27/01/09

Il ventre che partorì la cosa immonda è ancora fecondo

Il ventre che partorì la cosa immonda è ancora fecondo
Oggi, quando dei sofisti ci invitano a dimenticare, manifesteremo il nostro muto e impotente orrore di fronte ai cani dell’odio; penseremo intensamente all’agonia dei deportati e dei bambini che non sono tornati, poiché questa agonia durerà fino alla fine del mondo. (V. Jankélévitch)

In occasione della Giornata della Memoria del genocidio mi sembra interessante proporre il recupero di una serie di videodocumenti sullo sterminio delle diversità messo in atto da parte del nazismo e del fascismo. I videodocumenti in questione riguardano le persecuzioni operate nei confronti degli omosessuali con il film Paragraph 175, degli zingari con il documentario Porrajmos e dei Testimoni di Geova con il documentario Triangoli viola. Si tratta di persecuzioni rimaste sepolte dal silenzio per decenni, tuttora misconosciute per il grande pubblico. Eppure la ferocia del regime, nella folle idea di proteggere la razza ariana da tutti i fattori di corruzione che avrebbero potuto indebolirla, colpì questi gruppi in maniera devastante. L’obiettivo di purificare la comunità di stirpe rendeva plausibile pensare di potersi sbarazzare degli indesiderabili o deportandoli in spazi lontani e inospitali, oppure – quando ciò si dimostrò praticamente irrealizzabile – massacrandoli in massa. Il genocidio interessò quindi non solo gli ebrei, ma anche i sinti e i rom, gli omosessuali, gli handicappati, gli oppositori politici, i testimoni di Geova, gli anarchici, i polacchi, gli slavi, i massoni, gli asociali, le prostitute, gli alcolizzati, i criminali comuni, i vagabondi e i disoccupati cronici. Il silenzio su questi massacri durato decenni ha motivazioni tangibili, in quanto il non riconoscimento di questi stermini ha portato alla negazione dei risarcimenti ai perseguitati, inoltre gran parte della magistratura e della polizia tedesca che operava durante il nazismo, macabra ironia della sorte, fu la stessa deputata al riconoscimento degli indennizzi. Per quanto riguarda gli omosessuali poco conosciuto è il fatto che molti sopravvissuti siano stati oggetto di persecuzioni continue anche nella Germania post-nazista, dove vennero visti non come prigionieri politici, ma come criminali, in quanto il famigerato Paragrafo 175 rimase in vigore fino al 1969. Alcuni vennero arrestati nuovamente dopo la fine della guerra e rispediti in carcere (tanto che negli anni ’50 e ’60 il numero degli arrestati per omosessualità nella Germania Ovest era identico a quello registrato durante il periodo nazista), tutti vennero comunque esclusi dai risarcimenti previsti dal governo tedesco ed il tempo trascorso nei campi di concentramento venne loro dedotto dalle pensioni.
Per quanto riguarda gli zingari la sottovalutazione o la negazione dello sterminio nei lager nazisti non solo offende la memoria delle centinaia di migliaia di vittime, ma investe l’identità stessa del popolo zingaro degradandolo a sottocultura marginale cui viene negata ogni dignità. La visione dello splendido documentario Porrajmos, una persecuzione dimenticata ricorda a chi abbia dei dubbi che esiste un universo umano degno di rispetto anche dietro all’espressione zingaro e mostra quanto insidiosamente le ideologie di ieri si nascondano in molte critiche e pregiudizi dell’oggi. Per quanto riguarda i Testimoni di Geova o Bibelforscher sono uno dei pochi gruppi religiosi che ha avuto il coraggio di rigettare il nazionalsocialismo senza compromessi pagandone le atroci conseguenze. Comprendere a fondo queste realtà significa per la società contemporanea acquisire la consapevolezza di come repressione, discriminazione, persecuzione e vessazione possano fatalmente portare a gravi radicalizzazioni reattive allora come oggi.
In una società come la nostra, in cui il luogo comune viene eretto a verità attraverso un uso banalizzante dei mass media ed in cui pregiudizi popolari e stereotipi ereditati dal passato cementano le certezze dell’uomo comune, la visione di questi documenti tragici e commoventi rende partecipi della sofferenza e della complessità di persone, catalogate come diverse, in realtà in possesso di una straordinaria umanità. Per ricordare che la nostra Civiltà ha il dovere di sorvegliare e di non dimenticare le proprie responsabilità anche perché, citando Brecht, “il ventre che partorì la cosa immonda è ancora fecondo”.

