Gennaio Cinema 2011 Scaglie
Domenica 2 Gennaio ore 21.30Open Hearts
di Susanne Bier (2002 DAN 104')
Film girato seguendo le regole del Dogma di Von Trier: Cecile e Joachim stanno per sposarsi, quando lui ha un terribile incidente che lo lascia tetraplegico. Cecile cerca di restargli accanto, lui la rifiuta, lei cerca di consolarsi tra le braccia del marito della donna che ha ridotto Joachim in quelle condizioni. Eccezionale esordio alla regia di Susanne Bier, che con una lucidità così impressionante da sfiorare il cinismo racconta le mille sfaccettature della complessità emotiva nascosta dietro una tragedia. La regia non cede mai al sentimentalismo, le scelte narrative sono tutt'altro che convenzionali e il finale aperto suggella un'opera di notevole levatura, supportata da un cast in stato di grazia. Giorgia Bernoni scrive “Sicuramente in Open Hearts una prerogativa del Dogma si adatta perfettamente alla storia ed alla sua resa scenica: l'elevatissimo grado di verosimiglianza dato dall'utilizzo di una macchina a mano e dal girare gli interni in vere case abitate da persone comuni rendendo credibili gli eccessivi avvenimenti filmati che, altrimenti, rischierebbero di sfociare in continuazione in estremi patetici ed eccessivi. Invece la vera forza del film della Bier risiede proprio nell'aver adottato uno stile sobrio e semi-documentaristico, dogmatico insomma, per cui anche l'apertura melodrammatica più improbabile riesce a diventare plausibile e la pellicola, nonostante venature dark, risulta sostanzialmente umana riflettendo le responsabilità di ciascuno rispetto alla famiglia ed ai propri sentimenti insieme all'obbligo morale di non abbandonare chi soffre. Gli attori, come ormai la cinematografia nordeuropea ci ha felicemente abituato, sono carismatici ed espressivi soprattutto nei silenzi e quando dialogano tra loro attraverso gli sguardi e le sottili inflessioni della voce. Inserti girati in Super8 per mostrare i desideri dei personaggi e quello che avrebbero voluto accadesse tra loro, mentre la parentesi iniziale e finale che racchiude la storia è affidata a sperimentali piani-sequenza girati con filtri da videoclip”.
Domenica 9 Gennaio ore 21.30
The Gambler
di Karel Reisz (1974 USA 111’)
Si tratta di un cristallino e dimenticato capolavoro in celluloide, "40000 dollari per non morire" il titolo in italiano, tratto da "Il giocatore" di Dostoevskij, mirabilmente scritto dall'esordiente James Toback e interpretato da uno sbalorditivo James Caan, nella parte di un colto e benestante professore universitario di letteratura con il vizio della scommessa al tavolo da gioco. Scrive Dostoevskij (egli stesso accanito giocatore) nel racconto suddetto “Ho sentito un brivido di terrore corrermi per la schiena mentre mi prendeva, un tremito alle mani e ai piedi. In un attimo mi sono reso conto con terrore cosa significava per me perdere: insieme a quell’oro puntavo tutta la mia vita! Rouge!, ha gridato il croupier e io ho tirato un sospiro di sollievo, mentre un formicolio di fuoco mi correva per tutto il corpo”. Reisz e Toback mettono in scena in maniera pressoché perfetta proprio questa singolare emozione che porta il giocatore a mettere a rischio le proprie sostanze, ma contemporaneamente anche sé stesso, il piacere di rimanere per il frammento di un istante sospesi nel limbo tra desiderio, volontà di potenza, fascinazione per il futuro e autodistruzione. Nel gioco d'azzardo si viene a configurare una metafora della concezione del mondo di questi uomini in cui l'elemento del rischio la fa da padrone: "Il desiderio è vita...la volontà di credere...la sicurezza che 2 più 2 fa 5...Mi piace l'incertezza, mi piace il rischio di perdere, mi piace vincere...anche se non dura mai a lungo" confessa il protagonista del film. La scarica di adrenalina che percorre la schiena del giocatore, sospeso nel vuoto delle possibilità, diventa una droga irresistibile e la vita stessa diviene pienamente apprezzabile solamente nel