Ah pook is here
di Philip Hunt Narrato da William S. Burroughs (1994 GER 6')
L'obiettivo è l'occhio di un avvoltoio in volo sopra una zona di cespugli, calcinacci e costruzioni incompiute alla periferia di una città messicana. Una costruzione di cinque piani senza pareti né scale... gli accampati hanno-messo su delle abitazioni provvisorie... i piani sono collegati da scalea pioli... cani abbaiano, polli chiocciano, un ragazzo sul tetto fa un gesto di sega mentre l'obiettivo passa. Avvicinandoci al suolo vediamo l'ombra delle nostre ali, cantine asciutte invase dai cardi, rugginose sbarre di ferro che sporgono come piante metalliche dal cemento, screpolato, una bottiglia rotta al sole, fumetti a colori sporchi di merda, un ragazzo indiano contro un muro con le ginocchia in su, che mangia un'arancia spruzzata di pepe rosso. L'obiettivo fa uno zoom e oltrepassa un edificio di mattoni rossi tutto a balconate dove vivaci camicie da ruffiani porpora, gialle, rosa, sventolano come le bandiere di una fortezza medioevale. Su queste balconate vediamo fiori, cani, gatti, polli, un caprone legato, una scimmia, un'iguana. I vecinos si sporgono dalle balconate a scambiare chiacchiere, olio da cucina, kerosene e zucchero. È una vecchia scena di folklore recitata anno dopo anno da nuove comparse...
(William S. Burroughs 1969)
29/09/08
Oïo
Oïo
di Simon Goulet (2003 CAN 10’)
Oïo è un’esperienza unica dove la pittura e il mezzo cinematografico creano un dipinto in movimento: un video-dipinto. Schizzi di vernice nell’aria diventano percettibili all’occhio umano attraverso lo sguardo veloce della telecamera e del computer. Un elaborato congegno tecnico che permette a Goulet di creare un’opera unica e acclamata in tutto il mondo. “La sua straordinaria inventiva tecnica ci porta, attraverso immagini e musica, in un emozionante viaggio attraverso la creatività”. 540 litri di vernice, 56 colori, 7000 metri di pellicola, 33000 immagini digitalizzate 360 frames x secondo.
http://www.oiofilm.com
Da recuperare anche "The Creation of Oïo", regia di Eric Tessier del 2003, sugli undici anni di lavorazione dedicati al capolavoro in questione.
di Simon Goulet (2003 CAN 10’)
Oïo è un’esperienza unica dove la pittura e il mezzo cinematografico creano un dipinto in movimento: un video-dipinto. Schizzi di vernice nell’aria diventano percettibili all’occhio umano attraverso lo sguardo veloce della telecamera e del computer. Un elaborato congegno tecnico che permette a Goulet di creare un’opera unica e acclamata in tutto il mondo. “La sua straordinaria inventiva tecnica ci porta, attraverso immagini e musica, in un emozionante viaggio attraverso la creatività”. 540 litri di vernice, 56 colori, 7000 metri di pellicola, 33000 immagini digitalizzate 360 frames x secondo.
http://www.oiofilm.com
Da recuperare anche "The Creation of Oïo", regia di Eric Tessier del 2003, sugli undici anni di lavorazione dedicati al capolavoro in questione.
27/09/08
Carmelo Bene Futurismo
Carmelo Bene Futurismo
"Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può.
Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento."
(Carmelo Bene)
"Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può.
Del genio ho sempre avuto la mancanza di talento."
(Carmelo Bene)
25/09/08
Freaks (Tod Browning)
Freaks
di Tod Browning (1932 USA 64')
Tuttora “Freaks” risulta essere uno dei film più estremi mai fatti, in cui Browning racconta con taglio semi-documentaristico la vita quotidiana e i comportamenti privati dei freaks, i cosiddetti scherzi di natura, fino a pochi anni prima trattati come mirabolanti attrazioni nell'ambito del mondo dei baracconi. L'approccio di Browning è deciso nel perseguire il ribaltamento dei punti di vista tradizionali e riesce a spazzare via qualsiasi pregiudizio, mostrandoci i freaks come figli umani di genitori umani, trasformati però, da forze incomprensibili alla nostra razionalità, in protagonisti di un destino misterioso e ineffabile. Il film è ancora in grado di imbarazzare e spiazzare lo spettatore attuale perché il Freak, per la fragile struttura psicologica dell'uomo contemporaneo (soprattutto quello occidentale) rappresenta un indigeribile elemento di frattura, riportandoci alla coscienza e facendo riemergere, con la sua semplice presenza, antiche paure infantili. E' la stessa sensazione di imbarazzo che si prova quando per strada si incrocia uno storpio deforme e si è contemporaneamente tentati di allontanare lo sguardo o attratti a guardare...e infatti non dimentichiamoci che i freaks vengono, nelle nostre città, tenuti celati allo sguardo in strutture residenziali apposite oppure ridotti a mendicare sulle strade e che la deformità è considerata, nell'opinione comune, una giusta causa di aborto.
Insomma i freaks con la loro radicale diversità non si riescono a catalogare e sono in grado di destabilizzare gli incerti confini della nostra identità, mentale e corporea, per cui nella nostra quotidianità la società cerca di minimizzare le nostre possibilità di contatto con questi “misteriosi” esseri umani.
Il film di Browning è anche un tenero omaggio al mondo dei baracconi di Phineas Taylor Barnum, geniale showman ottocentesco, che contribuì a formare l'immaginario del primo pubblico di massa della storia moderna, plasmandone gusti e opinioni, tanto che il mondo dei baracconi risulta tuttora un elemento molto importante per la cultura popolare americana. Sotto le tende da circo di Barnum prese vita, davanti a migliaia di persone, “il più grande spettacolo del mondo”, nell'ambito del quale lo showman riuscì a resuscitare negli spettatori quel senso di meraviglia, percorsa però da un brivido ancestrale di sgomento, che si prova nell'ammirare i miracoli della Natura, quando si mostrano nella loro ciclopica ricchezza e varietà. E, come ci ricorda il mio nume tutelare Leslie Fiedler, “al centro di questa visione del mondo come meraviglia vi erano i freaks”. I baracconi, se ci pensiamo bene, hanno rappresentato un mondo all'insegna del sensazionalismo e dell'imbroglio, non poi molto dissimile dal nostro, la grande differenza è che oggi vi è molta più ipocrisia...
I freaks del film avevano tutti avuto una fulgida carriera legata ai circhi viaggianti e ai luna parks: Daisy e Violet Hilton (le sorelle siamesi), il principe Randian (Prince Randian il torso vivente indù), Olga Roderick (la donna barbuta), Slitzie (la pinhead, capocchia di spillo), Johnny Eck (il ragazzo con metà torso), Joseph/Josephine (il mezzo uomo/mezza donna), Martha Morris (la donna senza braccia), Koo Koo (la ragazza uccello), Frances O'Connoer (la vivente Venere di Milo), Peter Robinson (lo scheletro umano), Elizabeth Green (la cicogna umana), Ehire e Jennie Lee Snow (altre capocchie di spillo), Harry Earles e sua sorella Daisy (i nani). Browning stesso, artisticamente, aveva un passato nell'ambiente dei baracconi, essendo scappato di casa a soli sedici anni per unirsi ad un circo viaggiante. Prima di diventare regista era infatti stato domatore di circo equestre, clown, illusionista, attore di vaudeville, contorsionista, equilibrista, mangiatore di serpenti, comico di burlesque, finto negro del varietà, assistente di maghi e soprattutto imbonitore. Il suo campo d'azione era quindi rappresentato da quel ristretto limbo che intercorre tra realtà e illusione, esperienza e fantasia, dato di fatto e mito. Nel film però, a differenza di quanto accade negli spettacoli mostrati nei baracconi, i suoi freaks ci fanno entrare nel privato della loro condizione esistenziale e scopriamo che sono in tutto e per tutto uguali a noi. “Sono come bambini e Dio li ama” esclama durante il film la tutrice delle pinheads (Madame Tetrallini) ad un custode di un parco, rimasto agghiacciato dalla comparsa improvvisa davanti a sé del gruppo di freaks. I protagonisti del film conducono una vita ordinaria, nonostante le menomazioni, fatta di gioie e dolori, esattamente come la nostra e sono rappresentati da Browning con grande sensibilità, riuscendo a trasfondere negli spettatori una sensazione di solidarietà e quasi di tenerezza verso di loro. Ma i freaks, proprio come noi, non sono né innocui né innocenti e se minacciati si difendono, anche ricorrendo alla violenza (se necessario) e questo non fa altro che renderli interamente umani. L'intreccio per “Freaks” venne ispirato a Browning dalla novella di Tod Robbins dal titolo “Spurs”, pubblicata nel 1923 nel “Munsey's Magazine”, riadattata dal regista al punto da renderla quasi irriconoscibile, profondamente modificata nella trama e nel significato.
La trama del film è facilmente riassumibile: Hans e Frieda sono due nani fidanzati e felici, impiegati in un circo itinerante. La loro unione vive un momento di crisi quando la bella Cleopatra, la trapezista del circo, viene a sapere che Hans ha ereditato una somma ingente e in combutta con il gigante Ercole, il forzuto del circo, decide di irretire il nano, fino ad arrivare a sposarlo per poi avvelenarlo e così impadronirsi dell'eredità. Hans viene ammaliato dalle generose grazie della trapezista e così decide di sposarla. Durante il banchetto di nozze tenuto dai freaks si svolge a sorpresa una specie di rito di iniziazione in cui viene chiesto a Cleopatra di bere da un'enorme coppa di cristallo, dalla quale hanno attinto un sorso diversi freaks della tavolata. E' un invito perché lei entri a far parte della comunità, nel momento stesso in cui si sposa con uno di loro. Ma quando un nano porge la coppa alla donna e l'intero gruppo intona: “Noi l'accettiamo, è una di noi...una di noi, una di noi...Trinca! Trinca! una di noi!”, Cleopatra visibilmente ubriaca getta lo champagne e si alza disgustata, urlando con disprezzo “Freaks! Freaks!”. In questa reazione mostra la cattiveria tipica di chi respinge i freaks considerandoli esseri schifosi. La donna si allontana poi dalla tavola, sollevando l'ubriaco Hans e portandoselo via sulle spalle, inerme in balia del suo volere. Il giorno successivo si scopre che Hans è ammalato. Dopo averlo visitato, il medico afferma che probabilmente è stato avvelenato. Frieda e i freaks capiscono così che le intenzioni di Cleopatra sono negative e decidono di vendicare Hans, applicando il loro particolare codice, “secondo il quale se ne offendi uno, è come se li avessi offesi tutti”.
Nello spettacolare finale si vedono freaks minacciosi e armati strisciare, scivolare e saltellare tra i baracconi del circo durante una tempesta d'incredibile ferocia. Inseguono Cleopatra ed Ercole fra carozzoni fracassati e campi inzuppati, illuminati solamente da occasionali lampi. A questo punto il film si chiude così come era iniziato e vediamo l'imbonitore del circo che presenta la nuova creatura: “era una volta una bella donna. La chiamavano il pavone del trapezio....In quale modo sia stata ridotta così non lo si saprà mai. Alcuni dicono un amante geloso. Altri...il codice dei freaks...”. A questo punto, guardando in basso, vediamo la Donna Gallina, una creatura alta meno di un metro, che ha il viso di Cleopatra, un petto coperto di piume, nessuna gamba visibile e artigli al posto delle mani. La versione integrale del film mai apparsa in pubblico, come ci dice Teo Mora, prevedeva anche la presenza di Ercole il forzuto, nell'esposizione finale presentata dall'imbonitore, "castrato e obeso, che canta con una voce in falsetto”.
Il film fu un fiasco commerciale colossale per la MGM, i cui guadagni non ammontarono nemmeno alla metà del denaro investito. Venne attaccato praticamente da tutti: dai critici, dai gestori dei cinema e dalle associazione genitori/insegnanti con la motivazione principale che la storia si configurava come un inno alla mostruosità innocente e alla normalità colpevole. Ne risultarono forti pressioni verso l'ufficio di censura che portarono al taglio di oltre mezz'ora di pellicola e che hanno reso il film a noi pervenuto irrimediabilmente monco. Persino alcuni dei freaks che vi avevano partecipato, in primis la donna barbuta, si lasciarono convincere a posteriori che Browning aveva diffamato la categoria e lo dichiararono pubblicamente. E lo stesso Browning, benché abbia continuato a fare cinema ancora per qualche anno, si persuase che il pubblico non era più in sintonia con la sua sensibilità e nel 1939 si congedò mestamente dal mondo del cinema, trascorrendo gli ultimi vent'anni della sua vita lontano dai riflettori.
Ma la sua opera rivoluzionaria ha lasciato diversi eredi nel mondo della celluloide, tra i quali spiccano “El Topo” di Jodorowsky e “Of Freaks and men” di Balabanov.
“La storia del pensiero, conforme alla facciata sociale, ha teorizzato il giudizio estetico/etico dell'umanità sui canoni del bello, dell'efficiente, del produttivo. Chi non può (né vuole) correre nel delirio generale è un giocattolo rotto. Viene escluso dal gioco degli eccessi, espulso dal mercato e dalla logica del conforme. Sbattuto fuori dalla politica dell'ostentazione audiovisuale sospetta: è il trionfo della merce che si moltiplica nello spettacolo seriale della vita.” (Pino Bertelli)
“Essi (i diversi, gli emarginati) permangono al di fuori del processo democratico...perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato.” (Herbert Marcuse)
di Tod Browning (1932 USA 64')
Tuttora “Freaks” risulta essere uno dei film più estremi mai fatti, in cui Browning racconta con taglio semi-documentaristico la vita quotidiana e i comportamenti privati dei freaks, i cosiddetti scherzi di natura, fino a pochi anni prima trattati come mirabolanti attrazioni nell'ambito del mondo dei baracconi. L'approccio di Browning è deciso nel perseguire il ribaltamento dei punti di vista tradizionali e riesce a spazzare via qualsiasi pregiudizio, mostrandoci i freaks come figli umani di genitori umani, trasformati però, da forze incomprensibili alla nostra razionalità, in protagonisti di un destino misterioso e ineffabile. Il film è ancora in grado di imbarazzare e spiazzare lo spettatore attuale perché il Freak, per la fragile struttura psicologica dell'uomo contemporaneo (soprattutto quello occidentale) rappresenta un indigeribile elemento di frattura, riportandoci alla coscienza e facendo riemergere, con la sua semplice presenza, antiche paure infantili. E' la stessa sensazione di imbarazzo che si prova quando per strada si incrocia uno storpio deforme e si è contemporaneamente tentati di allontanare lo sguardo o attratti a guardare...e infatti non dimentichiamoci che i freaks vengono, nelle nostre città, tenuti celati allo sguardo in strutture residenziali apposite oppure ridotti a mendicare sulle strade e che la deformità è considerata, nell'opinione comune, una giusta causa di aborto.
Insomma i freaks con la loro radicale diversità non si riescono a catalogare e sono in grado di destabilizzare gli incerti confini della nostra identità, mentale e corporea, per cui nella nostra quotidianità la società cerca di minimizzare le nostre possibilità di contatto con questi “misteriosi” esseri umani.
