di Richard C. Sarafian (1971 USA/UK 99')
Un certo Kovalski, ex combattente decorato al valore militare, ex agente di polizia, ex corridore automobilistico, diventato hippy a tutti gli effetti, scommette con il suo fornitore di droga di percorrere in un certo numero di ore la distanza tra Denver in Colorado e San Francisco in California. Perché? Non c’è perché, è una sfida ai limiti naturali (del corpo e della macchina) e sociali (le norme stradali) in nome della più assoluta e anarchica delle libertà. Kovalski sale dunque sopra un’automobile di tipo commerciale ma con il motore truccato e si slancia nella sua corsa verso l’ovest sui rettifili interminabili e attraverso le steppe e i deserti del Colorado, del Nevada e della California. Naturalmente la polizia gli dà la caccia. Ben presto l’ansia di velocità di Kovalski e la volontà della polizia di far rispettare le norme del codice stradale, acquistano un significato simbolico. Alla trasformazione della gara di velocità tra polizia e Kovalski, in una lotta ideologica tra repressione e liberazione, contribuisce soprattutto un cantante cieco, negro, impiegato nell’ufficio telegrafico di una sperduta località del deserto, il quale interviene nelle trasmissioni radio con esaltazioni e incitamenti a Kovalski e irrisioni e biasimi alla polizia. Per il negro isolato nel suo villaggio e rinchiuso nella sua cecità, Kovalski è l’ultima incarnazione dell’individualismo americano, l’ultima personificazione della gloriosa e cavalleresca corsa dei pionieri verso l’ovest. Così attraverso i mass-media il nome di Kovalski diventa tutt’a un tratto popolare, riempie gli spazi con la radio, le testate dei giornali con i titoli. Intanto Kovalski continua a correre a perdifiato attraverso i deserti dell’America, “seminando” le motociclette e le automobili della polizia con le più spericolate acrobazie automobilistiche. Dopo avere fatto uscire di strada e rovesciare nel polverone molti degli inseguitori, Kovalski si getta nel deserto. Strano deserto degli anni settanta. Vi si aggirano falsi pellerossa drogati, banditi di strada, ragazze nude in motocicletta, cacciatori di serpenti, comunità hippy mistiche e promiscue. La polizia caccia invano Kovalski; imbestialiti i poliziotti se la prendono con il cantante cieco, invadono l’ufficio telegrafico, riempiono di botte l’esaltatore del corridore solitario. Ma l’avventura di Kovalski volge alla fine. Sembrerebbe che debba concludersi nella maniera tradizionale, con la celebrità e l’offerta di un grosso assegno da parte di una fabbrica di automobili. Cioè con l’integrazione del ribelle nella vorace società americana. Ma non è così. La corsa di Kovalski non è verso l’integrazione ma verso la morte. In California, Kovalski si uccide gettandosi di sua volontà contro lo sbarramento della polizia. Questo Punto zero di Richard Sarafian (di cui abbiamo recensito una settimana fa un altro notevole film Frammenti di paura) sta tra Easy Rider di cui riprende il motivo della corsa attraverso l’America e Zabriskie Point di cui sembra ripetere lo schema della lotta impari tra establishment e controcultura. Ma è superiore al primo per il virtuosismo tecnico della corsa e per la sensibilità paesaggistica. E regge il confronto con il secondo, sia perché Barry Newman nella parte di Kovalski è di tanto superiore a Mark Frechette, l’eroe di Antonioni; sia perché l’invenzione straordinaria del cantante cieco negro vale almeno quanto quella dell’amore nella Valle della Morte nel film del regista italiano. Ma Sarafian, come tutti gli artisti che portano a perfezionamento le scoperte altrui, mentre evita le sbavature proprie di ogni novità, sfiora pericolosamente la maniera, senza peraltro caderci, grazie anche alla sincera simpatia che anima il suo film. Punto zero d’altronde, appunto perché viene dopo Zabriskie Point, ne conferma la legittimità e l’acutezza. Punto zero contiene l’epicedio della cosiddetta generazione dei fiori, cioè del movimento hippy. Al contrario dei movimenti politico-sociali, la rivolta hippy si rivela in questo film fine a se stessa, ossia fatalmente portata all’autodistruzione. Forse per questo il suicidio di Kovalski, presentato come un’affermazione “positiva”, sembra meno convincente della conclusione atomica di Antonioni.
(Alberto Moravia da Al cinema, Bompiani, Milano, 1975)
(Alberto Moravia da Al cinema, Bompiani, Milano, 1975)
Troppo bella la recensione di Moravia per non postarla ed è un film a cui teniamo molto come Scaglie, uno dei primi che proiettammo nel 1996. Con questo film inauguro una nuova sezione del blog "Magnifica Ossessione" in cui darò spazio a straordinarie recensioni su film che mi fa piacere che siano presenti sul blog, ma di cui al momento non ho voglia di scrivere in prima persona.
Una curiosità: una versione alternativa del film include spezzoni del film girati di notte in cui compare una giovanissima Charlotte Rampling nel ruolo di un'autostoppista; lo spezzone colma il vuoto tra la sera in cui Kowalski è inseguito attraverso il confine tra California e Nevada, e la mattina successiva, quando muore a Cisco. La versione statunitense corrente del DVD di Punto zero include sia la versione originale che la versione alternativa. La vettura del film è una Dodge Challenger R/T bianca del 1970 con un motore 440/375 HP.
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