di Ivan Zulueta (1980 SPA 105')
Il 30 dicembre 2009 è morto Ivan Zulueta, dimenticato regista di questo straordinario film incentrato sull'ossessione del filmare, rimasto per lungo tempo irreperibile (se non in lingua spagnola) e diretto precursore delle inquietanti atmosfere del Videodrome di Cronenberg. Il ritrovamento dei sottotitoli in inglese sul web ha permesso finalmente la sua emersione dall'oblio. La visione di Arrebato è un'esperienza unica, in quanto al termine si rimane notevolmente perturbati e affascinati dalla pellicola e si ha come la sensazione che le spire del film ci abbiano letteralmente avvolto e una presenza misteriosa ci sia sottilmente penetrata sottopelle. Il film racconta la storia di un regista di film horror di serie B, José Sirgado (potrebbe essere inquadrato come una sorta di alter ego di René Cardona Jr o Jesus Franco), che febbrilmente sta cercando di terminare un suo film incentrato su un'attraente vampira. Le immagini mettono da subito in contatto lo spettatore con bobine e cineprese, la pulsante materia del cinema. Il regista litiga col montatore riguardo al finale del suo film, che lui vorrebbe più ambiguo e in una battuta, rivelatrice del senso profondo di Arrebato stesso, esclama "Non sono io ad amare il film, è il film che ama me!". Ed in effetti Arrebato è un'accecante speculazione sulla forza eversiva e pervasiva del cinema, sulla dipendenza, sulla ricerca dell'ispirazione nel processo creativo, sugli stati alterati di coscienza e sul loro rapporto con le modificazioni della percezione, sull'urgenza del filmare e sul legame segreto e misterioso tra immagini filmate e realtà materiale. In una scena successiva del film, vediamo José vagare in automobile per una città letteralmente disseminata in ogni dove da manifesti cinematografici (Zulueta stesso ne è stato un originale creatore, compresi quelli per i primi film di Almodovar). Rientrato a casa il regista riceve per posta un misterioso pacchetto e trova Ana, la sua compagna, stesa nel letto seminuda, inerte a causa del probabile uso di stupefacenti. Aprendo il pacchetto vi trova una chiave, una bobina di pellicola e un'audiocassetta, provenienti da una sua vecchia conoscenza, tale Pedro, un ragazzo problematico, che conobbe qualche tempo prima e con cui ebbe anche una breve relazione. José si rivela fin da subito gravemente dipendente dall'eroina e in una dura sequenza, intensamente autobiografica per il regista, lo vediamo bucarsi senza speranza (non dimentichiamoci che in quegli anni la penetrazione dell'eroina tra i giovani fu un vero e proprio flagello planetario). Da questo momento in poi José inizia ad avere vere e proprie allucinazioni su chi gli ha mandato il pacchetto. Il regista rivive così il suo rapporto con Pedro, cugino di una sua amante, conosciuto durante una loro gita in una casa di campagna e ossessionato dal filmare in Super 8. Pedro ha la fissazione di rivivere lo stato d'animo di stupore e rapimento proprio dell'infanzia (sorta di estasi mistica), che si ha davanti alle cose che stimolano l'immaginazione e accendono la passione. Per ottenere questo ha però solo due mezzi: il primo è filmare incessantemente con una cinepresa super 8 ciò che lo circonda e sé stesso per poi raggiungere il primordiale stato di grazia attraverso la commuovente continua visione di tali immagini e il secondo è perdersi nei paradisi artificiali della droga. Pedro ancora non è cresciuto, tanto che lo vediamo giocare con orsi di pezza e gelatine infantili, ma con le sue bizzarre idee riesce a stimolare nell'intimo José e i suoi filmati in super 8 (in realtà fiammeggianti cortometraggi sperimentali di Zulueta) riescono ad incantare e cogliere veramente l'intima essenza dello scorrere della vita umana. I dialoghi del film sono spesso sconnessi, ma affascinanti come quello in cui Pedro svela il suo manifesto poetico "Dimmi! Quanto tempo potevi passare da bambino a guardare questa immagine (nel film presa dal fumetto Le miniere di Re Salomone)? Ricordi?...Anni, secoli...eri in piena fuga, estasiato, rapito (arrebato). Per gli altri è un mese. Per me è un giorno. Capisci? Un giorno con le sue trenta notti! Berrò alcool, insomma: un secolo è un secolo. Buttiamo la casa dalla finestra! Domani andrò via. Mi aspettano altri luoghi...gente nuova...posti famosi che nessuno conosce...mille ritmi nascosti che scoprirò! Lo specchio aprirà le sue porte e vedremo il...il...