22/01/12

Programmazione cinema febbraio 2012 SCAGLIE

Febbraio Cinema 2012 SCAGLIE
Domenica 5 Febbraio ore 21.30
Tetro
di Francis Ford Coppola (2009  USA 127’)
Il diciassettenne Bernie arriva a Buenos Aires per ritrovare suo fratello, che dieci anni prima ha abbandonato New York e la famiglia deciso a non avere più niente a che fare con suo padre Carlo, acclamato direttore d'orchestra. Bernie troverà il fratello che ora si fa chiamare Tetro ed è diventato un brillante scrittore, ma malinconico e disilluso dalla vita con un carico di ricordi amari e di fantasmi del passato.
Film sperimentale e visionario da uno dei maestri indiscussi della Settima Arte (l’autore della saga de Il Padrino e di Apocalypse Now), girato in un bianco e nero evocativo, che si riallaccia sia alla Nouvelle Vague che al cinema americano classico, richiamando Orson Welles e Powell e Pressburger.  Una storia coinvolgente, colma di suggestioni edipiche e simbolici ricordi traumatici (i flashback sono girati col colore), per un film indubbiamente autobiografico che esplora il cuore di tenebra del suo creatore. Coppola, ora stimato produttore di vino (proprio quello che illumina le cene Scaglie), ne è il regista, lo sceneggiatore e il produttore (e negli USA anche distributore)…l’ultimo dei Maverick! Uno che tiene fede alle parole di Orson Welles "Se uno vuol essere alla moda per la maggior parte della sua carriera produrrà solo opere di secondo piano. Forse riuscirà casualmente ad ottenere un successo, ma questo significa che è un gregario e non un innovatore. Un'artista deve guidare, aprire delle strade...Mi sono sempre sentito isolato...Un buon artista deve essere isolato. Se non è isolato, vuol dire che qualcosa non va...".

Domenica 12 Febbraio ore 21.30
Le Orme
di  Luigi Bazzoni & Mario Fanelli (1975 ITA 96’)
Thriller psicologico veramente originale, tratto dal romanzo Las Huellas del coregista Fanelli e impreziosito da una fotografia fantastica di Vittorio Storaro (da lì a poco farà Apocalypse Now!) che gli dona un'atmosfera misteriosa ed eterea e nobilitato da un'interpretazione stordita e stordente della Cult Queen Florinda Bolkan. La pellicola si configura come una progressiva discesa nei meandri di una mente deragliata dalla follia; ma la sceneggiatura, un vero e proprio indissolubile puzzle di realtà e immaginazione, riesce a tenere lo spaesato spettatore fino alla fine col fiato sospeso sull'evolversi degli eventi. Il memorabile incipit  seppiato di ambientazione fantascientifica vede un astronauta abbandonato sulla luna dai suoi compagni in quanto vittima di un misterioso esperimento architettato dal maligno Blackmann, interpretato da un arcigno Klaus Kinski.  Si scoprirà poi essere questo un sogno ricorrente della protagonista, collegato alla visione di un inquietante B movie di science fiction "Footprints on the Moon" (titolo poi attribuito all'estero al film stesso), visto dalla stessa alcuni anni prima. Questa scheggia impazzita nell'immaginario della donna determinerà la convinzione di essere la prossima vittima dell'organizzazione criminale capitanata da Blackmann. L'idea paranoico-ossessiva di minaccia determinerà nella protagonista un buco nella memoria di ben tre giorni e uno sdoppiamento di personalità complicato dal ripetersi di numerose allucinazioni visive. La donna, solitaria traduttrice portoghese, a causa della sua amnesia perderà il lavoro (non a caso svolto in un alienante edificio dell'Eur romano) e in preda ad atroci dubbi sulla propria realtà e identità deciderà di recarsi in un'arcana località esotica, l'immaginifica isola di Garma (in realtà l'affascinante Phaselis in Turchia), il cui hotel principale è l'unico elemento che la collega ai tre giorni persi nella memoria, grazie al ritrovamento in casa di una cartolina strappata raffigurante quest'ultimo. L'arrivo nell'isola sarà pieno di sorprese e lascerà la donna impaurita e totalmente priva di certezze, tra flashback dell'adolescenza e richiami all'altra propria identità (di nome Nicole e con parruca rossa). I parallelismi tra la sua sorte e quella dell'astronauta del sogno iniziale si faranno sempre più stringenti e l'angoscia, incrementata dalle ambigue parole di una diabolica ragazzina interpretata dall'icona Nicoletta Elmi, la porterà addirittura verso l'omicidio. Il finale spiazzante, con una fotografia virata in un folgorante blu acido, cesella alla perfezione una pellicola claustrofobica a suo modo veramente indimenticabile, che riesce a rappresentare la schizofrenia come pochi altri sono riusciti (Polanski, Nelo Risi, Altman, Cronenberg, Lynch...direi così a getto). Luigi Bazzoni VA riscoperto, il suo cinema sperimentale e ricercato lo merita.

