03/10/10

Jesus Jess Franco

Jesus Jess Franco
"...utilizzare il cinema come mezzo per diffondere idee...non solo mi sembra una stronzata, ma è una forma di disprezzo per il cinema stesso"
Dal mitico blog su Jesus Franco di Robert Monell I'm in a Jess Franco State of Mind segnalo l'uscita del nuovo libro "IL CASO JESUS FRANCO" in tiratura limitata con scritti di Francesco Cesari, Roberto Curti, Alessio Di Rocco, Ferran Herranz, Álex Mendíbil, Robert Monell stesso, Teo Mora e Alessandro Scarsella, assolutamente da comprare!
Dopo l'excursus di qualche tempo fa su José Mojica Marins, l'uscita del libro mi fa venire voglia di parlare di questo inafferrabile cineasta, vera e propria macchina da cinema (Klaus Kinski raccontava di aver girato tutte le sue scene da El conte Dracula in un solo giorno), capace di girare apparentemente senza soluzione di continuità e con una sublime generosità nel dare cinema, come se si trattasse di cibo e acqua, al suo pubblico. Ricordo che a metà degli anni Novanta ordinavo con avidità d'importazione dall'Inghilterra le VHS dei suoi film finalmente riscoperti ed editati dalla casa distributrice Redemption, VHS che ora campeggiano nella mia saletta cinema come leggendarie icone di un cinema che non c'è più. Autore irregolare, contraddittorio, ma a tratti geniale, di oltre 180 film in oltre cinquanta anni di carriera, quindi incarnazione vivente del cinema come magnifica ossessione. Franco ha scritto, girato, fotografato, interpretato, doppiato, montato, musicato, prodotto i suoi film in un lungo viaggio di attraversamento dei generi, in una cavalcata selvaggia tra il poliziesco e la sua parodia, tra il fantastico e l'horror, l'erotico e il porno, la pellicola e il video. Un bizzarro eccletismo che ha portato Jesus Franco, da vero maestro dell'exploitation, ad inserirsi in tutti i filoni che via via si succedono nel gusto del particolare pubblico cui si rivolge. Una filmografia magmatica ed inebriante, fatta di film rimaneggiati, o rimontati, o addirittura mescolati tra loro a generare incroci assurdi. Li ha firmati a volte con il suo nome, a volte con numerosi pseudonimi (oltre trenta tra cui Clifford Brown, Jess Franco, James P. Johnson, Maxime Debest, Robert Zinnerman, addirittura un femminile Betty Carter etc) e tale caratteristica rende impervio racchiudere la sua opera in binari ben definiti. Caratteristica comune del suo cinema è quella di riuscire a girare con budget molto striminziti, con i quali un qualunque mestierante di Hollywood farebbe fatica a pagarsi anche solo le colazioni. Lo stile del cinema di Jesus Franco (purtroppo presente solamente in circa un film ogni dieci girati) è poi uno strano mélange di sogno, realtà, delirio, esotismo divertito, eccesso, erotismo morboso, insofferenza per la narrazione lineare, apprezzamento per l'improvvisazione. Tale stile è talmente personale che un suo film spesso può essere riconosciuto vedendo anche solo poche inquadrature.  Il suo marchio è inconfondibile e gli ingredienti sono spesso piccanti: pellicole condite da un sarcasmo anarchico (la polizia, la morale e anche la virilità ne fanno spesso le spese), enfasi melodrammatica e pulsione alla dominazione erotica. Va detto che anche i suoi film peggiori  spesso contengono almeno una sequenza visionaria, imprevedibile, eversiva. Colpisce nel vedere le pellicole la sua abitudine di zoomare avanti e indietro e di lato con la cinepresa senza una ragione comprensibile.
I suoi numi tutelari sono Sacher Masoch e il Marchese De Sade, mentre il suo cinema è debitore delle figure e degli scenari della Universal di Whale e Browning ("Ho sempre pensato che il genere fantastico sia uno dei più nobili. Quando avevo otto anni, scappavo spesso da scuola per andare al cinema e questi film hanno lasciato il loro marchio su di me. Per me, Mabuse, Dracula e Frankenstein sono i sogni della mia vita, come vecchi amici della mia infanzia" Jess Franco), nonché del thriller euroamericano di Ulmer e Siodmak.
Nato a Madrid nel 1930, nome di battesimo Jesus Franco Manera, proviene da una famiglia ricca di talenti e probabilmente ne è la scaglia impazzita e ribelle: lo zio Julian Marias, famoso filosofo, il fratello Enrique musicologo, e vari nipoti famosi, Javier Marias, scrittore di successo, Miguel, critico cinematografico, e Ricardo Franco, regista cinematografico. Si laurea in Giurisprudenza ma, a parte il cinema, la sua grande passione è la musica jazz: studia in Conservatorio, suona in diverse orchestre il piano e la tromba. Si iscrive per un paio d'anni alla prima Escuela de Cine spagnola, per poi arrivare a Parigi, frequentare senza regolarità l'I.D.H.E.C. e alcuni corsi alla Sorbona, ma soprattutto rinchiudersi per giorni interi alla Cinémathèque Francaise, dove conosce e frequenta Henri Langlois, che gli permetterà di assistere a numerose visioni private dei capolavori del cinema. Tornato in Spagna, comincia il praticantato dietro le quinte: fa l'aiuto regista in diversi film di Bardem, Romero Marchent, Klimowsky, scrive alcune colonne sonore, recita qualche particina, gira documentari. Franco gira il suo primo film nel 1959: dal titolo Tenemos 18 anos, secondo le parole di Roberto Curti  scritte su Nocturno "la storia delle ragazzine che partono all'avventura con sogni più grandi di loro su un catorcio che sta insieme per miracolo è una metafora folgorante di quello che sarà il cinema di Franco: un cinema fatto dall'impossibile incontro tra immaginazione sfrenata e cronica penuria di mezzi, messo insieme con lo sputo, spesso sgangherato e sferragliante. Ma vivo, avventuroso, curioso del presente e proiettato al futuro". Nel 1965 Jess Franco viene a contatto con Orson Welles, che lo sceglie come regista della seconda unità per il capolavoro Falstaff - Chimes at Midnight, dopo che ha visto a Parigi il suo film La muerte silba un blues. I due lavorano assieme ad un film tratto dall'Isola del tesoro di Stevenson, con l'americano nella parte di Long John Silver, progetto purtroppo abortito per mancanza di fondi. Nel 1992 il cerchio si chiude ed è affidato proprio a Jesus Franco il discusso montaggio di un film incompiuto (e amatissimo) di Welles, il Don Chisciotte, progetto reso possibile grazie al recupero fortunoso di centomila metri di pellicola, girati senza continuità in un arco di vent'anni, in vari formati e non sonorizzati: rulli interi mai positivati e che pertanto Welles non ha mai visionato. Non un lavoro facile quello di ricostruire un film senza un modello di riferimento di partenza, che comunque Franco porta a termine con discreti risultati, come un chirurgo plastico che ridona la bellezza a un corpo sfaldato e deteriorato. Si tratta, in fondo, della storia che Franco ha sempre raccontato in molti dei suoi film.
Il suo Succubus aka Necronomicon del 1967 è stato definito dal critico Cathal Tohill come "La donna che visse due volte visto attraverso una nube d'oppio" ed è il film che piacque a tal punto a Fritz Lang da farlo definire come il miglior thriller erotico che avesse mai visto.
Ha lavorato con attori a lungo ammirati, spesso marginali o fuori dalle rotte produttive di successo come Jack Palance, Klaus Kinski, Akim Tamiroff, Howard Vernon, Estella Plain riuscendo a vendere il suo cinema di consumo popolare su un mercato internazionale.
La biografia di Jesus Franco è costellata da decine di progetti partiti prima di ogni finanziamento, rulli dai titoli fascinosi che non hanno mai visto il buio della sala di montaggio, troupe che passano dai Tropici al freddo del Polo Nord senza che il copione lo prevedesse, montaggi e rimontaggi di un'unica finzione, un racconto sempre diverso eppure immutabile, immagini in prestito o ripescate (es. El castillo de Fu-Manchu inizia con le immagini di L'affondamento del Titanic di Negulesco del 1953).
A proposito del suo cinema sono azzeccate le parole di Ottavio Di Brizzi: "...ma Franco rimane amato dal pubblico soprattutto per i suoi horror barocchi e visionari, soprattutto quelli imperniati sul personaggio del detective idiota Orloff (l'attore feticcio Howard Vernon) e del suo assistente deforme Morpho. La personalissima combinazione di erotismo e fantastique horror, la sofisticata manipolazione di luoghi comuni della storia del cinema, l'inesauribile capacità di improvvisare (come il musicista jazz che ha sempre sognato di diventare) e di ridare nuovi ritmi e atmosfere a uno stesso standard amato, rendono la sua opera riconoscibile e unica, poco ordinaria e molto vitale. Al ritmo di cinque-sei film l'anno, Franco ha disseminato idee e invenzioni in modo eccentrico e imprevedibile, in mille schegge impazzite e irrecuperabili (anche lo spreco è questione di talento), per cui ogni suo film ha almeno un indimenticabile momento di grazia e di felicità dell'immagine, senza che poi il resto rimanga necessariamente alla stessa altezza. Franco ha bisogno di girare come un pesce ha bisogno dell'acqua, non riesce a pensarsi senza una camera sulla spalla, in una ricerca incessante (una ricerca fisica, come nel caso di Welles) che non produce alcun capolavoro da contemplare, e dunque nessuna opera singola che, da sola, possa testimoniare per il suo cinema. E' solo mettendone faticosamente insieme i frammenti che l'opera di Franco acquista senso, è solo dopo aver visto un certo numero di suoi film che questi cominciano a mostrarsi per quello che sono: tessere di un mosaico, pezzi dalle forme riconoscibili che si ricombinano all'infinito, che innescano una sorta di fascinazione per la ripetizione.
