L'occhio selvaggio
di Paolo Cavara
(1967 ITA 97')
con Philippe Leroy, Delia Boccardo,
Gabriele Tinti, Luciana Angelillo, Lars Bloch
Film d'esordio di Paolo Cavara, in precedenza co-regista con Gualtiero Jacopetti di "Mondo Cane" e "La donna nel mondo", sceneggiato niente meno che da Alberto Moravia e Tonino Guerra.
Film di culto del cinema italiano di genere, opera complessa che dice cose non banali sulla attuale società di massa, non dimentichiamo che il film è datato 1967, sulla rappresentazione della violenza nei mass-media e sul dualismo realtà/finzione.
Il protagonista è un film-maker documentarista Paolo (un efficace Leroy), che viaggia per gli anfratti sperduti del pianeta alla ricerca di scene sensazionalistiche, il suo cinismo non arretra di fronte a nulla pur di ultimare il proprio attesissimo documentario-shock e quando la realtà è deludente in tal senso non esita a creare lui artificiosamente tali situazioni shock: organizza diabolicamente di rimanere senza nafta in un deserto pur di riprendere l'odissea a piedi dei membri della sua troupe, assetati e arsi dal sole; prova a corrompere un bonzo, invocando anche motivi politici, per farlo suicidare bruciato vivo in modo da riprenderlo con la telecamera (ricordando la famigerata sequenza di "Mondo Cane 2"); organizza un falso attentato dinamitardo pur di filmare le vittime dell'esplosione in diretta; obbliga un sultano a cibarsi di farfalle; arriva a far spostare un vietcong condannato alla fucilazione da un muro scuro a un muro bianco perchè il contrasto dell'immagine filmata risulta migliore (episodio quest'ultimo che riprende quello analogo riguardante Jacopetti, raccontato pochi anni prima da Carlo Gregoretti sulle pagine de "L'Espresso" a proposito del film "Africa Addio").
Ma il regista, per quanto al limite dell'umano, ha estrema consapevolezza di sé e una rigorosa coerenza teorica e quando cade in mano ai vietcong, selvaggiamente picchiato e torturato perchè trovato in possesso di un'arma, la prima cosa che chiede al suo operatore, pur salvo per miracolo, è se ha filmato il suo pestaggio...così come nel memorabile finale da brividi, reso con un ottimo montaggio alternato, dove la morte accidentale della sua compagna lo porta, eternamente dannato, a sollecitare il suo operatore a filmare il suo intimo e infinito dolore mentre culla tra le braccia il corpo esanime dell'amata.
Il territorio speculativo del film è lo stesso che porta tuttora gli automobilisti a frenare passando di fianco agli incidenti stradali, un lato oscuro e ambiguo della natura umana (ma le file che si formano dall'altro lato dell'autostrada o l'accorrere della gente in prossimità delle vittime, spesso solo per vedere, non lasciano adito a dubbi riguardo alla sua esistenza).
La riflessione è anche sulle dinamiche psicologiche dello spettatore ("il pubblico è al tempo stesso masochista e sadico...una donna con un fucile eccita il suo masochismo, e la stessa donna disarmata e indifesa, il suo sadismo"), ricordiamo che la realtà supera di gran lunga la fantasia e attualmente i reality show negli States arrivano a mettere in competizione varie coppie senza figli per il premio finale del sadico gioco dato dall'adozione di un bambino.
Il film di Cavara è quindi ferocemente autocritico, in alcune parti addirittura intriso di poesia (come la sequenza del sultano circondato da centinaia e centinaia di farfalle) e macabro umorismo satirico (l'estremismo del personsggio di Leroy nel ricercare lo choc a tutti i costi)...il messaggio è chiaro: l'Occidente è arrivato a termine corsa, tutto è stato mercificato...una società che è come l'uomo che cade da un palazzo di 50 piani; mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro il tizio per farsi coraggio si ripete "fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene...". Il problema però non è la caduta. Ma l’atterraggio.
"Non ci sono buoni o cattivi film, ci sono quei 50 metri di un film che eccitano il pubblico e gli fanno dimenticare gli altri 2000 metri di noia"
(dalle parole di Philippe Leroy ne "L'occhio selvaggio")
11/11/07
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