Il film di Browning è anche un tenero omaggio al mondo dei baracconi di Phineas Taylor Barnum, geniale showman ottocentesco, che contribuì a formare l'immaginario del primo pubblico di massa della storia moderna, plasmandone gusti e opinioni, tanto che il mondo dei baracconi risulta tuttora un elemento molto importante per la cultura popolare americana. Sotto le tende da circo di Barnum prese vita, davanti a migliaia di persone, “il più grande spettacolo del mondo”, nell'ambito del quale lo showman riuscì a resuscitare negli spettatori quel senso di meraviglia, percorsa però da un brivido ancestrale di sgomento, che si prova nell'ammirare i miracoli della Natura, quando si mostrano nella loro ciclopica ricchezza e varietà. E, come ci ricorda il mio nume tutelare Leslie Fiedler, “al centro di questa visione del mondo come meraviglia vi erano i freaks”. I baracconi, se ci pensiamo bene, hanno rappresentato un mondo all'insegna del sensazionalismo e dell'imbroglio, non poi molto dissimile dal nostro, la grande differenza è che oggi vi è molta più ipocrisia...
I freaks del film avevano tutti avuto una fulgida carriera legata ai circhi viaggianti e ai luna parks: Daisy e Violet Hilton (le sorelle siamesi), il principe Randian (Prince Randian il torso vivente indù), Olga Roderick (la donna barbuta), Slitzie (la pinhead, capocchia di spillo), Johnny Eck (il ragazzo con metà torso), Joseph/Josephine (il mezzo uomo/mezza donna), Martha Morris (la donna senza braccia), Koo Koo (la ragazza uccello), Frances O'Connoer (la vivente Venere di Milo), Peter Robinson (lo scheletro umano), Elizabeth Green (la cicogna umana), Ehire e Jennie Lee Snow (altre capocchie di spillo), Harry Earles e sua sorella Daisy (i nani). Browning stesso, artisticamente, aveva un passato nell'ambiente dei baracconi, essendo scappato di casa a soli sedici anni per unirsi ad un circo viaggiante. Prima di diventare regista era infatti stato domatore di circo equestre, clown, illusionista, attore di vaudeville, contorsionista, equilibrista, mangiatore di serpenti, comico di burlesque, finto negro del varietà, assistente di maghi e soprattutto imbonitore. Il suo campo d'azione era quindi rappresentato da quel ristretto limbo che intercorre tra realtà e illusione, esperienza e fantasia, dato di fatto e mito. Nel film però, a differenza di quanto accade negli spettacoli mostrati nei baracconi, i suoi freaks ci fanno entrare nel privato della loro condizione esistenziale e scopriamo che sono in tutto e per tutto uguali a noi. “Sono come bambini e Dio li ama” esclama durante il film la tutrice delle pinheads (Madame Tetrallini) ad un custode di un parco, rimasto agghiacciato dalla comparsa improvvisa davanti a sé del gruppo di freaks. I protagonisti del film conducono una vita ordinaria, nonostante le menomazioni, fatta di gioie e dolori, esattamente come la nostra e sono rappresentati da Browning con grande sensibilità, riuscendo a trasfondere negli spettatori una sensazione di solidarietà e quasi di tenerezza verso di loro. Ma i freaks, proprio come noi, non sono né innocui né innocenti e se minacciati si difendono, anche ricorrendo alla violenza (se necessario) e questo non fa altro che renderli interamente umani. L'intreccio per “Freaks” venne ispirato a Browning dalla novella di Tod Robbins dal titolo “Spurs”, pubblicata nel 1923 nel “Munsey's Magazine”, riadattata dal regista al punto da renderla quasi irriconoscibile, profondamente modificata nella trama e nel significato.
La trama del film è facilmente riassumibile: Hans e Frieda sono due nani fidanzati e felici, impiegati in un circo itinerante. La loro unione vive un momento di crisi quando la bella Cleopatra, la trapezista del circo, viene a sapere che Hans ha ereditato una somma ingente e in combutta con il gigante Ercole, il forzuto del circo, decide di irretire il nano, fino ad arrivare a sposarlo per poi avvelenarlo e così impadronirsi dell'eredità. Hans viene ammaliato dalle generose grazie della trapezista e così decide di sposarla. Durante il banchetto di nozze tenuto dai freaks si svolge a sorpresa una specie di rito di iniziazione in cui viene chiesto a Cleopatra di bere da un'enorme coppa di cristallo, dalla quale hanno attinto un sorso diversi freaks della tavolata. E' un invito perché lei entri a far parte della comunità, nel momento stesso in cui si sposa con uno di loro. Ma quando un nano porge la coppa alla donna e l'intero gruppo intona: “Noi l'accettiamo, è una di noi...una di noi, una di noi...Trinca! Trinca! una di noi!”, Cleopatra visibilmente ubriaca getta lo champagne e si alza disgustata, urlando con disprezzo “Freaks! Freaks!”. In questa reazione mostra la cattiveria tipica di chi respinge i freaks considerandoli esseri schifosi. La donna si allontana poi dalla tavola, sollevando l'ubriaco Hans e portandoselo via sulle spalle, inerme in balia del suo volere. Il giorno successivo si scopre che Hans è ammalato. Dopo averlo visitato, il medico afferma che probabilmente è stato avvelenato. Frieda e i freaks capiscono così che le intenzioni di Cleopatra sono negative e decidono di vendicare Hans, applicando il loro particolare codice, “secondo il quale se ne offendi uno, è come se li avessi offesi tutti”.
Nello spettacolare finale si vedono freaks minacciosi e armati strisciare, scivolare e saltellare tra i baracconi del circo durante una tempesta d'incredibile ferocia. Inseguono Cleopatra ed Ercole fra carozzoni fracassati e campi inzuppati, illuminati solamente da occasionali lampi. A questo punto il film si chiude così come era iniziato e vediamo l'imbonitore del circo che presenta la nuova creatura: “era una volta una bella donna. La chiamavano il pavone del trapezio....In quale modo sia stata ridotta così non lo si saprà mai. Alcuni dicono un amante geloso. Altri...il codice dei freaks...”. A questo punto, guardando in basso, vediamo la Donna Gallina, una creatura alta meno di un metro, che ha il viso di Cleopatra, un petto coperto di piume, nessuna gamba visibile e artigli al posto delle mani. La versione integrale del film mai apparsa in pubblico, come ci dice Teo Mora, prevedeva anche la presenza di Ercole il forzuto, nell'esposizione finale presentata dall'imbonitore, "castrato e obeso, che canta con una voce in falsetto”.
Il film fu un fiasco commerciale colossale per la MGM, i cui guadagni non ammontarono nemmeno alla metà del denaro investito. Venne attaccato praticamente da tutti: dai critici, dai gestori dei cinema e dalle associazione genitori/insegnanti con la motivazione principale che la storia si configurava come un inno alla mostruosità innocente e alla normalità colpevole. Ne risultarono forti pressioni verso l'ufficio di censura che portarono al taglio di oltre mezz'ora di pellicola e che hanno reso il film a noi pervenuto irrimediabilmente monco. Persino alcuni dei freaks che vi avevano partecipato, in primis la donna barbuta, si lasciarono convincere a posteriori che Browning aveva diffamato la categoria e lo dichiararono pubblicamente. E lo stesso Browning, benché abbia continuato a fare cinema ancora per qualche anno, si persuase che il pubblico non era più in sintonia con la sua sensibilità e nel 1939 si congedò mestamente dal mondo del cinema, trascorrendo gli ultimi vent'anni della sua vita lontano dai riflettori.
Ma la sua opera rivoluzionaria ha lasciato diversi eredi nel mondo della celluloide, tra i quali spiccano “El Topo” di Jodorowsky e “Of Freaks and men” di Balabanov.
“La storia del pensiero, conforme alla facciata sociale, ha teorizzato il giudizio estetico/etico dell'umanità sui canoni del bello, dell'efficiente, del produttivo. Chi non può (né vuole) correre nel delirio generale è un giocattolo rotto. Viene escluso dal gioco degli eccessi, espulso dal mercato e dalla logica del conforme. Sbattuto fuori dalla politica dell'ostentazione audiovisuale sospetta: è il trionfo della merce che si moltiplica nello spettacolo seriale della vita.” (Pino Bertelli)
“Essi (i diversi, gli emarginati) permangono al di fuori del processo democratico...perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la loro coscienza. La loro opposizione colpisce il sistema dal di fuori e quindi non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola le regole del gioco, e così facendo mostra che è un gioco truccato.” (Herbert Marcuse)
24/09/08
The Big Combo
The Big Combo - La polizia bussa alla porta
di Joseph H. Lewis (1955 USA 84')
con Cornel Wilde, Jean Wallace, Richard Conte, Brian Donlevy, Lee Van Cleef, Helene Stanton.
Mentre il genere noir stava decadendo, un artigiano di nome Joseph H. Lewis, soprannominato "Wagonwheel Joe" (Joe la locomotiva) per la sua abilità nel girare film in una settimana, gli infuse nuova linfa vitale...Regista con il dono dell'essenzialità, capace di uno stile secco e di girare solo ciò che era assolutamente funzionale allo svolgimento dell'intreccio, Lewis ci regala con The Big Combo un noir ambiguo e moderno, ricco di immagini dotate di una peculiare forza espressiva, tanto da incidersi indelebilmente nella memoria dello spettatore. Tratto da una sceneggiatura originale di Philip Yordan, il film è meravigliosamente fotografato da John Alton attraverso un notevole gioco di luci e ombre. The Big Combo è incentrato sulla lotta tra un poliziotto frustrato e un capo mafioso vincente, ambedue innamorati della stessa donna, un'affascinante femme fatale, in realtà compagna del gangster, interpretata alla grande da Jean Wallace. Il film tocca simultaneamente il fascino ambiguo del crimine e le nevrosi sessuali all'interno dei rapporti umani. Nel poliziotto che cerca di incastrare in tutti i modi il potente mafioso Mr Brown vediamo che si mischiano sia un desiderio di rivincita che una malcelata invidia/attrazione per il suo successo economico e con le donne. La morale/filosofia del gangster è estrinsecata in un dialogo straordinario tra il capo mafia e un pugile che ha appena perso un incontro, per sottolineare la differenza che passa tra lui e uno dei tanti gregari, il capo mafia dichiara: "We eat the same steak, drink the same bourbon. look - same manicure, cufflinks. But we don't get the same girls. Why? Because women know the difference. They got instinct. First is first and second is nobody...What make difference? Hate. Hate is the word, Benny. Hate the man who tries to kill you. Hate him until you see red and you come out winning the big money. The girls will come tumbling after. You'll have to shut off the phone and lock the door to get a night's rest". Tutto questo è il segreto dei capi-branco e vederlo espresso in un film noir degli anni Cinquanta lascia letteralmente a bocca aperta. La scena si chiude con Mr Brown che schiaffeggia il pugile Benny e questi non reagisce, a tal punto il capo mafia afferma: "You should have hit me back. You haven't got the hate. Tear up Benny's contract. He's no good to me anymore". Non mancano inoltre numerose allusioni a rapporti ambigui, grondanti vorace sessualità, come quando uno dei due gangster, rimasto nascosto per giorni nell'appartamento con l'altro, esclama "I can't swallow no more salami", chiara allusione a un sottofondo omosessuale del loro rapporto; o come quando il capo mafia lecca la spalla della compagna e poco dopo scompare dall'inquadratura facendo supporre a un momento di sesso orale tra i due. Altra scena leggendaria è quella che vede il capo mafia togliere l'apparecchio acustico al suo aiutante, prima di farlo trucidare a colpi di pistola, per evitare di fargli sentire il suono della propria morte. Insomma un noir da recuperare!
di Joseph H. Lewis (1955 USA 84')
con Cornel Wilde, Jean Wallace, Richard Conte, Brian Donlevy, Lee Van Cleef, Helene Stanton.
Mentre il genere noir stava decadendo, un artigiano di nome Joseph H. Lewis, soprannominato "Wagonwheel Joe" (Joe la locomotiva) per la sua abilità nel girare film in una settimana, gli infuse nuova linfa vitale...Regista con il dono dell'essenzialità, capace di uno stile secco e di girare solo ciò che era assolutamente funzionale allo svolgimento dell'intreccio, Lewis ci regala con The Big Combo un noir ambiguo e moderno, ricco di immagini dotate di una peculiare forza espressiva, tanto da incidersi indelebilmente nella memoria dello spettatore. Tratto da una sceneggiatura originale di Philip Yordan, il film è meravigliosamente fotografato da John Alton attraverso un notevole gioco di luci e ombre. The Big Combo è incentrato sulla lotta tra un poliziotto frustrato e un capo mafioso vincente, ambedue innamorati della stessa donna, un'affascinante femme fatale, in realtà compagna del gangster, interpretata alla grande da Jean Wallace. Il film tocca simultaneamente il fascino ambiguo del crimine e le nevrosi sessuali all'interno dei rapporti umani. Nel poliziotto che cerca di incastrare in tutti i modi il potente mafioso Mr Brown vediamo che si mischiano sia un desiderio di rivincita che una malcelata invidia/attrazione per il suo successo economico e con le donne. La morale/filosofia del gangster è estrinsecata in un dialogo straordinario tra il capo mafia e un pugile che ha appena perso un incontro, per sottolineare la differenza che passa tra lui e uno dei tanti gregari, il capo mafia dichiara: "We eat the same steak, drink the same bourbon. look - same manicure, cufflinks. But we don't get the same girls. Why? Because women know the difference. They got instinct. First is first and second is nobody...What make difference? Hate. Hate is the word, Benny. Hate the man who tries to kill you. Hate him until you see red and you come out winning the big money. The girls will come tumbling after. You'll have to shut off the phone and lock the door to get a night's rest". Tutto questo è il segreto dei capi-branco e vederlo espresso in un film noir degli anni Cinquanta lascia letteralmente a bocca aperta. La scena si chiude con Mr Brown che schiaffeggia il pugile Benny e questi non reagisce, a tal punto il capo mafia afferma: "You should have hit me back. You haven't got the hate. Tear up Benny's contract. He's no good to me anymore". Non mancano inoltre numerose allusioni a rapporti ambigui, grondanti vorace sessualità, come quando uno dei due gangster, rimasto nascosto per giorni nell'appartamento con l'altro, esclama "I can't swallow no more salami", chiara allusione a un sottofondo omosessuale del loro rapporto; o come quando il capo mafia lecca la spalla della compagna e poco dopo scompare dall'inquadratura facendo supporre a un momento di sesso orale tra i due. Altra scena leggendaria è quella che vede il capo mafia togliere l'apparecchio acustico al suo aiutante, prima di farlo trucidare a colpi di pistola, per evitare di fargli sentire il suono della propria morte. Insomma un noir da recuperare!
23/09/08
A colei che è troppo gaia
Bello il tuo capo, il gestire, l'aspetto,
come un bel paesaggio; sul tuo volto
il riso giuoca come fresco vento
in un limpido cielo. Il malinconico
passante che tu sfiori è abbacinato
dalla salute che, come luce,
ti sprizza dalle braccia e dalle spalle.
I sonanti colori di cui spargi
le tue tolette, ispirano ai poeti
l'immagine di un balletto di fiori.
sono l'emblema, queste pazze vesti,
del variopinto tuo spirito: folle
di cui son folle, t'odio quanto t'amo!
