Halloween in a Suburb
Nel livido, triste chiarore lunare
svettano bianchi i campanili,
gli alberi si ricoprono d'argento
e sui comignoli volano i vampiri.
Guarda: le arpie del cielo profondo batton le ali,
ridono ed osservano.
Sul morto villaggio sotto la luna
mai ha brillato il sole al tramonto:
è emerso dal buio di ere perdute,
là dove scorrono fiumi di follia
lungo abissi di sogno senza fondo.
Un vento gelido striscia fra i covoni
sui campi splendenti di pallida luce
e s'aggroviglia attorno alle lapidi nel cimitero
dove i ghoul ricercano l'orrida preda per la loro fame.
Neppure il soffio degli strani Dèi del mutamento
giunti al passato a reclamare
ciò che gli appartenne
può rendere quest'ora meno immota:
una forza spettrale copre tutto,
diffonde il sonno dal suo seggio antico
e libera l'ignoto senza fine.
Si estendono di nuovo la valle e la pianura
che videro lune scordate ormai da tempo,
ebbri danzano i mostri sotto i fiochi raggi,
sorgendo dalle fauci del sepolcro
per scuotere il mondo col terrore.
Le cose che il mattino aspro rivela,
l'orrore e la miseria di campi desolati irti di sassi
si aggiungeranno un giorno a tutto il resto
tramando con le ombre maledette.
S'alzi pure nel buio il gemito dei lemuri,
guglie rose di lebbra giungan fino al cielo...non cambia nulla:
chè l'antico e il nuovo insieme
son ravvolti nelle pieghe del costume destino, morte e orrore.
I Segugi del Tempo sono pronti le carni d'entrambi a dilaniare.
(H.P. Lovecraft)
27/10/10
FESTIVAL ESTREMO DALL'ORIENTE
FESTIVAL ESTREMO DALL'ORIENTE
NEW JAPANESE FESTIVAL
Clan Destino faenza
VENERDÌ 5 e SABATO 6 NOVEMBRE
Per “ascolti contemporanei”, due giorni di musica contemporanea estrema dall’oriente
Venerdì 5 JAPANESE NEW MUSIC FESTIVAL 2010. Questo concerto avrà luogo alle 21.30
all’interno del M I C Fondazione (Museo Internazionale delle Ceramiche). 7 performance di 15 minuti l’una. Fra l’ improvvisazione radicale, la tecnica trabordante, metodica, matura, portata ad un livello sonico e profondamente elegante con tessiture complesse, eccentriche, poliritmiche esposte in performance scellerate che portano il pubblico in un abisso di ammirazione ed euforica ironia. Fra l’ abilità sonora all’ ennesima esposizione e il nonsense di mai dire banzai. I progetti sono 1-Tatsuyama Atsushi, bassista, 2-Kawabata Makoto, chitarra, 3-Ruins Alone: Yoshida Tatsuya, batteria 4-Zubi Zuvax: Yoshida + Tatsuya + Kawabata poliritmico a cappella 5-Akaten: Tsuyama + Yoshida performance oggettistica polifunzionale (con uso anche della ceramica) 6-Zoffy: Tsuyama + Kawabata niente suona come questo. L’ ironia come veicolo essenziale dell’ arte. 7-Acid MotherTemple SWR: Kawabata + Tsuyama + Yoshida una legione di potenza leggendaria e stupefacente.
Sabato 6 Novembre prosegue il festival al Clan Destino con
-10 (JAP-KOR)
Al contrario della serata precedente, giovanissimo duo femminile da Seul, per la prima volta in Italia, elettronica, sonorità 80, improvvisazione, noise e chincaglierie varie. Itta (voce, keytar, toys) e Marquido (laptop, bass e synth) ci portano coscienza dell’ immensità degli artisti del sol levante! Per loro il noise è una forma poetica e le loro performance sono allo stesso tempo poppy, abrasive e bizzarre.
DOMENICA 7 NOVEMBRE ore 17.30
Scaglie Cinema Club propone
ACHILLE E LA TARTARUGA
ACHILLES TO KAME
di Takeshi Kitano (2008 GIAP 119')
Artisti si nasce o si diventa? ....formula conciliante del percorso nichilista, straziante; probabilmente il picco non superabile dell'altitudine melodrammatica dell'autore.
NEW JAPANESE FESTIVAL
Clan Destino faenza
VENERDÌ 5 e SABATO 6 NOVEMBRE
Per “ascolti contemporanei”, due giorni di musica contemporanea estrema dall’oriente
Venerdì 5 JAPANESE NEW MUSIC FESTIVAL 2010. Questo concerto avrà luogo alle 21.30
all’interno del M I C Fondazione (Museo Internazionale delle Ceramiche). 7 performance di 15 minuti l’una. Fra l’ improvvisazione radicale, la tecnica trabordante, metodica, matura, portata ad un livello sonico e profondamente elegante con tessiture complesse, eccentriche, poliritmiche esposte in performance scellerate che portano il pubblico in un abisso di ammirazione ed euforica ironia. Fra l’ abilità sonora all’ ennesima esposizione e il nonsense di mai dire banzai. I progetti sono 1-Tatsuyama Atsushi, bassista, 2-Kawabata Makoto, chitarra, 3-Ruins Alone: Yoshida Tatsuya, batteria 4-Zubi Zuvax: Yoshida + Tatsuya + Kawabata poliritmico a cappella 5-Akaten: Tsuyama + Yoshida performance oggettistica polifunzionale (con uso anche della ceramica) 6-Zoffy: Tsuyama + Kawabata niente suona come questo. L’ ironia come veicolo essenziale dell’ arte. 7-Acid MotherTemple SWR: Kawabata + Tsuyama + Yoshida una legione di potenza leggendaria e stupefacente.
Sabato 6 Novembre prosegue il festival al Clan Destino con
-10 (JAP-KOR)
Al contrario della serata precedente, giovanissimo duo femminile da Seul, per la prima volta in Italia, elettronica, sonorità 80, improvvisazione, noise e chincaglierie varie. Itta (voce, keytar, toys) e Marquido (laptop, bass e synth) ci portano coscienza dell’ immensità degli artisti del sol levante! Per loro il noise è una forma poetica e le loro performance sono allo stesso tempo poppy, abrasive e bizzarre.
DOMENICA 7 NOVEMBRE ore 17.30
Scaglie Cinema Club propone
ACHILLE E LA TARTARUGA
ACHILLES TO KAME
di Takeshi Kitano (2008 GIAP 119')
Artisti si nasce o si diventa? ....formula conciliante del percorso nichilista, straziante; probabilmente il picco non superabile dell'altitudine melodrammatica dell'autore.
Kitano è come al solito in ogni parte: regista, scenografo, attore e pittore di opere trabordanti di colori accesi e quasi pacchiani, prodotti dell'eterno protagonista dai contorni grigi e cupi, sulfureo perdente della provincia da cui l'artista non riesce a emergere.
...si prende delle libertà che non si era concesso nei film precedenti (quelli incensati e premiati), si permette di ridere, di sfociare nel grottesco, di sorridere alla morte che lo bacia da vicino.
Un Kitano libero dai vincoli della produzione si muove danzando dentro al processo creativo; ne scaturisce arte pura e unica, una riflessione lucidissima sull'uomo e sull'artista di grande portata filmica.
Forse l'opera più riuscita e straziante di Takeshi Kitano...
(dal web)
20/10/10
Programmazione Cinema Novembre 2010 Scaglie
Novembre Cinema 2010 Scaglie
Domenica 7 Novembre ore 21.30
Valhalla Rising
di Nicolas Winding Refn (2009 DAN/UK 93')
Refn, già autore di Pusher e di Bronson, si rivela cineasta sorprendente: girando un film selvaggio, violento e pulsionale come pochi, ma pervaso da un'aura metafisica e avvolto in una tale atmosfera perturbante da regalarci una visione decisamente emozionante. Il film, impreziosito da numerosi simbolismi mitologici nordici, è diviso in sei parti (Collera, Guerriero Silenzioso, Uomini di Dio, La Terra Santa, Inferno, Il Sacrificio) ed è incentrato sulle avventure di un implacabile guerriero pagano, muto e orbo, preso prigioniero da Vichinghi Cristiani durante il Medioevo. Su tutto il film la fanno da padrone i magnifici paesaggi scozzesi che contribuiscono a rendere le scene arcane e suggestive, dominate da una Natura magnifica, ma alquanto minacciosa. One Eye, questo il nome del guerriero interpretato da un affascinante Mads Mikkelsen, inizialmente è utilizzato dai Vichinghi per dei truci combattimenti tra prigionieri, sui quali si fanno scommesse senza alcuna pietà per la sorte dei perdenti. Quando non combatte, l'imbattibile One Eye è rinchiuso in una gabbia e nutrito da un timido ragazzetto di nome Are, con il quale instaurerà a poco a poco una specie di contatto telepatico. Guidato dall'odio, One Eye riuscirà a liberarsi e Are lo seguirà diventandone la voce. Durante il loro cammino i due si uniranno ad un gruppo di Vichinghi Cristiani per un viaggio in barca diretti verso la presunta Terra Santa. Insieme navigano, perseguitati da una nebbia impenetrabile e convinti di essere vittima di una maledizione (tre morti e un disperso durante il viaggio), fino a quella che dovrebbe essere Gerusalemme. One Eye durante il viaggio è spesso colpito da sogni o visioni premonitori (la pellicola in questi è virata al rosso sangue). In realtà è presumibile che il gruppo sbarchi in Nord America, ma purtroppo per loro questa Terra poco Santa è fin da subito zeppa di segnali minacciosi: su tutti dei cadaveri adagiati su una specie di palafitte e delle frecce di pietra, scagliate da nemici invisibili, che piombano improvvisamente su alcuni membri del gruppo uccidendoli. Il film si configura come una critica feroce al fanatismo religioso e scava singolarmente a fondo nell'essenza del cuore di tenebra degli esseri umani. One Eye, indimenticabile durante un suo rito propiziatorio davanti ad un totem di sassi, è probabilmente la materializzazione di uno spirito (lo stesso Odino?) proveniente dall'Inferno del Nord, come ci viene suggerito in uno spezzone della pellicola. A colpire è però l'enigmatica figura di Are, unico superstite in questo rito di passaggio che è il film e probabilmente futuro messaggero di un Nuovo Credo. Forse l'atteso Zarathustra..
