Atsushi Tani
“...l’immaginazione sessuale è illimitata quanto a prospettiva e a forza metaforica e non potrà mai essere davvero repressa...Specialmente adesso che il sesso sta diventando sempre più un’azione concettuale, intellettualizzata, lontana sia dall’affetto che dalla fisiologia, si devono tenere ben presenti i meriti delle perversioni sessuali.” (J.G.Ballard, "La mostra delle atrocità")
Atsushi Tani è un'intensa artista giapponese, che si dedica fin dall'adolescenza alla fotografia. La sua prima mostra risale al 1991. Da quei tempi ha tenuto numerose esposizioni personali non solo in Giappone, ma anche in Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Una sua mostra in Italia, dagli esiti memorabili, si ricorda nella galleria d'arte, sorprendentemente sospesa tra sesso e avanguardia, di "Mondo Bizzarro".
Le sue opere sono ammantate di un erotismo visionario e misterioso, parzialmente influenzato dalla tradizione surrealista di Hans Bellmer e Pierre Molinier, ma che va a congiungersi alle più moderne tendenze dell'eros nipponico, amalgamando depistanti feticismi medical con agghiaccianti mutazioni corporee, le trasgressioni della body art estrema con un fiammeggiante cybersex e arrivando così alla languida raffigurazione di sensuali donne aliene, probabilmente scaturite da arcani mondi paralleli. Notevole e originale il lavoro di elaborazione sull'immagine fotografica, con il conseguimento di una composizione classica, ma al tempo stesso spiazzante e conturbante.
"Spingendo dolcemente
ho schiuso quella porta
che chiamano mistero.
Mammelle turgide
strette nelle mani."
(Yosano Akiko, Midaregami, 68)
29/05/08
27/05/08
Roland Topor
Roland Topor
Artista poliedrico e spiazzante, Roland Topor, è stato troppo frettolosamente dimenticato e accantonato dall'immaginario collettivo, sia a causa di una sua difficile catalogabilità, che per una sconcertante violenza insita nelle sue opere. Dotato di un'ironia beffarda e dissacrante, Topor ha sempre fatto venire i brividi lungo la schiena ai soloni della critica ufficiale.
Nella sua eccentrica carriera artistica ha fatto di tutto: dalla pittura all'illustrazione, dal teatro alla fotografia, dall'incisione alla scultura, dal cinema d'animazione ai romanzi, dalla musica alla televisione. E tutto questo continuamente sperimentando nuovi linguaggi espressivi e rimanendo fedele alle sue convinzioni e ai suoi principi. Erede del nichilismo dadaista, è riuscito con la sua enigmatica arte a demolire qualsiasi forma di autorità precostituita, ridimensionando contemporaneamente sia il borioso sapere scolastico che la cultura ufficiale imperante. Illuminante il fatto che abbia frequentato la rinomata Accademia di Belle Arti dal bar di fronte, come amava ricordare, rifiutando così di diventare un'artista/pollo di batteria come tanti altri.
La sua immaginazione sadica e il suo tagliente umorismo nero hanno disvelato, senza mezzi termini, l'assurdità nascosta nel reale, regalandoci un intimo e perturbante brivido. I suoi esseri umani immondi e mostruosi, raffigurati in preda ai piaceri più sfrenati e aggressivi, fanno pensare alle fantasie devianti di un moderno Hieronymous Bosch (guardatevi il filmato dei titoli di testa di "Viva la Muerte" di Arrabal, in fondo a questo post).
Viviamo i dettagli angoscianti delle sue opere, fino quasi a sentirne l'acre odore e ad apprezzare, sconvolti, l'elasticità delle carni lacerate. Il mondo rivela la sua doppiezza, l'ipocrisia strisciante e l'artista, indignato, la mostra in tutta la sua repellente virulenza. All'epoca pubblicava sul "New York Times", sferzando regolarmente le ingannevoli certezze borghesi.