momento in cui si é disposti a metterla totalmente in gioco in un singolo istante. I dialoghi del film meritano un taccuino sul quale annotarseli durante la visione e il ritratto della sconfitta di un uomo dotato di "intelligenza, palle e volontà" in un mondo dominato dai quaquaraquà rimane indelebile nella memoria. Finale straziante (con Gustav Mahler come colonna sonora) in cui il protagonista, per salvarsi l'anima, evitando di entrare nel giro dei ricatti della malavita, fa una scelta coraggiosa ed estrema. La critica alla società americana "che teme il nuovo più di qualunque altra cosa" è pungente e implacabile e la pellicola di Reisz riesce a rendere il senso profondo di un aspetto indubitabile della natura umana, quello citato in questo frammento: « Da un essere umano, che cosa ci si può attendere? Lo si colmi di tutti i beni del mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, sì che alla superficie della felicità non salga che qualche bollicina, come sul pelo dell'acqua - gli si diano la tranquillità e di che vivere, al segno che non gli rimanga proprio nient'altro da fare se non dormire, divorare pasticcini e pensare alla sopravvivenza dell'umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano che avete reso felice, da quel bel tipo che è, e unicamente per ingratitudine, e per insultare, vi giocherà un brutto tiro. Egli metterà in gioco persino i pasticcini, e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e capriccioso elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità... » (da Memorie dal sottosuolo, Fëdor Michajlovič Dostoevskij)
Domenica 16 Gennaio ore 21.30
Metamorphosis
di Valerij Fokin (2002 Russia 80')
Difficile elencare tutti gli adattamenti che dal 1912, anno d’uscita del racconto “La Metamorfosi” di Kafka, ad oggi cinema e teatro hanno dedicato alla straordinaria metafora kafkiana; questo di Valerij Fokin, noto soprattutto come regista teatrale, è sicuramente da considerare uno dei migliori in assoluto. Regia e fotografia sono su livelli d’eccellenza, altrettanto il gruppo di attori tra cui svetta Jevgenij Mironov con una performance fenomenale, a tratti circense, dà vita alla complessa gamma di tonalità del protagonista, su cui il racconto si regge, sostituendosi alla macchina da presa lì dove quest’ultima è per forza di cose costretta a fermarsi, la sua presenza da sola vale la visione del film (da Asian World). Scaglie propone un altro gioiello imperdibile e poco conosciuto.
Domenica 23 Gennaio ore 21.30
Illuminazione
di Krzysztof Zanussi (1973 POL 91')
Iscrittosi a Fisica perchè dice cose sicure, il protagonista scopre sulla sua pelle che i sentimenti e la morte non possono essere controllati dalla scienza; lascia gli studi, si sposa e aspetta un figlio, frequenta un ospedale psichiatrico, prova l’LSD, abbandona la moglie, poi torna in famiglia e si laurea, ma quando scoppiano le prime lotte studentesche, tutte le sue sicurezze svaniscono di nuovo. Film-saggio basato su esperienze autobiografiche e sceneggiato solo dal regista, quest’opera verifica la precarietà di ogni conoscenza obiettiva e smantella le certezze che l’uomo può chiedere alle varie discipline (scientifiche o umanistiche che siano) per affrontare la realtà. Indimenticabili le scene in cui il protagonista si confronta con “l’inumanità della scienza” (l’encefalografia e il calvario dell’amico che muore per un tumore al cervello) e la spettrale conclusione. (estratti da Mereghetti)
Domenica 30 Gennaio ore 21.30
Leolo
di Jean-Claude Lauzon (1992 CAN/FRA 102')
Sublime mistione autobiografica di realtà e fantasia per uno dei registi più importanti dei primi anni Novanta, purtroppo tragicamente scomparso a soli quarantaquattro anni a causa di un incidente aereo, mentre volava su territori selvaggi del Quebec. All'epoca mi spezzò il cuore la perdita di un talento di tal portata...e piansi...medesima sensazione provata alcuni anni più tardi per la morte dello straordinario scrittore Jean-Claude Izzo.