Domenica 14 Novembre ore 21.30
Un tranquillo posto di campagna
Un tranquillo posto di campagna
di Elio Petri (1968 ITA/FRA 106’)
“Il soggetto di un tranquillo posto di campagna risale al '62, l'avevo scritto con Tonino Guerra, ma potei girarlo solo sul finire del '67.
In quegli anni si parlava molto dell'alienazione, tipica della ricerca antonioniana.Si puo' parlare di una vera e propria schizofrenia dell'uomo moderno. Credo, per esempio, di essere io stesso schizoide: professo idee tipiche degli ambienti della sinistra rivoluzionaria, e partecipo al sistema capitalistico, sfrutto degli sfruttati. Non direttamente, nel senso economico, ma, il risultato e' lo stesso, dal punto di vista sociologico, sul piano del privilegio,della paga. Per il momento e' una faccenda solo morale ma e' una situazione da schizofrenia. La ragione per cui difendo un tranquillo posto di campagnia e' questa: era il ritratto di un artista, di un intellettuale borghese e della sua scissione. Era un artista borghese che, almeno per quanto stava nei suoi mezzi espressivi,aveva tentato di rivoluzionare le forme, le formule, e che si trovava prigioniero del sistema della produzione in serie. Di qui la sua fuga verso i fantasmi della cultura romantica”. Petri fa uno dei suoi film più belli, senza intellettualismi, ma strettamente imparentato col cinema underground newyorchese e percorso da una tensione degna dei migliori film di Dario Argento. La sua poetica è paragonabile a quella degli artisti pop, infatti è vicino all’esperienza di molti amici pittori e ne partecipa i segreti attraverso il protagonista del film. All’artista, stretto nella morsa tra ambizioni di contestazione e richieste di mercato, non resta che cercare la compagnia di un fantasma. Notevoli Franco Nero e Vanessa Redgrave.
Domenica 21 Novembre ore 21.30
Kynodontas - Canino
Kynodontas - Canino
di Giorgios Lanthimos (2009 GRE 94')
Dalla critica Grecia arriva una pellicola spiazzante, isterica, crudele, ma non gratuita. Due genitori, per motivi sconosciuti, mantengono i loro tre figli adolescenti segregati all'interno di una splendida villa con piscina, convincendoli che il mondo esterno sia un minaccioso inferno e nel frattempo raccolgono filmati amatoriali sulla loro vita familiare, che ovviamente si configura come bizzarra ai massimi livelli. Quello che colpisce nel film sono le relazioni disfunzionali e anaffettive che si vengono a creare tra i personaggi e il ribaltamento dei significati delle parole comuni messo in atto dai genitori, allo scopo di arginare i dubbi e le inevitabili domande dei tre ragazzi, quando frammenti della realtà esterna irrompono per vie traverse nella loro quotidianità. Su tutto aleggia un'atmosfera malsana e una perturbante sessualità...completano la pellicola alcune affascinanti scene surreali: tra tutte spicca quella del ballo incontrollato delle due ragazze davanti ai due soddisfatti genitori. Il film esplora l'eccesso di protezione che può sviluppare un genitore nei confronti di un figlio allo scopo di preservarlo da corrompenti influenze esterne, fino al limite estremo che giunge a negare i naturali istinti umani e la curiosità sul mondo. Chiaro che l'obiettivo del regista è quello di fare una raggelante metafora sul controllo a cui, nei nostri tempi, sono sottoposti buona parte degli esseri umani ad opera di istituzioni e governi totalitari. Nella pellicola viene mostrata l'implosione della famiglia, ma anche la condizione di cecità subita da individui in una società in cui chi dovrebbe fornirgli informazioni, preferisce invece costantemente censurare la verità. Chiaro però che, come nel film, tutto è fatto al preciso scopo di proteggerci...
Domenica 28 Novembre ore 21.30
Omaggio a Claude Chabrol
Omaggio a Claude Chabrol
Il tagliagole
di Claude Chabrol (1969 FRA 95')
di Claude Chabrol (1969 FRA 95')
Tra una direttrice di scuola e un macellaio nasce un'affettuosa amicizia. Nel frattempo nei dintorni della scuola viene trovato il corpo di una ragazza uccisa. Poco dopo viene scoperto un altro cadavere. È sospettato il macellaio. Autore nel 1956 di una monografia su Hitchcock, Claude Chabrol è rimasto fedele alla sua passione di gioventù. Fu il più criticato fra i registi della Nouvelle Vague per essersi arreso quasi subito alle ragioni del cinema commerciale, all’opposto di quel che ha fatto Jean-Luc Godard. In realtà diversi film di Chabrol sono invecchiati molto meglio di molti di Godard e va anche detto che spesso i migliori gialli di Chabrol non hanno veramente nulla da invidiare alle pellicole di Hitchcock. Per Chabrol l’intrigo poliziesco non è che un pretesto: ciò che gli importa è la scoperta del paesaggio umano con tutte le sorprese relative. La provincia tranquilla e annoiata nasconde qualcosa di inquietante, qualcosa di primitivo che si nasconde nella psiche dei suoi abitanti... Il tagliagole è decisamente uno dei film più belli di Chabrol, a metà strada tra il giallo/horror e il melodramma e dotato di uno stile elegante e riconoscibile.
19/10/10
Yuporn
Yuporn
Video: Immanuel Casto - Escort 25
“Il porno si instaura alla morte del desiderio. Morto, sacrificato l'Eros, l'aldilà del desiderio, quando tu fai qualcosa aldilà della voglia, la voglia della voglia: questo è il porno. E' una svogliatezza. Il più grande pornomane, pornografo, è Franz Kafka, non è Sade. [...] Io mi considero nel porno. Il porno è il manque, l'altrove, il quanto non è, il quanto ha superato se stesso, è quanto non ha voglia, è quanto non gli tira”
(Carmelo Bene)
Video: Immanuel Casto - Escort 25
18/10/10
L'occhio che uccide (Michael Powell)
L'occhio che uccide - Peeping Tom
di Michael Powell (1960 GB 109')
"Ho paura e sono contento di aver paura"
Mark Lewis (il protagonista ha lo stesso nome dello sceneggiatore crittografo) è un giovane operatore cinematografico, timido e riservato, che nel tempo libero fa fotografie pornografiche per arrotondare il bilancio e, per passione, gira pian piano un proprio film. Il giovane ha l'ambizione di fare il regista cinematografico e vive in una simbiosi feticista con la propria macchina da presa. Avvalendosi di una strumentazione artigianale - una cinepresa, un cavalletto che cela una lama e uno specchio ben posizionato - l'assistente operatore e la sua traumatica solitudine innescano la più potente e feroce elegia della storia del cinema sul bisogno di visione e sui pericoli insiti nella seduzione scopofila. Infatti il giovane operatore è ossessionato dal bisogno morboso di contemplare ("tutto quello che riprendo per me è perduto") ed attratto dal fascino malato dell'omicidio (ecco il perché della lama nel cavalletto), ma soprattutto soggiogato dall'espressione di terrore che si stampa (e che lui riprende, grazie allo specchietto, mentre uccide) sul volto delle proprie vittime. La sua pulsione voyeuristica è portata all'estremo e nel tempo libero l'operatore rivede ossessivamente i filmini girati, eccitandosi soprattutto guardando l'espressione delle proprie vittime. Una delle cause di questo bizzarro comportamento è che quando era piccolo, il padre, un noto psichiatra, lo usava come cavia nei suoi esperimenti, torturandolo per studiare le reazioni del sistema nervoso alla paura. Nella pellicola la paura e la reazione ad essa saldano il rapporto tra chi guarda e l'obiettivo. Anche lo spettatore non è immune a questo circolo vizioso ed è metaforizzato dal cliente che all'inizio compra le immagini erotiche proibite.
Il film di Powell è un vero e proprio saggio sul cinema di pulsione, che affronta e sintetizza con una lucidità impressionante i legami tra voyeurismo, sado-masochismo, sessualità e il semplice atto del guardare e fare cinema. Un film leggibile a più livelli, che compenetra profondamente il rapporto tra eros e thanatos, affrontando il problema della visione e dell'arte come artificio della visione; andando ad innescare una serie inesauribile di implicazioni, che fanno diventare ogni tentativo di interpretazione tortuoso come un labirinto di specchi.
Da notare anche che il protagonista indossa una giacca marroncina e il montgomery, che sono stati per anni l'abbigliamento usuale delllo stesso regista. Michael Powell stesso appare (!!!) nel filmino amatoriale nella parte del padre del protagonista e affida, nella stessa scena, al suo vero figlio Columba il ruolo del protagonista bambino.
Film scomparso dalla circolazione e per anni sottovalutato o addirittura trattato con un astio viscerale dalla bigotta critica di regime, è in realtà uno dei nodi fondamentali del cinema fantastico, collegato da un filo rosso all'occhio tagliato di Un chien Andalou del grandissimo Luis Buñuel.
Nell'Era della Scopofilia in cui Internet, strumento di condivisione, è utilizzata per lo più per il porno e il voyeurismo e il Gossip è il Verbo, questo film è la Profezia.
di Michael Powell (1960 GB 109')
"Ho paura e sono contento di aver paura"
Mark Lewis (il protagonista ha lo stesso nome dello sceneggiatore crittografo) è un giovane operatore cinematografico, timido e riservato, che nel tempo libero fa fotografie pornografiche per arrotondare il bilancio e, per passione, gira pian piano un proprio film. Il giovane ha l'ambizione di fare il regista cinematografico e vive in una simbiosi feticista con la propria macchina da presa. Avvalendosi di una strumentazione artigianale - una cinepresa, un cavalletto che cela una lama e uno specchio ben posizionato - l'assistente operatore e la sua traumatica solitudine innescano la più potente e feroce elegia della storia del cinema sul bisogno di visione e sui pericoli insiti nella seduzione scopofila. Infatti il giovane operatore è ossessionato dal bisogno morboso di contemplare ("tutto quello che riprendo per me è perduto") ed attratto dal fascino malato dell'omicidio (ecco il perché della lama nel cavalletto), ma soprattutto soggiogato dall'espressione di terrore che si stampa (e che lui riprende, grazie allo specchietto, mentre uccide) sul volto delle proprie vittime. La sua pulsione voyeuristica è portata all'estremo e nel tempo libero l'operatore rivede ossessivamente i filmini girati, eccitandosi soprattutto guardando l'espressione delle proprie vittime. Una delle cause di questo bizzarro comportamento è che quando era piccolo, il padre, un noto psichiatra, lo usava come cavia nei suoi esperimenti, torturandolo per studiare le reazioni del sistema nervoso alla paura. Nella pellicola la paura e la reazione ad essa saldano il rapporto tra chi guarda e l'obiettivo. Anche lo spettatore non è immune a questo circolo vizioso ed è metaforizzato dal cliente che all'inizio compra le immagini erotiche proibite.
Il film di Powell è un vero e proprio saggio sul cinema di pulsione, che affronta e sintetizza con una lucidità impressionante i legami tra voyeurismo, sado-masochismo, sessualità e il semplice atto del guardare e fare cinema. Un film leggibile a più livelli, che compenetra profondamente il rapporto tra eros e thanatos, affrontando il problema della visione e dell'arte come artificio della visione; andando ad innescare una serie inesauribile di implicazioni, che fanno diventare ogni tentativo di interpretazione tortuoso come un labirinto di specchi.
Da notare anche che il protagonista indossa una giacca marroncina e il montgomery, che sono stati per anni l'abbigliamento usuale delllo stesso regista. Michael Powell stesso appare (!!!) nel filmino amatoriale nella parte del padre del protagonista e affida, nella stessa scena, al suo vero figlio Columba il ruolo del protagonista bambino.
Film scomparso dalla circolazione e per anni sottovalutato o addirittura trattato con un astio viscerale dalla bigotta critica di regime, è in realtà uno dei nodi fondamentali del cinema fantastico, collegato da un filo rosso all'occhio tagliato di Un chien Andalou del grandissimo Luis Buñuel.
Nell'Era della Scopofilia in cui Internet, strumento di condivisione, è utilizzata per lo più per il porno e il voyeurismo e il Gossip è il Verbo, questo film è la Profezia.
17/10/10
Ordet (Carl Theodor Dreyer)
Ordet
di Carl Theodor Dreyer (1955 DAN 126')
"La nuova scienza dischiusa dalla teoria della relatività di Einstein aveva mostrato che oltre al mondo tridimensionale che noi avvertiamo con i nostri sensi esistono una quarta dimensione (quella del tempo) e una quinta (quella della psiche). E' stato anche dimostrato che è possibile vivere avvenimenti non ancora accaduti. Le nuove prospettive che da tante parti si aprono alla nostra conoscenza ci fanno intravedere legami profondi tra scienze esatte e religioni intuitive. Le nuove scoperte scientifiche ci permettono una più intima comprensione del divino e sono già quasi in grado di dare una spiegazione a certi fenomeni soprannaturali"
(Carl Theodor Dreyer)
Ed infatti le scoperte di Carl Gustav Jung sulla sincronicità vengono a dare un notevole supporto alle parole di Dreyer: "a differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell'inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spazio-temporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l'inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e conoscere eventi paralleli". Per Dreyer "la missione è quella di attingere alle segrete radici del subconscio per fissare intuitivamente la verità poetica del presente".
La trama: in una parrocchia dello Yutland in un tempo imprecisato, Morten, il grundtvigiano patriarca della benestante famiglia Borgen, vive un momento di crisi profonda nel suo rapporto con Dio ("oggi i miracoli non succedono più"): il primo figlio Mikkel non crede, il secondo, Johannes di 27 anni, studente della teologia di Kierkegaard, è in preda ormai da tempo a turbe mistiche che lo portano a predicare come fosse una reincarnazione di Gesù di Nazareth e viene considerato impazzito per il troppo impegno. Mentre il terzo figlio, Anders, è pronto a sposarsi con una ragazza che è figlia del più fervente sostenitore della confessione a lui avversa, la “Indremission”. A dispensare la necessaria tranquillità nella fattoria Borgen c’è la premurosa Inger, moglie di Mikkel, madre di due bambine ed incinta di quel maschietto che Morten ha tanto chiesto al Signore. Proprio mentre Morten ha una violenta lite col padre della promessa sposa di Anders, Inger partorisce il bimbo morto e, dopo qualche ora di agonia, muore anche lei. La tragedia colpisce personalmente la coscienza di ognuno e i due patriarchi si riappacificano (seguendo l’evangelico “porgi l’altra guancia”), concedendo il permesso ai due giovani di sposarsi. Morta Inger (e Johannes aveva presagito un cadavere in casa e preannunciato "Inger tu dovrai marcire perché il mondo è marcio"), la figlioletta Maren di otto anni, prega Johannes di riportare in vita la madre, com’egli in precedenza le aveva promesso. La candida fede della bambina permette all’uomo, nel frattempo rinsavito, di realizzare il miracolo della resurrezione. Soltanto il folle Johannes e la bambina credono nel meraviglioso e soltanto grazie alla loro pura fede, attraverso misteriosi percorsi, il meraviglioso può diventare realtà. Su tutto emerge la necessità di pregare con fede e di continuare a pregare il Signore anche se sembra che questi non ci stia dando ascolto.
Ordet, Leone d'oro a Venezia tratto da una piece di Kaj Munk del 1932, è un'opera di autentica poesia incentrata sulla morte e la speranza, sul rapporto tra fede e scienza e sull'angoscia esistenziale che agita ogni essere umano, la cui perfezione stilistica e le tematiche sconcertano ed impensieriscono ancora oggi. Il regista lancia un atto d'accusa contro la concezione della religione come costrizione e castigo e contro la pratica conformistica del cristianesimo, incapace di accogliere e decifrare lo scandalo vivente del personaggio Johannes e della sua Parola, "voce alterante che manifesta l'inaudito". Il film constata il fallimento della ragione, accettando l'immanenza dell'essere-nel-mondo, ma opta per il recupero della speranza, della spontaneità, del desiderio (il bacio finale tra la risorta e il marito). Per il visionario Dreyer "l'arte deve darci la verità della vita in forma concentrata, forte. Una delle verità che essa può dimostrarci e confermarci è la nostra certezza che lo spirito è potenza, che l'anima può essere più forte della carne" e il film in questione riesce pienamente a fare questo. L'arte di Dreyer si configura come pura "forma concepita con l'anima", dotata di un rigore espressivo mirabile. Ma la grandezza di Dreyer sta nel fatto che, come giustamente sottolinea Amédée Ayfre, nel suo cinema "ci conduce alle frontiere dell'uomo, ma ci lascia soli a decidere della realtà di ciò che vi incontriamo". I suoi film sono senza tempo, ancora attualissimi e hanno la capacità di permettere allo spettatore di "riflettere sulla naturale incertezza e bisogno di fede e speranza che caratterizza ogni individuo umano dal più laico e disincantato al più cinico o disperato, insinuando così il dubbio che può divenire senz’altro fecondo oltre ogni forma". Anche perché come notava Aristarco "la solitudine dell'anima umana, la disperazione hanno un'unica possibilità di superamento, quella che permette all'uomo, quale singolo, di mettersi in rapporto diretto con un ente superiore, il Singolo Assoluto: Dio". Molte le sequenze indimenticabili, dall'erba e i panni bianchi stesi che ondeggiano mossi dal vento, alla scena del parto, a quella del miracolo. Uno dei dieci film che decisamente porterei sull'isola deserta.
di Carl Theodor Dreyer (1955 DAN 126')
"La nuova scienza dischiusa dalla teoria della relatività di Einstein aveva mostrato che oltre al mondo tridimensionale che noi avvertiamo con i nostri sensi esistono una quarta dimensione (quella del tempo) e una quinta (quella della psiche). E' stato anche dimostrato che è possibile vivere avvenimenti non ancora accaduti. Le nuove prospettive che da tante parti si aprono alla nostra conoscenza ci fanno intravedere legami profondi tra scienze esatte e religioni intuitive. Le nuove scoperte scientifiche ci permettono una più intima comprensione del divino e sono già quasi in grado di dare una spiegazione a certi fenomeni soprannaturali"
(Carl Theodor Dreyer)
Ed infatti le scoperte di Carl Gustav Jung sulla sincronicità vengono a dare un notevole supporto alle parole di Dreyer: "a differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell'inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spazio-temporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l'inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e conoscere eventi paralleli". Per Dreyer "la missione è quella di attingere alle segrete radici del subconscio per fissare intuitivamente la verità poetica del presente".
