22/08/11

Kristove Roky (Juraj Jakubisko)

Kristove Roky - Gli anni di Cristo
di Juraj Jakubisko (1967 CECOSLOVACCHIA 95')
Un delirio di immagini ferali e crudeli costituisce il tessuto connettivo e la lancinante espressione visiva di un incubico approccio alla realtà vista come un alternarsi di inutili illusioni, di brucianti tormenti, di impietose asperità; un cinema che per la sua ascensione visionaria ricorda quello dell'armeno-georgiano Paradjanov, che come questo è da considerare tra i più cospicui risultati del cinema contemporaneo...(L.Micciché)
“Quando facevamo il cinema, nel periodo fino al’66-’67, sotto il titolo di ogni film c’era un numero, cinque o sei cifre: era il numero della censura, che attestava che il film aveva ottenuto il permesso oppure no. 
Il meccanismo della censura funzionava per lo più così: arrivava un signore, un funzionario addetto, era da solo, si metteva a vedere il film, iniziava la proiezione, lui stava lì con un timbro e col taccuino per gli appunti, certe cose erano approvate altre no. Mi ricordo come tutti quelli della direzione artistica gli giravano intorno, gli portavano un caffè, un po’ di vodka….poi ancora un po’ di vodka..per farselo amico. La cosa importante era ottenere quel timbro, affinchè il film potesse uscire, altrimenti iniziavano le rogne, bisognava aggiustare delle scene ecc. 
Nacque così un uso particolare, che noi chiamavamo “cagnolino bianco”. Gli autori inserivano nel film qualcosa davvero marchiano, per esempio una donna nuda, un appunto chiaramente politico, insomma una cosa che non sarebbe passata mai e poi mai. Il funzionario diceva: “Bene, questo film lo approvo, ma quella scena deve essere tolta”. E noi non potevamo che essere contenti perché il film sarebbe stato proiettato. Con cosidetti “cagnolini bianchi” distraevamo l’attenzione dalle cose cui davvero tenevamo. 
Nel periodo della Primavera di Praga si diceva che avrebbero abolito la censura. Ci fu un periodo di apertura, ma naturalmente dopo ’68 la situazione si fece di nuovo pesante. Mi cacciarono dal cinema di fiction e alla fine mi misero a fare i cortometraggi e documentari ( Nota: al regista, che nel 1970 stava lavorando al film Dovidenia v pekle, priatielia/ Arrivederci all’inferno, amici, la cui lavorazione fu interrotta a causa di censura per poi terminarlo con alcune modifiche nel 1990, praticamente venne impedito lavorare per circa 10 anni) 
In seguito iniziarono a succedere le cose molto spiacevoli. Ricordo che venni insultato durante le riunioni con frasi tipo: “Quello è un anti-comunista, un anti-socialista, un traditore!” La gente iniziò a girarmi le spalle, avevo smesso di esistere. All’improvviso sentivo un vuoto antorno. Queste erano le cose difficili da sopportare, perché la gente inizia a temere per la propria esistenza. Quel timore ci perseguitò per tanto tempo, e introdusse un nuovo tipo di censura, che prima non conoscevamo. Furono fatte circolare le istruzioni precise: se fosse stato realizzato un film sbagliato, l’avrebbero pagata il direttore della produzione, il responsabile della sceneggiatura. Le persone iniziarono ad avere la paura: “Juraj, non puoi scrivere le cose del genere, ti prego, io ho figli, ho una moglie…” Nacque così l’autocensura. Nelle proiezioni di prova, i responsabili radunavano amici, familiari, gli autisti, e si guardava il film tutti insieme e ci si chiedeva, ci si scervellava su cosa si sarebbe dovuto togliere per non creare i fastidi. E sorgevano così dei casi assurdi, da non credere. Mentre giravo “Postav dom, zasad strom” (costruisci una casa, pianta un albero, 1979) mi fermarono e mi dissero che dovevo togliere una scena perché un ministro si era lamentato. In quella scena non c’era niente, solo due persone che parlano, il testo era innocuo. Andai da questo ministro che mi disse: “Il testo non c’entra niente, ma cos’hanno dietro quei due?” “Un muro” “E cosa c’è sul muro?” “Mah, mi sembra un quadro con l’immagine di un piccolo villaggio…” “Bravo, compagno, te lo ricordi bene, eh? Al centro di quel piccolo villaggio c’è una chiesa e sulla chiesa c’è una croce! Chissà cosa si immagineranno i nostri nemici, questo genere di cose non ce le possiamo permettere!” 
Allo stesso modo non si potevano mettere nei film calendari con la data 21 in evidenza, perché sarebbe stato un riferimento al 21 agosto, giorno dell’invasione dei russi. All’improvviso iniziarono a censurare le cose più improbabili. 
Fummo costretti a sopravvivere nell’umiliazione. Alcuni furono bollati come “traditori” e messi sulla lista nera. Anche il mio nome c’era. I procedimenti punitivi verso gli oppositori però non si limitavano alle persone incriminate, ma erano ampliati alle loro famiglie. Così mia moglie Dana perse il posto a teatro, e anche sua madre fu discriminata. Non potevi nemmeno dire: “Almeno pagherò io, per i miei atti”. Sapere che possono essere colpiti i tuoi cari ti mette adosso un terrore speciale."
Fonte: Disertori e nomadi, Il cinema di Juraj Jakubisko, Alpe Adria Cinema 2005

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