Domenica 19 Febbraio ore 21.30
Agente Lemmy Caution, missione Alphaville
di Jean Luc Godard (1965 FRA/ITA 100’)
Uno scienziato di nome Von Braun, per mezzo di un cervellone elettronico, assoggetta ai suoi voleri gli abitanti dell’extraterrestre futuristica città di Alphaville. L’agente segreto Lemmy Caution (il magnifico Eddie Constantine) risolverà la situazione, portando poi sua figlia sulla Terra perché possa cominciare una nuova vita. Siamo nella fase migliore della carriera di Godard, quella in cui i film erano ancora comprensibili e venati da un travolgente afflato anarchico e riottoso. Il genere fantascientifico è poi rivitalizzato dallo stile visivo del regista (le suggestive riprese di Parigi sembrano veramente provenire da un altro mondo), non manca poi l’ironia a cui il protagonista Constantine si presta con coraggio, andando a fare la parodia del suo personaggio, derivante dai gialli di Peter Cheyney, che aveva avuto una certa notorietà grazie ai due film precedenti L’inesorabile detective (1962) e L’agente federale Lemmy Caution (1963). L’incursione nel futuro permette poi a Godard di criticare acutamente il presente, andando a contrapporre logica e immaginazione, controllo alienante e libertà, programmazione e istinto, morte della poesia e luce dell’intelligenza. Il titolo originale era Tarzan contro l’IBM. Cult.

Domenica 26 Febbraio ore 21.30
Torso
di Sergio Martino (1973 ITA 85’)
Precursore dello slasher americano, misconosciuto da noi, ma giustamente di culto oltreoceano, è il miglior thriller di Sergio Martino e non sfigura assolutamente coi gioiellini regalateci nel passato dall’ormai sfiatato Dario Argento. Il protagonista è il classico psicopatico folle, impotente, feticista (professore universitario) reso tale da un trauma infantile, indotto casualmente ad uccidere e poi costretto a reiterare il suo vizio e soddisfare la sua patologica necessità in preda all’odio e all’impotenza più ciechi. Quello che colpisce sono il magnifico stile di ripresa del regista, l’eccellente struttura narrativa che tiene altissimo il climax e l’atmosfera paranoica su sfondo sessuale che pervade l’intera pellicola, non guastano poi le staffilate di puro gore d’annata. Il tasso di terrore realistico è dunque ai massimi livelli, proprio come nei capisaldi americani L’ultima casa a sinistra di Wes Craven e Non aprite quella porta di Tobe Hooper.