Qualche volta, in un bel giardino, dove
trascinavo la mia atonia, ho sentito
il sole lacerarmi il petto, come
un'ironia; la primavera e il verde
a tal punto umiliarono il mio cuore,
che su di un fiore punii l'insolenza
della natura. E così, una notte,
appena suona l'ora del piacere,
verso i tesori della tua persona
vorrei strisciare, da vile, in silenzio,
per castigarti la gioiosa carne,
per schiacciare il tuo seno perdonato,
e infliggere al tuo fianco stupefatto
una profonda, una larga ferita:
vertiginosa dolcezza! Attraverso
le nuove labbra, più splendenti e belle,
infonderti, sorella, il mio veleno!
(Charles Baudelaire)
Particolare d'Opera: Ernst Ludwig Kirchner
come un bel paesaggio; sul tuo volto
il riso giuoca come fresco vento
in un limpido cielo. Il malinconico
passante che tu sfiori è abbacinato
dalla salute che, come luce,
ti sprizza dalle braccia e dalle spalle.
I sonanti colori di cui spargi
le tue tolette, ispirano ai poeti
l'immagine di un balletto di fiori.
sono l'emblema, queste pazze vesti,
del variopinto tuo spirito: folle
di cui son folle, t'odio quanto t'amo!
Qualche volta, in un bel giardino, dove
trascinavo la mia atonia, ho sentito
il sole lacerarmi il petto, come
un'ironia; la primavera e il verde
a tal punto umiliarono il mio cuore,
che su di un fiore punii l'insolenza
della natura. E così, una notte,
appena suona l'ora del piacere,
verso i tesori della tua persona
vorrei strisciare, da vile, in silenzio,
per castigarti la gioiosa carne,
per schiacciare il tuo seno perdonato,
e infliggere al tuo fianco stupefatto
una profonda, una larga ferita:
vertiginosa dolcezza! Attraverso
le nuove labbra, più splendenti e belle,
infonderti, sorella, il mio veleno!
(Charles Baudelaire)
Particolare d'Opera: Ernst Ludwig Kirchner
21/09/08
Justine Dream Test
Justine Dream Test
di Clayton James Cubitt (2007 USA 2')
Post-produzione di Wes Townsend
di Clayton James Cubitt (2007 USA 2')
Post-produzione di Wes Townsend
20/09/08
Marco Giusti e gli Atipici
Marco Giusti e gli Atipici
di Walter Ciusa (Atypicalmovie)
Sul blog degli Atipici, compare una bella e stimolante intervista fatta a Marco Giusti durante l'ultimo Festival di Venezia, incentrata sui cinefili contemporanei:
Dice Giusti: "Io ad esempio amavo John Ford, adesso il ragazzo ama l'horror, poi c'è una middle class di cinephiles diciamo alla CIAK, che si bevono Charlize Theron, si bevono queste cose qui, però è chiaro che ci sono degli estremismi nel cinema. Andiamo a vedere tutti quanti Arcana, uscito solo 2 giorni nel '73, queste sono le cose che il cinephile nuovo ama. In generale c'è un cinefilo un po' più inutile, però anche il cinema è più brutto, meno forte, meno interessante..."
Vedendo il fiorire nel web di blog sul cinema tenuti da cinefili incalliti, alcuni veramente notevoli, direi che la situazione è più complessa e sfaccettata...si va dal cinema asiatico alla fantascienza, passando per il muto, l'horror e il cinema d'autore...certo ora Takashi Miike vale più di John Ford, ma probabilmente è un problema di linguaggio...ho rivisto di recente "Ombre Rosse" e mi è sembrato molto datato ed in più, dopo l'ondata di film western degli anni Sessanta e Settanta, gli indiani mi fa un po' impressione considerarli cattivi...
Giusti parla anche dei festival cinematografici:
"A 20 anni qualsiasi Festival sembrava una cosa fantastica. Io mi ricordo che a 20 anni vedevo tutto, dormivo solo 3 ore. Ora è diverso, hai tutto, hai i DVD. E' diverso il cinema, i formati con cui si usufruisce della visione. Una volta si riusciva a parlare con George Cukor, Cannes è peggio, più il Festival è piccolo, più riesci a toccare Quentin Tarantino, Frank Miller, David Lynch, e quindi a innamorarti del Cinema che è l'unica vera missione del cinephile. I film in concorso sono una cosa, le retrospettive una cosa, gli eventi una cosa, i film a mezzanotte un'altra cosa. Per esempio in questo Festival la cosa più carina è il film di Jose Mojica Marins " Encarnação do Demônio", un grande horror di un autore- attore del terzo mondo, qui completamente ignorato, un super-horror che devi vedere qui..."
A tal proposito racconto un aneddoto: qualche giorno prima del Festival postai qua, in un forum di cinefili, il consiglio di non perdere l'ultima opera di José Mojica Marins e la riedizione di "Arcana" di Questi...la risposta (poi cancellata) fu rancorosa, definendo il mio intervento un tristissimo spam (per i link al blog)...ecco questo è il problema di molti cinefili...una sorta di chiusura allo scambio culturale...essere cinefili diventa una triste elencazione di io ho visto questo e quest'altro, rincorrendo l'anteprima dell'ultimo film dell'autore maledetto di turno (che spesso coincide con l'autore di moda di turno...)...con analisi spesso vuote di contenuti e piene di giudizi sprezzanti e dogmatici...dove il confronto è più facile e comodo ridurlo ad un'aggressione dell'altrui pensiero...
Giusti si sofferma anche sui grandi autori:
"Ieri stavo intervistando Paolo Benvenuti su "Puccini", e gli ho chiesto "Secondo te c'è un legame tra il cinema western e Puccini?" E lui "Ah sì c'è quel film con Dean Martin, uno che spara"..."come quel film con Dean Martin, è Un dollaro d'onore!". E Benvenuti mi ha chiesto chi è il regista. Paolo, io dovrei prendere e andarmene subito, io non posso accettare che un regista non sappia chi è Howard Hawks...Una conversazione che feci con Quentin Tarantino, a Nizza adesso, su John Ford che noi consideravamo insieme a Rossellini il meglio...Per Tarantino, Ford è stato sopravvalutato e il più grande regista del mondo è Sergio Leone e su questo si è aperto un dibattito...il punto è, lui è più giovane di me, avrà 7 anni di meno, credo, e questa cosa cambia completamente il modello di cinema da amare che ti ha formato. In fondo siamo quello che si vede e si ama quando abbiamo tra i 9 e gli 11 anni, il resto è secondario..."
Molto bello lo spunto su cui sono pienamente d'accordo con Giusti...si sa però che molti registi, a parte ovviamente Scorsese e gli ex critici (Truffaut, Godard, Ferrario...), hanno visto di solito pochi film...e questo è uno dei motivi per cui le Giurie (fatte dagli addetti ai lavori) ai Festival spesso premiano opere minori invece che film epocali...per esempio qualche anno fa venivano premiati ai Festival sempre film iraniani perché il loro modo di fare cinema intrigava non poco...però sinceramente per chi ne aveva già visti diversi di film iraniani...quel modo di fare cinema diventava di una noia quasi mortale...oppure ricordo certe devastanti "pizze" cinesi viste ai festival...ma alla fine è tutta una questione di gusti e pareri personali...il bello del cinema è anche il fatto che tutti ne possono parlare liberamente...
di Walter Ciusa (Atypicalmovie)
Sul blog degli Atipici, compare una bella e stimolante intervista fatta a Marco Giusti durante l'ultimo Festival di Venezia, incentrata sui cinefili contemporanei:
Dice Giusti: "Io ad esempio amavo John Ford, adesso il ragazzo ama l'horror, poi c'è una middle class di cinephiles diciamo alla CIAK, che si bevono Charlize Theron, si bevono queste cose qui, però è chiaro che ci sono degli estremismi nel cinema. Andiamo a vedere tutti quanti Arcana, uscito solo 2 giorni nel '73, queste sono le cose che il cinephile nuovo ama. In generale c'è un cinefilo un po' più inutile, però anche il cinema è più brutto, meno forte, meno interessante..."
Vedendo il fiorire nel web di blog sul cinema tenuti da cinefili incalliti, alcuni veramente notevoli, direi che la situazione è più complessa e sfaccettata...si va dal cinema asiatico alla fantascienza, passando per il muto, l'horror e il cinema d'autore...certo ora Takashi Miike vale più di John Ford, ma probabilmente è un problema di linguaggio...ho rivisto di recente "Ombre Rosse" e mi è sembrato molto datato ed in più, dopo l'ondata di film western degli anni Sessanta e Settanta, gli indiani mi fa un po' impressione considerarli cattivi...
Giusti parla anche dei festival cinematografici:
"A 20 anni qualsiasi Festival sembrava una cosa fantastica. Io mi ricordo che a 20 anni vedevo tutto, dormivo solo 3 ore. Ora è diverso, hai tutto, hai i DVD. E' diverso il cinema, i formati con cui si usufruisce della visione. Una volta si riusciva a parlare con George Cukor, Cannes è peggio, più il Festival è piccolo, più riesci a toccare Quentin Tarantino, Frank Miller, David Lynch, e quindi a innamorarti del Cinema che è l'unica vera missione del cinephile. I film in concorso sono una cosa, le retrospettive una cosa, gli eventi una cosa, i film a mezzanotte un'altra cosa. Per esempio in questo Festival la cosa più carina è il film di Jose Mojica Marins " Encarnação do Demônio", un grande horror di un autore- attore del terzo mondo, qui completamente ignorato, un super-horror che devi vedere qui..."
A tal proposito racconto un aneddoto: qualche giorno prima del Festival postai qua, in un forum di cinefili, il consiglio di non perdere l'ultima opera di José Mojica Marins e la riedizione di "Arcana" di Questi...la risposta (poi cancellata) fu rancorosa, definendo il mio intervento un tristissimo spam (per i link al blog)...ecco questo è il problema di molti cinefili...una sorta di chiusura allo scambio culturale...essere cinefili diventa una triste elencazione di io ho visto questo e quest'altro, rincorrendo l'anteprima dell'ultimo film dell'autore maledetto di turno (che spesso coincide con l'autore di moda di turno...)...con analisi spesso vuote di contenuti e piene di giudizi sprezzanti e dogmatici...dove il confronto è più facile e comodo ridurlo ad un'aggressione dell'altrui pensiero...
Giusti si sofferma anche sui grandi autori:
"Ieri stavo intervistando Paolo Benvenuti su "Puccini", e gli ho chiesto "Secondo te c'è un legame tra il cinema western e Puccini?" E lui "Ah sì c'è quel film con Dean Martin, uno che spara"..."come quel film con Dean Martin, è Un dollaro d'onore!". E Benvenuti mi ha chiesto chi è il regista. Paolo, io dovrei prendere e andarmene subito, io non posso accettare che un regista non sappia chi è Howard Hawks...Una conversazione che feci con Quentin Tarantino, a Nizza adesso, su John Ford che noi consideravamo insieme a Rossellini il meglio...Per Tarantino, Ford è stato sopravvalutato e il più grande regista del mondo è Sergio Leone e su questo si è aperto un dibattito...il punto è, lui è più giovane di me, avrà 7 anni di meno, credo, e questa cosa cambia completamente il modello di cinema da amare che ti ha formato. In fondo siamo quello che si vede e si ama quando abbiamo tra i 9 e gli 11 anni, il resto è secondario..."
Molto bello lo spunto su cui sono pienamente d'accordo con Giusti...si sa però che molti registi, a parte ovviamente Scorsese e gli ex critici (Truffaut, Godard, Ferrario...), hanno visto di solito pochi film...e questo è uno dei motivi per cui le Giurie (fatte dagli addetti ai lavori) ai Festival spesso premiano opere minori invece che film epocali...per esempio qualche anno fa venivano premiati ai Festival sempre film iraniani perché il loro modo di fare cinema intrigava non poco...però sinceramente per chi ne aveva già visti diversi di film iraniani...quel modo di fare cinema diventava di una noia quasi mortale...oppure ricordo certe devastanti "pizze" cinesi viste ai festival...ma alla fine è tutta una questione di gusti e pareri personali...il bello del cinema è anche il fatto che tutti ne possono parlare liberamente...
19/09/08
Lo sconosciuto (Tod Browning & Lon Chaney)
Lo Sconosciuto - The Unknown
di Tod Browning (1927 USA 63’)
con Lon Chaney, Norman Kerry, Joan Crawford,
Nick de Ruiz, John George, Frank Lanning
“Lo sconosciuto” risulta essere uno degli apici espressivi dello stupefacente cinema di Tod Browning, in cui si apprezza una profonda conoscenza degli aspetti più reconditi e bizzarri della psiche umana e in cui le arcane ossessioni di Browning, incentrate sulla diversità, sono sviluppate già con una maturità stilistica che ha dell’incredibile.
La trama è intricata ed originale: per sfuggire alla polizia e poter continuare la loro attività criminosa, Alonzo (uno straordinario Lon Chaney) e il suo aiutante, il nano Cojo, si nascondono in un circo di Madrid, in cui l'efferato criminale si ricicla come lanciatore di coltelli senza braccia. La sua straordinaria abilità nel lanciare coltelli con i piedi è solo un modo per fare spettacolo, dato che in realtà le braccia le ha, ma le tiene legate intorno al corpo grazie ad uno stretto corsetto fasciante. Questo espediente gli permette di effettuare, senza destare alcun sospetto, numerose rapine nei villaggi in cui il circo tiene i propri spettacoli e inoltre gli consente di avvicinare la propria splendida assistente, di nome Nanon, una ragazza problematica che detesta il pensiero di essere abbracciata da un uomo. Di Nanon è perdutamente innamorato anche il forzuto del circo, di nome Malabar, ma lei confida nell'amore puro di Alonzo, capace di carezzarla dolcemente solo con l'uso degli occhi. Il proprietario del circo è il padre della ragazza ed è estremamente geloso della sua figliola, tanto da perdere completamente le staffe quando la scopre appartata con Alonzo ed arrivare di conseguenza a frustare selvaggiamente il finto monco. Nella stessa notte arriva però la feroce vendetta del criminale, che strangola l'uomo. La figlia accorsa fuori dal carrozzone, essendo stata attirata dalla confusione, riesce a scorgere dalla finestrella solamente la mano dell'assassino, che ha la particolarità di essere dotata di due pollici. Scopriamo così, in un cortocircuito del senso, che Alonzo è un freak che dissimula la sua diversità fingendo di essere un altro genere di freak. La morte del padre di Nanon rinsalda il rapporto tra lui e la ragazza, ma a questo punto la sua anomalia fisica diventa un ostacolo insormontabile, che gli impedisce di soddisfare il proprio desiderio amoroso e carnale. Tormentato e divorato dalla libidine, Alonzo decide così di rivolgersi ad un chirurgo della malavita, e ricattandolo, lo obbliga ad eseguire un delicato intervento di doppia amputazione di braccia. Tornato nel circo, dopo qualche tempo, Alonzo (ora vero monco) scopre con rabbia e sgomento che la sua Nanon ha superato la sua fobia grazie alle tenerezze di Malabar e si appresta così ad unirsi in matrimonio con l'uomo più forte del circo. Il finale, solo ripensandoci, mi fa scorrere ancora brividi freddi lungo la schiena.
Melodramma complesso, metaforico, innovativo, sconvolgente...un film romantico e crudele, una delle storie di amor fou più commoventi e follemente assurde mai raccontate al cinema...l'odissea tragica di un uomo che arriva a mutilarsi pur di consacrarsi alla donna che ama.