25/01/09

Johanna (Kornél Mundruczo)

Johanna
di Kornél Mundruczo
(2005 Ung 86')
Stasera al Clan Destino ore 21.30

Ufo di cristallina entità, prodotto da Bela Tarr. Miracolosamente sopravvissuta ad un'overdose, la tossicodipendente Johanna, grazie alle premure di un giovane dottore, diventa infermiera nell'ospedale in cui è stata salvata e decide di dedicare la vita agli altri. Comincerà a guarire i pazienti senza bisturi, semplicemente donando loro il proprio corpo. Ma ciò non sarà visto di buon occhio dai medici. Opera davvero curiosa questa trasposizione della vicenda di Giovanna d'Arco ai giorni nostri che, oltre all'estrosa rilettura del personaggio storico, vanta il primato di essere la prima ad utilizzare un'Opera appositamente composta. La colonna sonora è infatti una suggestiva Opera sulla quale si adagiano i dialoghi dei personaggi. Bellissima la fotografia virata al giallo/verdastro che proietta umori logori e stagnanti nei corridoi e nelle stanze dell'ospedale e il lavoro sulle luci, col volto di Johanna che stancamente emerge dalle tenebre (da Asian World).

23/01/09

Febbraio Scaglie 2009 al Clan Destino

Febbraio Scaglie 2009 al clan destino

Domenica 1 ore 21.30
Distretto 13
di John Carpenter
(1976 USA 91')

John Carpenter con pochi soldi e tante idee si ispira a Rio Bravo di Howard Hawks, riuscendo a ricreare in un distretto di polizia di un sobborgo metropolitano un vero e proprio angosciante e claustrofobico assedio da parte di una misteriosa gang di criminali senza volto, che intendono vendicare l'uccisione di alcuni loro compari. Tra gli assediati spicca Napoleone Wilson, un po' l'antesignano di Snake Plinsky, sorta di villain dai modi bruschi, che le inusuali circostanze collocano come leader degli assediati. La trama e i dialoghi sono essenziali, lo stile è secco, impreziosito oltretutto da un montaggio, opera dello stesso Carpenter, che mantiene lo spettatore sul filo del rasoio dall'inizio alla fine e questo nonostante gli scarni contenuti della trama. Tutto è giocato sulla capacità che ha il cinema di inchiodare lo spettatore alla sedia e per far questo Carpenter si serve sia di un magistrale uso di luce e ombre, sia di musiche coinvolgenti, create appositamente da lui stesso per questo film. I trent'anni di età della pellicola non ne hanno smorzato l'impatto e la tensione e l'inaspettata scena dell'uccisione della bambina dal gelataio rimane tuttora un notevole pugno allo stomaco.

Domenica 8 ore 21.30
This is England
di Shane Meadows
(2006 UK 101')

Opera notevole incentrata sulla cultura skinhead nell'Inghilterra Tatcheriana dei primi anni Ottanta, incredibilmente non distribuita nel nostro paese. Il protagonista è un ragazzino sbandato di undici anni di nome Shaun, che vive con la madre in quanto ha perduto il padre nella guerra delle Falkland. Sbeffeggiato da alcuni suoi compagni di scuola più grandi e grossi e per questo roso dalla rabbia, vede uno spiraglio di luce quando alcuni skinheads più grandi di lui lo accolgono nel loro gruppo. La solidale brigata viene però scossa dal ritorno del leader Combo, rilasciato dalla galera, che porta ad una scissione della banda a causa della svolta violenta che quest'ultimo sostiene, sostenuta da idee nazionaliste e razziste, che lo portano vicino alle posizioni del Fronte Nazionale. Meadows riesce così a mostrarci la perdita progressiva di purezza del fenomeno skinhead originario, inquinato da una radicale politicizzazione e da una conseguente parcellizzazione. Il film evidenzia anche il fatto che alcuni leader del movimento negli anni ottanta, accecati dalla rabbia e dall'aggressività gratuita, dimenticarono come all'origine della cultura skinhead degli anni Sessanta vi fossero gli immigrati giamaicani. Interessante nel film è il rapporto ambiguo che si viene a creare tra il ragazzino e il truce Combo, che viene ad essere per lui in certi momenti un secondo padre fino al momento in cui la follia omicida di quest'ultimo deluderà irrimediabilmente il ragazzino. La crescita di Shaun peraltro brucia le tappe, forgiandolo come futuro illuminato leader. Fondamentale in questa società crescere in fretta e tanto per non farsi illusioni raggela il sangue il fatto che la pellicola sia dedicata alla memoria di Sharon Turgoose, madre del giovane protagonista, deceduta poco dopo la fine delle riprese. Notevole la colonna sonora, nella quale si può ascoltare la corrente punk rock degli skin denominata “Oi!”.

