06/11/07

Novembre al Clan Destino


Martedì 6 ore 21.30
The Honeymoon Killers
di Leonard Kastle (1970 USA 108’)

Domenica 11 ore 21.30
The Bench
di Per Fly (2000 DAN/SVE 93’)
Mentre il cinema italiano annaspa e ha spesso difficoltà nell’interpretare il mondo contemporaneo, il cinema danese non finisce mai di sorprenderci (peccato che da noi ormai non vengano distribuiti che pochi titoli) e con Per Fly, Susanne Bier e Anders Thomas Jensen (oltre ovviamente al nucleo storico del Dogma) sforna gioielli preziosi a raffica. Questo “The Bench” è il primo capitolo della trilogia del regista di indagine sulla società danese continuata poi brillantemente con “L’eredità” e “Gli innocenti”. E’ la storia di un uomo che vive la propria quotidianità ubriacandosi con un suo amico nella periferia di Copenaghen e passando il tempo su di una panchina. Questa routine si interrompe quando l’uomo scopre che la giovane donna che sta traslocando nel palazzo di fronte è sua figlia Liv che non vede da 19 anni... I peccati non si scontano in chiesa, ma nelle case e per le strade.

Martedì 13 ore 21.30
Haze
di Shinya Tsukamoto (2005 GIAP 49’)
Il visionario regista di Tetsuo continua nella sua costruzione di unicum filmico. Tutti i suoi film sono in realtà tasselli di un mosaico in continuo divenire che ha il suo fulcro nel rapporto tra il corpo umano fatto di carne e sangue e il corpo della metropoli fatto di cemento e acciaio.
In Haze, un uomo (come al solito interpretato dallo stesso Tsukamoto) si ritrova in uno spazio angusto (potrebbe essere un’intercapedine muraria o una canna fumaria o l’intera struttura interna di una casa) senza sapere come ci sia arrivato. Le ipotesi sono tante: potrebbe essere prigioniero di una setta, di un gruppo di terroristi, di un ricco e folle pervertito; potrebbe essere prigioniero di sé stesso e del suo spazio interiore. L’unica certezza è che deve in qualsiasi modo riuscire a fuggire da questo claustrofobico labirinto pieno di mortali pericoli. Una metafora? Tsukamoto crea il suo primo piccolo capolavoro in digitale.

a seguire
Nightmare Detective
di Shinya Tsukamoto (2006 GIAP 106’)
Una detective, Keiko Kirishima, s'imbatte in due misteriosi suicidi. Sembra che i due incidenti siano connessi al fatto che le vittime abbiano composto con il loro telefono cellulare il numero "0" poco prima di morire. Keiko trova alcune informazioni riguardanti un uomo soprannominato "Nightmare Detective" che ha la capacità di entrare dentro i sogni.
Claustrofobico, ossessionato: il film è un tormentato racconto sugli incubi, sulla lotta fra razionalità ed inconscio. Il regista riesce a scandagliare le profondità più recondite dell’incubo, solleticando gli aspetti più morbosi e devastanti presenti in ciascun essere umano. Il film diventa quindi la dolorosa e pulsante ferita di una realtà abituata a dipanarsi nelle oscurità notturne della nostra irrazionalità, pronta però a farsi avanti e a ridurre in brandelli l’equilibrio psicologico umano.

Domenica 18 ore 21.30
Beyond the valley of the dolls
di Russ Meyer (1970 USA 109’)
Cinque anni prima di Rocky Horror Picture Show, Russ Meyer precorre le mode e i tempi e grazie alla sua fervida inventiva crea questo divertentissimo capolavoro, che negli anni si è guadagnato un grandissimo seguito di estimatori per il suo singolare mix di pop music, spirito camp ed exploitation. Scritto a quattro mani da Meyer con il mitico critico cinematografico Roger Ebert è contemporaneamente una satira, un melodramma, un musical rock, una commedia, un film di cassetta a forte impatto, un soft-core ed un film di denuncia. Indimenticabile John La Zar nei panni di Z-Man alter ego del Frank’n Furter di Rocky Horror. Da urlo! It’s my happening and it freaks me out!

Martedì 20 ore 21.30
Oïo
di Simon Goulet (2003 CAN 10’)
Oïo è un’esperienza unica dove la pittura e il mezzo cinematografico creano un dipinto in movimento: un video-dipinto. Schizzi di vernice nell’aria diventano percettibili all’occhio umano attraverso lo sguardo veloce della telecamera e del computer. Un elaborato congegno tecnico che permette a Goulet di creare un’opera unica e acclamata in tutto il mondo. “La sua straordinaria inventiva tecnica ci porta, attraverso immagini e musica, in un emozionante viaggio attraverso la creatività”. 540 litri di vernice, 56 colori, 7000 metri di pellicola, 33000 immagini digitalizzate 360 frames x secondo.

a seguire
Film di Samuel Beckett
di Alain Schneider (1965 USA 20’)
Nel 1965 Samuel Beckett scrive e realizza, per la regia di Alan Scheneider, un cortometraggio di 22 minuti intitolato Film. Sarà il suo unico lavoro cinematografico. Girato in bianco e nero con la fotografia di Boris Kaufman, il film si impone allo sguardo dello spettatore scegliendo come canale comunicativo privilegiato quello visivo. Film è infatti muto e non ha colonna sonora, né presenta suono in presa diretta. Protagonista è un attore-regista simbolo di Hollywood, quel Buster Keaton che ha fatto della sua immagine la primaria caratteristica della sua celebrità.
Il film rappresenta la cifra del pensiero beckettiano sul tema dello sguardo e del valore simbolico del riflettersi. Connesso allo sguardo e richiamato continuamente, è il tema dell’oblio, della perdita della memoria, del non riconoscimento della propria identità, o meglio, del tentativo estremo, definitivo di negare il proprio sé, di negar-si, fino a scomparire. Una ricerca – straziante, disperata, angosciosa – dell’annullamento di sé. E, pensandoci, non è un caso che Beckett abbia scelto proprio Buster Keaton…

a seguire
Les Maitres fous
di Jean Rouch (1954 FRA 36’)
Sconvolgente documentario etnografico del maestro Rouch, Les maitres fous è uno studio sui riti religiosi adottati da certe comunità negre trapiantate nelle grandi città dell’Africa europeizzata.
La sua influenza è stata rivendicata da uomini di teatro come J. Genet, che ci si è ispirato per i suoi drammi Les Bonnes e Les Nègres, e come Peter Brook, che si è servito di questo esempio per mostrare ai suoi attori cosa può essere l’esplosione dell’irrazionale nel corpo dell’uomo.
Il culto ha in comune con molti altri culti africani il fatto di essere essenzialmente costituito di danze di possessione durante le quali, progressivamente, i partecipanti entrano in un’altra dimensione, in una sorta di trance in cui il soggetto si presume sia posseduto dalle divinità o dallo spirito invocato. Il giorno dopo Jean Rouch ritroverà i posseduti di ieri distesi e tranquilli sull’abituale luogo di lavoro.

a seguire
The House is Black
di Forugh Farrokhzad (1963 Iran 20’)
Il film si apre con l’immagine di una donna dal volto semicoperto che si guarda allo specchio. Una voce fuori campo commenta: «Il mondo non difetta certo di brutture, se l’uomo distogliesse da loro lo sguardo ce ne sarebbero certo di più». Nel lebbrosario di Bababaghi a Tabriz, vive in completo isolamento una comunità di uomini e donne di ogni età impegnati nelle loro quotidiane faccende: il documentario svela l’umanità degli internati mediante scene di vita scolastica, giochi infantili e scambi di sguardi, testimoniando di una lotta per una vita dignitosa in una realtà di grande sofferenza. Alla voce della poetessa si alternano le voci dei protagonisti ed il lamentoso mormorio di preghiere in cui si ringrazia un dio che perpetua il dono della vita. Sottottitoli in inglese.

Domenica 25 ore 21.30
Omaggio a Damiano Damiani
Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica
di Damiano Damiani (1971 ITA 101’)
Sentito omaggio ad un grande dimenticato del nostro cinema. Un commissario siciliano deciso a farsi giustizia da sé si scontra con un procuratore rispettoso della lettera della legge. Un film corraggioso e impegnato degli anni Settanta sulla scia di Rosi e Petri che innesta ritmi da poliziesco su contenuti civili in modo efficace. Chi racconta così l’Italia di oggi?

Martedì 27 ore 21.30
Bukowski - Born into this
di John Dullaghan (2003 USA 113’)
Documentario su Bukowski, l’uomo dei bassifondi, dei vicoli ciechi, bar-fly, la cui perifericità, la cui marginalità, la cui asocialità, paradossalmente lo connotano come sguardo privilegiato sul mondo- e sulla condizione dell’essere umano nel mondo-, elemento critico centrale della modernità, americana e non. Questo documentario ne rinsalda il mito, attraverso una fitta rete di interviste e testimonianze di conoscenti e amici (alcuni celebri come Sean Penn), editori, ammiratori e fan d’eccezione come Bono o Tom Waits, compagne di letto, di sbronze o di vita, oltre che, ovviamente, dello stesso Bukowski.

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