Ritratto di una bevitrice - Bildnis einer Trinkerin
di Ulrike Ottinger (1979 RFT 108')
con Tabea Blumenschein, Lutze, Magdalena Montezuma, Nina Hagen, Kurt Raab, Volker Spengler
"Lei", una signora dell'alta borghesia, bella, colta ed elegante, vola con un biglietto di sola andata a Berlino, dove vuole abbandonarsi interamente - fino a morirne - alla sua unica e grande passione: bere. Qui incontra un'altra bevitrice, appartenente ad un ambiente sociale opposto al suo. Insieme girano la città, da un bar all'altro, passando accanto ai monumenti e ai luoghi turistici, ma anche nei punti d'incontro autentici (degli autisti di taxi, per esempio, o degli artisti), e alla fine approdano al punto di ritrovo dei bevitori senza fissa dimora, lo zoo della stazione. All'alba, allo stremo delle forze, abbandonate su una scalinata della stazione, le due donne sono sommerse dalla folla che cammina su di loro facendo finta di non vederle. Chiusa in una cella tappezzata di specchi dal pavimento al soffitto, "Lei" vi sprofonda, mentre il vetro si spezza poco a poco, scricchiolando atrocemente.
Amaro viaggio al termine della solitudine, "Bildnis einer Trinkerin" è il film di una fotografa visionaria (ricordo il suo "Freak Orlando", vera e propria leggenda tra i cinefili oltranzisti) che non ha paura di sfiorare continuamente il kitsch, provocando in qualche spettatore/critico reazioni violentemente negative (che belli i film non carini e che dividono...). "Una Berlino notturna, accesa da una luminosità diffusa e spettrale, una Berlino che vive ormai solo di sussulti, luogo della ripetizione e dei rifiuti, regno dell'anonimato e della plastica, offre complicità e scenografie a uno sregolato e insensato viaggio nel bere" (Grignaffini). Ma, nota Montebello, "quello che avrebbe potuto essere la descrizione di un abbrutimento, è di fatto un inno alla volontà, a una volontà assolutamente negativa. E' un suicidio, che ha questo di impressionante, che è lento e che la certezza della disperazione bussa a ogni sequenza, sotto le forme più diverse: uno sguardo assente sul nulla, degli abiti deliranti per vestire il vuoto, delle parole disabitate".
(post fatto col contributo di una recensione di Robert Fischer)
15/05/08
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