American Graffiti
di George Lucas (1973 USA 110')
con Richard Dreyfuss, Ron Howard, Paul Le Mat, Bo Hopkins, Harrison Ford, Charles Martin Smith
Pellicola sui giovani teen-ager dei primi anni Sessanta, ambientata in una città della provincia americana nella serata d'addio alle vacanze estive. Un tappeto sonoro ininterrotto (ci sono tutte le canzoni dell'epoca) accompagna la scorribanda notturna dei ragazzi che stanno per affrontare la vita adulta. Una febbricitante mutevolezza concerta e sconcerta un carosello di situazioni ora comiche, ora patetiche, ora grottesche, ora sentimentali...Tutti i generi sono amalgamati e fusi in una polifonia millimetricamente sincronizzata, nel cui crogiolo sembra essere il tempo musicale a dettare il tempo cinematografico. Il film ha i colori di un juke-box e il rock'n'roll ne è uno dei protagonisti, ma è il rock di transizione dei primi anni Sessanta a metà strada tra i veleni e furori ribellistici delle origini (Chuck Berry è in prigione; Elvis è nell'esercito, Buddy Holly è morto prematuramente nel 1959) e la vena genialmente commerciale successiva (Beach Boys e il surf...che adoro). Il film testimonia anche il cambiamento di look del fruitore privilegiato di tal tipo di musica; non più lo studente maudit, ribelle senza causa, aggregato alle bande di strada metropolitane degli anni Cinquanta (al cinema ricordiamo "Il Selvaggio" con Brando nel 1954, "Gioventù Bruciata" di Nick Ray nel 1955, "Il seme della violenza" di Brooks del 1953), ma il figlio di papà della middle class americana (al cinema "Grease" e "Fame", ma anche sul fronte del punk rock "Rock'n'roll High School"). I genitori e gli adulti vengono volutamente dimenticati nell'affresco creato da Lucas (volpone con eccezionale capacità di fare quattrini...), proprio per rendere il film sfacciatamente ingenuo nella sua spettacolarità da lanterna magica, così da avere successo commerciale (toccando fiabescamente le corde profonde del pubblico giovanile) e recuperare i fondi economici necessari per dare il via alla miliardaria favola planetaria chiamata "Guerre Stellari"...
Pescando nella sua adolescenza, negli ultimi dieci anni della storia del cinema e negli ultimi dieci anni della musica pop e rock (nel 1963 con "Blowin' in the wind", Bob Dylan comincerà un nuovo corso...) e grazie alle potenzialità del mezzo, Lucas crea un circo attraente, balletto e luna park insieme, una fantasmagorica "danza delle luci", una notte illuminata a giorno. La sua ellisse confina la kermesse delle immagini in uno spazio/tempo simbolico, completamente autosufficiente, designato e disegnato dall'ossessivo rincorrersi delle auto, che ruotano in cerchio, attorno ad un nucleo mitopoietico dotato di una sua inesauribile virtualità estetica. Certo è che noi Scaglie, alle fiabe di Lucas e Spielberg, preferiamo le ossessioni e le creazioni dei loro coetanei e compagni dell'epoca, Scorsese e Coppola. Comunque le qualità tecniche, estetiche e imprenditoriali ai due suddetti volponi vanno riconosciute.
01/06/08
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