Join the Revolution

"Se la natura ha fatto una cosa meno suscettibile di tutte le altre alla proprietà esclusiva, essa è l'azione del potere del pensiero, che chiamiamo idea, che un individuo può possedere esclusivamente solo finché la tiene per sé, ma che nel momento in cui viene divulgata, si impone come proprietà di ciascuno, e chi la riceve non se ne può più disappropriare. La sua caratteristica peculiare è inoltre che nessuno la possiede di meno, anche se tutti gli altri la possiedono interamente. Colui che riceve un'idea da me, riceve istruzioni per se stesso senza diminuire le mie; così come colui che accende la sua candela alla mia, riceve luce senza rabbuiarmi. Che le idee debbano diffondersi liberamente dall'uno all'altro, attraverso il globo, per la comune educazione morale dell'uomo, e il miglioramento della sua condizione, pare essere stato progettato con peculiarità e benevolenza dalla natura, che le ha create, così come il fuoco, con la capacità di espandersi fino a riempire tutto lo spazio, senza diminuire mai l loro densità, e così come l'aria in cui respiriamo, ci muoviamo, esistiamo come esseri fisici, impossibili da contenere o da appropriare in modo esclusivo."
(Thomas Jefferson, fondatore e terzo presidente degli Stati Uniti)

PS: Ci tengo a precisare che non ho mai utilizzato né Megavideo né Megaupload

20/01/12

Paranmanjang (Park Chan Wook)

Paranmanjang 
di Park Chan-wook (2011 Corea 33')
Il regista sud coreano Park Chan-wook, ha realizzato il suo ultimo film, "Night Fishing"(Paranmanjang in lingua originale), utilizzando unicamente dieci I-Phone di Apple, tre dei quali utilizzati da egli stesso nel corso delle riprese.
"I film che ho diretto in passato sono sempre stati meticolosamente pianificati in anticipo. Girare invece questo film è stato completamente diverso e mi ha fatto sentire libero. Alcune scene sono state riprese da angolazioni completamente differenti da quelle previste. Quando diventerò vecchio e la mia popolarità calerà sarò costretto a girare film con piccoli budget. Questa esperienza mi è servita per prepararmi in anticipo" ha dichiarato Park Chan-wook in un'intervista.
Making of:

19/01/12

P(r)o(f)etico Beat Takeshi

Profetico e Poetico Beat Takeshi

Se fai una scoreggia davanti al Primo Ministro significa soltanto che sei debole di culo, no?“
(Takeshi Kitano)

14/01/12

SQUARCIO

Squarcio

C'è una grande rassomiglianza tra l'atto d'amore e la tortura o un'operazione chirurgica.(Charles Baudelaire)

13/01/12

Own Air

www.ownair.it

Notevole e lodevole iniziativa quella di Own Air, prima piattaforma current in download tutta italiana che si propone di creare la prima realtà indipendente di distribuzione cinematografica online del panorama nostrano, sia in ambito current che library.
Lo slogan Never seen on screen riassume in maniera efficacissima l'idea alla base di Own Airdare visibilità a quelle pellicole che, per le ragioni più diverse, non trovano spazio nella distribuzione tradizionale e non sono quindi disponibili per il pubblico italiano. Direi che, negli ultimi anni, sono decine i bei film che non arrivano più sul mercato italiano. Quello della distribuzione è un annoso problema, che si sta acuendo negli ultimi anni anche a causa di leggi capestro (quelle connesse ai contributi statali), che impongono percentuali di programmazione di film europei improponibili da raggiungere per i piccoli cinema dei centri cittadini, dotati di un'unica sala. In più l'acquisto di un blockbuster di punta impone al gestore l'acquisto obbligato di un pacchetto di altri film minori (spesso insulsi) distribuiti dalla stessa casa di distribuzione e con questo subdolo meccanismo i fondi da investire per lo strangolato piccolo proprietario di saletta cinematografica si riducono drasticamente. In questo modo nel tempo si è avuta la progressiva scomparsa dalle sale cinematografiche di molti autori, anche molto apprezzati dal pubblico italiano, si pensi a Takeshi Kitano per esempio. Altro elemento disturbante é quello della previsione di vendita dei diritti televisivi, vera e propria boccata d'ossigeno per le casse dei produttori, ma evenienza che ha portato, almeno nel nostro paese, ad una bizzarra censura preventiva, alla radice, di tutti i progetti che non avessero i requisiti per una successiva distribuzione televisiva...pensare che una volta si diceva che il mondo è bello perché é vario! Dal momento che nel 2010 sono stati oltre 24 milioni gli italiani che, pur essendo appassionati, hanno disertato le sale cinematografiche, l'idea di Own Air è buona e si spera trovi un pubblico di cinefili incalliti pronti ad accoglierla. Tra le prime esclusive hanno distribuito Enter the Void di Gaspar Noé e Kaboom di Gregg Araki per cui sono decisamente vicini alla sensibilità di noi Scaglie.
Qui il catalogo online da consultare

