Ordet
di Carl Theodor Dreyer (1955 DAN 126')
"La nuova scienza dischiusa dalla teoria della relatività di Einstein aveva mostrato che oltre al mondo tridimensionale che noi avvertiamo con i nostri sensi esistono una quarta dimensione (quella del tempo) e una quinta (quella della psiche). E' stato anche dimostrato che è possibile vivere avvenimenti non ancora accaduti. Le nuove prospettive che da tante parti si aprono alla nostra conoscenza ci fanno intravedere legami profondi tra scienze esatte e religioni intuitive. Le nuove scoperte scientifiche ci permettono una più intima comprensione del divino e sono già quasi in grado di dare una spiegazione a certi fenomeni soprannaturali"
(Carl Theodor Dreyer)
Ed infatti le scoperte di Carl Gustav Jung sulla sincronicità vengono a dare un notevole supporto alle parole di Dreyer: "a differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell'inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spazio-temporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l'inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e conoscere eventi paralleli". Per Dreyer "la missione è quella di attingere alle segrete radici del subconscio per fissare intuitivamente la verità poetica del presente".
La trama: in una parrocchia dello Yutland in un tempo imprecisato, Morten, il grundtvigiano patriarca della benestante famiglia Borgen, vive un momento di crisi profonda nel suo rapporto con Dio ("oggi i miracoli non succedono più"): il primo figlio Mikkel non crede, il secondo, Johannes di 27 anni, studente della teologia di Kierkegaard, è in preda ormai da tempo a turbe mistiche che lo portano a predicare come fosse una reincarnazione di Gesù di Nazareth e viene considerato impazzito per il troppo impegno. Mentre il terzo figlio, Anders, è pronto a sposarsi con una ragazza che è figlia del più fervente sostenitore della confessione a lui avversa, la “Indremission”. A dispensare la necessaria tranquillità nella fattoria Borgen c’è la premurosa Inger, moglie di Mikkel, madre di due bambine ed incinta di quel maschietto che Morten ha tanto chiesto al Signore. Proprio mentre Morten ha una violenta lite col padre della promessa sposa di Anders, Inger partorisce il bimbo morto e, dopo qualche ora di agonia, muore anche lei. La tragedia colpisce personalmente la coscienza di ognuno e i due patriarchi si riappacificano (seguendo l’evangelico “porgi l’altra guancia”), concedendo il permesso ai due giovani di sposarsi. Morta Inger (e Johannes aveva presagito un cadavere in casa e preannunciato "Inger tu dovrai marcire perché il mondo è marcio"), la figlioletta Maren di otto anni, prega Johannes di riportare in vita la madre, com’egli in precedenza le aveva promesso. La candida fede della bambina permette all’uomo, nel frattempo rinsavito, di realizzare il miracolo della resurrezione. Soltanto il folle Johannes e la bambina credono nel meraviglioso e soltanto grazie alla loro pura fede, attraverso misteriosi percorsi, il meraviglioso può diventare realtà. Su tutto emerge la necessità di pregare con fede e di continuare a pregare il Signore anche se sembra che questi non ci stia dando ascolto.
Ordet, Leone d'oro a Venezia tratto da una piece di Kaj Munk del 1932, è un'opera di autentica poesia incentrata sulla morte e la speranza, sul rapporto tra fede e scienza e sull'angoscia esistenziale che agita ogni essere umano, la cui perfezione stilistica e le tematiche sconcertano ed impensieriscono ancora oggi. Il regista lancia un atto d'accusa contro la concezione della religione come costrizione e castigo e contro la pratica conformistica del cristianesimo, incapace di accogliere e decifrare lo scandalo vivente del personaggio Johannes e della sua Parola, "voce alterante che manifesta l'inaudito". Il film constata il fallimento della ragione, accettando l'immanenza dell'essere-nel-mondo, ma opta per il recupero della speranza, della spontaneità, del desiderio (il bacio finale tra la risorta e il marito). Per il visionario Dreyer "l'arte deve darci la verità della vita in forma concentrata, forte. Una delle verità che essa può dimostrarci e confermarci è la nostra certezza che lo spirito è potenza, che l'anima può essere più forte della carne" e il film in questione riesce pienamente a fare questo. L'arte di Dreyer si configura come pura "forma concepita con l'anima", dotata di un rigore espressivo mirabile. Ma la grandezza di Dreyer sta nel fatto che, come giustamente sottolinea Amédée Ayfre, nel suo cinema "ci conduce alle frontiere dell'uomo, ma ci lascia soli a decidere della realtà di ciò che vi incontriamo". I suoi film sono senza tempo, ancora attualissimi e hanno la capacità di permettere allo spettatore di "riflettere sulla naturale incertezza e bisogno di fede e speranza che caratterizza ogni individuo umano dal più laico e disincantato al più cinico o disperato, insinuando così il dubbio che può divenire senz’altro fecondo oltre ogni forma". Anche perché come notava Aristarco "la solitudine dell'anima umana, la disperazione hanno un'unica possibilità di superamento, quella che permette all'uomo, quale singolo, di mettersi in rapporto diretto con un ente superiore, il Singolo Assoluto: Dio". Molte le sequenze indimenticabili, dall'erba e i panni bianchi stesi che ondeggiano mossi dal vento, alla scena del parto, a quella del miracolo. Uno dei dieci film che decisamente porterei sull'isola deserta.
15/02/12
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