Da ricordare anche la sua collaborazione, in Italia, con la rivista satirica "Il Male". Nel 1962 fonda con Jodorowsky e Arrabal il movimento Panico (a tal proposito segnalo, imperdibile, il libro di Antonio Bertoli "Panico!", recentemente editato), che meriterebbe un post a sé stante e prima o poi lo farò, se non crepo.
Anche la sua attività nel cinema è leggendaria: dopo molti cortometraggi in collaborazione con René Laloux, il lungometraggio "Il pianeta selvaggio" ottiene nel 1973 il premio speciale della Giuria di Cannes. Si tratta di un raffinato film d'animazione creato sui disegni di Roland Topor, sceneggiato da Laloux e Topor a partire da un romanzo di fantascienza di Stefan Wul. Gli uomini sono minuscoli animaletti domestici di una razza di giganteschi alieni, i Draag, a cui cercano disperatamente di ribellarsi. Il messaggio è inequivocabile: la politica è aberrante, la tecnologia provoca angoscia e la natura appare crudele. Un indimenticabile incubo apocalittico, visivamente suggestivo ed emozionante.
Collabora anche con Fellini, nel 1976, per "Il Casanova" dove disegna le abbacinanti sequenze della Lanterna Magica.
Nel 1976 il suo romanzo "Le Locataire Chimérique" diventa "L'inquilino del Terzo piano" ad opera di Roman Polanski: preso in affitto, in una vecchio palazzo di Parigi, un appartamento la cui inquilina precedente s'è uccisa buttandosi dalla finestra, un giovane archivista ne assume a poco a poco l'identità. Film che oscilla tra una situazione di minaccia oggettivamente subita dal protagonista e una piena consapevole deriva paranoica (merita comunque, anche questo, un post a sé stante).
Successivamente nel 1979, Topor è attore per Werner Herzog in "Nosferatu", dove svolge l'intrigante ruolo di "servo" del principe della notte Klaus Kinski.
Nel 1989 con Henri Xhonneaux intraprende un adattamento cinematografico sui generis della vita del marchese De Sade intitolato "Marquis". Tutti gli attori indossano incantevoli maschere animalesche. Il divin marchese, nell'isolamento della propria cella, disserta per gran parte del film,in maniera irresistibile, con il suo pene, unico personaggio ad avere un volto umano. Imperdibile.
Eros e Thanatos sono due costanti della sua opera, così come la lotta contro la stupidità umana e l'amara constatazione della sua inevitabilità.
"Il campo dell'indagine dell'artista è dunque l'uomo con le sue frustrazioni nella società e quindi l'irrealtà delle situazioni quotidiane, l'allucinante e l'assurdo che diventano normalità sono rappresentati con la perversione del realismo, la crudeltà della verità, l'inquietudine dell'ironia più dissacrante...Il suo lavoro è concentrato non tanto sui significati convenzionali delle cose e degli esseri, quanto su ciò che questi offrono di ulteriore alla vista, sull'abisso su cui si aprono e sul mondo che lasciano intravedere e in cui ci si può perdere. Il posto del pubblico è proprio sul baratro, dove deve provare il gusto di sfiorare il pericolo e la fine." (Gilberto Finzi)
"Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura...La realtà in sé è orribile, mi dà l'asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano." (Topor)
Per vedere le sue opere: http://toporetmoi.over-blog.com/album-163931.html
"...Un individuo, per sopravvivere, deve dissimulare la sua virulenza. Deve svolgere una attività utile a una comunità umana, a un gruppo sociale. Deve dare l'impressione di essere sincero. Deve apparire UOMO NORMALE. La sola rivolta individuale consiste nel sopravvivere."
(Roland Topor da "Piccolo Memento Panico", 1965)
Artista poliedrico e spiazzante, Roland Topor, è stato troppo frettolosamente dimenticato e accantonato dall'immaginario collettivo, sia a causa di una sua difficile catalogabilità, che per una sconcertante violenza insita nelle sue opere. Dotato di un'ironia beffarda e dissacrante, Topor ha sempre fatto venire i brividi lungo la schiena ai soloni della critica ufficiale.