Tutto il film è permeato di insicurezze, complessi d'inferiorità e di colpa, fantasie sadiche (non dimentichiamoci che Alonzo, nello spettacolo circense, lancia i coltelli verso la ragazza), ribollenti istinti repressi in un'atmosfera che lascia intuire innominabili traumi infantili e patologiche gelosie, con sullo sfondo lo spauracchio del complesso di castrazione di freudiana memoria. In alcune scene vediamo infatti Alonzo, evidentemente lacerato da insanabili conflitti interiori, incoraggiare Malabar verso una risoluta conquista della ragazza e anche quando la sventurata rimane orfana, il freak Alonzo fa di tutto per proporsi più come tutore adottivo che come amante.
Lon Chaney è l'anima nera del film, un indimenticabile corpo da plasmare e deformare, tanto che molti all'epoca lo pensavano realmente monco. Va precisato però che per alcune scene in cui fuma o beve con i piedi si ricorse ad una controfigura, tal Dismuki, realmente nato senza braccia.
Questo, come tutti i film di Browning, non è un semplice film horror, ma una rappresentazione della mostruosità delle passioni umane con tonalità drammaticamente estreme. All'epoca non fu capito dalle masse, ma fu adorato da alcuni surrealisti, tra cui Jacques Brunius.
Il climax creato dal film, nonostante i tanti anni passati, non ha perso un'oncia della sua potenza e lascia ancora inchiodati sanguinanti, a bocca aperta, alla sedia.
Un aforisma adeguato per questo ufo di celluloide lo ha espresso Pino Bertelli parlando di “cinema della diversità” e intendendo con questa definizione “ciò che turba, inquieta, rompe con le attese del reale illusorio diffuse dallo schermo. Sopprimere il diverso è eliminare la trasgressione, l'esistenza di un pensiero tragico, il proprio doppio osceno che infrange tutti gli specchi della quotidianità per essere ucciso nella coscienza di tutti”.
Ne avevo già parlato, ma come si sa repetita iuvant e poi ci tengo particolarmente...
di Tod Browning (1927 USA 63’)
con Lon Chaney, Norman Kerry, Joan Crawford,
Nick de Ruiz, John George, Frank Lanning
“Lo sconosciuto” risulta essere uno degli apici espressivi dello stupefacente cinema di Tod Browning, in cui si apprezza una profonda conoscenza degli aspetti più reconditi e bizzarri della psiche umana e in cui le arcane ossessioni di Browning, incentrate sulla diversità, sono sviluppate già con una maturità stilistica che ha dell’incredibile.
La trama è intricata ed originale: per sfuggire alla polizia e poter continuare la loro attività criminosa, Alonzo (uno straordinario Lon Chaney) e il suo aiutante, il nano Cojo, si nascondono in un circo di Madrid, in cui l'efferato criminale si ricicla come lanciatore di coltelli senza braccia. La sua straordinaria abilità nel lanciare coltelli con i piedi è solo un modo per fare spettacolo, dato che in realtà le braccia le ha, ma le tiene legate intorno al corpo grazie ad uno stretto corsetto fasciante. Questo espediente gli permette di effettuare, senza destare alcun sospetto, numerose rapine nei villaggi in cui il circo tiene i propri spettacoli e inoltre gli consente di avvicinare la propria splendida assistente, di nome Nanon, una ragazza problematica che detesta il pensiero di essere abbracciata da un uomo. Di Nanon è perdutamente innamorato anche il forzuto del circo, di nome Malabar, ma lei confida nell'amore puro di Alonzo, capace di carezzarla dolcemente solo con l'uso degli occhi. Il proprietario del circo è il padre della ragazza ed è estremamente geloso della sua figliola, tanto da perdere completamente le staffe quando la scopre appartata con Alonzo ed arrivare di conseguenza a frustare selvaggiamente il finto monco. Nella stessa notte arriva però la feroce vendetta del criminale, che strangola l'uomo. La figlia accorsa fuori dal carrozzone, essendo stata attirata dalla confusione, riesce a scorgere dalla finestrella solamente la mano dell'assassino, che ha la particolarità di essere dotata di due pollici. Scopriamo così, in un cortocircuito del senso, che Alonzo è un freak che dissimula la sua diversità fingendo di essere un altro genere di freak. La morte del padre di Nanon rinsalda il rapporto tra lui e la ragazza, ma a questo punto la sua anomalia fisica diventa un ostacolo insormontabile, che gli impedisce di soddisfare il proprio desiderio amoroso e carnale. Tormentato e divorato dalla libidine, Alonzo decide così di rivolgersi ad un chirurgo della malavita, e ricattandolo, lo obbliga ad eseguire un delicato intervento di doppia amputazione di braccia. Tornato nel circo, dopo qualche tempo, Alonzo (ora vero monco) scopre con rabbia e sgomento che la sua Nanon ha superato la sua fobia grazie alle tenerezze di Malabar e si appresta così ad unirsi in matrimonio con l'uomo più forte del circo. Il finale, solo ripensandoci, mi fa scorrere ancora brividi freddi lungo la schiena.
Melodramma complesso, metaforico, innovativo, sconvolgente...un film romantico e crudele, una delle storie di amor fou più commoventi e follemente assurde mai raccontate al cinema...l'odissea tragica di un uomo che arriva a mutilarsi pur di consacrarsi alla donna che ama.
Tutto il film è permeato di insicurezze, complessi d'inferiorità e di colpa, fantasie sadiche (non dimentichiamoci che Alonzo, nello spettacolo circense, lancia i coltelli verso la ragazza), ribollenti istinti repressi in un'atmosfera che lascia intuire innominabili traumi infantili e patologiche gelosie, con sullo sfondo lo spauracchio del complesso di castrazione di freudiana memoria. In alcune scene vediamo infatti Alonzo, evidentemente lacerato da insanabili conflitti interiori, incoraggiare Malabar verso una risoluta conquista della ragazza e anche quando la sventurata rimane orfana, il freak Alonzo fa di tutto per proporsi più come tutore adottivo che come amante.
Lon Chaney è l'anima nera del film, un indimenticabile corpo da plasmare e deformare, tanto che molti all'epoca lo pensavano realmente monco. Va precisato però che per alcune scene in cui fuma o beve con i piedi si ricorse ad una controfigura, tal Dismuki, realmente nato senza braccia.
Questo, come tutti i film di Browning, non è un semplice film horror, ma una rappresentazione della mostruosità delle passioni umane con tonalità drammaticamente estreme. All'epoca non fu capito dalle masse, ma fu adorato da alcuni surrealisti, tra cui Jacques Brunius.
Il climax creato dal film, nonostante i tanti anni passati, non ha perso un'oncia della sua potenza e lascia ancora inchiodati sanguinanti, a bocca aperta, alla sedia.
Un aforisma adeguato per questo ufo di celluloide lo ha espresso Pino Bertelli parlando di “cinema della diversità” e intendendo con questa definizione “ciò che turba, inquieta, rompe con le attese del reale illusorio diffuse dallo schermo. Sopprimere il diverso è eliminare la trasgressione, l'esistenza di un pensiero tragico, il proprio doppio osceno che infrange tutti gli specchi della quotidianità per essere ucciso nella coscienza di tutti”.
Ne avevo già parlato, ma come si sa repetita iuvant e poi ci tengo particolarmente...
17/09/08
Rapporto Confidenziale Speciale Festival di Locarno 2008
Rapporto Confidenziale Speciale Festival di Locarno 2008
Un documento gratuito ed indipendente sull’ultima edizione della kermesse svizzera, con recensioni e considerazioni sulle sezioni e su 42 film a cura della redazione di Rapporto Confidenziale. Con testi di Sergio Citterio, Donato Di Blasi, Alessio Galbiati, Samuele Lanzarotti, Roberto Rippa.
Un documento gratuito ed indipendente sull’ultima edizione della kermesse svizzera, con recensioni e considerazioni sulle sezioni e su 42 film a cura della redazione di Rapporto Confidenziale. Con testi di Sergio Citterio, Donato Di Blasi, Alessio Galbiati, Samuele Lanzarotti, Roberto Rippa.
Per scaricarlo e leggerlo andare qui!
EDITORIALE DI ROBERTO RIPPA
A cosa servono i festival cinematografici oggi? È la domanda che rimbalza sui giornali alla fine di ogni festival europeo.La prima risposta a venire in mente è che, in un momento in cui la cultura della multisala, il quasi monopolio delle distribuzioni – con i film uguali in ogni città, in ogni regione, in ogni angolo del pianeta – ha sostituito la varietà, i festival rappresentano una delle poche occasioni di vedere al di là del misero orizzonte che ci viene di fatto imposto. E offrono inoltre la possibilità di vedere opere che, in mondo globalizzato come il nostro – dove per globalizzazione si intende solo una manciata di bandiere, sempre le stesse – diventano di fatto invisibili.
Coetaneo di quello di Cannes, di poco più giovane di quello di Venezia e di poco più vecchio di quello di Berlino, il festival di Locarno – i cui sessantuno anni di storia sarebbe impossibile riassumere in queste righe - è un festival particolare. Lo è perché è un festival di grandi dimensioni, se calcoliamo gli spazi di proiezione, il numero delle opere presentate e il numero dei frequentatori, ma non per questo elitario. Insomma, non c’è bisogno di impegnarsi in elaborate gimcane tra le pagine del programma per capire quale proiezione sia accessibile o meno, cosa sia possibile vedere e cosa no. Tutto è accessibile, basta pagare il biglietto o l’abbonamento. Non è ciò che capita in altri festival. E poi perché nella sua storia, dovendo sopravvivere tra gli altri grandi festival appartenenti a Paesi europei molto più grandi, ha dovuto crearsi un’identità sua peculiare, un’identità che di fatto oggi è minacciata.
Se un tempo i suoi punti forti erano il cinema indipendente, il cinema orientale, il cinema del Medio Oriente, quello dell’Est, la scoperta di opere prime di registi oggi consegnati alla storia del cinema, anche queste opere sono oggi oggetto di contesa tra i vari festival. E talvolta Locarno rischia di rimanere al palo.
Ma non è solo questo il problema: la partenza di Marco Müller, dopo dieci anni di direzione (1991-2001), ha lasciato il posto a direzioni più deboli come quella di Irene Bignardi, apparentemente poco interessata a trovare una nuova identità per il festival, e quella di Frédéric Maire, debole per il fatto che lascerà l’anno prossimo dopo appena quattro anni di lavoro, troppo pochi per lavorare sull’identità.
Poi ci sono coloro che confondono superficie con sostanza come Nicolas Bideau, classe 1969 e responsabile della sezione cinema dell’Ufficio federale della cultura, che propone di puntare più sulla mondanità e sulla pompa. Più stelle del cinema, insomma, più tappeti rossi da calpestare, esattamente tutto ciò che il pubblico del festival non vuole.
Fortunatamente la proposta viene decisamente rimandata con sdegno al mittente dal presidente del Festival Marco Solari. Già, perché quello di Locarno è un pubblico particolare: non è che non desideri i grandi nomi del cinema, semplicemente non sopporta le passerelle, le parate, la fanfara. Preferisce assistere agli incontri che gli ospiti hanno con il pubblico. Molto democratici, aperti a tutti. Più adatti a un pubblico di appassionati che non a coloro che amano sbirciare gli pseudo-VIP dal buco della serratura delle riviste, in buona sostanza.
Ma il futuro di Locarno rimane al momento tutto da discutere. Mentre si susseguono le indiscrezioni sul nome del prossimo direttore, in realtà al momento c’è una sola certezza: Locarno dovrà poter contare su un direttore artistico che abbia intenzione di fermarsi per lungo tempo. Solo così si costruiscono i contatti necessari per la preparazione di un programma interessante. Solo così si costruisce un’identità. Quell’identità che la giuria dello scorso anno, premiando Ay no yokan di Masahiro Kobayashi, aveva invitato calorosamente a difendere.
EDITORIALE DI ALESSIO GALBIATI
Seguire un festival cinematografico senza venirne (s)travolti è impossibile. Tutti i mali del mondo prendono forma davanti agli occhi bulimici del cinefilo - seduto con gli occhi spalancati a guardar tragedie. Eyes Wide Shut. Ho la sensazione, ma credo proprio che sia un qualcosa di ampiamente condiviso, che i grandi festival siano oramai divenuti un teatro del senso di colpa che la società (post)industriale allestisce alla ricerca d’una catarsi d’annegare all’ora dell’aperitivo (o giù di lì). Ho visto cose che mi hanno profondamente colpito, racconti di ritagli di realtà impressionanti. Ho visto, immobilizzato nell’atto del guardare, un catalogo strabordante di dolore, tanta rassegnazione e rare speranze. C’è nel cinema contemporaneo, senza alcuna distinzione di generi e provenienza, una sinistra rassegnazione di fronte agli eventi rintracciabile tanto nel documentario quanto nel cinema di finzione. La realtà, marginalizzata dai mezzi di comunicazione di massa, trova nel festival cinematograficoun luogo ideale per arrivare al pubblico e Locarno si conferma qualitativamente eccellente proprio per il pubblico - per i suoi occhi. Per capire il tenore emotivo della manifestazione basti pensare che la nota “leggera” di quest’edizione è stato Nanni Moretti...
Vorrei spendere due parole sul presente volume che fra enormi difficoltà abbiamo dato alla luce. Lo speciale dedicato al 61° Festival del film di Locarno è solo il primo d’una serie di numeri monografici di Rapporto Confidenziale. Il lavoro messo in campo vuole essere uno strumento per addetti ai lavori e cinefili curiosi, desiderosi di tenersi aggiornati sulla produzione cinematogafica contemporanea che con difficoltà trova la via delle sale - o anche solo quella per gli occhi.
Per concludere un ringraziamento a tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione del presente volume - sia direttamente, che indirettamente - , a Roberto (RR) in particolar modo.
16/09/08
Rat Tip Tap
Rat Tip Tap
di Valentino Bettini & Federica Cangini (2008 ITA 4')
Stamane al mio rientro dal turno di notte, due ammalianti fanciulle vestite come danzatrici del ventre mi aspettano sulla soglia di casa, porgendomi un dvd, apparentemente vergine, mi dicono che me lo manda la voivoda Bascka...io, stanchissimo perché la notte è andata male, non riesco ad aprofittare della splendida occasione con le due fanciulle e non le faccio entrare, bofonchiando un grazie arrotolato. Una volta in casa, accendo il mio agognato pc e ridotto in grave astinenza da dodici ore di lavoro, mi sparo finalmente la mia dose di internet quotidiana...poi verso il mezzogiorno metto sul lettore il dvd che, guardandolo di sbieco, sembra inciso...si è inciso...c'è un cortometraggio, molto vintage, sul tip tap e la derattizzazione, che mi intriga (specie l'inquadratura dello champagne con vicino il piede della pulzella...) e mi fa sorridere...molte gravidanze sono dopotutto inattese...provo a chiamare Bascka al telefono, ma è spenta...ah già, anche lei fa il turno di notte...nel dubbio lo carico sul tubo e lo posto, poi spero si farà sentire...
di Valentino Bettini & Federica Cangini (2008 ITA 4')
Stamane al mio rientro dal turno di notte, due ammalianti fanciulle vestite come danzatrici del ventre mi aspettano sulla soglia di casa, porgendomi un dvd, apparentemente vergine, mi dicono che me lo manda la voivoda Bascka...io, stanchissimo perché la notte è andata male, non riesco ad aprofittare della splendida occasione con le due fanciulle e non le faccio entrare, bofonchiando un grazie arrotolato. Una volta in casa, accendo il mio agognato pc e ridotto in grave astinenza da dodici ore di lavoro, mi sparo finalmente la mia dose di internet quotidiana...poi verso il mezzogiorno metto sul lettore il dvd che, guardandolo di sbieco, sembra inciso...si è inciso...c'è un cortometraggio, molto vintage, sul tip tap e la derattizzazione, che mi intriga (specie l'inquadratura dello champagne con vicino il piede della pulzella...) e mi fa sorridere...molte gravidanze sono dopotutto inattese...provo a chiamare Bascka al telefono, ma è spenta...ah già, anche lei fa il turno di notte...nel dubbio lo carico sul tubo e lo posto, poi spero si farà sentire...