La trama: in una parrocchia dello Yutland in un tempo imprecisato, Morten, il grundtvigiano patriarca della benestante famiglia Borgen, vive un momento di crisi profonda nel suo rapporto con Dio ("oggi i miracoli non succedono più"): il primo figlio Mikkel non crede, il secondo, Johannes di 27 anni, studente della teologia di Kierkegaard, è in preda ormai da tempo a turbe mistiche che lo portano a predicare come fosse una reincarnazione di Gesù di Nazareth e viene considerato impazzito per il troppo impegno. Mentre il terzo figlio, Anders, è pronto a sposarsi con una ragazza che è figlia del più fervente sostenitore della confessione a lui avversa, la “Indremission”. A dispensare la necessaria tranquillità nella fattoria Borgen c’è la premurosa Inger, moglie di Mikkel, madre di due bambine ed incinta di quel maschietto che Morten ha tanto chiesto al Signore. Proprio mentre Morten ha una violenta lite col padre della promessa sposa di Anders, Inger partorisce il bimbo morto e, dopo qualche ora di agonia, muore anche lei. La tragedia colpisce personalmente la coscienza di ognuno e i due patriarchi si riappacificano (seguendo l’evangelico “porgi l’altra guancia”), concedendo il permesso ai due giovani di sposarsi. Morta Inger (e Johannes aveva presagito un cadavere in casa e preannunciato "Inger tu dovrai marcire perché il mondo è marcio"), la figlioletta Maren di otto anni, prega Johannes di riportare in vita la madre, com’egli in precedenza le aveva promesso. La candida fede della bambina permette all’uomo, nel frattempo rinsavito, di realizzare il miracolo della resurrezione. Soltanto il folle Johannes e la bambina credono nel meraviglioso e soltanto grazie alla loro pura fede, attraverso misteriosi percorsi, il meraviglioso può diventare realtà. Su tutto emerge la necessità di pregare con fede e di continuare a pregare il Signore anche se sembra che questi non ci stia dando ascolto.
Ordet, Leone d'oro a Venezia tratto da una piece di Kaj Munk del 1932, è un'opera di autentica poesia incentrata sulla morte e la speranza, sul rapporto tra fede e scienza e sull'angoscia esistenziale che agita ogni essere umano, la cui perfezione stilistica e le tematiche sconcertano ed impensieriscono ancora oggi. Il regista lancia un atto d'accusa contro la concezione della religione come costrizione e castigo e contro la pratica conformistica del cristianesimo, incapace di accogliere e decifrare lo scandalo vivente del personaggio Johannes e della sua Parola, "voce alterante che manifesta l'inaudito". Il film constata il fallimento della ragione, accettando l'immanenza dell'essere-nel-mondo, ma opta per il recupero della speranza, della spontaneità, del desiderio (il bacio finale tra la risorta e il marito). Per il visionario Dreyer "l'arte deve darci la verità della vita in forma concentrata, forte. Una delle verità che essa può dimostrarci e confermarci è la nostra certezza che lo spirito è potenza, che l'anima può essere più forte della carne" e il film in questione riesce pienamente a fare questo. L'arte di Dreyer si configura come pura "forma concepita con l'anima", dotata di un rigore espressivo mirabile. Ma la grandezza di Dreyer sta nel fatto che, come giustamente sottolinea Amédée Ayfre, nel suo cinema "ci conduce alle frontiere dell'uomo, ma ci lascia soli a decidere della realtà di ciò che vi incontriamo". I suoi film sono senza tempo, ancora attualissimi e hanno la capacità di permettere allo spettatore di "riflettere sulla naturale incertezza e bisogno di fede e speranza che caratterizza ogni individuo umano dal più laico e disincantato al più cinico o disperato, insinuando così il dubbio che può divenire senz’altro fecondo oltre ogni forma". Anche perché come notava Aristarco "la solitudine dell'anima umana, la disperazione hanno un'unica possibilità di superamento, quella che permette all'uomo, quale singolo, di mettersi in rapporto diretto con un ente superiore, il Singolo Assoluto: Dio". Molte le sequenze indimenticabili, dall'erba e i panni bianchi stesi che ondeggiano mossi dal vento, alla scena del parto, a quella del miracolo. Uno dei dieci film che decisamente porterei sull'isola deserta.
Night of the Lepus
Night of the Lepus - La notte della lunga paura
di William F. Claxton (1972 USA 88')
Ci vuole un grande sforzo immaginativo per avere paura di un coniglio, anche se con questo film Hollywood ha provato a farci cambiare idea: in Arizona si verifica un'esplosione demografica di conigli selvatici che mette a repentaglio sia i raccolti che il bestiame dei contadini della zona. Uno zoologo mette a punto un antidoto ormonale che dovrebbe bloccare la capacità riproduttiva dei conigli ed inizia ad iniettarlo ad alcuni esemplari. In realtà questo siero aumenta esponenzialmente le dimensioni dei conigli e li rende dotati di un istinto ferocissimo. Uno di questi conigli mutanti riesce a fuggire ed in breve tempo si riproduce con la nota proverbiale velocità, trasmettendo le proprie caratteristiche fisiche e attitudinali anche alla sua numerosa prole. Il risultato è che branchi di conigli assassini, grandi come tigri, tengono così in scacco l'intera città. Ingegnose le tecniche di ripresa (grandangolo, slow motion e utilizzo di modelli in scala) nello sforzo (sovrumano) di cercare di rendere minacciosi i solitamente innocui conigli. Assolutamente ridicole le sequenze di attacco agli esseri umani in cui tra zampe di peluche artigliate e incisivi debordanti vediamo lampi di gore inflitti a vittime esterrefatte. Numerose le scene scult: tra cui quella dei conigli comodamente seduti in un drugstore abbandonato, quella dell'assalto al ranch e quella della mattanza finale a colpi di binari elettrificati, mitragliatrici e implacabili fucilate. Per farlo entare nell'empireo del Trash in celluloide mancano solamente le scene delle copulazioni tra i conigli. Nel cast figurano addirittura una spaurita Janet Leigh e il futuro dottor McCoy (DeForest Kelley) di Star Trek. Veramente un caposaldo della serie Z: nella storia del cinema i conigli di Night of the Lepus non sfigurano affatto insieme alle lumache (Slugs) , ai vermi (Squirm) e alle rane assassine (Frogs) come animali più assurdamente pericolosi. La pellicola di Claxton ha comunque segnato l'immaginario del cinema a venire: tra gli omaggi che questo film ha ricevuto vanno ricordate alcune sequenze di Natural Born Killer tratte pari pari da questa pellicola e immagini di Night of the lepus che scorrono su un televisore in Matrix dove al protagonista viene intimato di "seguire il coniglio bianco"...non dimenticando poi il misterioso coniglio di Donnie Darko, forse discendente dai roditori di Claxton...
di William F. Claxton (1972 USA 88')
Ci vuole un grande sforzo immaginativo per avere paura di un coniglio, anche se con questo film Hollywood ha provato a farci cambiare idea: in Arizona si verifica un'esplosione demografica di conigli selvatici che mette a repentaglio sia i raccolti che il bestiame dei contadini della zona. Uno zoologo mette a punto un antidoto ormonale che dovrebbe bloccare la capacità riproduttiva dei conigli ed inizia ad iniettarlo ad alcuni esemplari. In realtà questo siero aumenta esponenzialmente le dimensioni dei conigli e li rende dotati di un istinto ferocissimo. Uno di questi conigli mutanti riesce a fuggire ed in breve tempo si riproduce con la nota proverbiale velocità, trasmettendo le proprie caratteristiche fisiche e attitudinali anche alla sua numerosa prole. Il risultato è che branchi di conigli assassini, grandi come tigri, tengono così in scacco l'intera città. Ingegnose le tecniche di ripresa (grandangolo, slow motion e utilizzo di modelli in scala) nello sforzo (sovrumano) di cercare di rendere minacciosi i solitamente innocui conigli. Assolutamente ridicole le sequenze di attacco agli esseri umani in cui tra zampe di peluche artigliate e incisivi debordanti vediamo lampi di gore inflitti a vittime esterrefatte. Numerose le scene scult: tra cui quella dei conigli comodamente seduti in un drugstore abbandonato, quella dell'assalto al ranch e quella della mattanza finale a colpi di binari elettrificati, mitragliatrici e implacabili fucilate. Per farlo entare nell'empireo del Trash in celluloide mancano solamente le scene delle copulazioni tra i conigli. Nel cast figurano addirittura una spaurita Janet Leigh e il futuro dottor McCoy (DeForest Kelley) di Star Trek. Veramente un caposaldo della serie Z: nella storia del cinema i conigli di Night of the Lepus non sfigurano affatto insieme alle lumache (Slugs) , ai vermi (Squirm) e alle rane assassine (Frogs) come animali più assurdamente pericolosi. La pellicola di Claxton ha comunque segnato l'immaginario del cinema a venire: tra gli omaggi che questo film ha ricevuto vanno ricordate alcune sequenze di Natural Born Killer tratte pari pari da questa pellicola e immagini di Night of the lepus che scorrono su un televisore in Matrix dove al protagonista viene intimato di "seguire il coniglio bianco"...non dimenticando poi il misterioso coniglio di Donnie Darko, forse discendente dai roditori di Claxton...