Léolo è in parte ispirato all'opera "L'Avalée des Avalés" di Rejean Ducharme e racconta l'adolescenza di un ragazzino di Montréal (Canada) durante gli anni Cinquanta, che ama immaginare la sua vita e quella dei suoi familiari come se si trattasse di una storia di finzione che egli stesso annota sulle pagine di un diario, sua magnifica ossessione, che poi strappa. La sua fervida fantasia immagina che lui sia figlio di un pomodoro contaminato (cioé inseminato da un contadino siciliano!!!) attraverso un incidente occorso alla grassa madre e questo è il motivo per il quale pretende di essere chiamato Léo Lozone e ama tutto ciò che proviene dall'Italia, specie una graziosa adolescente, di nome Bianca, che è figlia dei suoi vicini di casa immigrati dalla Sicilia e nei cui confronti prova un amor fou degno dei surrealisti. Il taglio del film è onirico, poetico e malinconico ed è arricchito da numerose divertenti e spiazzanti scene grottesche, tra tacchini nella vasca da bagno, masturbazioni con bistecche di fegato, cimiteri di frigoriferi sott'acqua e strambe perversioni erotiche (come quella di farsi mangiare le unghie dei piedi...). La famiglia di Léolo è tra le più strambe in assoluto viste al cinema: con un padre obeso ossessionato dal far andare di corpo i familiari (per questo li purga regolarmente in un rituale casalingo che richiama l'Eucaristia), un fratello ritardato e culturista sfegatato, una madre imbarazzantemente oversize, due sorelle abituali ospiti dell'ospedale psichiatrico (una delle due riesce a comunicare solamente con gli insetti) ed un nonno magnificamente perverso. In mezzo a tutto questo Léolo scoprirà la sessualità come un limbo sospeso tra l'ignoranza e l'orrore...Le pagine strappate dal diario sono lette da un anziano "domatore di versi", misterioso depositario della cultura umana (nel bel finale aperto del film si vede portare il manoscritto del ragazzino nei polverosi sotterranei di una maestosa biblioteca dove sono evidentemente conservati i capolavori dell'uomo). La volontà di Lauzon, sospeso tra tenerezza e disgusto, è quella di trattare temi alti maneggiando materia bassa e direi che riesce nell'impresa, rendendo in pieno veritiera l'affermazione di Douglas Sirk, per il quale "tra l'arte e la spazzatura c'è pochissima distanza, e la spazzatura che contiene un grano di follia è per questo più vicina all'arte". Un'opera profondamente toccante, quando ci ricorda che il cinema è sogno. A rendere ancora più affascinante la pellicola è poi la complessa colonna sonora che spazia da canti buddisti alle musiche del maestro Tom Waits, rendendo così pienamente giustizia all'originale talento visionario e fuori dagli schemi del regista canadese. Non manca poi una scena insostenibile, probabilmente ispiratrice di Gummo di Korine, in cui un gatto riceve le attenzioni di un teppistello amico del protagonista sulle note di You can't always get what you want dei Rolling Stones. Nel 1992 al festival di Cannes Léolo era il favorito numero uno per la Palma d'oro, ma un approccio un pò rude, "What the boy in the film does to the piece of liver, I want to do to you", detto dal regista alla giurata Jamie Lee Curtis durante un banchetto gli costò l'esclusione dal Palmares. Il Time ha reso giustizia all'oblio che circondava questo film e nel 2005 lo ha incluso tra i cento film più importanti di tutti i tempi. Because I dream I am not...