14/09/08
Au bord du lac
Au bord du lac
Patrick Bokanowski (1994 FRA 6')
"Immaginiamo un occhio che non sa nulla delle leggi della prospettiva, un occhio che ignora la ricomposizione logica, un occhio che non corrisponde a nulla di ben definito, ma che deve scoprire ogni oggetto che incontra attraverso un'avventura percettiva..."
In questa frase di Stan Brakhage è racchiusa l'essenza dell'affascinante cinema di Patrick Bokanowski, vero e proprio alchimista della settima arte, in Italia praticamente sconosciuto.
L'approccio alla realtà di Bokanowski è indiretto, spesso letteralmente "filtrato" come nello splendido "Au bord du lac" in cui le riprese effettuate ai bordi di un lago, luogo classico di svago e villeggiatura, vengono distorte attraverso l'interposizione tra l'obiettivo e la realtà di un vetro smerigliato, espediente che permette al regista di forgiare stupefacenti e suggestive visioni pittoriche. Il cinema è scosso nelle sue fondamenta e le immagini mostrano una metamorfosi della realtà filmata e ne negano definitivamente l'oggettività.
Mescolando fotografia sperimentale, effetti ottici e chimica ermetica, Bokanowski nei suoi film raggiunge risultati che lasciano a bocca aperta, capaci perfino di andare ad alterare temporaneamente la percezione di chi guarda, ponendosi in comunicazione diretta con la nostra essenza profonda.
Capolavoro assoluto del suo cinema geroglifico è il cortometraggio "La Femme qui se poudre" del 1972, grottesca e surreale esplorazione dell'inconscio, immersa in un'atmosfera ancestrale e perturbante, in cui si viene travolti da un turbine di immagini enigmatiche e meravigliose, forse tra le più fiammeggianti mai create, sicuramente film punto di riferimento per le opere più sperimentali e innovative di cineasti da tutti osannati come David Lynch e Guy Maddin.
Patrick Bokanowski (1994 FRA 6')
"Immaginiamo un occhio che non sa nulla delle leggi della prospettiva, un occhio che ignora la ricomposizione logica, un occhio che non corrisponde a nulla di ben definito, ma che deve scoprire ogni oggetto che incontra attraverso un'avventura percettiva..."
In questa frase di Stan Brakhage è racchiusa l'essenza dell'affascinante cinema di Patrick Bokanowski, vero e proprio alchimista della settima arte, in Italia praticamente sconosciuto.
L'approccio alla realtà di Bokanowski è indiretto, spesso letteralmente "filtrato" come nello splendido "Au bord du lac" in cui le riprese effettuate ai bordi di un lago, luogo classico di svago e villeggiatura, vengono distorte attraverso l'interposizione tra l'obiettivo e la realtà di un vetro smerigliato, espediente che permette al regista di forgiare stupefacenti e suggestive visioni pittoriche. Il cinema è scosso nelle sue fondamenta e le immagini mostrano una metamorfosi della realtà filmata e ne negano definitivamente l'oggettività.
Mescolando fotografia sperimentale, effetti ottici e chimica ermetica, Bokanowski nei suoi film raggiunge risultati che lasciano a bocca aperta, capaci perfino di andare ad alterare temporaneamente la percezione di chi guarda, ponendosi in comunicazione diretta con la nostra essenza profonda.
Capolavoro assoluto del suo cinema geroglifico è il cortometraggio "La Femme qui se poudre" del 1972, grottesca e surreale esplorazione dell'inconscio, immersa in un'atmosfera ancestrale e perturbante, in cui si viene travolti da un turbine di immagini enigmatiche e meravigliose, forse tra le più fiammeggianti mai create, sicuramente film punto di riferimento per le opere più sperimentali e innovative di cineasti da tutti osannati come David Lynch e Guy Maddin.
11/09/08
Cineblogging e Blogosfera: i Movie Brats
Cineblogging e Blogosfera: i Movie Brats
Cineblogging è un neologismo per una "pratica di scrittura" che si sta diffondendo a macchia d'olio tra i cinefili (insonni) in giro per il pianeta, giornalisti e non. La definizione di cinefilo è inequivocabile: persona talmente appassionata di cinema da considerare la visione di film come la più alta esperienza estetica e intellettuale possibile.
Negli Stati Uniti, durante gli anni Sessanta, i cinefili si usavano chiamare "movie brats" (discoli del cinema) e forse il termine è più appropriato per quello che sta ora succedendo. Negli anni Settanta i cinefili (periodo in cui il cinema d'autore andava di gran moda) erano spesso riuniti in cineclub o attorno a riviste iperspecialistiche a basso costo, le sorprendenti fanzine, in cui gli appassionati erano spesso disposti a ingaggiare battaglie critiche aspre e coinvolgenti, al fine di difendere la loro esclusiva idea di cinema. In questi anni l'avvento del Web 2.0, autentica rivoluzione che ha permesso agli utenti della rete di creare autonomamente dei contenuti (con una facilità di utilizzo strabiliante e a costo zero), ha riaperto la strada al confronto attivo tra cinefili. Ma il cineblogging è solo un piccolo aspetto del Web 2.0: la nascita dei blog (sorta di diario personale), fenomenale novità degli ultimi anni, ha dato il via ad una vera e propria trasformazione culturale, portando in alcuni casi ad incidere direttamente sull'opinione pubblica e spaventando non poco i nostri governanti. La nascita dei blog e dei "MySpace" ha modificato anche la fruizione del web da parte degli utenti, diventando in pochi anni un fenomeno di massa in grado di coinvolgere milioni di persone e tutto questo ha dato origine ad una caleidoscopica blogosfera, fonte in alcuni casi di piacevoli sorprese. Le critiche principali, direi condivisibili, rivolte dai detentori dell'informazione ufficiale a questa blogosfera sono prima di tutto la scarsa affidabilità delle fonti, in secondo luogo la potente componente narcisistica che si cela nei bloggers e che spesso li porta a roteare compiaciuti attorno al proprio ombelico. Da non dimenticare poi che questo settore è quello sul web con i maggiori margini di crescita in futuro ed è chiaro che le multinazionali e i business-men ci si getteranno a capofitto per trarne il maggior profitto possibile (già lo stanno facendo). Ci sono anche pensatori che stanno cercando di interpretare i tempi che cambiano, anche se la loro voce stenta ad arrivare attraverso i tradizionali canali di comunicazione, tra questi si distingue David Weinberger con frasi illuminanti tipo "sul web, l’imperfezione è la nostra parola d’ordine, il segno d’intesa che ci fa capire che stiamo parlando con un altro essere umano" e "i blog sono scritti dagli autori con la loro voce, mentre le scuole di giornalismo insegnano a parlare tutti allo stesso modo. I giornalisti, si dice in quelle scuole, non devono lasciarsi coinvolgere dalle storie che raccontano e si devono limitare a riferire i fatti...Il risultato è che molti articoli sono noiosi. I blog non lo sono. Sono pieni di passione e di punti di vista...Bene o male, internet e i blog finiranno col fare apparire la voce professionale dei giornalisti come un suono primo di umanità". Ovviamente sono parole provocatorie, ma non campate in aria. Personalmente ritengo magnifico ed encomiabile il lavoro di numerosi critici cinematografici, spesso oscuri, sparsi per l'Italia e il mondo. Ciò che invece ho visto decadere è la critica cinematografica sui quotidiani e in televisione, ormai ridotta (tranne rare eccezioni) a scopi meramente pubblicitari o alla diffusione di inutili gossip. Certo è che un giornalista deve guadagnarci su quello che scrive e la belante massa sembra che chieda solo questo (ma sarà vero?)...non dimentichiamoci poi che all'estero la figura del critico cinematografico da quotidiano sta scomparendo, probabilmente anche perché gli utenti ormai cercano informazioni di cinema sulla rete. Il fatto di non doverci guadagnare sopra (almeno nella maggioranza dei casi) rende gli argomenti dei blog più liberi e meno condizionati, anche se spesso i contenuti latitano. E qui entra in campo anche il fatto che leggere lunghi articoli sullo schermo del pc è disagevole, il web è più congeniale al "mordi e fuggi" (e alla ricerca di sesso virtuale...), che però impedisce l'approfondimento dei contenuti (spauracchio del contemporaneo..."no! il dibattito no!" di morettiana memoria). E poi per esempio un posto di lettura dei giornali eccelso è il bagno e con il computer decisamente non si sposa bene. Fa poi sorridere come la televisione, ormai mezzo di comunicazione antidiluviano e dalla fottutamente obsoleta fruizione passiva, cerchi in ogni modo di demonizzare il web.
Quello che comunque prevedo è che prima o poi il cinema d'essai tornerà di moda (flussi e riflussi storici) e tra 5/6 anni anche in Italia chiunque cerchi un informazione su un film si rivolgerà al web. Certo è che i monopoli delle connessioni internet e il blocco della diffusione del wi-fi in ambienti pubblici rallenteranno non poco gli eventi, ma si sa abbiamo i nostri tempi, lo stesso supporto dvd ha impiegato più di dieci anni prima di prendere piede sul nostro bel paese. Per ora la rete, come informazione in lingua italiana, è veramente povera di contenuti per quanto riguarda il cinema del passato o d'essai (o perlomeno spesso sono indicizzati male, per cui non si trovano coi tradizionali motori di ricerca).
Il futuro del cineblogging quindi si gioca sull'indicizzazione e sul pageranking...per cui forza Movie Brats diamoci da fare!...ma a che scopo?!?
PS Ah dimenticavo, per me un "cineblog" deve essere prima di tutto stimolante, farmi scoprire nuovi mondi, nel senso di artisti sconosciuti...ma è questione di punti di vista si sa...
(le frasi di David Weinberger sono prese dal web)
Cineblogging è un neologismo per una "pratica di scrittura" che si sta diffondendo a macchia d'olio tra i cinefili (insonni) in giro per il pianeta, giornalisti e non. La definizione di cinefilo è inequivocabile: persona talmente appassionata di cinema da considerare la visione di film come la più alta esperienza estetica e intellettuale possibile.
Negli Stati Uniti, durante gli anni Sessanta, i cinefili si usavano chiamare "movie brats" (discoli del cinema) e forse il termine è più appropriato per quello che sta ora succedendo. Negli anni Settanta i cinefili (periodo in cui il cinema d'autore andava di gran moda) erano spesso riuniti in cineclub o attorno a riviste iperspecialistiche a basso costo, le sorprendenti fanzine, in cui gli appassionati erano spesso disposti a ingaggiare battaglie critiche aspre e coinvolgenti, al fine di difendere la loro esclusiva idea di cinema. In questi anni l'avvento del Web 2.0, autentica rivoluzione che ha permesso agli utenti della rete di creare autonomamente dei contenuti (con una facilità di utilizzo strabiliante e a costo zero), ha riaperto la strada al confronto attivo tra cinefili. Ma il cineblogging è solo un piccolo aspetto del Web 2.0: la nascita dei blog (sorta di diario personale), fenomenale novità degli ultimi anni, ha dato il via ad una vera e propria trasformazione culturale, portando in alcuni casi ad incidere direttamente sull'opinione pubblica e spaventando non poco i nostri governanti. La nascita dei blog e dei "MySpace" ha modificato anche la fruizione del web da parte degli utenti, diventando in pochi anni un fenomeno di massa in grado di coinvolgere milioni di persone e tutto questo ha dato origine ad una caleidoscopica blogosfera, fonte in alcuni casi di piacevoli sorprese. Le critiche principali, direi condivisibili, rivolte dai detentori dell'informazione ufficiale a questa blogosfera sono prima di tutto la scarsa affidabilità delle fonti, in secondo luogo la potente componente narcisistica che si cela nei bloggers e che spesso li porta a roteare compiaciuti attorno al proprio ombelico. Da non dimenticare poi che questo settore è quello sul web con i maggiori margini di crescita in futuro ed è chiaro che le multinazionali e i business-men ci si getteranno a capofitto per trarne il maggior profitto possibile (già lo stanno facendo). Ci sono anche pensatori che stanno cercando di interpretare i tempi che cambiano, anche se la loro voce stenta ad arrivare attraverso i tradizionali canali di comunicazione, tra questi si distingue David Weinberger con frasi illuminanti tipo "sul web, l’imperfezione è la nostra parola d’ordine, il segno d’intesa che ci fa capire che stiamo parlando con un altro essere umano" e "i blog sono scritti dagli autori con la loro voce, mentre le scuole di giornalismo insegnano a parlare tutti allo stesso modo. I giornalisti, si dice in quelle scuole, non devono lasciarsi coinvolgere dalle storie che raccontano e si devono limitare a riferire i fatti...Il risultato è che molti articoli sono noiosi. I blog non lo sono. Sono pieni di passione e di punti di vista...Bene o male, internet e i blog finiranno col fare apparire la voce professionale dei giornalisti come un suono primo di umanità". Ovviamente sono parole provocatorie, ma non campate in aria. Personalmente ritengo magnifico ed encomiabile il lavoro di numerosi critici cinematografici, spesso oscuri, sparsi per l'Italia e il mondo. Ciò che invece ho visto decadere è la critica cinematografica sui quotidiani e in televisione, ormai ridotta (tranne rare eccezioni) a scopi meramente pubblicitari o alla diffusione di inutili gossip. Certo è che un giornalista deve guadagnarci su quello che scrive e la belante massa sembra che chieda solo questo (ma sarà vero?)...non dimentichiamoci poi che all'estero la figura del critico cinematografico da quotidiano sta scomparendo, probabilmente anche perché gli utenti ormai cercano informazioni di cinema sulla rete. Il fatto di non doverci guadagnare sopra (almeno nella maggioranza dei casi) rende gli argomenti dei blog più liberi e meno condizionati, anche se spesso i contenuti latitano. E qui entra in campo anche il fatto che leggere lunghi articoli sullo schermo del pc è disagevole, il web è più congeniale al "mordi e fuggi" (e alla ricerca di sesso virtuale...), che però impedisce l'approfondimento dei contenuti (spauracchio del contemporaneo..."no! il dibattito no!" di morettiana memoria). E poi per esempio un posto di lettura dei giornali eccelso è il bagno e con il computer decisamente non si sposa bene. Fa poi sorridere come la televisione, ormai mezzo di comunicazione antidiluviano e dalla fottutamente obsoleta fruizione passiva, cerchi in ogni modo di demonizzare il web.
Quello che comunque prevedo è che prima o poi il cinema d'essai tornerà di moda (flussi e riflussi storici) e tra 5/6 anni anche in Italia chiunque cerchi un informazione su un film si rivolgerà al web. Certo è che i monopoli delle connessioni internet e il blocco della diffusione del wi-fi in ambienti pubblici rallenteranno non poco gli eventi, ma si sa abbiamo i nostri tempi, lo stesso supporto dvd ha impiegato più di dieci anni prima di prendere piede sul nostro bel paese. Per ora la rete, come informazione in lingua italiana, è veramente povera di contenuti per quanto riguarda il cinema del passato o d'essai (o perlomeno spesso sono indicizzati male, per cui non si trovano coi tradizionali motori di ricerca).
Il futuro del cineblogging quindi si gioca sull'indicizzazione e sul pageranking...per cui forza Movie Brats diamoci da fare!...ma a che scopo?!?
PS Ah dimenticavo, per me un "cineblog" deve essere prima di tutto stimolante, farmi scoprire nuovi mondi, nel senso di artisti sconosciuti...ma è questione di punti di vista si sa...
(le frasi di David Weinberger sono prese dal web)
10/09/08
Il bosone di Higgs e l'Apocalisse
LHC: Il bosone di Higgs e l'Apocalisse
"Quella specie di vertigine, d'incertezza, di mancanza di stabilità - quel mélange di movimento e di tensione che costituisce il nostro universo..." (Orson Welles)
Poco meno di settanta anni fa, il 30 ottobre 1938, Orson Welles narra alla radio il suo libero adattamento de La guerra dei mondi di H.G. Wells, gettando immediatamente nel panico gli interi Stati Uniti. Orson Welles riesce in quell'occasione a far credere ai propri ascoltatori che i marziani sono sbarcati nel New Jersey e si apprestano a conquistare il mondo in maniera brutale e sconvolgente. Mentre la voce profonda e tenebrosa di Welles tesse il necrologio della razza umana, annientata dai terribili marziani, la gente a casa letteralmente impazzisce, abbandonandosi a scene di panico incredibili e fuggendo in massa per le strade, chi di corsa chi in auto, verso un'enigmatica salvezza. Il funereo passa parola è implacabile e i più disperati tentano addirittura il suicidio al solo pensiero di poter essere sodomizzati da un gelatinoso alieno, inoltre tra le gestanti isteriche si registrano numerosi aborti spontanei.
Oggi 10 Settembre 2008 a Ginevra, alle 9.30, entrerà in funzione il Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle più grande e potente mai costruito dall'uomo, progettato per far collidere protoni ad un'energia nel centro di massa di 14 TeV, valore mai raggiunto fino ad ora in laboratorio.
Nelle collisioni saranno prodotte, grazie alla trasformazione di una parte dell'altissima energia in massa, numerosissime particelle che attraverseranno appositi rivelatori e le cui proprietà potranno essere così misurate. Uno degli scopi principali dei ricercatori è quello di ricercare, fra queste particelle, tracce dell'esistenza del bosone di Higgs e di eventuali altre particelle sconosciute. Il bosone di Higgs, data la sua importanza nella teoria del modello standard della fisica delle particelle, è stato soprannominato dal Premio Nobel per la Fisica, Leon Max Lederman, come la particella di Dio. Si può infatti considerare la particella primigenia, un'ipotetica particella elementare, massiva e scalare. Ha poi una particolarità che rende difficile parlarne da parte degli scienziati, è infatti l'unica particella del modello standard a non essere stata ancora osservata sperimentalmente.
Questa particella gioca nondimeno un ruolo fondamentale all'interno del modello: la teoria la indica come portatrice di forza del campo di Higgs che si ritiene permei l'universo e dia massa a tutte le particelle.
La domanda cruciale degli scienziati è: Qual è l'origine della massa?
Secondo alcuni scienziati dissidenti però il Large Hadron Collider potrebbe creare un buco nero stabile e questo potrebbe a sua volta inghiottire la Terra in un periodo di tempo variabile.
E io che pensavo che l'Apocalisse potesse arrivare da un impatto asteroidale o da un collasso gravitazionale di una stella gigante rossa, come Aldebaran o Antares, con esplosione di supernova e formazione di una stella di neutroni o di un buco nero...portando in tal modo la Terra a essere colpita da uno sciame di radiazioni gamma e beta nell'emisfero orientato verso tale stella. Oppure potevo, cinematograficamente, pensare che l'Apocalisse potesse derivare dall'estinzione di una specie di insetti chiave per la vita di tutte le piante terrestri, quali ad esempio le api.
Invece l'uomo trasformandosi in superuomo vuole scoprire il segreto della creazione del Mondo, della Vita, della Storia.
Succederà come nell'episodio del 1938 con il panico diffuso a macchia d'olio o l'uomo al termine di fenomenali esperimenti si troverà di fronte il Monolito?
Sul sito del CERN la possibilità di seguire l'esperimento in diretta (http://webcast.cern.ch)
(informazioni scientifiche del post tratte da wikipedia)
"Quella specie di vertigine, d'incertezza, di mancanza di stabilità - quel mélange di movimento e di tensione che costituisce il nostro universo..." (Orson Welles)
Poco meno di settanta anni fa, il 30 ottobre 1938, Orson Welles narra alla radio il suo libero adattamento de La guerra dei mondi di H.G. Wells, gettando immediatamente nel panico gli interi Stati Uniti. Orson Welles riesce in quell'occasione a far credere ai propri ascoltatori che i marziani sono sbarcati nel New Jersey e si apprestano a conquistare il mondo in maniera brutale e sconvolgente. Mentre la voce profonda e tenebrosa di Welles tesse il necrologio della razza umana, annientata dai terribili marziani, la gente a casa letteralmente impazzisce, abbandonandosi a scene di panico incredibili e fuggendo in massa per le strade, chi di corsa chi in auto, verso un'enigmatica salvezza. Il funereo passa parola è implacabile e i più disperati tentano addirittura il suicidio al solo pensiero di poter essere sodomizzati da un gelatinoso alieno, inoltre tra le gestanti isteriche si registrano numerosi aborti spontanei.
Oggi 10 Settembre 2008 a Ginevra, alle 9.30, entrerà in funzione il Large Hadron Collider, l'acceleratore di particelle più grande e potente mai costruito dall'uomo, progettato per far collidere protoni ad un'energia nel centro di massa di 14 TeV, valore mai raggiunto fino ad ora in laboratorio.
Nelle collisioni saranno prodotte, grazie alla trasformazione di una parte dell'altissima energia in massa, numerosissime particelle che attraverseranno appositi rivelatori e le cui proprietà potranno essere così misurate. Uno degli scopi principali dei ricercatori è quello di ricercare, fra queste particelle, tracce dell'esistenza del bosone di Higgs e di eventuali altre particelle sconosciute. Il bosone di Higgs, data la sua importanza nella teoria del modello standard della fisica delle particelle, è stato soprannominato dal Premio Nobel per la Fisica, Leon Max Lederman, come la particella di Dio. Si può infatti considerare la particella primigenia, un'ipotetica particella elementare, massiva e scalare. Ha poi una particolarità che rende difficile parlarne da parte degli scienziati, è infatti l'unica particella del modello standard a non essere stata ancora osservata sperimentalmente.
Questa particella gioca nondimeno un ruolo fondamentale all'interno del modello: la teoria la indica come portatrice di forza del campo di Higgs che si ritiene permei l'universo e dia massa a tutte le particelle.
La domanda cruciale degli scienziati è: Qual è l'origine della massa?
Secondo alcuni scienziati dissidenti però il Large Hadron Collider potrebbe creare un buco nero stabile e questo potrebbe a sua volta inghiottire la Terra in un periodo di tempo variabile.
E io che pensavo che l'Apocalisse potesse arrivare da un impatto asteroidale o da un collasso gravitazionale di una stella gigante rossa, come Aldebaran o Antares, con esplosione di supernova e formazione di una stella di neutroni o di un buco nero...portando in tal modo la Terra a essere colpita da uno sciame di radiazioni gamma e beta nell'emisfero orientato verso tale stella. Oppure potevo, cinematograficamente, pensare che l'Apocalisse potesse derivare dall'estinzione di una specie di insetti chiave per la vita di tutte le piante terrestri, quali ad esempio le api.
Invece l'uomo trasformandosi in superuomo vuole scoprire il segreto della creazione del Mondo, della Vita, della Storia.
Succederà come nell'episodio del 1938 con il panico diffuso a macchia d'olio o l'uomo al termine di fenomenali esperimenti si troverà di fronte il Monolito?
Sul sito del CERN la possibilità di seguire l'esperimento in diretta (http://webcast.cern.ch)
(informazioni scientifiche del post tratte da wikipedia)
09/09/08
Posters cinematografici di Saul Bass
Posters cinematografici di Saul Bass
Saul Bass, celebre grafico, è da noi osannato per i suoi affascinanti titoli di testa di film epocali come "L'uomo dal braccio d'oro" e "Anatomia di un omicidio", ma anche come autore dell'indimenticabile sequenza di apertura di "Vertigo" di Hitchcock e ideatore e regista della seminale sequenza sotto la doccia di "Psycho".
Non ci dimentichiamo però la sua attività come creatore di posters cinematografici:
The Man with the Golden Arm di Otto Preminger (1955 USA 119')
Bonjour Tristesse di Otto Preminger (1958 USA 94')
Vertigo di Alfred Hitchcock (1958 USA 129')
Anatomy of a Murder di Otto Preminger (1959 USA 160')
The Magnificent Seven di John Sturges (1960 USA 128')
Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb di Stanley Kubrick (1964 UK 93')
Bunny Lake is missing di Otto Preminger (1965 UK 107')
Da recuperare anche Fase IV distruzione terra, unico bellissimo film di Saul Bass come regista.
Saul Bass, celebre grafico, è da noi osannato per i suoi affascinanti titoli di testa di film epocali come "L'uomo dal braccio d'oro" e "Anatomia di un omicidio", ma anche come autore dell'indimenticabile sequenza di apertura di "Vertigo" di Hitchcock e ideatore e regista della seminale sequenza sotto la doccia di "Psycho".
Non ci dimentichiamo però la sua attività come creatore di posters cinematografici:
The Man with the Golden Arm di Otto Preminger (1955 USA 119')
Bonjour Tristesse di Otto Preminger (1958 USA 94')
Vertigo di Alfred Hitchcock (1958 USA 129')
Anatomy of a Murder di Otto Preminger (1959 USA 160')
The Magnificent Seven di John Sturges (1960 USA 128')
Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb di Stanley Kubrick (1964 UK 93')
Bunny Lake is missing di Otto Preminger (1965 UK 107')
Da recuperare anche Fase IV distruzione terra, unico bellissimo film di Saul Bass come regista.
08/09/08
Posters di Phillipe Druillet per i film di Jean Rollin
07/09/08
Freak Out! (Frank Zappa)
FREAK OUT! (Frank Zappa)
"A un livello personale Freaking Out è un processo mediante il quale un individuo si sbarazza di modi antiquati e restrittivi di pensiero, di abbigliamento e di etichetta sociale per esprimere creativamente il proprio rapporto con l'ambiente immediato e con la struttura sociale nel suo insieme...Noi vorremmo che chiunque ascolti questa musica si unisse a noi...diventasse un membro di The United Mutations...FREAK OUT!"
(Manifesto di Frank Zappa, riprodotto a caratteri minuscoli all'interno della copertina di "Freak Out!", il primo album pubblicato dai Mothers of Invention nel 1966).
Estratto da "Baby Snakes" di Frank Zappa.
Animazioni di Bruce Bickford
A questo proposito vi ricordo i libri culto del movimento "Freak Out" degli anni Sessanta:
Straniero in terra straniera (Stranger in a strange land) di Robert A. Heinlein
Il Segreto degli Slan (Slan) di Alfred Elton Van Vogt
Le guide del tramonto (Childhood's End) di Arthur C. Clarke
Il Signore degli Anelli (Lord of the Rings) di John R. R. Tolkien
Il libro tibetano dei morti (Bardo Thodol) di Padmasambhava
I Ching - Il libro dei Mutamenti
A scuola dallo stregone (The Teachings of Don Juan) di Carlos Castaneda
Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (Zen and the Art of Motorcycle Maintenance) di Robert M. Pirsig
"A un livello personale Freaking Out è un processo mediante il quale un individuo si sbarazza di modi antiquati e restrittivi di pensiero, di abbigliamento e di etichetta sociale per esprimere creativamente il proprio rapporto con l'ambiente immediato e con la struttura sociale nel suo insieme...Noi vorremmo che chiunque ascolti questa musica si unisse a noi...diventasse un membro di The United Mutations...FREAK OUT!"
(Manifesto di Frank Zappa, riprodotto a caratteri minuscoli all'interno della copertina di "Freak Out!", il primo album pubblicato dai Mothers of Invention nel 1966).
Estratto da "Baby Snakes" di Frank Zappa.
Animazioni di Bruce Bickford
A questo proposito vi ricordo i libri culto del movimento "Freak Out" degli anni Sessanta:
Straniero in terra straniera (Stranger in a strange land) di Robert A. Heinlein
Il Segreto degli Slan (Slan) di Alfred Elton Van Vogt
Le guide del tramonto (Childhood's End) di Arthur C. Clarke
Il Signore degli Anelli (Lord of the Rings) di John R. R. Tolkien
Il libro tibetano dei morti (Bardo Thodol) di Padmasambhava
I Ching - Il libro dei Mutamenti
A scuola dallo stregone (The Teachings of Don Juan) di Carlos Castaneda
Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (Zen and the Art of Motorcycle Maintenance) di Robert M. Pirsig
06/09/08
Requiem for a dream
Requiem for a dream
di Darren Aronofsky (2000 USA 100')
E' l'opera seconda del regista dello straordinario Pi greco, un viaggio a rotta di collo nelle allucinazioni di quattro personaggi che vivono ai margini della società, ognuno di loro coltiva la speranza di una fuga dal grigiore di una quotidianità ripetitiva, con l'aiuto della droga o della TV, delle cure dimagranti a base di amfetamine o del denaro. Attraverso un uso meraviglioso di tutti i codici del linguaggio cinematografico (dalla musica al montaggio passando per la fotografia) Aronofsky frantuma una storia apparentemente banale e porge ai nostri occhi un'opera lucida sulla disgregazione di questo nostro Impero dello Spettacolo e della Merce. Un film che è un pugno nello stomaco, pura esperienza audiovisiva, un'iperbole senza pietà che accumula tensione senza mai rilasciarla, in grado di esplodere soltanto negli occhi dello spettatore. Un cinema che, attraverso uno sguardo che è finzione palesemente esibita, è in grado di svelare la realtà profonda del mondo contemporaneo, che per i più pare essere ancora totalmente invisibile.
di Darren Aronofsky (2000 USA 100')
E' l'opera seconda del regista dello straordinario Pi greco, un viaggio a rotta di collo nelle allucinazioni di quattro personaggi che vivono ai margini della società, ognuno di loro coltiva la speranza di una fuga dal grigiore di una quotidianità ripetitiva, con l'aiuto della droga o della TV, delle cure dimagranti a base di amfetamine o del denaro. Attraverso un uso meraviglioso di tutti i codici del linguaggio cinematografico (dalla musica al montaggio passando per la fotografia) Aronofsky frantuma una storia apparentemente banale e porge ai nostri occhi un'opera lucida sulla disgregazione di questo nostro Impero dello Spettacolo e della Merce. Un film che è un pugno nello stomaco, pura esperienza audiovisiva, un'iperbole senza pietà che accumula tensione senza mai rilasciarla, in grado di esplodere soltanto negli occhi dello spettatore. Un cinema che, attraverso uno sguardo che è finzione palesemente esibita, è in grado di svelare la realtà profonda del mondo contemporaneo, che per i più pare essere ancora totalmente invisibile.