Nella sua eccentrica carriera artistica ha fatto di tutto: dalla pittura all'illustrazione, dal teatro alla fotografia, dall'incisione alla scultura, dal cinema d'animazione ai romanzi, dalla musica alla televisione. E tutto questo continuamente sperimentando nuovi linguaggi espressivi e rimanendo fedele alle sue convinzioni e ai suoi principi. Erede del nichilismo dadaista, è riuscito con la sua enigmatica arte a demolire qualsiasi forma di autorità precostituita, ridimensionando contemporaneamente sia il borioso sapere scolastico che la cultura ufficiale imperante. Illuminante il fatto che abbia frequentato la rinomata Accademia di Belle Arti dal bar di fronte, come amava ricordare, rifiutando così di diventare un'artista/pollo di batteria come tanti altri.
La sua immaginazione sadica e il suo tagliente umorismo nero hanno disvelato, senza mezzi termini, l'assurdità nascosta nel reale, regalandoci un intimo e perturbante brivido. I suoi esseri umani immondi e mostruosi, raffigurati in preda ai piaceri più sfrenati e aggressivi, fanno pensare alle fantasie devianti di un moderno Hieronymous Bosch (guardatevi il filmato dei titoli di testa di "Viva la Muerte" di Arrabal, in fondo a questo post).
Viviamo i dettagli angoscianti delle sue opere, fino quasi a sentirne l'acre odore e ad apprezzare, sconvolti, l'elasticità delle carni lacerate. Il mondo rivela la sua doppiezza, l'ipocrisia strisciante e l'artista, indignato, la mostra in tutta la sua repellente virulenza. All'epoca pubblicava sul "New York Times", sferzando regolarmente le ingannevoli certezze borghesi.
Da ricordare anche la sua collaborazione, in Italia, con la rivista satirica "Il Male". Nel 1962 fonda con Jodorowsky e Arrabal il movimento Panico (a tal proposito segnalo, imperdibile, il libro di Antonio Bertoli "Panico!", recentemente editato), che meriterebbe un post a sé stante e prima o poi lo farò, se non crepo.
Anche la sua attività nel cinema è leggendaria: dopo molti cortometraggi in collaborazione con René Laloux, il lungometraggio "Il pianeta selvaggio" ottiene nel 1973 il premio speciale della Giuria di Cannes. Si tratta di un raffinato film d'animazione creato sui disegni di Roland Topor, sceneggiato da Laloux e Topor a partire da un romanzo di fantascienza di Stefan Wul. Gli uomini sono minuscoli animaletti domestici di una razza di giganteschi alieni, i Draag, a cui cercano disperatamente di ribellarsi. Il messaggio è inequivocabile: la politica è aberrante, la tecnologia provoca angoscia e la natura appare crudele. Un indimenticabile incubo apocalittico, visivamente suggestivo ed emozionante.
Collabora anche con Fellini, nel 1976, per "Il Casanova" dove disegna le abbacinanti sequenze della Lanterna Magica.
Nel 1976 il suo romanzo "Le Locataire Chimérique" diventa "L'inquilino del Terzo piano" ad opera di Roman Polanski: preso in affitto, in una vecchio palazzo di Parigi, un appartamento la cui inquilina precedente s'è uccisa buttandosi dalla finestra, un giovane archivista ne assume a poco a poco l'identità. Film che oscilla tra una situazione di minaccia oggettivamente subita dal protagonista e una piena consapevole deriva paranoica (merita comunque, anche questo, un post a sé stante).
Successivamente nel 1979, Topor è attore per Werner Herzog in "Nosferatu", dove svolge l'intrigante ruolo di "servo" del principe della notte Klaus Kinski.
Nel 1989 con Henri Xhonneaux intraprende un adattamento cinematografico sui generis della vita del marchese De Sade intitolato "Marquis". Tutti gli attori indossano incantevoli maschere animalesche. Il divin marchese, nell'isolamento della propria cella, disserta per gran parte del film,in maniera irresistibile, con il suo pene, unico personaggio ad avere un volto umano. Imperdibile.
Eros e Thanatos sono due costanti della sua opera, così come la lotta contro la stupidità umana e l'amara constatazione della sua inevitabilità.
