04/12/11

Encarnacao do Demonio (José Mojica Marins)

Encarnacao do Demonio
di José Mojica Marins (2008 BRA 94')
Il ritorno alla regia dell'icona horror (nel 2008, all'epoca del film, ben settantaduenne!) José Mojica Marins, a cui dedicai un post molto sentito qualche tempo fa, è certamente da non perdere, sia perché resuscita il leggendario personaggio del becchino chiamato Coffin Joe (qui Josefel Zanatas, anagramma di Satanaz...), che in tutti questi anni è rimasto incredibilmente fedele alla linea non perdendo né smalto né cattiveria, sia perché aggiorna smaccatamente il suo armamentario horror tradizionale con le perversioni e le parafilie più bizzarre, tipiche dell'età contemporanea (per approfondimenti non perdere No body is perfect di Raphael Sibilla).  La pellicola inizia con la scarcerazione da un ospedale psichiatrico (per un errore giudiziario) del canuto protagonista, che gli permette di ricongiungersi al suo fedele servitore gobbo di nome Bruno, che nel frattempo gli ha organizzato attorno una vera e propria banda di adepti da suppliziare, riunita in un tugurio di una zona nelle favelas di San Paolo. Ma prima di raggiungere i suoi adepti il Nostro si scontra con la modernità e viene ironicamente messo sotto da un auto spericolata, che manco si ferma dopo l'incidente, giusto per rimarcare allo spaesato satanasso che al giorno d'oggi le cose possono anche essere ben peggiori che in passato. Coffin Joe da questo trauma esce illeso e incazzato: le unghie chilometriche, il cappello caratteristico, il mantellaccio nero e il pacchiano medaglione al collo sono quelli di un tempo, così come la volontà di concepire il Figlio perfetto da una donna che, sottoposta a prove estreme, mostri una sovrumana resistenza alla paura e al dolore. Da non credere la mattanza messa in atto dal regista sullo schermo, che si serve di incursioni sadiche, topi, ragni giganti e scarafaggi come un tempo; ma aggiunge anche tutto lo strumentario proprio della body art più estrema per torturare le proprie spasimanti e i propri adepti. Da non credere poi che i casting dei film del regista, tuttora famosissimo in Brasile tra i cultori dell'horror e non solo, pullulano di masochisti aspiranti attori e di bellissime donne, che pur di ottenere una comparsata sono disposte a subire ogni genere di punizione corporale. A differenza dei film precedenti della saga di Ze do Caixao, il protagonista in questa pellicola è tormentato da incubi e allucinazioni riguardanti le vittime dei suoi crimini del passato che ritornano in visioni persecutrici. La colpa lo affligge e la morte gli alita a fianco, al punto che dopo un diabolico amplesso sotto il sangue di una congrega di streghe, il Nostro si risveglia in un visionario Purgatorio dove uno strano repellente individuo sghignazzante lo introduce ad un paesaggio degno del Salò pasoliniano, dove minacciose donne/medusa strappano e mangiano i genitali a malcapitati peccatori. Non mancano poi un'emersione di donna nuda da scrofa (degna di Arrabal e Cavallone), un inquietante prete (con sul torace tatuate le quattro parole: ateo, assassino, eretico, maledetto) che si dà la scossa attraverso ganci collegati ai propri capezzoli, un amplesso necrofilo (alla Buttgereit), una critica alle violenze della polizia di regime e una gran tirata finale in un visionario Tunnel dell'Orrore, con infine uno sberleffo/colpo di coda del nostro anti-eroe nell'ultimo fotogramma. Dedica finale cinefila a Rogerio Sganzerla e al misconosciuto cineasta Jairo Ferreira, autore dello scult "O Vampiro da Cinemateca", ma anche critico cinematografico dissidente e indimenticabile attore in "Ritual dos Sadicos".
Alla fine ci si chiede: perché guardare tali nefandezze?
Sicuramente affascina la storia di un settantenne psicopatico che continua imperterrito a fare ciò che faceva quarant'anni fa, vero e proprio cinema nel cinema. Va poi considerato che, come dichiara il critico André Barcinski "José Mojica Marins non è uno di quei mostri hollywoodiani altamente tecnologici, ma un Messia dei film a basso budget, un profeta infernale, uno spirito malvagio che condensa in un'anima tormentata tutta la povertà e le malattie di un paese afflitto dalla carestia". Inoltre guardando i suoi deliri kitsch e ascoltando i suoi sconclusionati monologhi si prova quello strano nichilistico piacere liberatorio che ci dà la lettura di un fumetto pulp o l'ascolto delle farneticazioni ghezziane nelle spire notturne. Oppure perchè, da veri malati immaginari, ogni tanto ci piace essere torturati dal demone della Settima Arte...

Nessun commento: