04/01/08

Pull my Daisy

Pull my Daisy
di Robert Frank & Alfred Leslie (1959 USA 28')
con Richard Bellamy, Allen Ginsberg, Peter Orlovsky, Gregory Corso, Larry Rivers, Delphine Seyrig, David Amram.

Manifesto del cinema beat girato dal fotografo svizzero Robert Frank e narrato dalla voce fuoricampo di Jack Kerouac: tutto nel film è basato sull'improvvisazione, alla ricerca di uno stile che colga nel profondo la sensibilità beat dei protagonisti e di un ritmo cinematografico che riesca a riproporre su pellicola le sperimentazioni jazz dell'epoca. Il film è frutto di un'intensa ricerca scaturita direttamente dalla libertà espressiva propugnata dalla beat generation, che porta i protagonisti al rifiuto dei tradizionali sistemi di rappresentazione della realtà, a favore di un cinema diretto e documentaristico, ma venato di lirismo, che avvicini il più possibile l'arte alla vita.
Il film viene girato in sole due settimane, a New York sulla Third Avenue , nel loft del pittore Alfred Leslie. I protagonisti interpretano sé stessi, poeti e irriducibili sognatori beatnik che vivono al di fuori della società (l'unica attrice professionista è l'esordiente Delphine Seyrig), colti in una delle tante giornate di ozio, passata in casa di un amico che è al lavoro (unico tra tutti ad avere un lavoro vero) a discutere animatamente di poesia e vita, in attesa del ritorno dello stanco compagno. A rendere il film un vero gioiello sono anche la voce e i testi improvvisati di Jack Kerouac che contribuiscono a impreziosire la pellicola di svariate sfumature emozionali. Viene così sottolineata l'importanza degli incontri tra amici, con la viva consapevolezza che una discussione apparentemente casuale può sempre tramutarsi in pura poesia.

"Non vedo come possa recensire dei film dopo "Pull My Daisy" senza usare quest’'ultimo come riferimento; un riferimento nel cinema come "The Connection" lo è nel teatro moderno. Sia "The Connection", messo in scena dal Living Theatre, che "Pull My Daisy" cercano chiaramente nuove direzioni, nuove strade al di fuori dell'’ufficialità congelata e della senilità midcentury delle nostre arti, nuovi temi, una nuova sensibilità. La fotografia stessa, il suo bianco e nero aspro e immediato, possiede una bellezza visiva ed una sincerità, che sono totalmente assenti nei recenti film americani ed europei. L’'igienica levigatezza dei film di oggi, vengano da Hollywood, da Parigi o dalla Svezia, è una malattia contagiosa che sembra dilagare nello spazio e nel tempo. Sembra che nessuno impari niente, o dai Lumière o dai neorealisti: nessuno sembra accorgersi che nel cinema la qualità della fotografia è altrettanto importante del contenuto, delle idee, degli attori. La fotografia è la levatrice, è lei che porta la vita dalla strada allo schermo, e dipende dalla fotografia se questa vita arriverà sullo schermo ancora viva. Robert Frank è riuscito a trapiantare la vita, e addirittura nel suo primo film. E questo è il miglior complimento che possa immaginare. Sul piano della regia "Pull My Daisy" ritorna alle origini del vero cinema, a dove si sono fermati i Lumière. Quando guardiamo i primi film dei Lumière (il treno che entra in stazione, il bambino che viene imboccato o una scena di strada), ci crediamo, crediamo che non stiano mentendo, né fingendo. "Pull My Daisy" ci ricorda di nuovo quel senso di realtà e immediatezza che è la caratteristica principale del cinema. Non vorrei essere frainteso: ci sono molti approcci al cinema, e lo stile che si sceglie dipende dalla propria coscienza, sensibilità e temperamento, oltre che da quale stile è più caratteristico dei tempi. Lo stile neorealista non è stato un puro caso: si è sviluppato dalle realtà del dopoguerra, dalla sua stessa sostanza. È lo stesso con il nuovo cinema spontaneo di "Pull My Daisy", l'autentico ritratto di una generazione. In un certo senso Alfred Leslie, Robert Frank e Jack Kerouac, l’'autore-narratore del film, non fanno che rappresentare la loro epoca al modo dei profeti: un’'epoca esprime le sue verità, i suoi stili, i suoi messaggi e le sue disperazioni per mezzo dei suoi rappresentanti più sensibili, spesso senza che questi se ne rendano conto. Per questo considero "Pull My Daisy", con tutta la sua incoerenza, il più vivo ed il più veritiero dei film." (Jonas Mekas)

Beati/Battuti

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