"Il campo dell'indagine dell'artista è dunque l'uomo con le sue frustrazioni nella società e quindi l'irrealtà delle situazioni quotidiane, l'allucinante e l'assurdo che diventano normalità sono rappresentati con la perversione del realismo, la crudeltà della verità, l'inquietudine dell'ironia più dissacrante...Il suo lavoro è concentrato non tanto sui significati convenzionali delle cose e degli esseri, quanto su ciò che questi offrono di ulteriore alla vista, sull'abisso su cui si aprono e sul mondo che lasciano intravedere e in cui ci si può perdere. Il posto del pubblico è proprio sul baratro, dove deve provare il gusto di sfiorare il pericolo e la fine." (Gilberto Finzi)
"Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura...La realtà in sé è orribile, mi dà l'asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano." (Topor)
Per vedere le sue opere: http://toporetmoi.over-blog.com/album-163931.html
"...Un individuo, per sopravvivere, deve dissimulare la sua virulenza. Deve svolgere una attività utile a una comunità umana, a un gruppo sociale. Deve dare l'impressione di essere sincero. Deve apparire UOMO NORMALE. La sola rivolta individuale consiste nel sopravvivere."
(Roland Topor da "Piccolo Memento Panico", 1965)
26/05/08
Tropical Hot Dog Night
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Captain Beefheart
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Sure 'nuff 'n Yes I do
Ice Cream for Crow
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21/05/08
Jenny Haniver e i nanobi
Jenny Haniver e i nanobi
L'idea di extraterrestre che l'essere umano si è fatto negli ultimi decenni è stata molto influenzata da ciò che si è visto al cinema o letto in libri di fantascienza, ma la realtà potrebbe essere molto diversa e spiazzante...
Allo stato attuale dove si possono ipotizzare organismi alieni sulla Terra?
Secondo numerosi scienziati il luogo più probabile in cui potrebbero radicarsi è dato dalle profondità marine. Soprattutto i camini vulcanici sul fondo oceanico sarebbero luoghi ideali, costituendo ecosistemi ignoti, da considerare praticamente del tutto isolati dal resto della biosfera. Tutti i microrganismi scoperti, fino a questo momento, in questi ecosistemi sono paragonabili coi microbi residenti in superficie, ma va precisato che l'esplorazione biologica dei fondi oceanici è ancora agli albori e potrebbe riservare non poche sorprese.
Per ora comunque ci accontentiamo di falsi allarmi...come quello, risalente a qualche tempo fa, riguardante increduli pescatori cinefili russi (filmato sotto) che, nel mare di Azov, hanno recuperato una Jenny Haniver, bizzarra creatura dall'aspetto demoniaco, spacciata inizialmente come cadavere di un alieno e poi in realtà rivelatasi una comune razza capovolta.
Per chi non lo sapesse, una Jenny Haniver è una creatura di competenza della criptozoologia, nota fin dal 1500, ottenuta attraverso un certosino lavoro di modificazione e mutilazione della carcassa appartenente ad una razza del genere Rhinobatidae (pesce chitarra), creata allo scopo di colpire l'immaginario di sprovveduti compratori, facendola passare talora per cucciolo di drago o basilisco, talora per cadavere di alieno o diavolo di mare (devil fish). Uno dei casi più celebri di ritrovamento di Jenny Haniver, che ricevette enorme pubblicità mediatica, avvenne nel 1971 a San Juan in Porto Rico, quando Alfredo Garcia Garamendi, stimato professore di educazione fisica e studioso di fenomeni paranormali, sostenne di aver catturato una bizzarra creatura marina, che poteva uscire dal mare, respirare e mettersi in stazione eretta. A tale animale, dall'aspetto antropomorfo, Garamendi diede il nome di Garadiabolo.