15/10/10
L'isola delle rose
Insulo de la rozoj - L'isola delle rose
di Stefano Bisulli & Roberto Naccari (2010 ITA 145')
Rimini, estate 1968. Il bolognese Giorgio Rosa, ingegnere genialoide e bramoso di libertà, completa la costruzione di un isolotto artificiale a sei miglia dalla costa: è la "Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj", un micro-Stato autoproclamatosi indipendente dall'Italia, sorto su una piattaforma di quattrocento metri quadrati appena fuori dalle acque territoriali italiane. Il nuovo stato ha l'esperanto come lingua ufficiale e da subito diviene una curiosità per i turisti della riviera romagnola, tanto che giornali e televisioni (anche europee) mandano i propri giornalisti a Rimini per indagare sulla neonata Repubblica. Lo Stato italiano e i servizi segreti vengono da subito allarmati dalla presenza di questa nuova misteriosa creatura. Le ipotesi che girano sulle motivazioni di tal costruzione sono tante dal night all'albergo esotico, dal casinò alla radio o televisione privata, fino a quella della possibile base missilistica in mano a oscuri nemici. La morale nazionale è seriamente minacciata e l'utopia di libertà dell'ingegner Rosa avrà così i giorni contati...la Marina Militare ne minerà la struttura facendola esplodere nel febbraio del 1969. Il bel documentario recentemente realizzato da Cinematica ed editato in dvd ricostruisce i fatti e attraverso le testimonianze dei protagonisti ci fa rivivere un puro e affascinante sogno di libertà del recente passato: "Era meraviglioso stare in mezzo al mare. Guardavamo la costa e Rimini era lì, a portata di mano. Eppure tutto sembrava così distante, lontano. Nessun rumore, niente confusione. Un'atmosfera magica. Un altro mondo".
Quello che è recentemente successo a Sealand, principato microscopico sorto nel mare del Nord davanti alle coste britanniche (nato grazie ed un azione di occupazione di una struttura antiaerea abbandonata dall'esercito inglese ad opera dal bizzarro Paddy Roy Bates), ora diventato base per provider ed organizzazioni di commercio elettronico di mezzo mondo e messo all'asta per 70 milioni di euro, getta poi una luce spiazzante sulla rivoluzionaria intuizione dell'ingegner Rosa.
Non resta che finire questa storia con le parole di Alda Merini: "quel giorno che la legge Basaglia ci ha aperto i cancelli, siamo usciti e abbiam visto le rose. Le abbiamo mangiate. Avevamo fame di rose e libertà..."
di Stefano Bisulli & Roberto Naccari (2010 ITA 145')
Rimini, estate 1968. Il bolognese Giorgio Rosa, ingegnere genialoide e bramoso di libertà, completa la costruzione di un isolotto artificiale a sei miglia dalla costa: è la "Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj", un micro-Stato autoproclamatosi indipendente dall'Italia, sorto su una piattaforma di quattrocento metri quadrati appena fuori dalle acque territoriali italiane. Il nuovo stato ha l'esperanto come lingua ufficiale e da subito diviene una curiosità per i turisti della riviera romagnola, tanto che giornali e televisioni (anche europee) mandano i propri giornalisti a Rimini per indagare sulla neonata Repubblica. Lo Stato italiano e i servizi segreti vengono da subito allarmati dalla presenza di questa nuova misteriosa creatura. Le ipotesi che girano sulle motivazioni di tal costruzione sono tante dal night all'albergo esotico, dal casinò alla radio o televisione privata, fino a quella della possibile base missilistica in mano a oscuri nemici. La morale nazionale è seriamente minacciata e l'utopia di libertà dell'ingegner Rosa avrà così i giorni contati...la Marina Militare ne minerà la struttura facendola esplodere nel febbraio del 1969. Il bel documentario recentemente realizzato da Cinematica ed editato in dvd ricostruisce i fatti e attraverso le testimonianze dei protagonisti ci fa rivivere un puro e affascinante sogno di libertà del recente passato: "Era meraviglioso stare in mezzo al mare. Guardavamo la costa e Rimini era lì, a portata di mano. Eppure tutto sembrava così distante, lontano. Nessun rumore, niente confusione. Un'atmosfera magica. Un altro mondo".
Quello che è recentemente successo a Sealand, principato microscopico sorto nel mare del Nord davanti alle coste britanniche (nato grazie ed un azione di occupazione di una struttura antiaerea abbandonata dall'esercito inglese ad opera dal bizzarro Paddy Roy Bates), ora diventato base per provider ed organizzazioni di commercio elettronico di mezzo mondo e messo all'asta per 70 milioni di euro, getta poi una luce spiazzante sulla rivoluzionaria intuizione dell'ingegner Rosa.
Non resta che finire questa storia con le parole di Alda Merini: "quel giorno che la legge Basaglia ci ha aperto i cancelli, siamo usciti e abbiam visto le rose. Le abbiamo mangiate. Avevamo fame di rose e libertà..."
14/10/10
La bellezza interiore
"Mi interessano molto i documentari sull'interno dei corpi. Mi sembra strano che quando si apre un corpo umano la cosa sia ripugnante per la maggior parte delle persone. Perché? Siete voi, sono io! Come potete trovare ripugnante il vostro stesso corpo? E' quel che voi siete! Abbiamo bisogno di una nuova estetica per l'interno dei corpi. Quando si trova bella una donna, non si pensa che alla sua superficie...ma se la si rigirasse come un guanto, tutto il mondo sarebbe disgustato. E' bizzarro. Non siamo ancora capaci di accettarci nella nostra globalità"
(David Cronenberg)
Autore delle sculture plastinate del video: Gunther Von Hagens' (presto un post su di lui...)
(David Cronenberg)
Autore delle sculture plastinate del video: Gunther Von Hagens' (presto un post su di lui...)
13/10/10
Reg Kehoe & His Marimba Queens
Reg Kehoe & His Marimba Queens
A Study in Brown
Soundies were an early form of music video. They were short movies made in the 1940s to be shown on special video jukeboxes in bars, drug stores, pool halls, etc.
A Study in Brown
Soundies were an early form of music video. They were short movies made in the 1940s to be shown on special video jukeboxes in bars, drug stores, pool halls, etc.
07/10/10
Il rapporto rivoluzionario fra l'arte e la vita
« Per me c'è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l'arte e la vita. »
(Gian Maria Volonté)
(Gian Maria Volonté)
05/10/10
Sulle orme di Quentin Tarantino ed alla ricerca dei Generi Perduti (parte1)
Sulle orme di Quentin Tarantino ed alla ricerca dei Generi Perduti (parte1)
Il Cinema italiano è morto forse perche' non ci sono piu' i generi?
Docu-Inchiesta dal Venice Film Festival sotto la gestione del bravo Muller e il cappello protettivo di Quentin Tarantino con i contributi dei registi Pasquale Squitieri, Tinto Brass, Mario Monicelli, Giulio Questi e dei critici Claudio G. Fava, Enrico Magrelli, Marco Giusti, Gregorio Napoli, A. Dell'Olio; ma anche un po' di leggerezza dall'Hotel Excelsior- luogo simbolo del Festival- con l'avvenente Nela Lucic, fresca co-protagonista del "Monamour" di Brass e con la bellissima Caterina Murino, perfetta interprete dell'almodovariano "Il seme della discordia" di Corsicato; e poi il western raccontato da Alex Zanotti- esperto di cinema di genere- Todd Solondz con un film in concorso, Les Bodyguard e il loro sguardo Overlook sul Festival
(Walter Ciusa)
Il Cinema italiano è morto forse perche' non ci sono piu' i generi?
Docu-Inchiesta dal Venice Film Festival sotto la gestione del bravo Muller e il cappello protettivo di Quentin Tarantino con i contributi dei registi Pasquale Squitieri, Tinto Brass, Mario Monicelli, Giulio Questi e dei critici Claudio G. Fava, Enrico Magrelli, Marco Giusti, Gregorio Napoli, A. Dell'Olio; ma anche un po' di leggerezza dall'Hotel Excelsior- luogo simbolo del Festival- con l'avvenente Nela Lucic, fresca co-protagonista del "Monamour" di Brass e con la bellissima Caterina Murino, perfetta interprete dell'almodovariano "Il seme della discordia" di Corsicato; e poi il western raccontato da Alex Zanotti- esperto di cinema di genere- Todd Solondz con un film in concorso, Les Bodyguard e il loro sguardo Overlook sul Festival
(Walter Ciusa)
03/10/10
Jesus Jess Franco
Jesus Jess Franco
"...utilizzare il cinema come mezzo per diffondere idee...non solo mi sembra una stronzata, ma è una forma di disprezzo per il cinema stesso"
Dal mitico blog su Jesus Franco di Robert Monell I'm in a Jess Franco State of Mind segnalo l'uscita del nuovo libro "IL CASO JESUS FRANCO" in tiratura limitata con scritti di Francesco Cesari, Roberto Curti, Alessio Di Rocco, Ferran Herranz, Álex Mendíbil, Robert Monell stesso, Teo Mora e Alessandro Scarsella, assolutamente da comprare!
