità e apertura ad un futuro possibile rappresentano l’originalità dell’ennesimo approccio alla tragedia del XX secolo.
- Volevo solo vivere di Mimmo Calopresti (2006 ITA/SVIZ 75’)
Nove cittadini italiani sopravvissuti alla deportazione e alla prigionia nei campi di sterminio di Auschwitz. Nove storie attraverso cui riviviamo i passi più significativi di questa allucinante esperienza: il momento dell'emanazione delle leggi razziali in Italia, gli inutili tentativi di fuga, la deportazione, la separazione dalle proprie famiglie, la miracolosa sopravvivenza ad Auschwitz, la liberazione con l'arrivo dei soldati alleati. Testimonianze che a tratti non temono di svelare neppure sentimenti di commossa dolcezza né qualche inattesa allegria.
(Filmografia aggiornata al 2006)