Recentemente, invece, grazie ai progressi resi possibili dall'uso del microscopio elettronico, sono state scoperte minuscole strutture, grandi tra 20 e 150 nanometri e per questo motivo chiamate nanobi, contenute in rocce arenarie risalenti a 200 milioni di anni fa, estratte dalle profondità oceaniche al largo della costa australiana. I test di laboratorio hanno dimostrato che questi piccolissimi e misteriosi nanobi contengono all'interno DNA e sono in grado di moltiplicarsi in laboratorio. Tutto questo ha spiazzato gli scienziati, aprendo realisticamente un'ipotesi di vita aliena sulla terra.
Ma questo non è tutto, in ambiente scientifico circola anche la perturbante ipotesi che forme di vita aliene possano trovarsi nei nostri stessi corpi. Nel 1988, osservando cellule di mammifero al microscopio elettronico, Olavi Kajander (dell'Università finlandese di Kuopio) notò minuscole particelle (la cui funzione è tuttora sconosciuta) contenute all'interno del citoplasma di molte cellule. Queste particelle, dalle dimensioni di 50 nanometri, sono circa un decimo della dimensione dei più piccoli batteri conosciuti. Dieci anni dopo lo stesso Kajander, cercando disperatamente una spiegazione razionale e scientifica, arrivò ad ipotizzare che tali particelle fossero organismi viventi colonizzanti l'urina, partecipanti alla formazione dei calcoli renali come nucleo per la precipitazione di calcio e fosfato. Benché queste affermazioni restino controverse, in ambito scientifico si sta ipotizzando che almeno alcuni di questi organismi lillipuziani siano in realtà forme di vita aliena dotate di una biochimica radicalmente alternativa a quella conosciuta.
E se alla fine si scoprisse effettivamente che l'origine della vita è extra-terrestre?
Non è dato sapere, per ora accontentiamoci delle sconvolgenti creazioni di criptozoologia (tra cui anche un'immancabile Jenny Haniver) dell'artista atipica e radicale Sarina Brewer
http://www.customcreaturetaxidermy.com
(post elaborato con gli spunti di un articolo di Paul Davies)
L'idea di extraterrestre che l'essere umano si è fatto negli ultimi decenni è stata molto influenzata da ciò che si è visto al cinema o letto in libri di fantascienza, ma la realtà potrebbe essere molto diversa e spiazzante...
Allo stato attuale dove si possono ipotizzare organismi alieni sulla Terra?
Secondo numerosi scienziati il luogo più probabile in cui potrebbero radicarsi è dato dalle profondità marine. Soprattutto i camini vulcanici sul fondo oceanico sarebbero luoghi ideali, costituendo ecosistemi ignoti, da considerare praticamente del tutto isolati dal resto della biosfera. Tutti i microrganismi scoperti, fino a questo momento, in questi ecosistemi sono paragonabili coi microbi residenti in superficie, ma va precisato che l'esplorazione biologica dei fondi oceanici è ancora agli albori e potrebbe riservare non poche sorprese.
Per ora comunque ci accontentiamo di falsi allarmi...come quello, risalente a qualche tempo fa, riguardante increduli pescatori cinefili russi (filmato sotto) che, nel mare di Azov, hanno recuperato una Jenny Haniver, bizzarra creatura dall'aspetto demoniaco, spacciata inizialmente come cadavere di un alieno e poi in realtà rivelatasi una comune razza capovolta.
Per chi non lo sapesse, una Jenny Haniver è una creatura di competenza della criptozoologia, nota fin dal 1500, ottenuta attraverso un certosino lavoro di modificazione e mutilazione della carcassa appartenente ad una razza del genere Rhinobatidae (pesce chitarra), creata allo scopo di colpire l'immaginario di sprovveduti compratori, facendola passare talora per cucciolo di drago o basilisco, talora per cadavere di alieno o diavolo di mare (devil fish). Uno dei casi più celebri di ritrovamento di Jenny Haniver, che ricevette enorme pubblicità mediatica, avvenne nel 1971 a San Juan in Porto Rico, quando Alfredo Garcia Garamendi, stimato professore di educazione fisica e studioso di fenomeni paranormali, sostenne di aver catturato una bizzarra creatura marina, che poteva uscire dal mare, respirare e mettersi in stazione eretta. A tale animale, dall'aspetto antropomorfo, Garamendi diede il nome di Garadiabolo.