05/09/08
Il metodo Cut up (William S.Burroughs)
Il metodo Cut up di Brion Gysin (William S.Burroughs)
In una riunione surrealista, negli anni Venti, Tristan Tzara, l'uomo dal nulla, propose la creazione-seduta-stante di una poesia, mediante l'estrazione di parole da un cappello. Il tumulto che ne seguì portò alla distruzione del teatro. andré Breton espulse Tristan Tzara dal movimento e fece sdraiare i cut-up sul divano di Freud.
Nell'estate del 1959 Brion Gysin, scrittore e pittore, ritagliò strisce di articoli di giornale, ricomponendole casualmente. "Minutes to go" è il risultato di questo primo esperimento con il cut-up. "Minutes to go" è composto di cut-up non riveduti né corretti, che risultano come una prosa del tutto coerente e significante. La metodica cut-up dona allo scrittore il collage, praticato dai pittori da almeno 50 anni, usato dalle cineprese, fisse o in movimento. Ogni ripresa per strada è, nei fatti, cut-up, per gli imprevedibili fattori del traffico e delle entrate in campo. e i fotografi vi confermeranno come le loro migliori immagini siano spesso fortuite...e altrettanto gli scrittori...Non potete volere la spontaneità, potete però introdurre l'imprevedibile - spontaneo con un paio di forbici.
Il metodo è banale. Vi insegno un modo per agire. Prendete una pagina. Ora tagliatela a metà, e ancora a metà. Avete quattro ritagli: 1 2 3 4. Ora ricomponete i ritagli accostando il 4 con l'1 e il 2 con il 3. Avete una nuova pagina. Talvolta dice le stesse cose, qualche volta dice cose del tutto diverse - il cut-up dei discorsi politici è un interessante esercizio - e comunque scoprirete che esprime qualcosa, e qualcosa di ben preciso. Un poeta o romanziere a vostra scelta, i brani che avete letto e straletto. Attraverso anni di ripetizione le parole hanno perso vita e significato...Tristan Tzara diceva "La poesia è di tutti". breton lo espulse dal movimento, bollandolo come sbirro. Ripetiamolo: "La poesia è di tutti"...il cut-up è per tutti, ognuno può cimentarsi...Tagliate le parole vedete come cadono. Shakespeare, Rimbaud vivono nelle loro parole. Tagliate le righe, sentirete la loro voce. I cut-up spesso si rivelano come messaggi in codice con un senso speciale per chi scompone...
In fin dei conti tutta la scrittura è un cut-up. Un collage di parole lette sentite sorprese. Cos'altro?...
(estratto da "Il demone della letteratura" William S. Burroughs, Brion Gysin - Shake edizioni)
In una riunione surrealista, negli anni Venti, Tristan Tzara, l'uomo dal nulla, propose la creazione-seduta-stante di una poesia, mediante l'estrazione di parole da un cappello. Il tumulto che ne seguì portò alla distruzione del teatro. andré Breton espulse Tristan Tzara dal movimento e fece sdraiare i cut-up sul divano di Freud.
Nell'estate del 1959 Brion Gysin, scrittore e pittore, ritagliò strisce di articoli di giornale, ricomponendole casualmente. "Minutes to go" è il risultato di questo primo esperimento con il cut-up. "Minutes to go" è composto di cut-up non riveduti né corretti, che risultano come una prosa del tutto coerente e significante. La metodica cut-up dona allo scrittore il collage, praticato dai pittori da almeno 50 anni, usato dalle cineprese, fisse o in movimento. Ogni ripresa per strada è, nei fatti, cut-up, per gli imprevedibili fattori del traffico e delle entrate in campo. e i fotografi vi confermeranno come le loro migliori immagini siano spesso fortuite...e altrettanto gli scrittori...Non potete volere la spontaneità, potete però introdurre l'imprevedibile - spontaneo con un paio di forbici.
Il metodo è banale. Vi insegno un modo per agire. Prendete una pagina. Ora tagliatela a metà, e ancora a metà. Avete quattro ritagli: 1 2 3 4. Ora ricomponete i ritagli accostando il 4 con l'1 e il 2 con il 3. Avete una nuova pagina. Talvolta dice le stesse cose, qualche volta dice cose del tutto diverse - il cut-up dei discorsi politici è un interessante esercizio - e comunque scoprirete che esprime qualcosa, e qualcosa di ben preciso. Un poeta o romanziere a vostra scelta, i brani che avete letto e straletto. Attraverso anni di ripetizione le parole hanno perso vita e significato...Tristan Tzara diceva "La poesia è di tutti". breton lo espulse dal movimento, bollandolo come sbirro. Ripetiamolo: "La poesia è di tutti"...il cut-up è per tutti, ognuno può cimentarsi...Tagliate le parole vedete come cadono. Shakespeare, Rimbaud vivono nelle loro parole. Tagliate le righe, sentirete la loro voce. I cut-up spesso si rivelano come messaggi in codice con un senso speciale per chi scompone...
In fin dei conti tutta la scrittura è un cut-up. Un collage di parole lette sentite sorprese. Cos'altro?...
(estratto da "Il demone della letteratura" William S. Burroughs, Brion Gysin - Shake edizioni)
04/09/08
Pater Familias
Pater Familias
di Francesco Patierno (2003 ITA 87')
Un grande esordio per il cinema italiano. Un film duro, socialmente estremo, stilisticamente bruciante, che si iscrive tra Pasolini e Bresson senza sfigurare. Nell'hinterland di Napoli, dove la terra si confonde con i muri fatiscenti delle catapecchie, le famiglie tramutano la disperazione in aggressività domestica e la parola è un'incomprensibile litania. Matteo frequenta amici inclini alla delinquenza. Resta appena fuori da un clima di pesante violenza, ma non riesce a sottrarsi ad una reazione tragica quando scopre che la sua ragazza è stata violentata dal fratello. Il film è la cronaca di una giornata di libertà dal carcere, con alcuni flashback che raccontano stralci di una vita impossibile, di padri disadattati e bastonatori, mogli succubi, madri indifferenti e figli come possono essere. Il regista al primo film, ma assai maturo, riceve e trasmette, come un medium, l'energia incontenibile della disperazione. Cast fuori classe di ignoti grandi attori (?).
di Francesco Patierno (2003 ITA 87')
Un grande esordio per il cinema italiano. Un film duro, socialmente estremo, stilisticamente bruciante, che si iscrive tra Pasolini e Bresson senza sfigurare. Nell'hinterland di Napoli, dove la terra si confonde con i muri fatiscenti delle catapecchie, le famiglie tramutano la disperazione in aggressività domestica e la parola è un'incomprensibile litania. Matteo frequenta amici inclini alla delinquenza. Resta appena fuori da un clima di pesante violenza, ma non riesce a sottrarsi ad una reazione tragica quando scopre che la sua ragazza è stata violentata dal fratello. Il film è la cronaca di una giornata di libertà dal carcere, con alcuni flashback che raccontano stralci di una vita impossibile, di padri disadattati e bastonatori, mogli succubi, madri indifferenti e figli come possono essere. Il regista al primo film, ma assai maturo, riceve e trasmette, come un medium, l'energia incontenibile della disperazione. Cast fuori classe di ignoti grandi attori (?).
03/09/08
Sex Pistols - The Great Rock'n'Roll Swindle
Sex Pistols - The Great Rock'n'Roll Swindle
di Julien Temple (1980 UK 103')
Attraverso i Sex Pistols il Punk è diventato una bandiera, un virus di potenza inaudita e dalla forte carica antagonista, implicitamente politica, capace attraverso provocazioni sconvolgenti e nichilismo puro di brutalizzare le belle maniere della musica e della società. Pensavo di fare un esaltato post sull'ultimo film di Temple sui Pistols "The Filth e the Fury" e parlar male dello storico "The Great Rock'n'Roll Swindle", che mi lasciò l'amaro in bocca ai tempi della prima visione in adolescenza...invece rivedendoli ambedue in sequenza mi sono reso conto che il primo svela drasticamente l'altra faccia della medaglia di una società consumistica allo sbando, in grado di assorbire e digerire qualsiasi sovversione.
La storia comincia nel 1973: Malcolm McLaren (ex manager dei New York Dolls) gestiva insieme alla moglie Vivienne Westwood la boutique "SEX", meglio conosciuta come "Let it Rock", bizzarro negozio di King's Road, una delle zone più lussuose di Londra. La boutique divenne un punto di riferimento per i giovani alternativi londinesi in un periodo in cui furoreggiavano i pantaloni a zampa d'elefante e le camicie a fiori. McLaren ebbe la bella pensata di cavalcare il malessere sociale e la trasgressione creando dal nulla un gruppo musicale con ragazzi, presi dalla strada, che non sapevano suonare e contemporaneamente lanciare una lucrosa nuova moda di abbigliamento fatta con materiale di recupero: magliette tagliate, spille da balia, cerniere, abiti fetish in cuoio e gomma e pantaloni in pelle. "The Great Rock'n'Roll Swindle" esplicita in maniera inequivocabile e ironicamente beffarda la strategia di McLaren e non va dimenticato che è stato ditribuito pochi mesi dopo lo scioglimento dei Sex Pistols e la morte di Sid Vicious, diventato nel frattempo un'icona giovanile. Una necrofila capacità di far quattrini, non c'è che dire...Il mito dei Sex Pistols nasce quindi dall'idea di McLaren di mettere insieme un gruppo musicale estremo dalla travolgente furia animalesca e distruttiva, con l'obiettivo di colpire al cuore l'asfittica industria musicale dell'epoca. Le ricette base, esplicitate nel film in dieci ironici comandamenti, sono: riduci le possibilità di vedere e ascoltare il gruppo, lascia perdere la musica e concentrati sui conflitti generazionali, fa litigare le case discografiche, crea l'evento trasgressivo, fai diventare la tua band il nemico pubblico numero uno inglese, scova un personaggio che possa colpire l'immaginario giovanile, fa un film che ne diffonda la fama. Inutile dire che McLaren è riuscito a rispettare tutti questi punti e di conseguenza si è portato a casa oltre un milione di sterline dell'epoca. Altro obiettivo di McLaren è quello di far litigare tra loro i ragazzi in modo da raccogliere i frutti del classico motto "dividi et impera", anche questo messo in atto da McLaren con precisione chirurgica, tanto che all'epoca i componenti della band rimasero senza il becco di un quattrino. Il progetto originario del film sui Sex Pistols ha inizio nel 1977, parallelamente alle performance dal vivo, e McLaren pensa bene di assumere il regista più trasgressivo sulla piazza, Russ Meyer, per dirigere uno script dal titolo "Who Killed Bambi?", scritto insieme al critico Roger Ebert (coppia esplosiva che successivamente ci ha regalato il magnifico "Beneath the Valley of the Ultra-Vixens"). La produzione però fallisce in breve tempo e il progetto si arena fino al 1978 quando McLaren e Julien Temple ricominciano le riprese, su una sceneggiatura completamente diversa. Ne esce un film dissacrante e spiazzante che letteralmente sputa ripetutamente sul mito Sex Pistols, riducendoli a gruppo da cartoni animati, e lo fa in maniera decisamente punk! Certo che, leggendo varie recensioni sul film, nessuno sembra aver capito l'insolente provocazione del burattinaio McLaren e la graffiante fotografia della nostra società che il film mostra...forse perché si è punk solo per ciò che fa comodo o forse solo perché si portano la cresta, gli anfibi e il chiodo purtroppo...e questo non fa che dar ragione al volpone McLaren. Tra le sequenze memorabili va ricordata quella in cui McLaren balla con indosso una maglietta con scritto beffardamente "Cash from Chaos" e quella in cui i pezzi dei Pistols vengono suonati in chiave disco nel nuovo locale di McLaren e diversi punk ballano scatenati e felici...pochi anni dopo la moda è cambiata, bisogna adeguarsi per continuare a far soldi sulla massa di pecore lobotomizzate...Altra scena memorabile è quella che sbeffeggia il concerto dei Pistols tenuto su una barca sul Tamigi durante il Giubileo della regina al grido di "God save the queen", acme della trasgressione del gruppo. All'epoca l'happening architettato da McLaren si concluse nel caos e fruttò alla band fama imperitura, McLaren e i Pistols vennero arrestati. Nella scena ricostruita in The Great Rock'n'Roll Swindle vediamo Rotten e Vicious sostituiti da un delirante falso criminale nazista (un attore nelle vesti di Martin Bormann) e dal vero rapinatore di treni Ronald Biggs, celebre bandito inglese fuggito milionario dalla patria e recuperato da McLaren in Brasile. Un'altra scena da menzionare è quella dell'audizione tenuta nel 1978 dove i fans possono essere un Sex Pistols per un giorno e dove si assiste a performance simili a quelle di Rotten. Imperdibili anche le immagini dello sciroccato Sid Vicious (che suonava spesso dal vivo con l'amplificatore spento per evidenti incapacità tecniche) mentre passeggia nel quartiere ebreo di Parigi con indosso una maglietta raffigurante una svastica o mentre esegue la memorabile cover di "My Way" di Frank Sinatra. Nel film viene raccontato anche di come Vicious durante i concerti del gruppo (di cui non faceva ancora parte) inventò il modo di ballare chiamato "pogo", successivamente utilizzato in tutto il mondo. Altra sequenza da notare è quella in cui Johnny Rotten, durante l'ultimo concerto americano del 1978, chiude la cover di "No fun" con l'enigmatica frase: "Vi siete mai sentiti come se foste stati fregati?", preludio a ciò che succederà in seguito. Per quanto riguarda i componenti della band, il tempo ha dato ragione a McLaren e il fascino del denaro li ha decisamente coinvolti...Nel 1986 i Sex Pistols hanno vinto (ricevendo vari milioni di sterline di danni) la causa aperta per proventi non pagatigli dal loro manager, Malcolm McLaren. Nel 1996 si è assistito ad una patetica reunion della band con un tour per celebrare il ventesimo anniversario dei Sex Pistols, tour intitolato, esplicitando beffardamente i loro avidi propositi, "Filthy Lucre Tour" (il tour dello sporco lucro). Nel 2000 Julien Temple girando "The Filth and the Fury" lava via l'onta del film precedente raccontando la storia dal punto di vista dei componenti della band e sbeffeggiando McLaren. Tutto ciò prepara la strada all'ennesima reunion del 2003, fatta per arraffare mucchi di quattrini attraverso un tour in Nord America di tre settimane. "Anarchy in the UK" è finito recentemente nella colonna sonora di un videogioco...
Tutto ciò non sminuisce comunque la portata innovativa del movimento punk, che come pochi altri ha simboleggiato il disagio e la rabbia di un'intera generazione, che come afferma Valerio Marchi col "motto No Future non ha rappresentato soltanto il giovane midclass destinato per la prima volta dopo generazioni a star peggio dei propri genitori, o annichilito dal timore che il tutto si risolverà (male) con un gran fungo atomico, ma anche il giovane proletario privo di ogni prospettiva, occupato, sotto-occupato o disoccupato che sia. Quel che vi è racchiuso è una definitiva presa di coscienza delle valenze irreversibili di un modello di sviluppo che implica la cancellazione di ogni possibile futuro per le fasce destinate a uno stato di subalternità economica, culturale, tecnologica. Perché inoltre stupirsi del "distacco dal futuro" dei giovani quando questo sembra essere un sentimento diffuso, che segna una società sempre più percorsa da nevrosi, paranoie e fobie, preda di incertezze economiche, travolta da un'accelerazione tecnologica che tutto muta o trasforma?"