Domenica 15 ore 21.30
Invincibile
di Werner Herzog
(2001 UK/GER/USA/Irlanda 133')

Herzog torna al racconto di fiction dopo dieci anni di documentari ispirandosi a due figure realmente esistite: il mitico forzuto Siegmund Zishe Breibart e l'illusionista Erik Jan Hanussen. Ma in Italia il suo film non viene distribuito e rimane irreperibile per lungo tempo. Polonia Est: Zishe Breitbart è un giovane ebreo dotato di incredibile forza fisica. Lavora con suo padre come fabbro in un piccolo villaggio. Un impresario tedesco lo nota e gli propone di andare a lavorare per lui a Berlino. Dopo qualche indecisione Zishe accetta e diventa un'attrazione del “Palazzo dell'occulto di Hanussen”, dove si esibisce travestito da eroe germanico con il nome di Sigfrid. Hanussen, il capo del locale, è un ambiguo illusionista danese che, attraverso numeri di ipnosi e profezie, fa propaganda per Adolf Hitler e il partito nazista, molti componenti del quale sono clienti del locale. Hanussen rivela a Zishe di avere un sogno: diventare il “ministro dell'occulto” di Hitler. Zishe si innamora di Marta, la pianista del locale, che è di origini ceche e che viene maltrattata da Hanussen. Un giorno, quando sale sul palco, Zishe rivela di non essere ariano ma bensì ebreo, causando l'ammirazione di alcuni dei presenti e l'ira dei nazisti. Come risposta, Hanussen ipnotizza Marta, affermando che riunirà in lei la forza di tutti i presenti, e le fa eseguire il numero di Zishe, ovvero il sollevamento di un elefante. Il fatto crea molto scalpore, i giornali ne parlano e un importante rabbino invita Zishe alla sinagoga, dove viene accolto con ammirazione. La sera successiva allo spettacolo sono presenti molti ebrei e molti nazisti, tra cui nientemeno che Himmler e Goebbels. Zishe riesce a sollevare un peso superiore al record mondiale e si scatena una rissa in sala, fermata dall'intervento di Hanussen. Un giorno Zishe accusa pubblicamente Hanussen di usare dei trucchi per ingannare la gente; i due finiscono in tribunale. Durante il processo Marta rivela che Hanussen, oltre ad usare trucchi, è un ebreo e che il suo vero nome è un altro. Poco dopo Hanussen viene catturato dai nazisti per poi essere ritrovato morto qualche tempo dopo. Dopo la morte di Hanussen, Zishe inizia ad avere visioni profetiche. Convinto che gli ebrei siano minacciati dai nazisti, torna al suo villaggio in Polonia e cerca di convincere gli ebrei a prepararsi a una persecuzione, ma non viene creduto. Un giorno, mentre esibisce la sua forza, rimane ferito da un chiodo arrugginito (da wikipedia). Herzog è meno visionario del solito, anche se la metaforica sequenza dei granchi rossi sulla spiaggia colpisce fervidamente il nostro immaginario e va sottolineato come il set del film sia stato solcato da numerosi ipnotisti all'opera durante le riprese.

Domenica 22 ore 21.30
La Rimpatriata
di Damiano Damiani
(1963 ITA/FRA 110')

Capolavoro misconosciuto del cinema italiano: storia agro-dolce di cinque amici che si ritrovano quarantenni nella Milano del boom economico per una breve notte di revival dei bei tempi andati. Protagonista è un Walter Chiari nella parte di sé stesso, brillante intrattenitore degli amici e irresistibile conquistatore di donne, simbolo per gli amici di una spensieratezza senza età e di una dolce vita ammaliante. In realtà la sua vaghezza superficiale nasconde un'amarezza di fondo e il suo apparente successo cela un destino da perdente. Ma come dice uno dei protagonisti del film: “Qua costruiscono, costruiscono, ma il miracolo economico è finito: ce ne accorgeremo...”. Profetico per i tempi attuali. Walter Chiari per questo film merita un monumento...inutile dire che film come “Il grande freddo” di Kasdan o “The return of secaucus seven” di John Sayles sono figli di questa pellicola. Da vedere e rivedere.

21/01/09

Ciò in cui credo (James G. Ballard)

Ciò in cui credo
di James G. Ballard

Credo nel potere che ha l'immaginazione di plasmare il mondo, di liberare la verità dentro di noi, di cacciare la notte, di trascendere la morte, di incantare le autostrade, di propiziarci gli uccelli, di assicurarsi la fiducia dei folli.
Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d'auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell'eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati.
Credo nelle rampe in disuso di Wake Island, che puntano verso il Pacifico della nostra immaginazione.
Credo nel fascino misterioso di Margaret Thatcher, nella curva delle sue narici e nella lucentezza del suo labbro inferiore: nella malinconia dei coscritti argentini feriti; nei sorrisi tormentati del personale delle stazioni di rifornimento; nel mio sogno che Margaret Thatcher sia accarezzata da un giovane soldato argentino in un motel dimenticato, sorvegliato da un benzinaio tubercolotico.
Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore; nell'unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket; nella loro calda tolleranza per le mie perversioni.
Credo nella morte del domani, nell’esaurirsi del tempo, nella nostra ricerca di un tempo nuovo, nei sorrisi di cameriere di autostrada e negli occhi stanchi dei controllori di volo in aeroporti fuori stagione.
Credo negli organi genitali degli uomini e delle donne importanti, nelle posture di Ronald Reagan, di Margaret Thatcher e della principessa Diana, negli odori dolciastri emessi dalle loro labbra mentre fissano le telecamere di tutto il mondo.
Credo nella pazzia, nella verità dell’inesplicabile, nel buon senso delle pietre, nella follia dei fiori, nel morbo conservato per la razza umana dagli astronauti di Apollo.
Credo nel nulla.
Credo in Max Ernst, Delvaux, Dalì, Tiziano, Goya, Leonardo, Vermeer, De Chirico, Magritte, Redon, DÅrer, Tanguy, Facteur Cheval, torri di Watts, Bîcklin, Francis Bacon, e in tutti gli artisti invisibili rinchiusi nei manicomi del pianeta.
Credo nell'impossibilità dell'esistenza, nell'umorismo delle montagne, nell'assurdità dell’elettromagnetismo, nella farsa della geometria, nella crudeltà dell'aritmetica, negli intenti omicidi della logica.
Credo nelle donne adolescenti, nel potere di corruzione della postura delle loro gambe, nella purezza dei loro corpi scompigliati, nelle tracce delle loro pudenda lasciate nei bagni di motel malandati.
Credo nei voli, nell'eleganza dell'ala e nella bellezza di ogni cosa che abbia mai volato, nella pietra lanciata da un bambino che porta via con sé la saggezza di statisti e ostetriche.
Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell'universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell'inesistenza dell'universo e nella noia dell'atomo.
Credo nella luce emessa dai videoregistratori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell'intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell'eleganza delle macchie d'olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell'aeroporto.
Credo nella non-esistenza del passato, nella morte del futuro, e nelle infinite possibilità del presente.
Credo nello sconvolgimento dei sensi: in Rimbaud, William Burroughs, Huysmans, Genet, Celine, Swift, Defoe, Carroll, Coleridge, Kafka.
Credo nei progettisti delle piramidi, dell'Empire State Building, del FÅrer-bunker di Berlino, delle rampe di lancio di Wake Island.
Credo negli odori corporali della principessa Diana.
Credo nei prossimi cinque minuti.
Credo nella storia dei miei piedi.
Credo nell'emicrania, nella noia dei pomeriggi, nella paura dei calendari,
nella perfidia degli orologi .
Credo nell'ansia, nella psicosi, nella disperazione.
Credo nelle perversioni, nelle infatuazioni per alberi, principesse, primi ministri, stazioni di rifornimento in disuso (più belle del Taj Mahal), nuvole e uccelli.
Credo nella morte delle emozioni e nel trionfo dell'immaginazione.
Credo in Tokyo, Benidorm, La Grande Motte, Wake Island, Eniwetok, Dealey Plaza.
Credo nell'alcoolismo, nelle malattie veneree, nella febbre e nell'esaurimento.
Credo nel dolore.
Credo nella disperazione.
Credo in tutti i bambini.
Credo nelle mappe, nei diagrammi, nei codici, negli scacchi, nei puzzle, negli orari aerei, nelle segnalazioni d'aeroporto.
Credo a tutti i pretesti.
Credo a tutte le ragioni.
Credo a tutte le allucinazioni.
Credo a tutta la rabbia.
Credo a tutte le mitologie, ricordi, bugie, fantasie, evasioni.
Credo nel mistero e nella malinconia di una mano, nella gentilezza degli alberi, nella saggezza della luce.
(Opera in immagine di Caspar David Friedrich Wanderer above the Mists)

