di Luchino Visconti (1943 ITA 135')
E' il primo film di Visconti che per la sceneggiatura traduce, modificandone il senso, il romanzo dell'americano James Cain "Il postino suona sempre due volte". Ambientato nella pianura ferrarese e in mezzo ai paesaggi del fiume Pò, Ossessione è il film capostipite della corrente neorealista italiana, influenzato dai toni del cinema francese del periodo con particolare riferimento allo stile poetico di Jean Renoir. All'epoca venne prima tollerato e poi ferocemente boicottato dal regime fascista, configurandosi come un'opera di rottura decisa dal cinema dei telefoni bianchi e da quello di propaganda storico. In realtà si tratta di un film fortemente politico, certo cupo e pessimistico, dove l'illusione di poter fuggire da un mondo squallido e senza speranza viene ad essere il tema che l'autore delinea con maggior passione. "Quelli che più e meglio hanno creato dei mondi sono Carné e Renoir, uno con un impeto un po' scomposto e l'altro con il raggiungimento di una forma classicamente perfetta. Costituisce dunque un motivo di piena e convinta soddisfazione il fatto che un nuovo elemento della nostra cinematografia, Luchino Visconti, che è stato aiuto e collaboratore di Jean Renoir, si accinga a darci col suo primo film, Ossessione, un'opera le cui radici sotterranee e i cui motivi più profondi originano e traggono linfa da questo humus fecondo. Ossessione sarà un film in cui non si vedranno educande, non principi consorti, non milionari affetti dal tedium vitae: ma tutta un'umanità spoglia, scarna, avida, sensuale e accanita fatta così dalla quotidiana lotta per l'esistenza e per la soddisfazione di istinti irrefrenabili: un'umanità che scatta a molla nell'azione, senza il mediato correttivo del pensiero, ma con quella spinta irruenta per cui desiderare e prendere costituiscono un unico atto spontaneo al di qua del bene e del male. Per questa loro istintiva animalità; per il nascere dei loro atti in questi remoti e incontrollati recessi della coscienza, i protagonisti del film, cui danno volto Massimo Girotti, Clara Calamai e Juan De Landa, appaiono dei puri di cuore, degli incolpevoli, delle vittime anche nello spiegarsi della passione, del tradimento, del delitto. Una moralità più alta li avvolge, nel film, di umana simpatia, e di pietosa comprensione, mostrando come neppure la torbidità degli eventi appanni il cristallo immacolato di quelle coscienze elementari...Creature umane, i cui tratti palpitano con così dolorosa verità, non saprebbero muoversi nelle impalcature dipinte nei teatri di posa, ma tra alberi veri, nell'erba, nella campagna, nei prati, tra gli elementi naturali, o nelle zone accidentate e spezzate della periferia cittadina dove ogni sasso, ogni angolo sbrecciato, ogni viottolo, ogni cortile narra, nell'usura della sua fisionomia originaria, tutta la lunga storia del quotidiano rovello degli uomini. Intendimenti simili non si scelgono come una cravatta nell'armadio, ma testimoniano di una piena maturità di coscienza e sono, in sostanza, più che una promessa, già un punto di arrivo. Ed è per questo che il film va senz'altro considerato con un metro diverso dalla produzione corrente e commerciale: come un film d'arte" (Antonio Pietrangeli, 1942).
"E' vero...a me interessano sempre le situazioni estreme, i momenti in cui una tensione abnorme rivela la verità degli esseri umani, amo affrontare i personaggi e la materia del racconto con durezza, con aggressività, c'era crudeltà e violenza in Ossessione più che in qualsiasi altro mio film..." (Luchino Visconti)
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