"Il punk è una cultura in cui si registrano le più differenti influenze: dall'Internazionale Situazionista all'underground britannico degli anni Sessanta. In particolare la scena freak di Notting Hill è un accertato precedente del Punk Rock dei tardi anni settanta. Ma, sebbene alcuni dei protagonisti del movimento punk delle origini conoscessero la teoria spectro-situazionista, l'influenza del futurismo, di Dada, dei Motherfuckers, di fluxus e della mail-art è più evidente e degna di nota. La natura iconoclastica delle "identità" punk (es. Johnny Rotten, Sid Vicious, Siouxie Sioux, Dee Generate e Captain Sensible) riecheggia pseudonimi di mail-artisti come Cosey Fanni Tutti, Pat Fish e Anna Banana. Frequentando le scuole d'arte, i membri di rock band come i Clash e Adam and the Ants avevano subito l'influenza del futurismo e di Dada. La didattica retrograda delle art school inglesi, l'ambiente da cui emerse il movimento punk aveva come risultato la conoscenza delle prime manifestazioni dell'avanguardia utopica e l'ignoranza dei suoi sviluppi post-bellici." (Stewart Home)
di Julien Temple (1980 UK 103')
Attraverso i Sex Pistols il Punk è diventato una bandiera, un virus di potenza inaudita e dalla forte carica antagonista, implicitamente politica, capace attraverso provocazioni sconvolgenti e nichilismo puro di brutalizzare le belle maniere della musica e della società. Pensavo di fare un esaltato post sull'ultimo film di Temple sui Pistols "The Filth e the Fury" e parlar male dello storico "The Great Rock'n'Roll Swindle", che mi lasciò l'amaro in bocca ai tempi della prima visione in adolescenza...invece rivedendoli ambedue in sequenza mi sono reso conto che il primo svela drasticamente l'altra faccia della medaglia di una società consumistica allo sbando, in grado di assorbire e digerire qualsiasi sovversione.
La storia comincia nel 1973: Malcolm McLaren (ex manager dei New York Dolls) gestiva insieme alla moglie Vivienne Westwood la boutique "SEX", meglio conosciuta come "Let it Rock", bizzarro negozio di King's Road, una delle zone più lussuose di Londra. La boutique divenne un punto di riferimento per i giovani alternativi londinesi in un periodo in cui furoreggiavano i pantaloni a zampa d'elefante e le camicie a fiori. McLaren ebbe la bella pensata di cavalcare il malessere sociale e la trasgressione creando dal nulla un gruppo musicale con ragazzi, presi dalla strada, che non sapevano suonare e contemporaneamente lanciare una lucrosa nuova moda di abbigliamento fatta con materiale di recupero: magliette tagliate, spille da balia, cerniere, abiti fetish in cuoio e gomma e pantaloni in pelle. "The Great Rock'n'Roll Swindle" esplicita in maniera inequivocabile e ironicamente beffarda la strategia di McLaren e non va dimenticato che è stato ditribuito pochi mesi dopo lo scioglimento dei Sex Pistols e la morte di Sid Vicious, diventato nel frattempo un'icona giovanile. Una necrofila capacità di far quattrini, non c'è che dire...Il mito dei Sex Pistols nasce quindi dall'idea di McLaren di mettere insieme un gruppo musicale estremo dalla travolgente furia animalesca e distruttiva, con l'obiettivo di colpire al cuore l'asfittica industria musicale dell'epoca. Le ricette base, esplicitate nel film in dieci ironici comandamenti, sono: riduci le possibilità di vedere e ascoltare il gruppo, lascia perdere la musica e concentrati sui conflitti generazionali, fa litigare le case discografiche, crea l'evento trasgressivo, fai diventare la tua band il nemico pubblico numero uno inglese, scova un personaggio che possa colpire l'immaginario giovanile, fa un film che ne diffonda la fama. Inutile dire che McLaren è riuscito a rispettare tutti questi punti e di conseguenza si è portato a casa oltre un milione di sterline dell'epoca. Altro obiettivo di McLaren è quello di far litigare tra loro i ragazzi in modo da raccogliere i frutti del classico motto "dividi et impera", anche questo messo in atto da McLaren con precisione chirurgica, tanto che all'epoca i componenti della band rimasero senza il becco di un quattrino. Il progetto originario del film sui Sex Pistols ha inizio nel 1977, parallelamente alle performance dal vivo, e McLaren pensa bene di assumere il regista più trasgressivo sulla piazza, Russ Meyer, per dirigere uno script dal titolo "Who Killed Bambi?", scritto insieme al critico Roger Ebert (coppia esplosiva che successivamente ci ha regalato il magnifico "Beneath the Valley of the Ultra-Vixens"). La produzione però fallisce in breve tempo e il progetto si arena fino al 1978 quando McLaren e Julien Temple ricominciano le riprese, su una sceneggiatura completamente diversa. Ne esce un film dissacrante e spiazzante che letteralmente sputa ripetutamente sul mito Sex Pistols, riducendoli a gruppo da cartoni animati, e lo fa in maniera decisamente punk! Certo che, leggendo varie recensioni sul film, nessuno sembra aver capito l'insolente provocazione del burattinaio McLaren e la graffiante fotografia della nostra società che il film mostra...forse perché si è punk solo per ciò che fa comodo o forse solo perché si portano la cresta, gli anfibi e il chiodo purtroppo...e questo non fa che dar ragione al volpone McLaren. Tra le sequenze memorabili va ricordata quella in cui McLaren balla con indosso una maglietta con scritto beffardamente "Cash from Chaos" e quella in cui i pezzi dei Pistols vengono suonati in chiave disco nel nuovo locale di McLaren e diversi punk ballano scatenati e felici...pochi anni dopo la moda è cambiata, bisogna adeguarsi per continuare a far soldi sulla massa di pecore lobotomizzate...Altra scena memorabile è quella che sbeffeggia il concerto dei Pistols tenuto su una barca sul Tamigi durante il Giubileo della regina al grido di "God save the queen", acme della trasgressione del gruppo. All'epoca l'happening architettato da McLaren si concluse nel caos e fruttò alla band fama imperitura, McLaren e i Pistols vennero arrestati. Nella scena ricostruita in The Great Rock'n'Roll Swindle vediamo Rotten e Vicious sostituiti da un delirante falso criminale nazista (un attore nelle vesti di Martin Bormann) e dal vero rapinatore di treni Ronald Biggs, celebre bandito inglese fuggito milionario dalla patria e recuperato da McLaren in Brasile. Un'altra scena da menzionare è quella dell'audizione tenuta nel 1978 dove i fans possono essere un Sex Pistols per un giorno e dove si assiste a performance simili a quelle di Rotten. Imperdibili anche le immagini dello sciroccato Sid Vicious (che suonava spesso dal vivo con l'amplificatore spento per evidenti incapacità tecniche) mentre passeggia nel quartiere ebreo di Parigi con indosso una maglietta raffigurante una svastica o mentre esegue la memorabile cover di "My Way" di Frank Sinatra. Nel film viene raccontato anche di come Vicious durante i concerti del gruppo (di cui non faceva ancora parte) inventò il modo di ballare chiamato "pogo", successivamente utilizzato in tutto il mondo. Altra sequenza da notare è quella in cui Johnny Rotten, durante l'ultimo concerto americano del 1978, chiude la cover di "No fun" con l'enigmatica frase: "Vi siete mai sentiti come se foste stati fregati?", preludio a ciò che succederà in seguito. Per quanto riguarda i componenti della band, il tempo ha dato ragione a McLaren e il fascino del denaro li ha decisamente coinvolti...Nel 1986 i Sex Pistols hanno vinto (ricevendo vari milioni di sterline di danni) la causa aperta per proventi non pagatigli dal loro manager, Malcolm McLaren. Nel 1996 si è assistito ad una patetica reunion della band con un tour per celebrare il ventesimo anniversario dei Sex Pistols, tour intitolato, esplicitando beffardamente i loro avidi propositi, "Filthy Lucre Tour" (il tour dello sporco lucro). Nel 2000 Julien Temple girando "The Filth and the Fury" lava via l'onta del film precedente raccontando la storia dal punto di vista dei componenti della band e sbeffeggiando McLaren. Tutto ciò prepara la strada all'ennesima reunion del 2003, fatta per arraffare mucchi di quattrini attraverso un tour in Nord America di tre settimane. "Anarchy in the UK" è finito recentemente nella colonna sonora di un videogioco...
Tutto ciò non sminuisce comunque la portata innovativa del movimento punk, che come pochi altri ha simboleggiato il disagio e la rabbia di un'intera generazione, che come afferma Valerio Marchi col "motto No Future non ha rappresentato soltanto il giovane midclass destinato per la prima volta dopo generazioni a star peggio dei propri genitori, o annichilito dal timore che il tutto si risolverà (male) con un gran fungo atomico, ma anche il giovane proletario privo di ogni prospettiva, occupato, sotto-occupato o disoccupato che sia. Quel che vi è racchiuso è una definitiva presa di coscienza delle valenze irreversibili di un modello di sviluppo che implica la cancellazione di ogni possibile futuro per le fasce destinate a uno stato di subalternità economica, culturale, tecnologica. Perché inoltre stupirsi del "distacco dal futuro" dei giovani quando questo sembra essere un sentimento diffuso, che segna una società sempre più percorsa da nevrosi, paranoie e fobie, preda di incertezze economiche, travolta da un'accelerazione tecnologica che tutto muta o trasforma?"
"Il punk è una cultura in cui si registrano le più differenti influenze: dall'Internazionale Situazionista all'underground britannico degli anni Sessanta. In particolare la scena freak di Notting Hill è un accertato precedente del Punk Rock dei tardi anni settanta. Ma, sebbene alcuni dei protagonisti del movimento punk delle origini conoscessero la teoria spectro-situazionista, l'influenza del futurismo, di Dada, dei Motherfuckers, di fluxus e della mail-art è più evidente e degna di nota. La natura iconoclastica delle "identità" punk (es. Johnny Rotten, Sid Vicious, Siouxie Sioux, Dee Generate e Captain Sensible) riecheggia pseudonimi di mail-artisti come Cosey Fanni Tutti, Pat Fish e Anna Banana. Frequentando le scuole d'arte, i membri di rock band come i Clash e Adam and the Ants avevano subito l'influenza del futurismo e di Dada. La didattica retrograda delle art school inglesi, l'ambiente da cui emerse il movimento punk aveva come risultato la conoscenza delle prime manifestazioni dell'avanguardia utopica e l'ignoranza dei suoi sviluppi post-bellici." (Stewart Home)
02/09/08
Zona di Guerra
Zona di Guerra
di Tim Roth (1999 GB 99')
La "zona di guerra" del piccolo spavaldo romanzo di Alexander Stuart, alla base del film di debutto alla regia dell'attore Tim Roth, è Londra. Roth nel film della metropoli mostra ben poco, mentre si concentra sulla zona turistica del Devon, sulle scogliere, ma riprese fuori stagione. E' la storia di una famiglia apparentemente per bene, nella quale il quindicenne Tom (Freddie Cunliffe) sospetta un legame incestuoso tra il padre (Ray Winstone) e la sorella Jessie (una molto intensa Lara Belmont). Tra loro c'è la madre (Tilda Swinton) in attesa di un terzo figlio. Il film è un melodramma che sfocia nella tragedia. La regia di Roth è pittorica ed austera, rinuncia ad ogni effetto e non chiede complicità psicologiche e morali. La sua zona di guerra è la famiglia, dove il più forte è tradizionalmente il padre, maestro di morale a parole, quanto lo è di sopraffazione nei fatti. Roth si dimostra un autore coraggioso, impeccabile e risoluto ed il suo film, uno dei pochi negli ultimi anni sicuramente da vedere, difficilmente si dimentica. A quando un nuovo film?
di Tim Roth (1999 GB 99')
La "zona di guerra" del piccolo spavaldo romanzo di Alexander Stuart, alla base del film di debutto alla regia dell'attore Tim Roth, è Londra. Roth nel film della metropoli mostra ben poco, mentre si concentra sulla zona turistica del Devon, sulle scogliere, ma riprese fuori stagione. E' la storia di una famiglia apparentemente per bene, nella quale il quindicenne Tom (Freddie Cunliffe) sospetta un legame incestuoso tra il padre (Ray Winstone) e la sorella Jessie (una molto intensa Lara Belmont). Tra loro c'è la madre (Tilda Swinton) in attesa di un terzo figlio. Il film è un melodramma che sfocia nella tragedia. La regia di Roth è pittorica ed austera, rinuncia ad ogni effetto e non chiede complicità psicologiche e morali. La sua zona di guerra è la famiglia, dove il più forte è tradizionalmente il padre, maestro di morale a parole, quanto lo è di sopraffazione nei fatti. Roth si dimostra un autore coraggioso, impeccabile e risoluto ed il suo film, uno dei pochi negli ultimi anni sicuramente da vedere, difficilmente si dimentica. A quando un nuovo film?
Canicola
Canicola
di Ulrich Seidl (2001 Austria 121')
L'Austria infelix di "Canicola", sgradevole e prezioso esordio nel lungometraggio di Seidl, disturbante e non mite, è un universo in cui le "figure" hanno la pesantezza di corpi sfatti, appendici informi, molli, rugose di una mente e di psicologie straziate da qualche sordo dolore o da qualche disfunzione e il "paesaggio" é un vuoto riempito da luoghi di transito come le superstrade,le villette a schiera, i posteggi degli ipermercati, i peepshow, i locali per scambisti. Una serie di quadri in cui individui/monadi, solitari o aggrovigliati in amplessi statici e crudeli, si fanno guardare dal regista. Ulrich Seidl é un documentarista e il suo sguardo é abituato a sezionare, ad afferrare, a registrare, ad aggredire l'illusione del vero e del verosimile. I disperati rapporti di forza (splendidamente teorizzati da Fassbinder) non riguardano più l'amore, ma il disamore, non più il sesso, ma la carne anonima. La paura non mangia più l'anima, becchetta il corpo. Attendo con fiducia che distribuiscano "Import/Export", nuovo film di Seidl, sono un illuso?
di Ulrich Seidl (2001 Austria 121')
L'Austria infelix di "Canicola", sgradevole e prezioso esordio nel lungometraggio di Seidl, disturbante e non mite, è un universo in cui le "figure" hanno la pesantezza di corpi sfatti, appendici informi, molli, rugose di una mente e di psicologie straziate da qualche sordo dolore o da qualche disfunzione e il "paesaggio" é un vuoto riempito da luoghi di transito come le superstrade,le villette a schiera, i posteggi degli ipermercati, i peepshow, i locali per scambisti. Una serie di quadri in cui individui/monadi, solitari o aggrovigliati in amplessi statici e crudeli, si fanno guardare dal regista. Ulrich Seidl é un documentarista e il suo sguardo é abituato a sezionare, ad afferrare, a registrare, ad aggredire l'illusione del vero e del verosimile. I disperati rapporti di forza (splendidamente teorizzati da Fassbinder) non riguardano più l'amore, ma il disamore, non più il sesso, ma la carne anonima. La paura non mangia più l'anima, becchetta il corpo. Attendo con fiducia che distribuiscano "Import/Export", nuovo film di Seidl, sono un illuso?
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