20/01/09

L'Accabbadora

L'Accabbadora

Nel suo "Viaggio in Sardegna" risalente al 1826 lo scrittore Alberto Della Marmora fa un riferimento preciso ad un'antica ed inquietante usanza dell'isola di cui è ospite: "si è preteso che i sardi avessero anticamente l'usanza di uccidere i vecchi, ma la falsità di questa affermazione è stata già dimostrata da alcuni scrittori. Io però non posso nascondere che in alcune zone dell'isola, per abbreviare la fine dei moribondi, venivano incaricate specialmente delle donne. Si è dato loro il nome di Accabadura, derivato dal verbo accabare/finire. Questo resto di barbaria è felicemente scomparso da un centinaio d'anni". Successive meticolose analisi degli archivi di comuni, curie e musei sardi hanno constatato e confermato la reale esistenza storica di questa oscura figura. Charles Edwards nel 1889 parla addirittura di una vera e propria categoria di persone incaricate di porre fine alla terribile sofferenza degli agonizzanti: “...e così una classe di accabbaduri e di accabbadore nacquero come uccisori professionisti o colpitori di testa; ed essi venivano assunti come noi assumiamo un’infermiera...”, anche se va precisato che queste persone non ricevevano mai denaro per le loro sconcertanti prestazioni. La figura dell'accabbadora fa parte di una religiosità regionale primordiale e pre-cristiana, che affonda le proprie radici in superstizioni e miti atavici, difficilmente comprensibile ai nostri tempi, ma perfettamente integrata nella concezione della morte propria degli antenati sardi. Con la recente pubblicazione del libro dal titolo “Eutanasia ante litteram in Sardegna”, andato esaurito in brevissimo tempo, la figura dell'accabbadora è brevemente risalita all'onore delle cronache. Proprio da questo testo si apprende che le ultime testimonianze relative all'esistenza dell'accabbadora riguardano il paese di Orgosolo e risalgono addirittura all'anno 1952: “l’ultima femina agabbadori (così era chiamata in Gallura), che aiutò a morire un uomo di settanta anni, era l’ostetrica del paese. Il dato è denso di metafore: la donna che aiutava venire al mondo era anche quella che chiudeva una vita divenuta insopportabile. I carabinieri e il procuratore di Tempio Pausania furono concordi nel riferire l’atto ad un contesto umanitario, la donna non fu condannata e il caso fu archiviato”. Il successo editoriale di tale libro e il disturbante spiazzamento che crea nella sensibilità dell'uomo contemporaneo la figura dell'accabbadora toglie in parte il velo sul tabù più ostico e sfuggente del nostro tempo, quello della morte e più precisamente quello del divieto di parlare del desiderio di morte. Ma la figura dell'accabbadora pone anche l'accento sul terrore che attanaglia gli esseri umani nell'immaginare una possibile sofferenza estrema che può essere esperita al momento del trapasso. Mi asterrò dal partecipare alle polemiche che gravitano attorno al tema dell'eutanasia, anche perchè l'accabbadora va inquadrata in un peculiare contesto antropologico e culturale, ben diverso rispetto a quello dei nostri tempi. Viviamo in un'epoca in cui si tenta a tutti i costi di nascondere la morte e si rifugge accuratamente la consapevolezza che, tragicamente, tutti i vissuti dell'uomo sono a termine. Nella Sardegna del secolo scorso l'accabbadora era solitamente una donna, sorta di vestale della morte, depositaria di una conoscenza arcana e preziosa riguardante amuleti e pratiche magiche, capace di liberare da un'orribile agonia gli esseri umani che avevano commesso sacrilegi (chiamati anche peccati mortali) in vita e che per questo, nella concezione popolare, subivano malattie lunghe e progressivamente devastanti. L'accabbadora del tempo non agiva mossa da un'idea di pietà o da una volontà di porre fine alle insopportabili sofferenze del malato, ma era chiamata in causa dai familiari proprio per interpretare e risolvere il sacrilegio che vincolava il moribondo ad un immane tormento finale. La studiosa Dolores Turchi ci riferisce infatti del:”momento in cui i parenti pensavano che il moribondo fosse incorso in qualche grave peccato che bisognava scontare con una lunga agonia alla quale solo s’accabbadora poteva por fine”. E Andrea Satta, autore del più bel saggio presente sul web sull'argomento, afferma: “la spiegazione soddisfa la premessa di una società fortemente mitica, e tradizionale, in cui il processo di avvicinamento alla morte è strutturato e cadenzato da riti riconosciuti e condivisi. Anche la presenza della donna sterminatrice doveva essere un rito, terminale, accettato dai parenti e, inconsapevolmente, anche dal moribondo...s’accabbadora giunge chiamata da un familiare, la stanza è vuota e ogni tentativo è stato fatto. La donna, per prima cosa, “raccomanda a Dio l’anima” e, usciti tutti, rimane sola. Dopo pochi minuti la donna esce e il moribondo è morto. Cosa succeda in quei pochi minuti è presunto dalle testimonianze letterarie ed etnografiche. È da supporre che un piccolo colpo alla nuca, dato da una persona esperta provocasse la morte istantanea, sia facendo battere la testa contro su juale, sia adoperando su mazzoccu...” (vedi foto sotto).

L'accabbadora è colei in grado di controllare la forza selvaggia ed incomprensibile rappresentata dalla morte, sorta di agghiacciante sacerdotessa capace con enigmatici meccanismi mentali di vivere ed esperire la morte.

19/01/09

Rapporto Confidenziale - numero undici

Rapporto confidenziale
Numero Undici
Rivista Digitale di Cultura Cinematografica



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"Ora ho delle idee sulla realtà, mentre quando ho cominciato avevo delle idee sul cinema. Prima vedevo la realtà attraverso il cinema, e oggi vedo il cinema nella realtà" (Jean-Luc Godard)

SOMMARIO DEL NUMERO UNDICI
04 La copertina. ilcanediPavlov!
05 Editoriale di Alessio Galbiati
06 Nella mia pelle di Samuele Lanzarotti
08 Western contemporaneo ovvero il cowboy che perse la strada di casa di Costanza Baldini
11 SPECIALE. NUOVO CINEMA RUMENO
Noul cinema romanesc. La nuova generazione di registi rumeni racconta la Romania post Ceauşescu di Roberto Rippa
12 4 luni, 3 saptamâni si 2 zile di Roberto Rippa
14 A fost sau n-a fost? di Sergio Citterio
15 Cum mi-am petrecut sfarsitul lumii di Roberto Rippa
16 Moartea domnului Lăzărescu di Roberto Rippa
17 La Romania vista dall’Italia di Alessio Galbiati
18 Mar Nero di Sergio Citterio
19 Pa-ra-da di Roberto Rippa
19 Il resto della notte di Alessio Galbiati
20 Cover Boy. L’ultima rivoluzione di Alessio Galbiati
21 Gara de Nord_copii pe strada di Alessio Galbiati
23 Donate!
24 Baghead di Alessandra Cavisi
25 STORIA E DISCORSO - ARTICOLO N.3. L’evento dinamico - l’innesco della storia - le innovazione delle strutture non lineari di Roberto Bernabò
27 Love is the Devil di Samuele Lanzarotti
28 I tre volti della paura di Francesco Moriconi
30 CINEMUNA. IL VERO NELL’ASSURDO. Nessuna verità | No Man di Ciro Monacella
31 What Ever Happened to Baby Jane? di Alessandra Cavisi
32 Riflessi sulla pelle di Samuele Lanzarotti
34 Il cinema sperimentale di InharmoniCity di Alessio Galbiati
37 cinemautonome
39 Indice filmografico
41 Arretrati

"Le parole ci tradiscono, non riescono mai a trasmettere assolutamente quello che vogliamo dire. Ma anche noi le tradiamo, dovremmo riuscire a dire quello che dobbiamo dire" (Jean-Luc Godard)

16/01/09

The Damned (Joseph Losey)

Domenica 18 Gennaio ore 21.30 al Clan Destino
The Damned - L’abisso
di Joseph Losey (1963 UK 96')

Simon Wells, un americano in viaggio in Inghilterra, convince Joan, una ladruncola che lo aveva assalito, ad abbandonare i teppisti ai quali si era unita. Inseguiti dal fratello di lei, i due sono costretti a fuggire a bordo di un motoscafo. Raggiunta una insenatura isolata, vicina ad una base militare, Simon e Joan si addentrano in una cavità e scoprono un misteroso ambiente sotterraneo che ospita un gruppo di enigmatici bambini. Gli adolescenti sono lì trattenuti in stato di prigionia dal professor Bernard che, d'accordo con le autorità inglesi, ne cura l'educazione ma ne impedisce qualsiasi contatto con l'esterno. Come ben presto Simon e Joan vengono a sapere, i bambini sono gli sfortunati figli di alcune coppie, rimaste vittime, tempo prima, di un esperimento atomico non riuscito. Guardati a vista da guardie coperte da tute protettive, i "figli della luce" (privi di sorriso e dalla pelle fredda) sono segnati dalle radiazioni, ma sopravvivono, per costituire - secondo il disegno dello scienziato - il nucleo della rinascita del genere umano all'indomani della probabile guerra nucleare che sterminerà ogni forma di vita. Simon e Joan tentano di liberare i ragazzi dal bunker, ma...Sulla base di un romanzo di H.L. Lawrence, Losey costruisce un film fortemente pessimistico, una storia senza speranze che ipotizza il potere impegnato in un freddo calcolo per la costruzione di un nuovo ordine sociale da istituire dopo le devastazioni di una guerra atomica, data come evento futuro inevitabile e non prevenibile (da fantafilm.net). Si tratta di uno splendido film, quasi esoterico, che richiama “Il villaggio dei dannati” di Rilla e anticipa di quasi dieci anni le scorribande dei boys di “Arancia Meccanica”. Un cult assoluto, impreziosito dalla presenza di un favoloso Oliver Reed. Stranamente non è mai stato adeguatamente rivalutato dai critici del nostro paese.

