20/01/09

L'Accabbadora

L'Accabbadora

Nel suo "Viaggio in Sardegna" risalente al 1826 lo scrittore Alberto Della Marmora fa un riferimento preciso ad un'antica ed inquietante usanza dell'isola di cui è ospite: "si è preteso che i sardi avessero anticamente l'usanza di uccidere i vecchi, ma la falsità di questa affermazione è stata già dimostrata da alcuni scrittori. Io però non posso nascondere che in alcune zone dell'isola, per abbreviare la fine dei moribondi, venivano incaricate specialmente delle donne. Si è dato loro il nome di Accabadura, derivato dal verbo accabare/finire. Questo resto di barbaria è felicemente scomparso da un centinaio d'anni". Successive meticolose analisi degli archivi di comuni, curie e musei sardi hanno constatato e confermato la reale esistenza storica di questa oscura figura. Charles Edwards nel 1889 parla addirittura di una vera e propria categoria di persone incaricate di porre fine alla terribile sofferenza degli agonizzanti: “...e così una classe di accabbaduri e di accabbadore nacquero come uccisori professionisti o colpitori di testa; ed essi venivano assunti come noi assumiamo un’infermiera...”, anche se va precisato che queste persone non ricevevano mai denaro per le loro sconcertanti prestazioni. La figura dell'accabbadora fa parte di una religiosità regionale primordiale e pre-cristiana, che affonda le proprie radici in superstizioni e miti atavici, difficilmente comprensibile ai nostri tempi, ma perfettamente integrata nella concezione della morte propria degli antenati sardi. Con la recente pubblicazione del libro dal titolo “Eutanasia ante litteram in Sardegna”, andato esaurito in brevissimo tempo, la figura dell'accabbadora è brevemente risalita all'onore delle cronache. Proprio da questo testo si apprende che le ultime testimonianze relative all'esistenza dell'accabbadora riguardano il paese di Orgosolo e risalgono addirittura all'anno 1952: “l’ultima femina agabbadori (così era chiamata in Gallura), che aiutò a morire un uomo di settanta anni, era l’ostetrica del paese. Il dato è denso di metafore: la donna che aiutava venire al mondo era anche quella che chiudeva una vita divenuta insopportabile. I carabinieri e il procuratore di Tempio Pausania furono concordi nel riferire l’atto ad un contesto umanitario, la donna non fu condannata e il caso fu archiviato”. Il successo editoriale di tale libro e il disturbante spiazzamento che crea nella sensibilità dell'uomo contemporaneo la figura dell'accabbadora toglie in parte il velo sul tabù più ostico e sfuggente del nostro tempo, quello della morte e più precisamente quello del divieto di parlare del desiderio di morte. Ma la figura dell'accabbadora pone anche l'accento sul terrore che attanaglia gli esseri umani nell'immaginare una possibile sofferenza estrema che può essere esperita al momento del trapasso. Mi asterrò dal partecipare alle polemiche che gravitano attorno al tema dell'eutanasia, anche perchè l'accabbadora va inquadrata in un peculiare contesto antropologico e culturale, ben diverso rispetto a quello dei nostri tempi. Viviamo in un'epoca in cui si tenta a tutti i costi di nascondere la morte e si rifugge accuratamente la consapevolezza che, tragicamente, tutti i vissuti dell'uomo sono a termine. Nella Sardegna del secolo scorso l'accabbadora era solitamente una donna, sorta di vestale della morte, depositaria di una conoscenza arcana e preziosa riguardante amuleti e pratiche magiche, capace di liberare da un'orribile agonia gli esseri umani che avevano commesso sacrilegi (chiamati anche peccati mortali) in vita e che per questo, nella concezione popolare, subivano malattie lunghe e progressivamente devastanti. L'accabbadora del tempo non agiva mossa da un'idea di pietà o da una volontà di porre fine alle insopportabili sofferenze del malato, ma era chiamata in causa dai familiari proprio per interpretare e risolvere il sacrilegio che vincolava il moribondo ad un immane tormento finale. La studiosa Dolores Turchi ci riferisce infatti del:”momento in cui i parenti pensavano che il moribondo fosse incorso in qualche grave peccato che bisognava scontare con una lunga agonia alla quale solo s’accabbadora poteva por fine”. E Andrea Satta, autore del più bel saggio presente sul web sull'argomento, afferma: “la spiegazione soddisfa la premessa di una società fortemente mitica, e tradizionale, in cui il processo di avvicinamento alla morte è strutturato e cadenzato da riti riconosciuti e condivisi. Anche la presenza della donna sterminatrice doveva essere un rito, terminale, accettato dai parenti e, inconsapevolmente, anche dal moribondo...s’accabbadora giunge chiamata da un familiare, la stanza è vuota e ogni tentativo è stato fatto. La donna, per prima cosa, “raccomanda a Dio l’anima” e, usciti tutti, rimane sola. Dopo pochi minuti la donna esce e il moribondo è morto. Cosa succeda in quei pochi minuti è presunto dalle testimonianze letterarie ed etnografiche. È da supporre che un piccolo colpo alla nuca, dato da una persona esperta provocasse la morte istantanea, sia facendo battere la testa contro su juale, sia adoperando su mazzoccu...” (vedi foto sotto).

L'accabbadora è colei in grado di controllare la forza selvaggia ed incomprensibile rappresentata dalla morte, sorta di agghiacciante sacerdotessa capace con enigmatici meccanismi mentali di vivere ed esperire la morte.

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