Dopo l'excursus di qualche tempo fa su José Mojica Marins, l'uscita del libro mi fa venire voglia di parlare di questo inafferrabile cineasta, vera e propria macchina da cinema (Klaus Kinski raccontava di aver girato tutte le sue scene da El conte Dracula in un solo giorno), capace di girare apparentemente senza soluzione di continuità e con una sublime generosità nel dare cinema, come se si trattasse di cibo e acqua, al suo pubblico. Ricordo che a metà degli anni Novanta ordinavo con avidità d'importazione dall'Inghilterra le VHS dei suoi film finalmente riscoperti ed editati dalla casa distributrice Redemption, VHS che ora campeggiano nella mia saletta cinema come leggendarie icone di un cinema che non c'è più. Autore irregolare, contraddittorio, ma a tratti geniale, di oltre 180 film in oltre cinquanta anni di carriera, quindi incarnazione vivente del cinema come magnifica ossessione. Franco ha scritto, girato, fotografato, interpretato, doppiato, montato, musicato, prodotto i suoi film in un lungo viaggio di attraversamento dei generi, in una cavalcata selvaggia tra il poliziesco e la sua parodia, tra il fantastico e l'horror, l'erotico e il porno, la pellicola e il video. Un bizzarro eccletismo che ha portato Jesus Franco, da vero maestro dell'exploitation, ad inserirsi in tutti i filoni che via via si succedono nel gusto del particolare pubblico cui si rivolge. Una filmografia magmatica ed inebriante, fatta di film rimaneggiati, o rimontati, o addirittura mescolati tra loro a generare incroci assurdi. Li ha firmati a volte con il suo nome, a volte con numerosi pseudonimi (oltre trenta tra cui Clifford Brown, Jess Franco, James P. Johnson, Maxime Debest, Robert Zinnerman, addirittura un femminile Betty Carter etc) e tale caratteristica rende impervio racchiudere la sua opera in binari ben definiti. Caratteristica comune del suo cinema è quella di riuscire a girare con budget molto striminziti, con i quali un qualunque mestierante di Hollywood farebbe fatica a pagarsi anche solo le colazioni. Lo stile del cinema di Jesus Franco (purtroppo presente solamente in circa un film ogni dieci girati) è poi uno strano mélange di sogno, realtà, delirio, esotismo divertito, eccesso, erotismo morboso, insofferenza per la narrazione lineare, apprezzamento per l'improvvisazione. Tale stile è talmente personale che un suo film spesso può essere riconosciuto vedendo anche solo poche inquadrature. Il suo marchio è inconfondibile e gli ingredienti sono spesso piccanti: pellicole condite da un sarcasmo anarchico (la polizia, la morale e anche la virilità ne fanno spesso le spese), enfasi melodrammatica e pulsione alla dominazione erotica. Va detto che anche i suoi film peggiori spesso contengono almeno una sequenza visionaria, imprevedibile, eversiva. Colpisce nel vedere le pellicole la sua abitudine di zoomare avanti e indietro e di lato con la cinepresa senza una ragione comprensibile.
I suoi numi tutelari sono Sacher Masoch e il Marchese De Sade, mentre il suo cinema è debitore delle figure e degli scenari della Universal di Whale e Browning ("Ho sempre pensato che il genere fantastico sia uno dei più nobili. Quando avevo otto anni, scappavo spesso da scuola per andare al cinema e questi film hanno lasciato il loro marchio su di me. Per me, Mabuse, Dracula e Frankenstein sono i sogni della mia vita, come vecchi amici della mia infanzia" Jess Franco), nonché del thriller euroamericano di Ulmer e Siodmak.
Nato a Madrid nel 1930, nome di battesimo Jesus Franco Manera, proviene da una famiglia ricca di talenti e probabilmente ne è la scaglia impazzita e ribelle: lo zio Julian Marias, famoso filosofo, il fratello Enrique musicologo, e vari nipoti famosi, Javier Marias, scrittore di successo, Miguel, critico cinematografico, e Ricardo Franco, regista cinematografico. Si laurea in Giurisprudenza ma, a parte il cinema, la sua grande passione è la musica jazz: studia in Conservatorio, suona in diverse orchestre il piano e la tromba. Si iscrive per un paio d'anni alla prima Escuela de Cine spagnola, per poi arrivare a Parigi, frequentare senza regolarità l'I.D.H.E.C. e alcuni corsi alla Sorbona, ma soprattutto rinchiudersi per giorni interi alla Cinémathèque Francaise, dove conosce e frequenta Henri Langlois, che gli permetterà di assistere a numerose visioni private dei capolavori del cinema. Tornato in Spagna, comincia il praticantato dietro le quinte: fa l'aiuto regista in diversi film di Bardem, Romero Marchent, Klimowsky, scrive alcune colonne sonore, recita qualche particina, gira documentari. Franco gira il suo primo film nel 1959: dal titolo Tenemos 18 anos, secondo le parole di Roberto Curti scritte su Nocturno "la storia delle ragazzine che partono all'avventura con sogni più grandi di loro su un catorcio che sta insieme per miracolo è una metafora folgorante di quello che sarà il cinema di Franco: un cinema fatto dall'impossibile incontro tra immaginazione sfrenata e cronica penuria di mezzi, messo insieme con lo sputo, spesso sgangherato e sferragliante. Ma vivo, avventuroso, curioso del presente e proiettato al futuro". Nel 1965 Jess Franco viene a contatto con Orson Welles, che lo sceglie come regista della seconda unità per il capolavoro Falstaff - Chimes at Midnight, dopo che ha visto a Parigi il suo film La muerte silba un blues. I due lavorano assieme ad un film tratto dall'Isola del tesoro di Stevenson, con l'americano nella parte di Long John Silver, progetto purtroppo abortito per mancanza di fondi. Nel 1992 il cerchio si chiude ed è affidato proprio a Jesus Franco il discusso montaggio di un film incompiuto (e amatissimo) di Welles, il Don Chisciotte, progetto reso possibile grazie al recupero fortunoso di centomila metri di pellicola, girati senza continuità in un arco di vent'anni, in vari formati e non sonorizzati: rulli interi mai positivati e che pertanto Welles non ha mai visionato. Non un lavoro facile quello di ricostruire un film senza un modello di riferimento di partenza, che comunque Franco porta a termine con discreti risultati, come un chirurgo plastico che ridona la bellezza a un corpo sfaldato e deteriorato. Si tratta, in fondo, della storia che Franco ha sempre raccontato in molti dei suoi film.
Il suo Succubus aka Necronomicon del 1967 è stato definito dal critico Cathal Tohill come "La donna che visse due volte visto attraverso una nube d'oppio" ed è il film che piacque a tal punto a Fritz Lang da farlo definire come il miglior thriller erotico che avesse mai visto.
Ha lavorato con attori a lungo ammirati, spesso marginali o fuori dalle rotte produttive di successo come Jack Palance, Klaus Kinski, Akim Tamiroff, Howard Vernon, Estella Plain riuscendo a vendere il suo cinema di consumo popolare su un mercato internazionale.
La biografia di Jesus Franco è costellata da decine di progetti partiti prima di ogni finanziamento, rulli dai titoli fascinosi che non hanno mai visto il buio della sala di montaggio, troupe che passano dai Tropici al freddo del Polo Nord senza che il copione lo prevedesse, montaggi e rimontaggi di un'unica finzione, un racconto sempre diverso eppure immutabile, immagini in prestito o ripescate (es. El castillo de Fu-Manchu inizia con le immagini di L'affondamento del Titanic di Negulesco del 1953).
A proposito del suo cinema sono azzeccate le parole di Ottavio Di Brizzi: "...ma Franco rimane amato dal pubblico soprattutto per i suoi horror barocchi e visionari, soprattutto quelli imperniati sul personaggio del detective idiota Orloff (l'attore feticcio Howard Vernon) e del suo assistente deforme Morpho. La personalissima combinazione di erotismo e fantastique horror, la sofisticata manipolazione di luoghi comuni della storia del cinema, l'inesauribile capacità di improvvisare (come il musicista jazz che ha sempre sognato di diventare) e di ridare nuovi ritmi e atmosfere a uno stesso standard amato, rendono la sua opera riconoscibile e unica, poco ordinaria e molto vitale. Al ritmo di cinque-sei film l'anno, Franco ha disseminato idee e invenzioni in modo eccentrico e imprevedibile, in mille schegge impazzite e irrecuperabili (anche lo spreco è questione di talento), per cui ogni suo film ha almeno un indimenticabile momento di grazia e di felicità dell'immagine, senza che poi il resto rimanga necessariamente alla stessa altezza. Franco ha bisogno di girare come un pesce ha bisogno dell'acqua, non riesce a pensarsi senza una camera sulla spalla, in una ricerca incessante (una ricerca fisica, come nel caso di Welles) che non produce alcun capolavoro da contemplare, e dunque nessuna opera singola che, da sola, possa testimoniare per il suo cinema. E' solo mettendone faticosamente insieme i frammenti che l'opera di Franco acquista senso, è solo dopo aver visto un certo numero di suoi film che questi cominciano a mostrarsi per quello che sono: tessere di un mosaico, pezzi dalle forme riconoscibili che si ricombinano all'infinito, che innescano una sorta di fascinazione per la ripetizione.
Il tema narrativo dei film si confonde presto con la storia del cineasta: animato da (in)sana passione cinefila, sembra incarnare, e raccontare, il desiderio vampiresco di ripercorrere i luoghi e rifare le riprese amate in un cinema sepolto nella memoria, di riscrivere dunque sul corpo della pellicola, innestare della pelle viva su una sorta di maschera di cera filmica, da plasmare e riportare in vita. Coazione a ripetere e saccheggio, o meglio adozione della memoria del cinema. Adozione, senza restituzione in termini di citazione, di una teoria della luce (classici Universal anni Quaranta), della composizione dell'inquadratura (passione per la magniloquenza del grandangolo) e della sequenza di montaggio (predilezione per lo zoom in sfavore della panoramica, amore per gli scarti di tono e di ritmo, compiacimento per le barocche espansioni enfatiche), nonché gusto per lo smontaggio a vista dei meccanismi narrativi".
Come nota giustamente il più brillante tra i suoi (pochi) esegeti, Carlos Aguilar, "il cinema di Franco parte...da creazioni altrui per configurare un'estetica propria. E a partire da un certo punto di inflessione comincia a ripiegare su se stesso, si rinchiude nelle stesse ossessioni, diviene continua autoreferenza".
A proposito del suo film più ambizioso Justine dal Marchese de Sade, che avrebbe forse potuto lanciarlo nel cinema di serie A, Franco ricorda con dispiacere e frustrazione l'esperienza, a cui la produzione impose come protagonista Romina Power: "Romina era incapace di intendere e, pertanto, di interpretare un essere masochista, e per questo dovetti cambiare una sceneggiatura (in origine splendida) per trasformarla nel racconto delle avventure di una bambina idiota che si perde nel bosco del terrore".
Christopher Lee, una delle poche star del cinema di serie A ad aver lavorato con Franco, a proposito della sua collaborazione per il film El conte Dracula ricorda "vidi lo zoom sulla cinepresa e pensai Uh-Oh e quando mi resi conto che stavo facendo quasi ogni scena di Dracula da solo, senza nessuno con cui recitare perché proprio non c'erano, le cose mi sembrarono anche peggiori. Klaus Kinski non c'era. Herbert Lom non c'era - Herbert e io non siamo mai stati nella stessa inquadratura, anche se siamo nella stessa scena; hanno montato tutto mentre letteralmente noi eravamo in nazioni differenti! E quando mi resi conto che stavano usando lo zoom e stavano girando con l'effetto notte, sostituendo i lupi con i pastori tedeschi, pensai Povero me, una grande opportunità sprecata e mi resi conto che le cose non sarebbero andate come previsto".
Howard Vernon, suo attore feticcio, dice di lui "sapete, è nato con una cinepresa in mano. Io dico sempre che se Franco fosse vissuto nel sedicesimo secolo, allora i fratelli Lumière, che hanno inventato il cinema, sarebbero anche loro vissuti in quel periodo, perché è impensabile che Franco non sarebbe stato un film-maker".
Molti i film di cui si potrebbe parlare, e in futuro forse ne parlerò, preferisco però ora citare due belle recensioni del suo mitico El sadico de Notre Dame:
"Del 1974 è Exorcismes et messes noire che, nel 1979, rinasce come El sadico de Notre Dame, sorta di trance film in cui un allucinato serial killer, Vogel/Franco, si aggira nelle strade di Parigi, alla ricerca di giovani peccatrici da sacrificare al suo delirio misticheggiante. L'andamento di Vogel e del film è lento e ipnotico, il personaggio (e il film con lui) gira su se steso in una sorta di danza rimata, con gli unici squarci di vitalità e guizzi di energia creativa nelle scene di assassinio, rituali e sonnamboliche anch'esse. Un film in cui la stessa memoria del cinema sembra gravare come un fardello insostenibile sulle spalle del folle e svuotato Vogel, sorta di Peter Lorre che si lascia arrestare dalla polizia, sulle scale della cattedrale di Notre Dame, come in una scena di Orson Welles. In una scena che potrebbe aver girato Orson Welles. O che forse Orson Welles ha effettivamente girato." (Ottavio Di Brizzi)
"Exorcismes et messes noire, co-produzione franco-belga firmata James P. Johnson: la storia di un prete spretato, sadico e maniaco sessuale (interpretato dallo stesso regista), dedito alle messe nere e all'omicidio di donne peccatrici, preferibilmente prostitute. L'anno successivo, con l'aggiunta di qualche scena ecco Sexorcismes, in Italia Le viziose. Infine, nel 1979, il rimaneggiamento più sostanziale: il prete adesso vaga per Parigi come in trance, serial killer in cerca di giovani corpi da sacrificare, e il film acquista una qualità onirica e allucinata. Titolo: El sadico de Notre Dame". Un capolavoro. Altro che delirio misogino, come ha scritto qualcuno: piuttosto una metafora sulle fobie sessuali della Spagna cattolica e franchista." (Filippo D'Angelo)
Anche questo post si configura così: come un saccheggio di varie citazioni, di varie elucubrazioni...prodotto con un metodo molto simile al lavoro che fa Jesus sul cinema...
"...utilizzare il cinema come mezzo per diffondere idee...non solo mi sembra una stronzata, ma è una forma di disprezzo per il cinema stesso"
Dal mitico blog su Jesus Franco di Robert Monell I'm in a Jess Franco State of Mind segnalo l'uscita del nuovo libro "IL CASO JESUS FRANCO" in tiratura limitata con scritti di Francesco Cesari, Roberto Curti, Alessio Di Rocco, Ferran Herranz, Álex Mendíbil, Robert Monell stesso, Teo Mora e Alessandro Scarsella, assolutamente da comprare!
Dopo l'excursus di qualche tempo fa su José Mojica Marins, l'uscita del libro mi fa venire voglia di parlare di questo inafferrabile cineasta, vera e propria macchina da cinema (Klaus Kinski raccontava di aver girato tutte le sue scene da El conte Dracula in un solo giorno), capace di girare apparentemente senza soluzione di continuità e con una sublime generosità nel dare cinema, come se si trattasse di cibo e acqua, al suo pubblico. Ricordo che a metà degli anni Novanta ordinavo con avidità d'importazione dall'Inghilterra le VHS dei suoi film finalmente riscoperti ed editati dalla casa distributrice Redemption, VHS che ora campeggiano nella mia saletta cinema come leggendarie icone di un cinema che non c'è più. Autore irregolare, contraddittorio, ma a tratti geniale, di oltre 180 film in oltre cinquanta anni di carriera, quindi incarnazione vivente del cinema come magnifica ossessione. Franco ha scritto, girato, fotografato, interpretato, doppiato, montato, musicato, prodotto i suoi film in un lungo viaggio di attraversamento dei generi, in una cavalcata selvaggia tra il poliziesco e la sua parodia, tra il fantastico e l'horror, l'erotico e il porno, la pellicola e il video. Un bizzarro eccletismo che ha portato Jesus Franco, da vero maestro dell'exploitation, ad inserirsi in tutti i filoni che via via si succedono nel gusto del particolare pubblico cui si rivolge. Una filmografia magmatica ed inebriante, fatta di film rimaneggiati, o rimontati, o addirittura mescolati tra loro a generare incroci assurdi. Li ha firmati a volte con il suo nome, a volte con numerosi pseudonimi (oltre trenta tra cui Clifford Brown, Jess Franco, James P. Johnson, Maxime Debest, Robert Zinnerman, addirittura un femminile Betty Carter etc) e tale caratteristica rende impervio racchiudere la sua opera in binari ben definiti. Caratteristica comune del suo cinema è quella di riuscire a girare con budget molto striminziti, con i quali un qualunque mestierante di Hollywood farebbe fatica a pagarsi anche solo le colazioni. Lo stile del cinema di Jesus Franco (purtroppo presente solamente in circa un film ogni dieci girati) è poi uno strano mélange di sogno, realtà, delirio, esotismo divertito, eccesso, erotismo morboso, insofferenza per la narrazione lineare, apprezzamento per l'improvvisazione. Tale stile è talmente personale che un suo film spesso può essere riconosciuto vedendo anche solo poche inquadrature. Il suo marchio è inconfondibile e gli ingredienti sono spesso piccanti: pellicole condite da un sarcasmo anarchico (la polizia, la morale e anche la virilità ne fanno spesso le spese), enfasi melodrammatica e pulsione alla dominazione erotica. Va detto che anche i suoi film peggiori spesso contengono almeno una sequenza visionaria, imprevedibile, eversiva. Colpisce nel vedere le pellicole la sua abitudine di zoomare avanti e indietro e di lato con la cinepresa senza una ragione comprensibile.
I suoi numi tutelari sono Sacher Masoch e il Marchese De Sade, mentre il suo cinema è debitore delle figure e degli scenari della Universal di Whale e Browning ("Ho sempre pensato che il genere fantastico sia uno dei più nobili. Quando avevo otto anni, scappavo spesso da scuola per andare al cinema e questi film hanno lasciato il loro marchio su di me. Per me, Mabuse, Dracula e Frankenstein sono i sogni della mia vita, come vecchi amici della mia infanzia" Jess Franco), nonché del thriller euroamericano di Ulmer e Siodmak.