Il tema narrativo dei film si confonde presto con la storia del cineasta: animato da (in)sana passione cinefila, sembra incarnare, e raccontare, il desiderio vampiresco di ripercorrere i luoghi e rifare le riprese amate in un cinema sepolto nella memoria, di riscrivere dunque sul corpo della pellicola, innestare della pelle viva su una sorta di maschera di cera filmica, da plasmare e riportare in vita. Coazione a ripetere e saccheggio, o meglio adozione della memoria del cinema. Adozione, senza restituzione in termini di citazione, di una teoria della luce (classici Universal anni Quaranta), della composizione dell'inquadratura (passione per la magniloquenza del grandangolo) e della sequenza di montaggio (predilezione per lo zoom in sfavore della panoramica, amore per gli scarti di tono e di ritmo, compiacimento per le barocche espansioni enfatiche), nonché gusto per lo smontaggio a vista dei meccanismi narrativi".
Come nota giustamente il più brillante tra i suoi (pochi) esegeti, Carlos Aguilar, "il cinema di Franco parte...da creazioni altrui per configurare un'estetica propria. E a partire da un certo punto di inflessione comincia a ripiegare su se stesso, si rinchiude nelle stesse ossessioni, diviene continua autoreferenza".
A proposito del suo film più ambizioso Justine dal Marchese de Sade, che avrebbe forse potuto lanciarlo nel cinema di serie A, Franco ricorda con dispiacere e frustrazione l'esperienza, a cui la produzione impose come protagonista Romina Power: "Romina era incapace di intendere e, pertanto, di interpretare un essere masochista, e per questo dovetti cambiare una sceneggiatura (in origine splendida) per trasformarla nel racconto delle avventure di una bambina idiota che si perde nel bosco del terrore".
Christopher Lee, una delle poche star del cinema di serie A ad aver lavorato con Franco, a proposito della sua collaborazione per il film El conte Dracula ricorda "vidi lo zoom sulla cinepresa e pensai Uh-Oh e quando mi resi conto che stavo facendo quasi ogni scena di Dracula da solo, senza nessuno con cui recitare perché proprio non c'erano, le cose mi sembrarono anche peggiori. Klaus Kinski non c'era. Herbert Lom non c'era - Herbert e io non siamo mai stati nella stessa inquadratura, anche se siamo nella stessa scena; hanno montato tutto mentre letteralmente noi eravamo in nazioni differenti! E quando mi resi conto che stavano usando lo zoom e stavano girando con l'effetto notte, sostituendo i lupi con i pastori tedeschi, pensai Povero me, una grande opportunità sprecata e mi resi conto che le cose non sarebbero andate come previsto".
Howard Vernon, suo attore feticcio, dice di lui "sapete, è nato con una cinepresa in mano. Io dico sempre che se Franco fosse vissuto nel sedicesimo secolo, allora i fratelli Lumière, che hanno inventato il cinema, sarebbero anche loro vissuti in quel periodo, perché è impensabile che Franco non sarebbe stato un film-maker".

Molti i film di cui si potrebbe parlare, e in futuro forse ne parlerò, preferisco però ora citare due belle recensioni del suo mitico El sadico de Notre Dame:
"Del 1974 è Exorcismes et messes noire che, nel 1979, rinasce come El sadico de Notre Dame, sorta di trance film in cui un allucinato serial killer, Vogel/Franco, si aggira nelle strade di Parigi, alla ricerca di giovani peccatrici da sacrificare al suo delirio misticheggiante. L'andamento di Vogel e del film è lento e ipnotico, il personaggio (e il film con lui) gira su se steso in una sorta di danza rimata, con gli unici squarci di vitalità e guizzi di energia creativa nelle scene di assassinio, rituali e sonnamboliche anch'esse. Un film in cui la stessa memoria del cinema sembra gravare come un fardello insostenibile sulle spalle del folle e svuotato Vogel, sorta di Peter Lorre che si lascia arrestare dalla polizia, sulle scale della cattedrale di Notre Dame, come in una scena di Orson Welles. In una scena che potrebbe aver girato Orson Welles. O che forse Orson Welles ha effettivamente girato." (Ottavio Di Brizzi)
"Exorcismes et messes noire, co-produzione franco-belga firmata James P. Johnson: la storia di un prete spretato, sadico e maniaco sessuale (interpretato dallo stesso regista), dedito alle messe nere e all'omicidio di donne peccatrici, preferibilmente prostitute. L'anno successivo, con l'aggiunta di qualche scena ecco Sexorcismes, in Italia Le viziose. Infine, nel 1979, il rimaneggiamento più sostanziale: il prete adesso vaga per Parigi come in trance, serial killer in cerca di giovani corpi da sacrificare, e il film acquista una qualità onirica e allucinata. Titolo: El sadico de Notre Dame". Un capolavoro. Altro che delirio misogino, come ha scritto qualcuno: piuttosto una metafora sulle fobie sessuali della Spagna cattolica e franchista." (Filippo D'Angelo)
Anche questo post si configura così: come un saccheggio di varie citazioni, di varie elucubrazioni...prodotto con un metodo molto simile al lavoro che fa Jesus sul cinema...

Nessun commento: