29/11/09

Moana Pozzi

Moana Pozzi

La notizia di una fiction su Moana Pozzi mi giunge di straforo nella mia realtà aliena alla televisione ma subito balza all’occhio che l’evento ha solleticato anche gli utenti del web.

Leggo stronzate su santificazioni e poesie a lei dedicate il cui incipit è “Casta diva…”(sic!) ma anche di idolatria forzata e costruita a tavolino.

Sorge il sospetto che, in perfetto stile Padre Pio, il nostro presunto belpaese si appresti a produrre un santuario dove torme di frigide ed impotenti si recheranno imploranti nella speranza della grazia di un orgasmo.

Per altri è stata una rivoluzionaria, per aver fondato, lei di buona famiglia e ottime prospettive, la sua vita e la sua carriera sulla violazione di quello che per altri era proibito.

E seppur trovi affascinante questa visione il timore è che tra mercificazione e idealizzazione si perda di vista la vera grandezza di Moana.

E cioè l'assoluta straordinaria capacità di prender cazzi in ogni dove con l’eleganza e la classe di una formosa Cleopatra sdraiata su un triclino e alle prese con un grappolo d’uva.

Naturalmente non esiste motivo alcuno per vedere una serie tv a luci “rosa” (bleah!) e temo le numerose anche se magari ben intenzionate rielaborazioni intellettuali del mito.

Recuperate “Moana, la bella di giorno”

e che il sesso sia con voi.


Headcleaner (Alessandro Bavari)

Headcleaner
di Alessandro Bavari
(1999 ITA 2')

www.alessandrobavari.com

28/11/09

Yoshifumi Hayashi

Yoshifumi Hayashi


Dopo aver presentato su questo blog alcune opere di Raymond Bertrand e Atsushi Tani, continuiamo nel nostro excursus attraverso artisti che mescolano suggestioni erotiche con immagini mutanti presentando alcune creazioni del maestro giapponese Yoshifumi Hayashi.
Le opere di Yoshifumi Hayashi provengono direttamente dal suo inconscio, cariche come sono di sconcertanti paranoie feticiste. La sua attenzione è rapita dalla forma di natiche e cosce smisurate di donne spersonalizzate, forme generose e ondulanti ripetute ossessivamente. Spesso nelle sue opere vengono rappresentati gli organi genitali abbinati alle circonvoluzioni cerebrali, quasi a suggerire che l'erotismo è una dimensione prettamente cerebrale, l'erotismo è immaginario e impalpabile...l'erotismo sono i fantasmi, come scriveva acutamente Gérard Lenne in La sexe à l'ecran (1978).


Le sue sofisticate opere sono avvolte in un'atmosfera metafisica che ne accresce il potenziale erotico e la sua arte molto particolare si viene a configurare come una trasgressione che svela meccanismi reconditi della psiche e ne libera alcuni istinti. Cervello, mucose, succhi gelatinosi e carni illimitate contribuiscono a sviluppare nello spettatore una tensione emotiva irrazionale, sorgente di sensazioni spesso contradditorie. La sua arte è spesso provocatoria ed estrema, ma riesce a mantenersi sempre ben lontana dall'oscenità pacchiana della pornografia. In Italia vennero organizzate due personali dell'artista alla Mondo Bizzarro Gallery (nel 2003 e nel 2004), durante le quali venne definito, a mio parere giustamente, come "bio-ingegnere della Nuova Carne", a braccetto quindi con Giger, Cronenberg, Tsukamoto, Stelarc etc .
Su Yoshifumi Hayashi sembrerebbe esistere anche un documentario girato nel 1980, ma non risulta neppure sull'IMDB, dal titolo Hyper Erotic Art: Hayashi con alla regia un altro maestro dell'erotismo, il dimenticato Walerian Borowczyk.

27/11/09

Il cattivo tenente (Abel Ferrara)

Il cattivo tenente
di Abel Ferrara (1992 USA 96')
Pochi film hanno intimamente sconvolto gli spettatori come questo, millimetrico e studiato in ogni
particolare, incentrato su un tenente di polizia di New York, corrotto, aggressivo, sboccato e totalmente perso nell'abisso del vizio. La sceneggiatura della pellicola, visceralmente sofferta, è stata scritta a quattro mani dal regista con Zoë Tamerlis Lund, attrice protagonista di Ms 45 (L'angelo della vendetta), ispirandosi ad un fatto di cronaca nera del 1982 (una suora venne barbaramente violentata nel quartiere spagnolo di New York), che sconvolse il regista e l'opinione pubblica. Nicholas St. John, abituale collaboratore alle sceneggiature dei film di Ferrara, si tirò fuori dalla pellicola poiché si mettevano in campo interrogativi troppo grossi, ai quali come cattolico non riteneva di essere ancora pronto a rispondere. In effetti il regista punta veramente in alto, ma lo fa con un rigore assoluto, che lo preserva dallo scivolare nel ridicolo involontario. E questo soprattutto grazie all'interpretazione di Harvey Keitel, che si immerge nel personaggio, probabilmente anche autobiografico, con tutto il proprio corpo e la propria anima, caricandolo di un'energia animalesca e viscerale che travolge lo spettatore. Nel film si assiste all'incontro con Dio del tenente, avvenuto in un passaggio esistenziale di estrema perdizione autodistruttiva e di deriva psichica e morale totale. Il tenente si assurge a simbolo dell'umanità estremamente sola delle metropoli contemporanee, che ricerca lo sballo e si ottunde i sensi in ogni modo possibile, situazione questa che rivela in realtà un sempre maggior bisogno di spiritualità e amore. La crisi e il disordine dei sensi del protagonista aprono così uno squarcio, che consente al tenente di percorrere una strada insolita per giungere in contatto con il Sacro. Al centro della pellicola vi è il peccato, la tentazione del male e il libero arbitrio individuale che ci fa prendere una strada oppure l'altra. Al regista interessa focalizzare il discorso sul problema fondamentale della scelta individuale. E nel monologo, tristemente autobiografico (successivamente è morta di overdose), di Zoë Lund (anche attrice nel film), c'è una delle chiavi di lettura del film: "I vampiri sono fortunati. Si nutrono degli esseri che trovano. Invece noi divoriamo noi stessi. Dobbiamo mangiare le nostre gambe per trovare la forza di camminare. Dobbiamo arrivare per potere andar via. Dobbiamo succhiarci fino in fondo. Dobbiamo divorarci da soli, finché non resta nient'altro che la fame. Noi diamo, diamo e diamo come pazzi. Non credo che tutto questo abbia senso. Non significa niente. Gesù ha detto: settanta volte sette, nessuno riuscirà mai a capire perché l'hai fatto, ti abbiamo già dimenticato il mattino dopo. Peccato." E "Settanta volte sette" è proprio la risposta che Gesù dà a Pietro che chiede "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?" (Matteo 18,21). Lo scandalo del perdono è la molla che avvia nel film la crisi mistica del tenente. Il tenente viene letteralmente sconvolto dalle parole della suora che dichiara che non vuole vendicarsi dei suoi stupratori dicendo: "Quei ragazzi, tristi e rabbiosi sono venuti da me a chiedere aiuto e come molti bisognosi erano violenti, e come tutti i bisognosi hanno preso e come tutti i bisognosi erano soli. Padre, io so chi sono, studiano nella nostra scuola e giocano nel nostro cortile e...sono dei bravi ragazzi. Gesù ha trasformato l'acqua in vino, avrei dovuto trasformare il loro seme in fertile sperma, il loro odio in amore, avrei dovuto salvare la loro anima. Loro non mi amavano ma io avrei dovuto amarli. Gesù amava coloro che lo avevano oltraggiato. Non incontrerò più due ragazzi la cui preghiera sia così ardente, così chiara, così dolorosa". E il gesto finale, sovversivo in quanto totalmente gratuito, di perdono dei due ragazzi, che fa inaspettatamente il tenente, rinnova al mondo contemporaneo l'originaria purezza rivoluzionaria della Parola. Ma quello del tenente non è propriamente un semplice percorso di redenzione, è piuttosto la messa in scena di una salvazione di un essere umano in virtù della luce della Grazia Divina. Abel Ferrara in alcune interviste ha infatti dichiarato:"Cristo è il motivo ultimo per cui faccio questo mestiere...Credo che ciò che Cristo rappresenta è qualcosa in cui credere ed è qualcosa per la vita". Ma allora per far questo perché occuparsi di esseri umani tanto degenerati? La risposta si trova nel vangelo di Matteo (9 10-13): "Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei, dicevano ai suoi discepoli: perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate cosa significhi: misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori." Un capolavoro che mette in scena, avvalendosi di uno stile secco e brutale, la complessità e la fragilità dell'essere umano, comprensiva delle pulsioni più disdicevoli. La visione viene a costituire, anche ad anni di distanza, un'avventura interiore ed emozionale molto intensa, che rende meravigliosamente bene l'avvento improvviso della "follia" del Sacro, in un mondo in cui la religione è ormai sempre più ridotta a vuoto feticcio.
"E' uno dei più grandi film che siano mai stati fatti sulla redenzione...Fino a che punto si è disposti a scendere per trovarla...Avrei voluto che L'ultima tentazione di Cristo gli somigliasse."
(Martin Scorsese)

25/11/09

I Wurdalak (Boris Karloff Blog-a-thon)

I Wurdalak con Boris Karloff
episodio di I tre volti della paura - Black Sabbath
di Mario Bava (1963 ITA/FRA/USA 92')


The Boris Karloff Blog-a-thon: con la ricorrenza del centoventiduesimo compleanno di Boris Karloff, il blog Frankensteinia ha indetto una splendida iniziativa per omaggiarne la memoria. Si tratta di una maratona lunga sette giorni (dal 23 al 29 Novembre) ,che vede oltre un centinaio di bloggers, di varie parti del mondo, pubblicare articoli e materiale audiovisivo riguardante l'indimenticabile attore. Noi di Scaglie, nel nostro piccolo, non potevamo certo tirarci indietro e abbiamo pensato di riesumare quel piccolo gioiello del terrore, che è l'episodio "I wurdalak" del film "I tre volti della paura", uno dei capostipiti del cinema horror italiano, che vede l'incontro tra due mostri sacri quali Boris Karloff e il nostro Mario Bava. L'episodio in questione è ispirato ad una novella di Aleksej Tolstoj dal titolo La famille du Vourdalak. Karloff, all'epoca settantasettenne, interpreta maestosamente sia il personaggio del narratore che coordina i tre spezzoni del film, che Gorka, il Wurdalak del titolo. Ciò che colpisce nel film è la capacità che ha il regista di creare un'affascinante atmosfera incantata, ma al contempo assai terrificante e spettrale e con uno stato di tensione costante. E riesce a farlo con l'utilizzo di scarsi mezzi tecnici, quali un uso sapiente delle luci e di fantasmagorici cromatismi (verdi acidi, blu cobalto, violetto, rossi e arancioni) e di movimenti di macchina millimetrici. Altro elemento degno di nota è l'interpretazione di Karloff che tratteggia un vampiro dal cuore trafitto di una complessità notevole, che esprime alla perfezione l'enigma dell'ambiguità del male (infatti i suoi familiari inizialmente hanno molti dubbi sul fatto se sia stato o meno vampirizzato). Il finale senza speranza in cui tutti i protagonisti finiscono vampirizzati suggella con coraggio un film quasi irripetibile, considerando anche l'innocenza degli ignari spettatori dell'epoca. Molte le sequenze indimenticabili del film, tra cui va ricordata quella della cavalcata di Gorka nella notte irreale con in braccio il nipotino, che verrà poi vampirizzato senza alcuna pietà. La madre trovandolo successivamente morto, rifiuterà di decapitarlo e lo seppellirà intero. Il ritorno del piccolo Wurdalak alla casa dei familiari, con la toccante implorazione rivolta alla madre di lasciarlo entrare, spacca letteralmente il cuore degli spettatori e rappresenta un highlight del cinema del terrore di tutti i tempi (George Romero se ne ricorderà ne La Notte dei Morti Viventi). Altre due citazioni le meritano sia l'incipit dell'intero film con un Karloff strepitoso, che il geniale e ironico finale in cui viene svelata l'artigianalità dei trucchi utilizzati, che hanno ammaliato lo spettatore durante la proiezione: Karloff sta galoppando selvaggiamente su un cavallo sferzato dai rami della foresta, la macchina da presa, con un carrello all'indietro, mostra i componenti della troupe che agitano alcune frasche davanti all'obiettivo per creare l'illusione del movimento, mentre Karloff monta un cavallo palesemente finto, azionato da un ingegnoso meccanismo meccanico. Capolavoro. Immenso Boris Karloff. Immenso Mario Bava.

24/11/09

Planeta Bur (Pavel Klushantsev)

Planeta Bur - I 7 navigatori dello spazio

di Pavel Klushantsev (1962 URSS 85')

Raro film di fantascienza russo, recentemente editato in dvd anche in Italia (www.sinisterfilm.net), che narra le disavventure di un gruppo di astronauti appartenenti a due astronavi, mandate ad esplorare l'orbita e la superficie di Venere. Problemi con una tempesta di meteoriti inducono i comandanti della missione a dare l'ordine di tornare sulla terra per eccessivo pericolo. Ma i componenti di una delle due astronavi si rifiutano di abbandonare, proprio a quel punto, la missione e sbarcano così sul pianeta ostile. Gli astronauti vengono da subito immersi in un paesaggio roccioso malsano primordiale, tra suoni e rumori misteriosi, continuamente minacciati da dinosauri antropofagi e piante carnivore urlanti. Un robot che li accompagna dovrebbe proteggerli dai pericoli e calcolare la via del rientro, ma l'atmosfera mefitica del pianeta fa andare in tilt i suoi circuiti, al punto da fargli perdere la bussola e farlo delirare su un fantomatico "Regno della Pace su Venere". Durante l'esplorazione del pianeta gli astronauti rinvengono i resti di un'arcana città sepolta sott'acqua, tra i quali si evidenzia la presenza di un drago pietrificato con un occhio rubino, enigmatico simbolo di abitanti sconosciuti. Un'eruzione vulcanica complica ulteriormente le cose e mette definitivamente fuori uso il robot inghiottito dalla lava, gli esseri umani ora sono soli con tutte le loro debolezze. Il film ci dice che ogni civiltà ha il suo ciclo e l'unica probabile via di salvezza è la migrazione degli esseri nel cosmo. Ma il finale apre ulteriori prospettive poiché la scoperta di un viso femminile scolpito nella roccia sembra evidenziare un'inaspettata dolcezza in questo mondo ignoto. Da sottolineare il ruolo dell'unica donna astronauta, di nome Masha, che rimane a bordo dell'astronave e da lì coordina e protegge le azioni dei suoi compagni nella pericolosa missione. Nel finale, quando sembra venir meno ogni speranza, accade l'inaspettato e un astronauta sente una dolcissima voce femminile che lo chiama, proveniente da un'eterea venusiana (allucinazione o realtà?), preludio a sviluppi incogniti che il film lascia alla nostra immaginazione. Certo il film è molto datato, ma alcune sequenze dimostrano la sua potente capacità evocativa, come quella in cui vediamo l'astronauta fluttuare nella cabina dell'astronave in assenza di gravità, scena che ha ispirato niente poco di meno che Stanley Kubrick per 2001 Odissea nello spazio. Il vampiresco Roger Corman acquistò negli anni Sessanta i diritti per la distribuzione del film negli Stati Uniti e vista l'ottima (per l'epoca) qualità delle riprese decise di utilizzarne vari spezzoni come inserti di alcuni B- movies diretti dai suoi allievi Curtis Harrington (Voyage to the Prehistoric Planet e Queen of Blood) e Peter Bogdanovich (Voyage to the Planet of Prehistoric Women). Oltre a Kubrick, anche George Lucas ha pubblicamente riconosciuto Pavel Klushantsev come suo precursore.

22/11/09

Cinema Scaglie Dicembre 2009 Clan Destino Faenza

Dicembre Cinema 2009 Scaglie

Domenica 6 Dicembre ore 21.30
The Blackout
di Abel Ferrara
(1997 USA/FRA 98')

Un attore di New York strafatto di alcool e droghe ha rimosso di aver strangolato una donna, scambiata per l’amante da cui è ossessionato, e quando il video di un regista pornografo gli mostra che ha davvero ucciso, si allontana disperato nel mare di Miami, nuotando nel buio, all’infinito. Matthew Modine ne è il protagonista, Dennis Hopper interpreta il regista, Claudia Schiffer e Beatrice Dalle sono le due antitetiche compagne del protagonista. Lo stile di Ferrara è unico, e va dritto all’anima profonda dello spettatore sensibile. La frammentarietà e ripetitività narrativa e l’apparente imperfezione nella costruzione potrebbero sembrare dei difetti, in realtà permettono al film di comunicare senza mediazioni col nostro inconscio. Un altro passo nella disperata, ma fruttifera, ricerca di Dio del poeta dei bassifondi Abel Ferrara. Decisamente uno dei film più importanti degli anni Novanta, inspiegabilmente incompreso dai più.

Domenica 13 Dicembre ore 21.30
The Fall
di Tarsem Singh
(2006 India/Uk/USA 117’)

Sono rari i film che riescono a stimolare le nostre endorfine endogene, tanto da farci raggiungere uno stato estatico, assai simile a quello provato durante l'innamoramento, per poi avere voglia di rivederli ripetutamente nei giorni seguenti...con The Fall siamo di fronte a uno dei capolavori del decennio e in pochi se ne sono accorti, anche a causa di una distribuzione al solito miope, impreparata e distratta. Cercare di riassumere le invenzioni visive che si susseguono sullo schermo lasciando senza fiato lo spettatore, sarebbe equivalente a svilirle in una goffa e pleonastica parafrasi: tanto è perfetta la costruzione dell'immagine e l'idea di cinema di Tarsem, artista che a questo punto assurge a vera e propria "next big thing" del cinema mondiale. Il film, presentato da Spike Jonze e David Fincher, è stato creato nella più cristallina indipendenza, grazie ad autofinanziamenti dello stesso regista, girato nell'arco di quattro anni, spostandosi incessantemente tra locations da favola, scovate in circa 28 paesi. Si tratta probabilmente del film che visivamente più si avvicina alle opere di Alejandro Jodorowsky nei suoi fiammeggianti anni Settanta e va precisato che nel film, incredibilmente, non si ricorre mai ad effetti speciali digitali (anche se guardandolo pare impossibile a credersi). Tutto il film, impregnato di un coinvolgente tono fiabesco, viene a configurarsi come un commovente omaggio al mondo degli stunt-men del cinema muto e come un definitivo struggente atto d'amore verso il cinema, il potere dell'immaginazione e le sue capacità taumaturgiche. In un mondo sempre più privo di emozioni come il nostro, questo film si batte contro l'anestesia progressiva dell'anima umana, quell'apatia che ci attanaglia e riesce (per così dire) a raggiungere il traboccamento dell'essere, tanto che dopo averlo visto non possiamo non riuscire a ridare voce ai nostri sentimenti. Un film, The Fall, con un finale che non delude le aspettative (non era cosa facile) e ne suggella la bellezza e ritrova, incredibilmente inalterata, la capacità di stupire del cinema delle origini, lasciando letteralmente a bocca aperta gli smaliziati spettatori di oggi.

Domenica 20 Dicembre ore 21.30
Tras el Cristal – In the Glass Cage
di Agustì Villaronga
(1986 SPA 100')

Klaus, ex gerarca nazista, dopo aver torturato ed ucciso un bambino, tenta il suicidio dopo aver capito che qualcuno ha visto il suo gesto. Lo ritroviamo paralizzato a causa della caduta e collegato ad un polmone d'acciaio, accudito dall'esasperata moglie, interpretata da Marisa Paredes, e dalla figlia. Un ragazzo di nome Angelo, che dimostra conoscere molte cose sul passato di Klaus (ne era stato evidentemente vittima durante il periodo nazista dell’uomo), si offre come infermiere per prendersene cura e probabilmente per attuare una sottile vendetta. Il suo arrivo nella casa farà riemergere il perverso passato di Klaus e darà inizio ad una nuova serie di orrori. Si tratta di cinema estremo all’ennesima potenza, al limite della visione, ma non gratuito, come quasi sempre accade con questo tipo di cinema (vedi Karim Hussain, Jim Van Bebber o Jorg Buttgereit). Qui invece la doverosa denuncia della mostruosità della perversione umana colpisce in faccia lo spettatore, risultando repellente e per nulla accattivante, quindi non farà mai e poi mai proseliti. Un film che si accomuna con il Salò di Pasolini e con Angst di Kargl, certo è discutibile che la rappresentazione debba raggiungere tali limiti, ma non farlo probabilmente è ipocrita. In un’epoca di facciate politicamente corrette che nascondono di tutto di più, come la cronaca recente racconta, scandalizzarsi per un film risulta più semplice. La realtà, purtroppo, è ben peggiore in alcuni casi.