14/01/09

It's not where you take things from - it's where you take them to

"Nothing is original. Steal from anywhere that resonates with inspiration or fuels your imagination. Devour old films, new films, music, books, paintings, photographs, poems, dreams, random conversations, architecture, bridge, street signs, trees, clouds, bodies of water, light and shadows. Select only things to steal from that speak directly to your soul. If you do this, your work (and theft) will be authentic. Authenticity is invaluable; originality is non-existent. And don't bother concealing your thievery - celebrate it if you feel like it. In any case, always remember what Jean-Luc Godard said: "It's not where you take things from - it's where you take them to". (Jim Jarmush)

12/01/09

Cavallette (Bruno Bozzetto)

Cavallette
di Bruno Bozzetto

10/01/09

Flickering Lights (Anders Thomas Jensen)

Domenica 11 Gennaio ore 21.30 al Clan Destino
Flickering Lights
di Anders Thomas Jensen (2000 DAN/SVEZ 109')

Un gruppo di quattro piccoli delinquenti decide di tenersi il bottino di una rapina su commissione. Per sfuggire alla vendetta del committente, un violento boss chiamato Eskimo, scappano alla volta di Barcellona ma il motore dell'auto si fonde lungo una strada che attraversa il bosco. Uno di loro è ferito e, per poterlo curare, sono costretti a rifugiarsi nel rudere di un vecchio ristorante nel cuore del bosco stesso. Al fine di non destare sospetti, dapprima fingono di voler ristrutturare e riaprire il ristorante poi, progressivamente, il luogo e i loro strambi vicini li conquistano. I quattro amici decidono di restare ma Eskimo è già sulle loro tracce...
Il film è stato un enorme successo in patria ed è veramente incomprensibile la miopia dei nostri distributori che lo hanno completamente ignorato. Si tratta in effetti di un film delizioso. Una favola dai toni agrodolci che mescola violenza, humour e psicanalisi in un cocktail intelligente, pieno di trovate esilaranti e senza cedimenti fino alla fine. Gli attori, un cast di “all stars”, sono perfetti. La fotografia, premiata in patria, meravigliosa. La regia sicura, personale ma senza troppi fronzoli, con tempi equilibratissimi. La storia di gangster è in realtà un pretesto per raccontare l'amicizia che lega i protagonisti e l'evoluzione dei loro caratteri. Per farlo, Jensen, si serve di drammatici (ma al contempo spassosi) flashback nell'adolescenza di ognuno. Il legame tra il carattere esibito dall'adulto e il trauma subito in adolescenza è volutamente e grottescamente didascalico. Ed è proprio l'insolito equilibrio che si viene a creare tra i diversi generi (il dramma, la commedia, l'action, il grottesco) che dona a questo film una cifra stilistica assai accattivante e fa di questo regista una delle migliori new entry in ambito europeo di questi anni (da Asian World).

06/01/09

for No One (Tom Waits)

for No One
Tom Waits
Directed by John Lamb (1979)

Tom Waits for No One is a rotoscoped short movie starring Tom Waits. It features the artist singing "The One That Got Away" to an apparition conjured up in the lonely after hours down on Heartattack and Vine.
Produced and directed in 1979 by John Lamb, it was amongst the first music videos created specifically for the then up and coming MTV market, and was slated for release in 1980. Filmed live, and then edited down to five and a half minutes, the live frames were then painted over using a "video rotoscope" and converted to a caricatured animation. This particular combination of rotoscoping and video pencil, developed for Ralph Bakshi's "American Pop" but not used in that film, was considered innovative at the time, winning a 1979 Academy Award for Scientific and Technical Achievement. The film was never commercially released. (from "wikipedia en")

"Siamo sepolti sotto il peso delle informazioni, che vengono confuse con la conoscenza. La quantità è scambiata con l'abbondanza e la ricchezza con la felicità. Il cane di Leona Helmsley ha guadagnato 12 milioni di dollari l'anno scorso... e Dean McLaine, un contadino dell'Ohio, ne ha portati a casa 30.000. E' una versione colossale della pazzia che germoglia nei nostri cervelli, senza eccezioni. Siamo scimmie armate e piene di soldi." (Tom Waits)

04/01/09

Todo modo (Elio Petri)

Todo Modo (ore 21.30 al Clan Destino)
di Elio Petri (1976 ITA/FRA FRA 120')

Uno dei film maledetti del cinema italiano, ispirato ad un racconto di Leonardo Sciascia, volutamente mantenuto invisibile in tutti questi anni dal potere costituito. L’inquietante vicenda ha luogo in un albergo/eremo/prigione, nel quale capi politici, grandi industriali, banchieri e dirigenti d'azienda, oltre a tanti servi e leccapiedi, tutti appartenenti alle varie correnti democristiane, si ritrovano per gli annuali esercizi spirituali di tre giorni, al fine di espiare i reati di corruzione e altre che essi erano soliti praticare. Questa volta la riunione avviene in concomitanza con una misteriosa epidemia che miete numerose vittime in Italia.
Una pesantissima e simbolica denuncia verso la corruzione, l’affarismo distorto, il malcostume e il dilagare di interessi personali nella gestione della cosa pubblica da parte di chi comanda e dirige lo stato italiano. Tuttora un pugno nello stomaco dello spettatore, interpretato da un indimenticabile Gian Maria Volonté, calato nei panni del Presidente, oscura ed enigmatica figura che richiama nelle movenze, nei comportamenti e nel modo di parlare quella di Aldo Moro. Nel cast anche Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia (in un cameo da brividi) e Michel Piccoli. E’ il film che ha ispirato Sorrentino per la costruzione del suo “Il Divo”. Da vedere e rivedere, anche per capire meglio l’attualità.

03/01/09

Martiri

Martiri

"Penso che la Storia sia piena di martiri poco saggi, imprudenti. Non c'è niente di sbagliato nell'essere un martire, se sai - cosa che molti ignorano - che esserlo va a vantaggio della causa. La vita, mi sembra, è piena della consapevolezza che puoi fare opera di distruzione solo fino ad un certo punto; se vai oltre non provochi proprio nessun cambiamento, perché allora succederà che si sbarazzano di te.Ciò non significa necessariamente che sarai ucciso, e nemmeno che ti manderanno in Siberia. Ma troveranno il modo di espellerti da questa società". (Robert Aldrich)
Nella foto Pierre Clémenti, uno dei tanti martiri che hanno attraversato la storia del cinema...

01/01/09

La camera mortale

La camera mortale

"L'isolamento in una camera che non debba comunicare con l'esterno perché piena di un'atmosfera mortale, una camera quindi dove per sopravvivere è necessario portare una maschera, ricorda molto le condizioni di vita dell'uomo contemporaneo. Certo non si può riflettere su questo mitico uomo a una dimensione senza dover purtroppo analizzare tutte le caratteristiche della nostra società industriale. Però una metafora efficace può essere molto suggestiva, può chiarire anche conseguenze estreme di cui non si parli espressamente, che restino appunto implicite; per esempio, il fatto di sapere di dover portare la maschera non ti dà, non dà un senso di angoscia?
L'introiezione di questi bisogni ossessivi e allucinatori non dà come risultato l'adattamento alla realtà, ma la mimesi, la massificazione, l'annullamento dell'individualità. L'individuo trasferisce il mondo esterno all'interno; vi è un'identificazione immediata dell'individuo nella società come un tutto identico. I bisogni per la sopravvivenza fisica sono risolti proprio dalla produzione industriale che propone adesso come altrettanto necessari il bisogno di rilassarsi, di divertirsi, di comportarsi, di consumare in accordo con i modelli pubblicitari, che rendono appunto manifesti i desideri che ognuno può provare. Il cinema, radio, televisione, la stampa giornalistica e qualunque altro buon servizio della produzione industriale (attualmente internet ndr) non è più indirizzato verso differenti destinazioni (no, questa frase non è chiara)...In queste condizioni di uniformità la vecchia alienazione diventa impossibile. Quando gli individui si identificano con l'esistenza che è loro imposta e trovano in essa compiacimento e soddisfazione, il soggetto dell'alienazione viene inghiottito dalla sua esistenza alienata".
(Frammento estratto da Dillinger è morto di Marco Ferreri 1969)