di John Cassavetes (1960 USA 87')
"Quando faccio un film mi interesso più alla gente che lavora con me che non al film in sé, al cinema...Per me la realizzazione di un film è qualcosa che coinvolge tutti coloro che vi partecipano..."
(John Cassavetes)
Esiste una prima versione di Shadows in 16mm, quella che ha affascinato il N.A.C., movimento cinematografico underground nato alla fine degli anni Cinquanta. Cassavetes ha ripudiato questa prima versione, peraltro oggi introvabile, dichiarandosi soddisfatto della seconda versione, più breve e in 35mm. Ed è proprio dopo questa scelta, che i filmakers underground, di natura prevalentemente pseudo-formalista, ne prendono le distanze, discriminando questa seconda versione, definita biecamente commerciale. Cassavetes, così facendo e pur essendo lui stesso un autore indipendente, prende le distanze con il mondo intellettuale del N.A.C. e con la cultura beat che lo suffraga, rifiuta la loro svolta verso un cinema onirico del subconscio e inventa il suo cinema fatto di storie reali prese dal quotidiano con una forte impronta di ricerca umanistica, che concretizzerà col suo cinema a seguire con opere profonde e radicali come Faces, Mariti, Una moglie; pellicole che riguardano l'uomo comune e sono dunque film per tutti. Shadows è comunque un cult-movie, manifesto del New American Cinema, che tratteggia una nuova strada: quella dell'improvvisazione come tecnica, cinepresa in spalla sui marciapiedi nell'atmosfera grigio sfuocata di New York, con sottofondo il jazz lancinante di Mingus. Questa idea di cinema illuminerà non solo i movie brats francesi della Nouvelle Vague, ma anche un giovanissimo Martin Scorsese, Shadows all'epoca di uscita fulminò il pubblico di mezzo mondo con la sua irruenza, dimostrazione di una terza via tra la regola hollywoodiana e la sua inversione nell'underground newyorchese. La trama si sviluppa nei difficili rapporti tra tre ragazzi di colore, dove la sorella si innamora di un ragazzo bianco, qui si identifica il piccolo dramma razzial-borghese. Nel film, prodotto dall'amico Seymour Cassel, il cast fu completato tramite la pubblicazione di un annuncio giornalistico ed i finanziamenti che mancavano arrivarono grazie ad un appello radiofonico. Per finire le parole di Pitassio "Sin da Shadows è un urgente necessità a originare il cinema di Cassavetes. Cos'altro potrebbe spingere un attore trentenne di sicuro successo, reduce da ruoli di primo piano, a mandare all'aria la propria carriera e mettersi a fare una colletta per girare un'opera da regista?...scarti improvvisi nella narrazione, montaggio discontinuo e poco curante delle fratture nella grandezza dei piani, scavalcamenti di campo; e ancora, interpreti non professionisti, totale disprezzo per la centratura dell'attore in piano americano...in effetti Shadows e i film che gli fecero seguito sono talmente dominati da questa urgenza espressiva da produrre continue lacerazioni nel tessuto narrativo, e mostrarne così la trama...ma quest'energia muove da un presupposto: l'affetto, portato ai propri personaggi. Il cinema di Cassavetes è un atto d'amore: verso i propri attori e verso i loro ruoli, ancor prima che nei confronti del cinema. Atto di passione che incurva la rappresentazione e la forma su un corpo amato...ma per fare questo erano necessari nuovi corpi e nuovi attori...i nuovi attori Cassavetes li trova accanto a sé, in quella specie di famiglia allargata che erano le sue equipe, in cui familiarità e professionalità si confondevano. Né ammazzzatoi, né belve umane, il cinema di Cassavetes è un album di famiglia, con il carico di dolori che contiene...Dove risiede l'indipendenza di Cassavetes? forse in quello strabismo che fonda il suo cinema, come si dice di qualcuno che è strabico quando sembra guardare da un lato, ma in realtà vede qualcos'altro. Edè il solo a saperlo."
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