Au Hasard Balthazar
di Robert Bresson (1966 FRA 95')
Il film, minato da notevoli difficoltà distributive, ha richiesto un'elaborazione molto complessa: Bresson ha cercato un intervento neutro, veritiero, che riportasse sullo schermo una visione negativa, ma oggettiva del mondo. Ispirato dalla figura dell'idiota dostoevskiano, Bresson ha raggiunto questa univocità tra messaggio e mezzo, attraverso lo sguardo di un asino. Paradossalmente l'occhio di un asino può essere più obbiettivo di quello della macchina da presa. Nello stesso tempo il film è "la storia di una ragazza che si perde" (come dice il regista) e dell'umanità che le si muove intorno: personaggi tutti privi di spessore esistenziale, drammaturgico, esistenti solo come segno individuale. Balthazar osserva silenziosamente un mondo senza grazia. L'uso frequente di una dissolvenza incrociata dà l'idea di tempo continuato, raccontato, ipotattico. Da questo andamento procede un film agiografico o drammatico-sociale, a seconda che lo si guardi dal punto di vista di Balthazar o di Maria. Au Hasard Balthazar porta il realismo ai suoi estremi, con richiami iconografici al Vecchio Testamento (Bruno Venturi).
Estratto da conversazione tra Robert Bresson, Jean Luc Godard e Michel Delahaye:
Ho l'impressione che il film Au Hasard Balthazar risponda a una sua antica esigenza, a qualcosa cui pensava da almeno 15 anni. Questo perché tutti i film da lei realizzati precedentemente sembrano realizzati in attesa di questo, come se lo preannunciassero, costituendone dei frammenti.
Vi pensavo da molto tempo senza lavorarvi, vale a dire che vi lavoravo a sbalzi ed era molto duro perché mi stancavo subito. Era duro anche dal punto di vista della costruzione. Non volevo fare un film ad episodi, ma mi interessava che l'asino incontrasse un certo numero di gruppi umani che rappresentassero i vizi dell'umanità. Era dunque necessario che questi gruppi si intersecassero gli uni con gli altri. Era pure necessario, dato che la vita di un asino è molto placida e monotona, trovare un modo drammatico. Pensai a una ragazza. A una ragazza perduta o meglio sul punto di perdersi.
Nello scegliere questo personaggio, pensava ad altri personaggi dei suoi film? Perché nel vedere oggi Balthazar, si ha l'impressione che abbia attraversato anche gli altri suoi film. Voglio dire che con lui si incontra anche il Pickpoket e Chantal ed è proprio per questo che fa sentire il film come il più completo, il film totale, sia per se stesso che in rapporto a lei. Ha anche lei questa impressione?
Non l'avevo mentre facevo il film, ma in effetti vi pensavo da dieci o dodici anni. Non in modo continuo. Vi erano dei periodi di calma, nei quali non pensavo affatto, che potevano durare due o tre anni. Questo film l'ho iniziato, lasciato, ripreso...In alcuni momenti lo trovavo difficile e pensavo che non l'avrei mai realizzato. Lei ha quindi ragione di pensare che vi ho riflettuto a lungo. Ed è possibile che vi si trovi quello che c'era o doveva esserci in altri miei film. Mi sembra che sia il mio film più libero, quello in cui ho messo più di me stesso. E' molto difficile di solito mettere qualcosa di se stessi in un film che deve essere accettato da un produttore. Ma penso che sia logico, direi anche pensabile che i film che facciamo risentano in qualche modo delle nostre esperienze. Voglio dire che non solo delle mise en scène, è l'esecuzione di una sceneggiatura (o di un soggetto). Un film per me non deve essere l'esecuzione di una sceneggiatura pura e semplice, anche se è dello stesso regista, meno ancora se è di un altro.
Una volta, mentre girava un film, mi ha detto "E' troppo difficile, sono sul punto di improvvisare". Che cosa voleva dire?
Per me l'improvvisazione è alla base della creazione del cinema. Ma è certo che per un lavoro, specie se è complesso, è necessario avere una base solida. Per poter modificare una cosa, è necessario che in partenza questa cosa sia assolutamente chiara e definita. Perché se il regista ha non solo una visione assolutamente chiara delle cose ma anche definita per iscritto, rischia di perdersi. Si rischia di perdersi in un labirinto di dati estremamente complessi. Al contrario ci si sente molto più liberi nei confronti della sostanza stessa del film quanto più rigidamente si è proceduto a definire ed a limitare questa sostanza.
Mi sembra che si possa dire che in questo film, per la prima volta, lei racconta o inventa più cose insieme (non lo dico in senso spregiativo); fino ad ora (come in Pickpoket per esempio) era come se cercasse o seguisse un filo unico, come se esplorasse un solo filone. In Balthazar vi sono più filoni presenti insieme.
In effetti la mia linea dei miei film precedenti era molto semplice, evidente, mentre in Balthazar convergono più elementi o filoni. Ed è stato proprio il contatto tra questi vari elementi, contatti anche fortuiti, che hanno prodotto la creazione e nello stesso tempo mi hanno spinto a mettere forse inconsciamente in questo film tanta parte di me. Io credo nel lavoro intuitivo, ma a patto che sia preceduto da una lunga riflessione, e particolarmente da una riflessione sulla costruzione.
Buon Natale a tutti i lettori del blog!
18 ore fa
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