09/01/12

Il doppio

"Si dice che tutti si abbia un se stesso rovesciato rispetto alla nostra natura e sperduto in qualche angolo del pianeta"

08/01/12

Scaglie di Spaghetti Western

"Il western di Hollywood nasce da un mito: quello italiano dal mito del mito" (A. Moravia)
Matalo 
di Cesare Canevari (1970 ITA/SPA 79')
Ecco uno spaghetti western spiazzante che affronta una storia dalle tematiche classiche, ma la arricchisce con uno stile selvaggio e sbilenco e con alcune trovate veramente singolari. Su tutte spicca il fatto che l'eroe del film, interpretato da un timido Lou Castel, per combattere in duello si serve di svolazzanti boomerang e che l'enigmatico capo dei banditi (un destabilizzante Corrado Pani) si esprime quasi sempre cinguettando come un usignolo e suona l'arpa con il suo winchester. Punto di forza del film è la colonna sonora creata da Mario Migliardi che con il suo travolgente rock psichedelico e rumorista si sposa a meraviglia con le furenti cavalcate dei banditi. Tali sequenze sono valorizzate dai vorticosi e virtuosi movimenti di macchina voluti dal regista, probabilmente vittima di un'indigestione di pelote. 
Quei disperati che puzzano di sudore e di morte
di Julio Buchs (1969 SPA/ITA 105')
Uno dei titoli più belli dell'immenso corpus dello spaghetti western, quasi una sentenza universalmente valida per i personaggi dell'intero genere. Ma anche, aggiunge Marco Giusti "un bellissimo e misconosciuto western mélo", con più di un debito nei confronti del cinema di Sam Peckinpah. A partire da Ernest Borgnine, ancora sbalestrato dalle sparatorie del Mucchio Selvaggio, qui nei panni di un malefico don Pedro che si fa in quattro per annientare il suo ex genero, accusato ingiustamente della morte della figlia, e la sua ghenga di reduci sudisti. Film senza eroi e vincitori, il destino è nelle corna di un toro dell'arena.
Il grande duello 
di Giancarlo Santi (1973 ITA/RFT/FRA 98')
"Praticamente invisibile da anni, un culto presso i fan dello spaghetti" (Marco Giusti). Santi aveva accumulato aiuto-regie di prestigio (Ferreri, Rocha, Antonioni) e una stretta affinità con Sergio Leone, che aveva progettato Giù la testa per affidare proprio a Santi la regia (ma le star del film e la Universal posero il veto). Il grande duello è uno degli esempi più riusciti di applicazione derivativa delle lezioni di regia di Leone, con Lee Van Cleef nei panni dello sceriffo che fronteggia i bastardi. Il tema musicale (di Bacalov) verrà ripreso nell'episodio manga di Kill Bill vol.1.