Domenica 27 Dicembre ore 21.30
Sanatorium pod klepsydra
di Wojciech Jerzy Has
(1973 POL 124')

Jozef si reca in visita dal padre ricoverato in un sanatorio che offre una particolarissima cura ai propri pazienti. Superato l’ingresso si ritrova in una struttura fatiscente ed in rovina dove nessuno, pare, sia presente ad occuparsi dell’ospedale e dei suoi degenti chiusi all’interno di stanze impenetrabili, ma la soglia è stata ormai superata ed un viaggio ben più impegnativo lo attende… Un luogo dove si dorme sempre, ma in cui non è mai notte; così viene maliziosamente presentato all’ignaro Jozef ed a noi spettatori “Il sanatorio all’insegna della clessidra”, quasi a voler avvertire che la dialettica sogno/risveglio cardine dello svolgimento del racconto onirico, cui le sequenze iniziali ci hanno in parte preparato, sarà monca, impossibilitata all’interno di un cortocircuito.
“Il sogno di Jozef” è un viaggio a ritroso nel tempo, ai fantasmi della sua infanzia ed oltre sé stesso, ai “suoi” mondi esotici e fantastici, ai protagonisti della storia europea dell’800 sino ai secoli remoti in una peregrinazione forzata da un risveglio impossibile, nei corridoi colmi di ragnatele e nei binari morti, negli anfratti “logori” di “tempo rigurgitato” in un continuo smarrirsi nel sogno dato che, per dirla con le parole di Walter Benjamin: “C’è un sapere non ancora cosciente di ciò che è stato, la cui estrazione alla superficie ha la struttura del risveglio” (recensione tratta da Asian World)

21/11/09

Il metodo (Allen Ginsberg)

Il metodo deve essere purissima carne
e non condimento simbolico,
visioni reali e prigioni reali
come si vedono di quando in quando.

Prigioni e visioni presentate
con rare descrizioni
corrispondenze esatte a quelle
di Alcatraz e Rosa.

Un pasto nudo è naturale per noi,
noi mangiamo sandwiches di realtà
ma le allegorie sono tali lattughe.
Non nascondete la follia.
(Allen Ginsberg)

Opera di Olivier Zappelli

17/11/09

Rapporto Confidenziale Numero 19

RAPPORTO CONFIDENZIALE. rivista digitale di cultura cinematografica


NUMERO19 NOVEMBRE’09
free download 10,9mb 3,37mb ANTEPRIMA

http://www.rapportoconfidenziale.org/

EDITORIALE di Roberto Rippa
Ci risiamo: l’anno scorso – precisamente in agosto, in occasione della sua presentazione al Festival internazionale del film di Locarno – la polemica aveva avuto come obiettivo l’ottimo documentario sulla nascita delle Brigate rosse
Il sol dell’avvenire di Gianfranco Pannone (si veda RC. SPECIALE 61° Festival del Film di Locarno. 6-16|8|2008, pag.42-46) e come protagonista il (fa sempre un po’ impressione scriverlo) ministro dei Beni culturali e turismo Sandro Bondi che, in un’intervista rilasciata a Luca Telese, dichiarava di avere trovato nel film: «Un senso di amarcord… brigatista», aggiungendo poi che nella pellicola «Si offre un solo e unico punto di vista: quello degli ex terroristi». Non mancava quindi di dichiarare: «Ritengo immorale che lo Stato possa finanziare un film che rappresenta il tentativo di ricostruire in maniera di parte eventi delicatissimi e controversi» (il Giornale, 8 agosto 2008).
Da quale segmento del film il ministro avesse potuto evincere questa sorta di nostalgia o una visione di parte sfugge completamente, in un’opera di rara correttezza che si limitava a raccontare un evento che fa parte della storia del Paese non mancando peraltro di mostrare le scene crude delle vittime prima dei titoli coda.
Ora tocca a La prima linea di Renato De Maria, che racconta di Sergio Segio, tra i fondatori dell’organizzazione armata Prima linea e promotore dell’evasione di sei detenuti, tra cui la sua compagna Susanna Ronconi, dal carcere di Rovigo nel 1982. Il film di De Maria, che uscirà il 20 di questo mese per Lucky Red, è già oggetto di feroci critiche, soprattutto per il finanziamento governativo ottenuto, con il Giornale di Vittorio Feltri che il 4 novembre scorso ha pubblicato un articolo di Stefano Zurlo dal titolo “Il film che trasforma i brigatisti in eroi” e il Presidente Napolitano che ha preso le distanze dichiarando che non sa se lo vedrà (Governo italiano – rassegna stampa del 10 novembre 2009). Questa volta, dopo avere visto in anteprima il film nei giorni scorsi, Bondi ha ammesso che il film «non costituisce un’apologia del terrorismo». Ha inoltre aggiunto: «Ritengo personalmente che la sopravvivenza nella storia del nostro Paese di rigurgiti di violenza politica, nonché il rispetto che tutti, a partire dalle istituzioni, dobbiamo alla memoria di tutte le vittime del terrorismo, per non parlare della doverosa riservatezza che i protagonisti di quella stagione dolorosa dovrebbero mantenere, imporrebbero di non usare fondi pubblici per finanziare questo genere di film» (10/11/2009-ITL/ITNET).
Tralasciando la posizione dei parenti delle vittime, , comunque assolutamente legittima anche se non può portare alla limitazione del racconto della storia o a una sua visione univoca in nome del rispetto della memoria (e che non può essere confusa con quelle qui riportate), vale la pena di notare come su entrambi i film gravi l’anatema del finanziamento statale e come la necessità del rispetto della memoria delle vittime venga usata per dichiarare questi film come quantomeno inopportuni (a questa stregua, altre ere storiche che hanno visto vittime non andrebbero quindi raccontate?).
Però la storia è storia, il terrorismo in Italia di storia ne ha avuta e ne ha fatta, e conoscerla non può che giovare. Quelli come Bondi forse preferirebbero che la storia non venisse raccontata (o forse si, magari rivista da lui e dai suoi compagni al potere). E invece, in un’Italia che purtroppo appare nuovamente molto simile a quella raccontata nel film, Il sol dell’avvenire è un’opera importantissima in quanto racconta, ripercorre e lascia allo spettatore la libertà di formare un proprio giudizio sulle vicende mostrate. In un tempo fatto di revisionismo e di costante disinformazione, il cinema si riappropria non casualmente della sua capacità di raccontare il tempo (vedere anche gli esempi di Gomorra di Garrone e Il divo di Sorrentino). Quindi, nell’attesa di poter vedere il film di De Maria, evviva i finanziamenti pubblici (peraltro concessi a Il sol dell’avvenire dal governo Berlusconi nella persona dell’allora ministro Buttiglione) attribuiti a opere meritorie come quella di Pannone. Perché un Paese che ha paura di un cinema che racconti la sua storia, anche quella più oscura, non è un Paese sano.
Quindi, visto che sembra proprio questa l’arma agitata dai governanti contro le opere da loro considerate scomode o quanto meno fuori dal loro controllo, cogliamo l’occasione per tornare a discutere del Fondo unico per lo spettacolo (398’000’000 di Euro stanziati nel 2009, di cui solo il 18.5% destinato al cinema) di cui si è parlato molto in questi mesi, spesso per sottolinearne l’inutilità e gli abusi.
Il ministro Brunetta, in un discorso denso come non mai di demagogia (durante il quale ha definito i cineasti italiani presenti a Venezia: “Gente che ha preso tanti soldi e ha incassato poco al botteghino. Gente che non ha mai lavorato per il bene del paese, anzi non ha mai lavorato”), ha denigrato lo scorso 11 settembre a Gubbio i finanziamenti pubblici spiegando che il cinema (nonché teatro ed enti lirici) deve misurarsi con il mercato, dimenticando che l’invito per il cinema a misurarsi con un mercato asfittico a livello distributivo come quello italiano, significa parlare in mala fede.
Nella patria del liberismo, gli Stati Uniti (sempre citati a sproposito in queste occasioni), i fondi pubblici per il cinema ci sono. Li elargisce l’American Film Institute, organo indipendente sostenuto dal Governo, che poi può anche occuparsi di distribuzione e preservazione.
Tra le tante opere sostenute dall’AFI troviamo il primo lungometraggio di David Lynch Eraserhead (1977) nonché A Woman Under Influence (1974) di Cassavetes. Bastano come esempi?
In Italia, il Governo ha recentemente contribuito alla produzione, tra gli altri, de Il divo di Paolo Sorrentino (costo 5’201’000 Euro, contributo 1’700’000, incasso 4’553’000), Gomorra di Matteo Garrone (costo 5’893’000, contributo 2’000’000, incasso 10’184’000), La ragazza del lago di Andrea Molaioli (costo 2’460’000, contributo 800’000, incasso 3’003’000), Pranzo di Ferragosto di Gianni Di Gregorio (costo 900’000 circa, contributo 720’000, incasso 2’124’000). Sono esempi, questi ultimi, illuminanti e quindi citare sempre l’onnipresente Cattive ragazze di Marina Ripa Di Meana (sostenuto con l’allora articolo 28) come esempio di sperpero di denaro pubblico non è esattamente onesto. Significa usarne uno per punire tutti. Questo per non dire che è compito di uno Stato civile sostenere opere artistiche di valore che, a fronte di un interesse culturale, possono non fare corrispondere un esito commerciale particolarmente felice (sono i casi, secondo l’elenco riportato sopra, degli ultimi lavori di Faenza, Bellocchio, Olmi e Virzì).
Vale la pena forse di concludere osservando come la storia usata per fini propagandistici al cinema non abbia mai avuto grande fortuna: Barbarossa di Renzo Martinelli – coproduzione Rai Trade, finanziato con fondi del ministero e per il 60% da un consorzio di imprenditori privati piemontesi (intervista di Maurizio Turroni a Renzo Martinelli, Famiglia Cristiana n. 41, 11 ottobre 2009. Da Famiglia Cristiana online) – è costato circa 30 milioni di Dollari e gli incassi si sono fermati a meno di un milione di Euro (si parla solo dello sfruttamento nelle sale italiane).
Che voglia dire qualcosa?

