30/10/07

Chappaqua

Chappaqua
di Conrad Rooks
(1966 USA 92')
con Conrad Rooks, Jean Louis Barrault, Ravi Shankar, Allen Ginsberg, Ornette Coleman, William S. Burroughs

Prodotto, diretto e interpretato da un ricco bizzarro (Conrad Rooks, autore tra l'altro anche di una versione cinematografica di Siddharta), l'energia espressiva del film deriva soprattutto dalla straordinaria fotografia di Robert Frank, svizzero emigrato poco più che ventenne in America, nel 1947, dove è diventato un ricercato fotoreporter e considerato uno dei maestri della fotografia contemporanea. Autore di film ispirati dalla Beat Generation, si ricordi "Pull my daisy" del 1959, in cui si vedevano Ginsberg, Gregory Corso e Peter Orlowsky e altri che sbeffeggiavano un prete venuto a redimere un ex drogato, e poi sparivano sghignazzando su per una scala.
"Chappaqua" è la storia autobiografica di un drogato che cerca di disintossicarsi a Parigi: "un film allucinato, lacerante, e insieme tenero e seducente. Chappaqua, in realtà, non è altro che un fantasma interiore, un mito privato di quest'uomo, che finisce per rovesciarsi all'esterno, illuminando l'immagine di una civiltà occidentale avvelenata dalle proprie droghe".
Visioni psichedeliche e miti della beat generation in un film angosciante, onirico, delirante, da vivere come un viaggio lisergico. Da ricordare Ginsberg che si fa riprendere a Central Park con il cappello a cilindro stile Zio Sam (su cui campeggia "I want you for U.S. Army"), mentre intona un mantra accompagnandosi con un cimbali.
Naturale la presenza del guru beat, William Burroughs. La splendida colonna sonora di Ornette Coleman non fu utilizzata nel montaggio definitivo e rimpiazzata da quella di Shankar.
Cinema al limite, senza barriere. O prendere o lasciare.

"Liberate tutti i prigionieri, teste di cazzo, e liberate voi con loro."
(Taylor Mead 1968)

"Lunedì nulla, martedì nulla, mercoledì e giovedì nulla, venerdì per cambiare ancora un po' di nulla, sabato di nuovo nulla, domenica nulla, nulla, nulla."
(Ed Sanders 1965)

"Accetto d'essere perduto per sempre. Ogni cosa m'appartiene perché sono povero."
(Jack Kerouac 1960)

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