di Luis Bunuel (1952 MEX 83')
Il maestro Buñuel si cimenta in un melodramma sociale a tinte fosche incentrato su un possente macellaio un po' lento a capire (il Bruto del titolo), assoldato da uno scaltro proprietario terriero per sfrattare con le maniere forti un gruppo di inquilini recalcitranti da alcuni suoi edifici, allo scopo di mettere in atto alcune fruttuose speculazioni edilizie. Nell'esecuzione del suo compito il macellaio uccide accidentalmente il più sobillatore tra gli inquilini, che nel frattempo si sono coalizzati contro la minaccia incombente. Nel frattempo Paloma, la procace e sensuale moglie del latifondista, è attratta irresistibilmente dalla prestanza fisica del Bruto e fa di tutto per conquistarlo (memorabile la sequenza in cui gli morde il muscoloso torace). I poveri e gli operai dello stabile si organizzano per linciare il macellaio e, durante una fuga concitata, questi trova rifugio proprio nella casa della figlia (Meche) del defunto, assolutamente inconsapevole della reale identità dell'uomo, che si trova a nascondere. La tenerezza e l'avvenenza della ragazza, sorprendentemente, conquisteranno il ruvido animo del Bruto e la forza dell'amore lo cambierà radicalmente. Ma la moglie del latifondista, morbosamente gelosa, aizzerà il latifondista contro il macellaio. Nello scontro finale perderà la vita il ricco proprietario e la polizia non avrà pietà del Bruto redento. Un film meno personale per Buñuel, comunque con una storia intrigante, intrisa di violenza e (per l'epoca) selvaggio erotismo, che sottolinea la complessità reale dei rapporti di classe (il Bruto, tra l'altro nel film, mantiene col suo duro lavoro un'intera famiglia di nullafacenti). L'amor fou surrealista concretizzato in una storia dei bassifondi, in cui nessun personaggio è totalmente buono o cattivo. Nella pellicola si assiste anche ad una delle prime rappresentazioni di un chiodo fisso del cinema del regista, quell'ideale della donna santa e/o puttana (Meche è la verginità, mentre Paloma è la lascivia), che ritroveremo meravigliosamente estrinsecato in Quell'oscuro oggetto del desiderio. Non mancano siparietti ironici come quello del vecchietto alle prese con la tequila o il Bruto che rompe le noci col bicipite. Vi sono anche due tocchi tipicamente buñueliani: l'immagine della vergine di Guadalupe che sovrasta il mattatoio in cui lavora il Bruto e l'enigmatico enorme gallo nero che, nel finale, sgomenta l'ipocrita moglie del latifondista.
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