Arcana
di Giulio Questi (1972 ITA 111')
con Tina Aumont, Lucia Bosé, Maurizio Degli Esposti.
Film dimenticato e pressoché introvabile, di cui ho visto una versione mutilata di ben 26 minuti, che mi ha lasciato l'amaro in bocca e l'impressione di avere assistito a scaglie lampeggianti di un'opera maestosa, insinuante e profonda, con pochi eguali nel cinema italiano. E' l'ultimo film prodotto dalla coppia illuminata formata da Giulio Questi e Franco Arcalli, favoloso sceneggiatore e montatore (collaboratore anche di Antonioni, Bertolucci e la Cavani). I due film precedenti della coppia, "Oro Hondo" (Se sei vivo spara) e "La morte ha fatto l'uovo", sono due cult universalmente riconosciuti. Questo film invece è sconosciuto a quasi tutti perché, all'epoca d'uscita, ha subito una distribuzione microscopica a causa del fallimento del produttore mentre erano in stampa le copie definitive. Da allora si è visto solo saltuariamente, peraltro orrendamente censurato, su reti private regionali, finché nel 2006 alla sala Trevi di Roma ne è stata proiettata una versione integrale (acciderbola l'ho saputo a posteriori!), a cui non è seguita una doverosa edizione in DVD (come già poi per gli inediti di Cavallone...che c. aspettano? pagherei oro...).
"Arcana" narra di vedova e figlio, emigrati dalla Sicilia nei quartieri popolari di Milano in cerca di fortuna, sperando di intercettare le ricchezze di superstiziose famiglie borghesi, attraverso la lettura di tarocchi, la preparazione di rimedi contro il malocchio e l'allestimento di sedute spiritiche. La madre è esperta di rituali magici e furbescamente se ne serve per adescare facili prede, mentre il sofferente ed emaciato figlio appare realmente vivere sulla propria pelle lancinanti percezioni extrasensoriali e dimostra, a più riprese, di possedere inquietanti e incontrollabili poteri. Il problema sorge quando il figlio si invaghisce di un'avvenente cliente della madre e usa i propri poteri per conquistarla...la ragazza rimarrà incinta e le conseguenze saranno devastanti per gli equilibri del microcosmo familiare (fortemente connotato da complessi edipici) e per la psiche del giovane, che perderà totalmente il controllo dei suoi arcani poteri. Nel concitato finale (nella versione vista da me, assolutamente e insensatamente appiccicato al resto) rimane il dubbio se la sparatoria nelle strade del quartiere è il risultato del delirio del giovane, che porta alla follia generale o è un atroce scontro, tristemente abituale per l'epoca, tra polizia e contestatori.
Numerosi i momenti di grande cinema della pellicola, tra cui va ricordato il mesmerizzante ballo rituale di una famiglia meridionale guidata dalla madre stregona, al suono di un violino ipnotico. La musica del violino, veramente impressionante, è composta da nove note ripetute all'infinito, e proviene direttamente dalla cerimonia macedone degli Anastenaridi, durante la quale gli adepti camminano sul fuoco a piedi nudi senza, inspiegabilmente, alcun danno. Durante il rituale del film, invece, un asino legato viene misteriosamente issato su una chiesa e improvvisamente dalla bocca della maga cominciano a emergere decine di rane saltellanti (che coraggio Lucia Bosé!!!), simbolo in molte culture di fertilità, rigenerazione e rinascita. Gli Aztechi, per esempio, rappresentano la rana come Tlaltecuhti, la madre terra, simbolo di morte e di rinascita. In una leggenda azteca, la rana funge da origine dell’intero universo. Infatti Quetzalcoatl (il dio serpente/uccello) e Tezcatlipoca (il dio mago/giaguaro) trovano la rana nel mare primordiale; ne dividono il corpo a metà, e con esso creano il cielo e la terra. Nelle leggende cinesi, invece, il rospo è spesso rappresentato come un mago che detiene segreti preziosissimi. Molte di esse raccontano la storia di Liu Hai e del suo inseparabile compagno, il rospo dalle tre zampe Ch’an Chu, che conosce il segreto dell’immortalità. Film colto, sperimentale per quanto riguarda lo straniante linguaggio cinematografico e realmente arcano.
"Giulio Questi rievoca temi della letteratura magica e alchimistica, favole junghiane archetipiche, li fonde col corredo delle leggende popolari e della demonologia, li ambienta nel suburbio cittadino, quest'inferno che sta a mezza strada fra la campagna perduta e la città non ancora conquistata. Il lucido delirio alterna, nella seconda metà, il meraviglioso alla sconnessione..." (Sergio Frosali)
(nella foto ossario di Evora, Portogallo)
24/07/08
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