01/01/12

Klaus Krazy Kinski

Klaus Krazy Kinski
Omaggiamo quell'imprevedibile, ringhioso e sulfureo personaggio che è stato Klaus Kinski, capace di colpi di genio alternati a momenti di assoluta follia, penetrante e indimenticabile istrione che ha solcato i palcoscenici e le immagini in celluloide per oltre quarant'anni. Dotato di un'impressionante energia distruttrice/creatrice è stato un notevole caratterista, rigorosamente in ruoli negativi, in molto cinema di genere poliziesco (Paga o muori di Vohrer 1964 etc), spaghetti western (Per qualche dollaro in più di Sergio Leone, Quien Sabe? di Damiano Damiani, Il grande silenzio di Sergio Corbucci etc), thriller (La morte ha sorriso all'assassino di Aristide Massacesi, La bestia uccide a sangue freddo di Fernando Di Leo, Nella stretta morsa del ragno di Antonio Margheriti etc), erotico (Les Fruits de la Passion di Shuji Terayama, Madame Claude di Just Jaeckin etc) horror (Il conte Dracula di Jess Franco, Venom - La pelle di Satana di Piers Haggard etc), fantascienza (Android di Aaron Lipstadt etc); poi valorizzato dal genio di Werner Herzog, che gli ha donato personaggi eterni (Aguirre, Woyzeck, Nosferatu, Cobra Verde, Fitzcarraldo) e lo ha meravigliosamente raccontato, rendendogli finalmente giustizia, nel suo documentario Kinski, il mio nemico più caro. Si fece anche regista per lo scult Paganini, veramente indifendibile pasticcio sgangherato, sporco e forse sperimentale. Una carriera, fuori misura e fuori fuoco, cavalcata con sprezzante disprezzo, a metà strada tra la prostituzione artistica per esigenze alimentari e il lampo della grandezza assoluta. Esordì al cinema ne I morituri di Eugene York (1948) e da allora ne interpretò tanti altri, fino a collezionare oltre 150 apparizioni, sempre amando ripetere che "far cinema significa solo far soldi!". Lavorò con alcuni grandi tra cui Anatole Litvak, David Lean, Roberto Rossellini, Douglas Sirk, Billy Wilder, Sergio Leone, Andrzej Zulawski e Werner Herzog, ma anche con i super-scult Nando Cicero, Sergio Garrone, Mario Gariazzo e Augusto Caminito ed ebbe il coraggio di rifiutare ruoli per Federico Fellini, Steven Spielberg e per la mitica casa di produzione Hammer. Una vita veramente cinematografica la sua, solcata da traumi (prigionia in campo di concentramento, ricovero in età adolescenziale in manicomio), risse, orge e scellerate provocazioni ed in cui le sue interpretazioni vengono ad essere lo specchio del suo agire quotidiano. In Klaus Kinski si assiste ad un'affascinante e totale compenetrazione e simbiosi tra vita e arte e tra realtà e rappresentazione. La sua arte, certo al limite del patologico, poi, come ben ha detto Herzog, riusciva però a raggiungere la verità estatica della recitazione e questo già da solo è più che sufficiente per perdonargli le smisurate intemperanze. Da ricordare infine la sua delirante autobiografia Kinski: All I need is Love che, in preda ad un furore di purificazione gettai in un cassonetto, senza leggerla, qualche anno fa.

"Non ho interpretato un film su Hitler perchè, a parte il fatto che non penso sia molto interessante, sarei stato assai meglio di Adolf Hitler. Avrei recitato i suoi discorsi molto meglio di lui...questo è sicuro."
(Klaus Kinski)

Au Hasard Balthazar (Robert Bresson)

Au Hasard Balthazar
di Robert Bresson (1966 FRA 95')
Il film, minato da notevoli difficoltà distributive, ha richiesto un'elaborazione molto complessa: Bresson ha cercato un intervento neutro, veritiero, che riportasse sullo schermo una visione negativa, ma oggettiva del mondo. Ispirato dalla figura dell'idiota dostoevskiano, Bresson ha raggiunto questa univocità tra messaggio e mezzo, attraverso lo sguardo di un asino. Paradossalmente l'occhio di un asino può essere più obbiettivo di quello della macchina  da presa. Nello stesso tempo il film è "la storia di una ragazza che si perde" (come dice il regista) e dell'umanità che le si muove intorno: personaggi tutti privi di spessore esistenziale, drammaturgico, esistenti solo come segno individuale. Balthazar osserva silenziosamente un mondo senza grazia. L'uso frequente di una dissolvenza incrociata dà l'idea di tempo continuato, raccontato, ipotattico. Da questo andamento procede un film agiografico o drammatico-sociale, a seconda che lo si guardi dal punto di vista di Balthazar o di Maria. Au Hasard Balthazar porta il realismo ai suoi estremi, con richiami iconografici al Vecchio Testamento (Bruno Venturi).
Estratto da conversazione tra Robert Bresson, Jean Luc Godard e Michel Delahaye:
Ho l'impressione che il film Au Hasard Balthazar risponda a una sua antica esigenza, a qualcosa cui pensava da almeno 15 anni. Questo perché tutti i film da lei realizzati precedentemente sembrano realizzati in attesa di questo, come se lo preannunciassero, costituendone dei frammenti.
Vi pensavo da molto tempo senza lavorarvi, vale a dire che vi lavoravo a sbalzi ed era molto duro perché mi stancavo subito. Era duro anche dal punto di vista della costruzione. Non volevo fare un film ad episodi, ma mi interessava che l'asino incontrasse un certo numero di gruppi umani che rappresentassero i vizi dell'umanità. Era dunque necessario che questi gruppi si intersecassero gli uni con gli altri. Era pure necessario, dato che la vita di un asino è molto placida e monotona, trovare un modo drammatico. Pensai a una ragazza. A una ragazza perduta o meglio sul punto di perdersi.
Nello scegliere questo personaggio, pensava ad altri personaggi dei suoi film? Perché nel vedere oggi Balthazar, si ha l'impressione che abbia attraversato anche gli altri suoi film. Voglio dire che con lui si incontra anche il Pickpoket e Chantal ed è proprio per questo che fa sentire il film come il più completo, il film totale, sia per se stesso che in rapporto a lei. Ha anche lei questa impressione?
Non l'avevo mentre facevo il film, ma in effetti vi pensavo da dieci o dodici anni. Non in modo continuo. Vi erano dei periodi di calma, nei quali non pensavo affatto, che potevano durare due o tre anni. Questo film l'ho iniziato, lasciato, ripreso...In alcuni momenti lo trovavo difficile e pensavo che non l'avrei mai realizzato. Lei ha quindi ragione di pensare che vi ho riflettuto a lungo. Ed è possibile che vi si trovi quello che c'era o doveva esserci in altri miei film. Mi sembra che sia il mio film più libero, quello in cui ho messo più di me stesso. E' molto difficile di solito mettere qualcosa di se stessi in un film che deve essere accettato da un produttore. Ma penso che sia logico, direi anche pensabile che i film che facciamo risentano in qualche modo delle nostre esperienze. Voglio dire che non solo delle mise en scène, è l'esecuzione di una sceneggiatura (o di un soggetto). Un film per me non deve essere l'esecuzione di una sceneggiatura pura e semplice, anche se è dello stesso regista, meno ancora se è di un altro.
Una volta, mentre girava un film, mi ha detto "E' troppo difficile, sono sul punto di improvvisare". Che cosa voleva dire?
Per me l'improvvisazione è alla base della creazione del cinema. Ma è certo che per un lavoro, specie se è complesso, è necessario avere una base solida. Per poter modificare una cosa, è necessario che in partenza questa cosa sia assolutamente chiara e definita. Perché se il regista ha non solo una visione assolutamente chiara delle cose ma anche definita per iscritto, rischia di perdersi. Si rischia di perdersi in un labirinto di dati estremamente complessi. Al contrario ci si sente molto più liberi nei confronti della sostanza stessa del film quanto più rigidamente si è proceduto a definire ed a limitare questa sostanza.
Mi sembra che si possa dire che in questo film, per la prima volta, lei racconta o inventa più cose insieme (non lo dico in senso spregiativo); fino ad ora (come in Pickpoket per esempio) era come se cercasse o seguisse un filo unico, come se esplorasse un solo filone. In Balthazar vi sono più filoni presenti insieme.
In effetti la mia linea dei miei film precedenti era molto semplice, evidente, mentre in Balthazar convergono più elementi o filoni. Ed è stato proprio il contatto tra questi vari elementi, contatti anche fortuiti, che hanno prodotto la creazione e nello stesso tempo mi hanno spinto a mettere forse inconsciamente in questo film tanta parte di me. Io credo nel lavoro intuitivo, ma a patto che sia preceduto da una lunga riflessione, e particolarmente da una riflessione sulla costruzione.