Nato a Madrid nel 1930, nome di battesimo Jesus Franco Manera, proviene da una famiglia ricca di talenti e probabilmente ne è la scaglia impazzita e ribelle: lo zio Julian Marias, famoso filosofo, il fratello Enrique musicologo, e vari nipoti famosi, Javier Marias, scrittore di successo, Miguel, critico cinematografico, e Ricardo Franco, regista cinematografico. Si laurea in Giurisprudenza ma, a parte il cinema, la sua grande passione è la musica jazz: studia in Conservatorio, suona in diverse orchestre il piano e la tromba. Si iscrive per un paio d'anni alla prima Escuela de Cine spagnola, per poi arrivare a Parigi, frequentare senza regolarità l'I.D.H.E.C. e alcuni corsi alla Sorbona, ma soprattutto rinchiudersi per giorni interi alla Cinémathèque Francaise, dove conosce e frequenta Henri Langlois, che gli permetterà di assistere a numerose visioni private dei capolavori del cinema. Tornato in Spagna, comincia il praticantato dietro le quinte: fa l'aiuto regista in diversi film di Bardem, Romero Marchent, Klimowsky, scrive alcune colonne sonore, recita qualche particina, gira documentari. Franco gira il suo primo film nel 1959: dal titolo Tenemos 18 anos, secondo le parole di Roberto Curti scritte su Nocturno "la storia delle ragazzine che partono all'avventura con sogni più grandi di loro su un catorcio che sta insieme per miracolo è una metafora folgorante di quello che sarà il cinema di Franco: un cinema fatto dall'impossibile incontro tra immaginazione sfrenata e cronica penuria di mezzi, messo insieme con lo sputo, spesso sgangherato e sferragliante. Ma vivo, avventuroso, curioso del presente e proiettato al futuro". Nel 1965 Jess Franco viene a contatto con Orson Welles, che lo sceglie come regista della seconda unità per il capolavoro Falstaff - Chimes at Midnight, dopo che ha visto a Parigi il suo film La muerte silba un blues. I due lavorano assieme ad un film tratto dall'Isola del tesoro di Stevenson, con l'americano nella parte di Long John Silver, progetto purtroppo abortito per mancanza di fondi. Nel 1992 il cerchio si chiude ed è affidato proprio a Jesus Franco il discusso montaggio di un film incompiuto (e amatissimo) di Welles, il Don Chisciotte, progetto reso possibile grazie al recupero fortunoso di centomila metri di pellicola, girati senza continuità in un arco di vent'anni, in vari formati e non sonorizzati: rulli interi mai positivati e che pertanto Welles non ha mai visionato. Non un lavoro facile quello di ricostruire un film senza un modello di riferimento di partenza, che comunque Franco porta a termine con discreti risultati, come un chirurgo plastico che ridona la bellezza a un corpo sfaldato e deteriorato. Si tratta, in fondo, della storia che Franco ha sempre raccontato in molti dei suoi film.
Il suo Succubus aka Necronomicon del 1967 è stato definito dal critico Cathal Tohill come "La donna che visse due volte visto attraverso una nube d'oppio" ed è il film che piacque a tal punto a Fritz Lang da farlo definire come il miglior thriller erotico che avesse mai visto.
Ha lavorato con attori a lungo ammirati, spesso marginali o fuori dalle rotte produttive di successo come Jack Palance, Klaus Kinski, Akim Tamiroff, Howard Vernon, Estella Plain riuscendo a vendere il suo cinema di consumo popolare su un mercato internazionale.
La biografia di Jesus Franco è costellata da decine di progetti partiti prima di ogni finanziamento, rulli dai titoli fascinosi che non hanno mai visto il buio della sala di montaggio, troupe che passano dai Tropici al freddo del Polo Nord senza che il copione lo prevedesse, montaggi e rimontaggi di un'unica finzione, un racconto sempre diverso eppure immutabile, immagini in prestito o ripescate (es. El castillo de Fu-Manchu inizia con le immagini di L'affondamento del Titanic di Negulesco del 1953).
A proposito del suo cinema sono azzeccate le parole di Ottavio Di Brizzi: "...ma Franco rimane amato dal pubblico soprattutto per i suoi horror barocchi e visionari, soprattutto quelli imperniati sul personaggio del detective idiota Orloff (l'attore feticcio Howard Vernon) e del suo assistente deforme Morpho. La personalissima combinazione di erotismo e fantastique horror, la sofisticata manipolazione di luoghi comuni della storia del cinema, l'inesauribile capacità di improvvisare (come il musicista jazz che ha sempre sognato di diventare) e di ridare nuovi ritmi e atmosfere a uno stesso standard amato, rendono la sua opera riconoscibile e unica, poco ordinaria e molto vitale. Al ritmo di cinque-sei film l'anno, Franco ha disseminato idee e invenzioni in modo eccentrico e imprevedibile, in mille schegge impazzite e irrecuperabili (anche lo spreco è questione di talento), per cui ogni suo film ha almeno un indimenticabile momento di grazia e di felicità dell'immagine, senza che poi il resto rimanga necessariamente alla stessa altezza. Franco ha bisogno di girare come un pesce ha bisogno dell'acqua, non riesce a pensarsi senza una camera sulla spalla, in una ricerca incessante (una ricerca fisica, come nel caso di Welles) che non produce alcun capolavoro da contemplare, e dunque nessuna opera singola che, da sola, possa testimoniare per il suo cinema. E' solo mettendone faticosamente insieme i frammenti che l'opera di Franco acquista senso, è solo dopo aver visto un certo numero di suoi film che questi cominciano a mostrarsi per quello che sono: tessere di un mosaico, pezzi dalle forme riconoscibili che si ricombinano all'infinito, che innescano una sorta di fascinazione per la ripetizione.
Il tema narrativo dei film si confonde presto con la storia del cineasta: animato da (in)sana passione cinefila, sembra incarnare, e raccontare, il desiderio vampiresco di ripercorrere i luoghi e rifare le riprese amate in un cinema sepolto nella memoria, di riscrivere dunque sul corpo della pellicola, innestare della pelle viva su una sorta di maschera di cera filmica, da plasmare e riportare in vita. Coazione a ripetere e saccheggio, o meglio adozione della memoria del cinema. Adozione, senza restituzione in termini di citazione, di una teoria della luce (classici Universal anni Quaranta), della composizione dell'inquadratura (passione per la magniloquenza del grandangolo) e della sequenza di montaggio (predilezione per lo zoom in sfavore della panoramica, amore per gli scarti di tono e di ritmo, compiacimento per le barocche espansioni enfatiche), nonché gusto per lo smontaggio a vista dei meccanismi narrativi".
Come nota giustamente il più brillante tra i suoi (pochi) esegeti, Carlos Aguilar, "il cinema di Franco parte...da creazioni altrui per configurare un'estetica propria. E a partire da un certo punto di inflessione comincia a ripiegare su se stesso, si rinchiude nelle stesse ossessioni, diviene continua autoreferenza".
A proposito del suo film più ambizioso Justine dal Marchese de Sade, che avrebbe forse potuto lanciarlo nel cinema di serie A, Franco ricorda con dispiacere e frustrazione l'esperienza, a cui la produzione impose come protagonista Romina Power: "Romina era incapace di intendere e, pertanto, di interpretare un essere masochista, e per questo dovetti cambiare una sceneggiatura (in origine splendida) per trasformarla nel racconto delle avventure di una bambina idiota che si perde nel bosco del terrore".
Christopher Lee, una delle poche star del cinema di serie A ad aver lavorato con Franco, a proposito della sua collaborazione per il film El conte Dracula ricorda "vidi lo zoom sulla cinepresa e pensai Uh-Oh e quando mi resi conto che stavo facendo quasi ogni scena di Dracula da solo, senza nessuno con cui recitare perché proprio non c'erano, le cose mi sembrarono anche peggiori. Klaus Kinski non c'era. Herbert Lom non c'era - Herbert e io non siamo mai stati nella stessa inquadratura, anche se siamo nella stessa scena; hanno montato tutto mentre letteralmente noi eravamo in nazioni differenti! E quando mi resi conto che stavano usando lo zoom e stavano girando con l'effetto notte, sostituendo i lupi con i pastori tedeschi, pensai Povero me, una grande opportunità sprecata e mi resi conto che le cose non sarebbero andate come previsto".
Howard Vernon, suo attore feticcio, dice di lui "sapete, è nato con una cinepresa in mano. Io dico sempre che se Franco fosse vissuto nel sedicesimo secolo, allora i fratelli Lumière, che hanno inventato il cinema, sarebbero anche loro vissuti in quel periodo, perché è impensabile che Franco non sarebbe stato un film-maker".
Molti i film di cui si potrebbe parlare, e in futuro forse ne parlerò, preferisco però ora citare due belle recensioni del suo mitico El sadico de Notre Dame:
"Del 1974 è Exorcismes et messes noire che, nel 1979, rinasce come El sadico de Notre Dame, sorta di trance film in cui un allucinato serial killer, Vogel/Franco, si aggira nelle strade di Parigi, alla ricerca di giovani peccatrici da sacrificare al suo delirio misticheggiante. L'andamento di Vogel e del film è lento e ipnotico, il personaggio (e il film con lui) gira su se steso in una sorta di danza rimata, con gli unici squarci di vitalità e guizzi di energia creativa nelle scene di assassinio, rituali e sonnamboliche anch'esse. Un film in cui la stessa memoria del cinema sembra gravare come un fardello insostenibile sulle spalle del folle e svuotato Vogel, sorta di Peter Lorre che si lascia arrestare dalla polizia, sulle scale della cattedrale di Notre Dame, come in una scena di Orson Welles. In una scena che potrebbe aver girato Orson Welles. O che forse Orson Welles ha effettivamente girato." (Ottavio Di Brizzi)
"Exorcismes et messes noire, co-produzione franco-belga firmata James P. Johnson: la storia di un prete spretato, sadico e maniaco sessuale (interpretato dallo stesso regista), dedito alle messe nere e all'omicidio di donne peccatrici, preferibilmente prostitute. L'anno successivo, con l'aggiunta di qualche scena ecco Sexorcismes, in Italia Le viziose. Infine, nel 1979, il rimaneggiamento più sostanziale: il prete adesso vaga per Parigi come in trance, serial killer in cerca di giovani corpi da sacrificare, e il film acquista una qualità onirica e allucinata. Titolo: El sadico de Notre Dame". Un capolavoro. Altro che delirio misogino, come ha scritto qualcuno: piuttosto una metafora sulle fobie sessuali della Spagna cattolica e franchista." (Filippo D'Angelo)
Anche questo post si configura così: come un saccheggio di varie citazioni, di varie elucubrazioni...prodotto con un metodo molto simile al lavoro che fa Jesus sul cinema...
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