(starnuto del protagonista nel film)...l'Altro!". In una splendida sequenza Pedro riesce poi ad ipnotizzare Ana davanti a una bambola di pezza di Betty Boop, figura centrale dell'infanzia di quest'ultima. Successivamente nei filmati di Pedro, che José guarda morbosamente senza sosta e in preda ad una sorta di arcana estasi mistica, appare inspiegabilmente una pausa, rappresentata da un breve fotogramma rosso. E' il tallone d'Achille delle esperienze di Pedro, la pausa, l'evento inspiegabile. Tale perdita di immagine, con il passare dei giorni, progressivamente si allarga e occupa inspiegabilmente maggiori spazi di pellicola girata. Contemporaneamente la salute di Pedro si guasta irrimediabilmente e questi si chiude in una sorta di autismo, passando le giornate a dormire autofilmandosi per poi rivedere avidamente tali frammenti. Le crisi di astinenza subentranti e le immagini irreparabilmente infettate lo ammalano mortalmente. A tal punto assistiamo ad un inserto di un frammento proveniente da un possibile film di José con Pedro come protagonista ( lo capiamo dalle gestualità decise di quest'ultimo e dalla trascinante musica in sottofondo), apparentemente un film noir con vampiri dagli occhiali scuri. Tale frammento è probabilmente alla base dell'idea di The Addiction di Abel Ferrara e sarebbe stato probabilmente la possibile via d'uscita per il cinema e la vita di Zulueta stesso. Il finale di Arrebato è poi il colpo di genio di Zulueta: vediamo José, ormai irrimediabilmente dipendente dalle immagini e assai preoccupato, recarsi a casa di Pedro per visionare l'ultima bobina e avere notizie di quest'ultimo. La casa è vuota, una minacciosa telecamera sta continuando a scattare, la bobina è presente, ma completamente occupata da fotogrammi rossi, eccetto che per una brevissima apparizione di Pedro in un unico fotogramma. Il film ha totalmente posseduto il ragazzo che si è spinto troppo oltre l'orlo dell'abisso, ma a questo punto assistiamo al colpo di scena che vede José prendere il posto di Pedro, con la telecamera che continua a scattare inesorabilmente. Il cinema ha vampirizzato e inglobato totalmente i suoi artefici. Nell'ultima sequenza, che è anche beffardamente l'ultima del cinema di Zulueta, lo scatto dell'obiettivo si trasforma in un colpo di mitragliatrice e José scompare dalla vita reale per ricomparire sui fotogrammi delle immagini proiettate. Ed è la stessa sorte toccata a Ivan Zulueta e all'attore che impersona Pedro, quel Will More, che sembra uscito dai primi film di Jarmush e non è mai più apparso in altre pellicole. Cavalcata mesmerizzante e indimenticabile questa visione di Arrebato, urlo lancinante e disperato del suo autore (poi scomparso dalla scena, avviluppato tra droga e crisi nervose). Tale pellicola è quasi diventata un'ossessione che mi ha tolto il sonno, sono rimasto totalmente rapito dal suo peculiare ritmo e dalle sue ipnotiche immagini, mirabilmente sospese tra cinema di genere e sperimentazioni degne della migliore avanguardia, sulla scia di Stan Brakhage e Dziga Vertov. Opera per puri visionari e viaggiatori alla ricerca dell'istante mistico in celluloide. Opera dedicata a chi rimane rapito (arrebato) davanti ad alcune manifestazioni artistiche o delle bellezze della natura. Opera dedicata a chi crede che il cinema abbia ancora la capacità di sviluppare endorfine oppioido-simili nei suoi spettatori. E con questo film il suo autore ci ricorda oltretutto, come amava ripetere Orson Welles, che "l'arte è una menzogna che serve per raccontare la verità".
Recensione di Arrebato ad opera di Magick Mike Dekalb.
Recensione di Arrebato ad opera del grande Roberto Curti.
"Arrebato è il simbolo di un cinema spagnolo apparentemente al di là delle possibilità di chiunque, eppure perseguibile, e radicalmente differente."
(Carlos Aguilar)
"Arrebato è un film estremo nel senso più ampio del termine, non tanto perché, ad esempio, mostra un'erezione a tutto schermo come se fosse lo sbocciare di uno strano fiore, né per la pera in dettaglio e i deliri oppiacei di Poncela, ma per la grandiosa follia di Zulueta, che osa reinventare e sconvolgere un mito archetipale del fantastico, quello vampirico, portando allo stesso tempo la famosa equazione del cinema come morte al lavoro fino alle estreme conseguenze. Alla fine, infatti, il protagonista scompare letteralmente dal mondo fenomenico per diventare un'immagine impressa su pellicola; sacrifica la propria vita per il cinema, perchè solo il cinema è vita."
(Roberto Curti da Sex and Violence. Lindau edizioni)
Gloria e vita al cinema di Ivan Zulueta!
"Amo il cinema.
Non importa che genere di film.
Ma tutti i generi di film devono ancora essere creati.
Io credo che il cinema non possa ammettere che un solo genere di film: quello in cui tutti i mezzi
d’azione sensuale del cinema saranno utilizzati.
Il cinema implica un rovesciamento completo dei valori, uno sconvolgimento dell’ottica, della
prospettiva, della logica. È più eccitante del fosforo, più accattivante dell’amore.
Il cinema ha la virtù di un veleno inoffensivo e diretto, un’iniezione sottocutanea di morfina.
Ecco perché l’oggetto del film non può essere inferiore al potere d’azione del film – e deve contenere
del meraviglioso..."
(Antonin Artaud)
musica: Alaska y los pegamoides BOTE DE COLON
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