SOMMARIO del NUMERO19 (novembre 2009)

4 La copertina di Josh Pesavento

5 Editoriale di Roberto Rippa

6 Brevi appunti sparsi di immagini in movimento di Alessio Galbiati e Roberto Rippa

7 Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans di Gianpiero Ariola

9 LINGUA DI CELLULOIDE Il ventre dell’architetto cineparole di Ugo Perri

10 Il nastro bianco di Alessandra Cavisi

11 La Taranta di Samuele Lanzarotti

12 RC SPECIALE – SOLO LIMONI. Genova – G8 – 2001 a cura di Alessio Galbiati
13 • Il cineocchio sul G8. Il concatenamento collettivo di enunciazioni di Giacomo Verde sui fatti del G8 genovese del 2001 di Alessio Galbiati
14 • Intervista a Giacomo Verde di Alessio Galbiati
Giacomo Verde
18 • bio
18 • video-filmografia (1983-2006)
20 • BELLEZZA e GIUSTIZIA. appunti per una riflessione su arte, politica, G8 di Genova di Giacomo Verde
22 • Genova – G8 – 2001. Videografia a cura di Alessio Galbiati

24 Il tempo muore anche al cinema. François Truffaut e il ciclo Doinel di Monia Raffi

29 Alan Turing: il film sarà bellissimo! di Costanza Baldini

30 L’ELENCO DI n COSE – classificazione enciclopedica del nulla #1 a cura di Gregory Arkadin
I 6 film che non possono mancare nella videoteca dell’ex-governatore del Lazio, Piero Marrazzo.6 titoli per provare ad accettare la propria reale natura e vivere serenamente.

34 RC SPECIALE – Quentin Tarantino’s. INGLOURIOUS BASTERDS a cura di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
35 • Inglourious Basterds di Roberto Rippa
36 • Inglourious Basterds. Le convergenze parallele (e bastarde) di Quentin Tarantino di Alessio Galbiati
38 • Riferimenti cinematografici
39 • Personaggi
40 • Riferimenti musicali
40 • Colonna sonora

42 Pedro Almodóvar Caballero di Alessio Galbiati
46 • Pedro Almodóvar. Filmografia completa (1978-2009)
47 • Bibliografia. La critica in lingua italiana

15/11/09

Il mistero dell'amore

"Sia nella mia esperienza di medico che nella mia vita, mi sono ripetutamente trovato di fronte al mistero dell'amore, e non sono mai stato capace di spiegare che cosa esso sia...qui si trovano il massimo e il minimo, il più remoto e il più vicino, il più alto e il più basso, e non si può parlare senza considerare anche l'altro. Qualunque cosa si possa dire, nessuna parola potrà mai esprimere tutto. Parlare di aspetti parziali è sempre troppo o troppo poco, perché soltanto il tutto ha significato. L'amore "soffre ogni cosa" e "sopporta ogni cosa" (I Cor., XIII, 7). Queste parole dicono tutto ciò che c'è da dire; non c'è nulla da aggiungere. Perché noi siamo, nel senso più profondo, le vittime e i mezzi e gli strumenti dell'"amore" cosmogonico...L'amore non viene mai meno, sia che si parli con la "lingua degli angeli" o che, con esattezza scientifica, tracci la vita della cellula risalendo fino al suo più ultimo fondamento. L'uomo può cercare di dare un nome all'amore, attribuendogli tutti quelli che ha a disposizione, ma sarà sempre vittima di infinite illusioni. Se possiede un granello di saggezza, deporrà le armi e chiamerà l'ignoto con il più ignoto, ignotum per ignotius, cioè con il nome di Dio."
(Carl Gustav Jung)

12/11/09

Sognare è reale?

"...Allora volete dire, Don Juan, che sognare è reale?"
"Naturalmente è reale"
"Reale come quello che stiamo facendo ora?"
"Se vuoi fare un confronto ti posso dire che forse è più reale. Nel sognare tu hai potere; puoi cambiare le cose; puoi scoprire innumerevoli fatti nascosti; puoi controllare tutto quello che vuoi"
(Carlos Castaneda Viaggio a Ixtlan)

Novembre Scaglie


"Se non potete credere un pochino a quello che vedete sullo schermo, non vale la pena di perdere del tempo per andare al cinema..."
(Serge Daney)

08/11/09

Route 66 (Tom Waits)

"Il paradiso per me? Mia moglie ed io sulla Route 66 con una tazza di caffè, una chitarra da quattro soldi, un registratore preso dal rigattiere, una stanza del Motel 6, e una macchina in buone condizioni parcheggiata davanti alla porta."
(Tom Waits)

07/11/09

Ha tutte le carte in regola per essere un artista (Piero Ciampi)


Ha tutte le carte in regola
per essere un artista.
Ha un carattere melanconico,
beve come un irlandese.
Se incontra un disperato
non chiede spiegazioni,
divide la sua cena
con pittori ciechi, musicisti sordi,
giocatori sfortunati, scrittori monchi.

Ha tutte le carte in regola
per essere un artista.
Non gli fa paura niente
tantomeno un prepotente.
Preferisce stare solo
anche se gli costa caro,
non fa alcuna differenza
tra un anno ed una notte,
tra un bacio ed un addio.

Questo è un miserere
senza lacrime.
Questo è il miserere
di chi non ha più illusioni.

Ha tutte le carte in regola
per essere un artista.
Detesta lavorare
intorno a un parassita,
vive male la sua vita
ma lo fa con grande amore.
Ha amato tanto due donne,
erano belle, bionde, alte, snelle,
ma per lui non esistono più.

È perché è solo un artista
che l’hanno preso per un egoista.
La vita è una cosa
che prende, porta e spedisce.
(Piero Ciampi)

Combo (BLU & David Ellis)

Combo
by BLU & David Ellis

"Che la Scienza e la Poesia siano sorelle non è un vero segreto per chi le conosce, ma rimane un mistero e un ostacolo insormontabile per molti, al punto che nelle più astratte, formali e controintuitive branche della ricerca scientifica un’elevata immaginazione, simile a quella del poeta, è spesso più utile di un lavoro perseverante.”
(Frederick Pollock)

03/11/09

La Taranta (Gianfranco Mingozzi)

La Taranta
di Gianfranco Mingozzi
(1962 ITA 20')
"La danza eseguita durante la cura è la tarantella, cioé la danza della piccola taranta. Il tarantato, colui che è stato morso, diventa danzando il ragno che lo ha morso, e al tempo stesso lo calpesta e lo schiaccia col piede che danza: questa valenza d'identificazione combattente costituisce il carattere fondamentale del tarantismo come cura. Chi danza si fa ragno: lo imita, striscia al suolo o cammina carponi, s'arrampica, fila la tela, salta ma al tempo stesso è impegnato agonisticamente contro il ragno che lo possiede..."
(Ernesto De Martino)

Piccolo gioiello documentaristico di etnologia, ora disponibile in dvd+libro edito dalla Kurumuny, incentrato su reali casi di tarantate nella Puglia degli anni Sessanta, riprese dall'audace telecamera di Mingozzi, coadiuvato dagli scritti e dalle idee dell'antropologo Ernesto de Martino, dalle folgoranti musiche di Luigi Stifani e dalle ipnotizzanti parole di Salvatore Quasimodo.
Il "rituale di liberazione" della taranta, pregno di musica/danza e furore religioso, permette di dare un'immagine al "male", consentendo di ricostruire, attraverso una comunicazione che si avvale del linguaggio simbolico, la storia personale della posseduta. Il rituale della taranta permette di superare gli intimi conflitti della vittima e di riconciliarla con le sue esperienze dolorose, fino a restituire un senso ad una situazione altrimenti patita come caotica e destrutturante. Si tratta quindi dell'efficacia simbolica teorizzata da Claude Lévi-Strauss nel 1949 sulla rivista "Revue de l'Histoire des Religions", quella potentissima tecnica che attraverso l'uso da parte del terapeuta di peculiari modalità comunicative permette al soggetto di attingere a ciò che è contenuto nel suo emisfero destro cerebrale. L'emisfero destro cerebrale è la sede elettiva del sogno, dei processi visivi, della percezione dello spazio, della comprensione delle metafore e dei simboli, dei flash d'ispirazione e degli stati alternativi di coscienza; ma i suoi contenuti sono inconsci e non verbalizzabili. L'efficacia simbolica permette al soggetto di sanare i propri conflitti, dare un senso ad una situazione che precedentemente sfuggiva al controllo, innescando così un processo di reazioni psicofisiologiche (attraverso la mobilitazione di stati emozionali) responsabili dell'autoguarigione e del recupero di un equilibrio migliore. Quello dell'efficacia simbolica è probabilmente lo stesso campo terapeutico da cui attingono ai giorni nostri gli sciamani, i guaritori, i maghi, i pranoterapeuti etc. Anche nelle pratiche mediche tradizionali, d'altronde, molte cerimonie e persino molte sostanze utilizzate non hanno proprietà curative in senso stretto, ma possono produrre effetti di guarigione proprio per la loro elevata valenza simbolica in grado di suggestionare il cervello del paziente.
Al giorno d'oggi il tarantismo è ormai un lontano ricordo, i centri di igiene mentale straboccano di pazienti, i conflitti vengono sopiti dagli psicofarmaci e dallo shopping compulsivo...ma l'attuale incapacità delle persone di poter attuare un trascendimento simbolico dei loro traumi sembra rendere l'aria irrespirabile e il disagio strisciante sta costantemente attanagliando strati più ampi della popolazione...imperativo diviene stimolare l'immaginazione e la sensibilità estetica, due qualità che con la loro apertura e l'intrinseco carattere di indeterminatezza potrebbero probabilmente restituirci l'efficacia simbolica dell'arte e la sua valenza terapeutica.
Per vedere "La Taranta" cliccare qui

"Oggi noi sappiamo che il morso
non è assalto di démone,
ma il cattivo passato che torna
e si propone alla scelta riparatrice.
Momento di un interiore rimordere,
sintomo cifrato di conflitti
operanti nell'inconscio. Ecco perché
il tarantismo ci riguarda da vicino
e sfida, ancor oggi, le insidiate
potenze della nostra modernità."
(Ernesto de Martino da Sulla terra del rimorso)