27/08/11

Barbet Schroeder

Barbet Schroeder

Nella graduatoria delle carriere atipiche cinematografiche Barbet Schroeder è ai primi posti nella cinematografia mondiale, non foss'altro per la distanza tra la sua attività di oggi e quella dei suoi esordi, percorsi da tematiche scuotenti quali la fuga dal grigiore e dal conformismo quotidiani, il sogno di un amore assoluto e palingenetico, l'utopia della liberazione attraverso la droga. Da La Vallée e More (Di più, ancora di più) pellicole epocali della cultura hippie a Maitresse, passando per Géneral Idi Amin Dada, Autoportrait, interpretato dal capo dello stato ugandese, virando sul documentario bizzarro Koko il gorilla parlante; la cinematografia di Schroeder si afferma come una delle più complesse e indefinibili nello scacchiere del cinema contemporaneo europeo. Negli anni Ottanta la sua carriera ha subito una nuova svolta: un inatteso sbarco a Hollywood dove sembra agitato dall'idea di trasformarsi lentamente in un perfetto cineasta classico americano con i film Barfly, Il mistero Von Bulow, Inserzione pericolosa, Il bacio della morte, Prima e dopo e Soluzione Estrema. Quando ormai il nostro sembra dato per perso neii meandri del cinema commerciale americano, ci sorprende nuovamente e ci regala due perle anomale come il durissimo La Vergine dei sicari e il film sullo scrittore di culto giapponese Rampo Edogawa Inju, la bete dans l'ombre. Per rendergli omaggio pubblichiamo una sua vecchia intervista a cura di A.Morini.
"Vorremmo cominciare a parlare dei suoi primi due lungometraggi, More del 1968 e La Vallée del 1973. Entrambi i film, per quanto girati a 5 anni di distanza, ruotano attorno al periodo più intenso della contestazione giovanile, della quale affrontano l'aspetto meno direttamente politico. Perché la scelta di parlare della cultura Hippy, dei miti della fuga dalla società dei consumi, della droga, piuttosto che del maggio francese e delle sue conseguenze?"
Senta, io avevo per principio di parlare sempre delle cose che conoscevo già, da una parte, e dall'altra di girare dei film su personaggi che esistevano realmente. E quindi il mio primo film More gira intorno ad una storia vera, ad una storia che conoscevo. Inoltre non mi interessava affatto il ritratto di una generazione o di un'atmosfera; quello che volevo fare era una variazione sul tema della femme fatale, una femme fatale in T-shirt. Questa era l'idea. Doveva essere una storia di droga, di distruzione, con al centro una femme fatale. Quanto a La Vallée, in quel caso l'intenzione era mostrare ciò che succedeva all'interno del movimento hippy: anche qui il film partiva da un personaggio vero che avevo incontrato e che non andava alla ricerca di una valle, ma di un'isola. All'inizio il film prevedeva un gruppo di venti persone su una giunca cinese, alla ricerca di un'isola che era stata aggiunta alla carta geografica. Poi, per questioni finanziarie, sono stato costretto a ridurre la dimensione del film, e la storia è diventata quella di 6 persone su una jeep che cercano una valle. Comunque veniva mantenuta l'idea di un viaggio utopico verso un'innocenza primitiva.
"Entrambi i film raccontano, seppure in modi diversi, esperienze autodistruttive. Nel senso che la ricerca della propria liberazione alimenta parallelamente, nei protagonisti, pulsioni negative di vario segno. Questa visione corrisponde all'idea che lei si era formato delle culture alternative e libertarie di quegli anni?"
Sì, credo di averne sentito intensamente l'ambiguita'. Anche il titolo del primo film More era ambiguo. Dava l'idea di un di più, e nello stesso tempo l'idea della morte. E nel secondo film si immagina perfettamente che questa gente morirà, una volta giunta alla fine della valle. Resta dunque questa ambiguità: hanno veramente trovato la valle? O molto semplicemente sono morti perseguendo una propria follia? Non si tratta esattamente di autodistruzione. Piuttosto è l'idea di un sogno, che possiamo considerare molto bello oppure completamente folle e stupido. Fra l'altro la discussione è ripresa dal Dialogo delle marionette di Frank Light, e gira intorno all'idea seguente: "Si può ritrovare il paradiso? Per ritrovare il paradiso, la miglior cosa da fare non è piuttosto mordere una seconda volta la mela della conoscenza?" E si conclude che l'idea di ritrovare il paradiso è un'idea destinata a fallire.
"Sia in More che in La Vallée vi è un profondo rapporto tra la musica e le immagini. La musica, composta dai Pink Floyd, dunque da una delle band leggendarie nella storia del rock, è parte stessa dei film e contribuisce a definirne il senso generale..."
L'idea musicale del film, per me, era che si trattava di film senza musica da film, e che la musica doveva essere quella che la gente sentiva. Era una musica che aveva sempre una fonte nell'immagine e nella scena ed era una musica sempre giustificata, perché i personaggi stessi la ascoltavano. Non era una musica venuta dal cielo come una specie di commento, o usata per manipolare emotivamente il pubblico. Credo ci fosse una specie di onestà nell'uso della musica. D'altra parte, la musica in entrambi i casi è stata composta come qualsiasi musica da film, pensandola in relazione alle singole scene. Ma di ogni intervento musicale veniva mostrata sempre la fonte, che fosse una cassetta o una radio accesa.
 "Successivamente, lei ha diretto un bellissimo documentario su Idi Amin, il dittatore ugandese, quindi Maitresse. In quale direzione aveva pensato di orientare la sua ricerca, e da cosa si è sentito stimolato, dopo le esperienze fortemente caratterizzate di More e La Vallée?"
La cosa che occorre osservare è che con La Vallée ho tentato un'esperienza veramente molto speciale. E non sono del tutto sicuro di esserci riuscito, cioé ho provato a fare un film assolutamente non drammatico, cioé un film che rifiutava la drammaturgia: ogni volta che si apriva la possibilità di creare un momento d'azione drammatica, questo veniva rifiutato a beneficio della contemplazione. Tentavo il film veramente contemplativo. E quindi La Vallée è molto lontano da More, perché More era un film profondamente drammatico. la tensione al cinema contemplativo è qualcosa che proveniva dalle mie pulsioni documentarie; o forse esse provenivano da lì. Ma molto presto mi sono orientato verso un cinema più drammatico. Maitresse è in un certo senso una prova di remake di More. Una storia che è quasi un fait divers, uno stralcio di cronaca nera.
"Negli ultimi anni lei ha deciso di trasferirsi, professionalmente, negli USA. Perché? Che cosa ha pensato che il cinema americano potesse darle in più o di diverso rispetto a quello europeo?"
In realtà, già il mio primo film More era un film americano ed era finanziato da americani con star americane, era in inglese e aveva questo taglio molto drammatico. Il secondo film lo volevo fare in inglese ma non ho potuto. L'ho fatto più tardi in inglese. Poi tutti gli altri film che ho fatto successivamente avrei benissimo potuto farli  in inglese: sono film che non riflettono in nessun modo la realtà francese, che non mi ha mai ispirato. Invece ciò che mi ha sempre ispirato è il cinema americano. Ho visto film americani al ritmo di tre al giorno, in modo esclusivo, per anni e anni prima di cominciare a fare film. E fin dal mio primo film ho cominciato a fare nella mia testa film americani.

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