Recentemente, invece, grazie ai progressi resi possibili dall'uso del microscopio elettronico, sono state scoperte minuscole strutture, grandi tra 20 e 150 nanometri e per questo motivo chiamate nanobi, contenute in rocce arenarie risalenti a 200 milioni di anni fa, estratte dalle profondità oceaniche al largo della costa australiana. I test di laboratorio hanno dimostrato che questi piccolissimi e misteriosi nanobi contengono all'interno DNA e sono in grado di moltiplicarsi in laboratorio. Tutto questo ha spiazzato gli scienziati, aprendo realisticamente un'ipotesi di vita aliena sulla terra.
Ma questo non è tutto, in ambiente scientifico circola anche la perturbante ipotesi che forme di vita aliene possano trovarsi nei nostri stessi corpi. Nel 1988, osservando cellule di mammifero al microscopio elettronico, Olavi Kajander (dell'Università finlandese di Kuopio) notò minuscole particelle (la cui funzione è tuttora sconosciuta) contenute all'interno del citoplasma di molte cellule. Queste particelle, dalle dimensioni di 50 nanometri, sono circa un decimo della dimensione dei più piccoli batteri conosciuti. Dieci anni dopo lo stesso Kajander, cercando disperatamente una spiegazione razionale e scientifica, arrivò ad ipotizzare che tali particelle fossero organismi viventi colonizzanti l'urina, partecipanti alla formazione dei calcoli renali come nucleo per la precipitazione di calcio e fosfato. Benché queste affermazioni restino controverse, in ambito scientifico si sta ipotizzando che almeno alcuni di questi organismi lillipuziani siano in realtà forme di vita aliena dotate di una biochimica radicalmente alternativa a quella conosciuta.
E se alla fine si scoprisse effettivamente che l'origine della vita è extra-terrestre?
Non è dato sapere, per ora accontentiamoci delle sconvolgenti creazioni di criptozoologia (tra cui anche un'immancabile Jenny Haniver) dell'artista atipica e radicale Sarina Brewer
http://www.customcreaturetaxidermy.com
(post elaborato con gli spunti di un articolo di Paul Davies)
15/05/08
Rapporto Confidenziale - numerocinque
Rapporto Confidenziale - numerocinque
"Dobbiamo rompere i riflessi condizionati. Uccidere il passato, cambiare nome, modificare i nostri movimenti. Pulire la mente, pulire il cuore, pulire il sesso. Fare ordine e intrecciare sesso, cuore e mente. Essere nuovi. Cambiare tutti le nostre abitudini."
(A. Jodorowsky)
Il quinto numero di "Rapporto confidenziale", la rivista digitale di cultura cinematografica, è finalmente online con cinquantotto pagine di critica cinefila.
Potete scaricare gratuitamente la rivista qui.
"Dobbiamo rompere i riflessi condizionati. Uccidere il passato, cambiare nome, modificare i nostri movimenti. Pulire la mente, pulire il cuore, pulire il sesso. Fare ordine e intrecciare sesso, cuore e mente. Essere nuovi. Cambiare tutti le nostre abitudini."
(A. Jodorowsky)
Il quinto numero di "Rapporto confidenziale", la rivista digitale di cultura cinematografica, è finalmente online con cinquantotto pagine di critica cinefila.
Potete scaricare gratuitamente la rivista qui.
Ritratto di una bevitrice
Ritratto di una bevitrice - Bildnis einer Trinkerin
di Ulrike Ottinger (1979 RFT 108')
con Tabea Blumenschein, Lutze, Magdalena Montezuma, Nina Hagen, Kurt Raab, Volker Spengler
"Lei", una signora dell'alta borghesia, bella, colta ed elegante, vola con un biglietto di sola andata a Berlino, dove vuole abbandonarsi interamente - fino a morirne - alla sua unica e grande passione: bere. Qui incontra un'altra bevitrice, appartenente ad un ambiente sociale opposto al suo. Insieme girano la città, da un bar all'altro, passando accanto ai monumenti e ai luoghi turistici, ma anche nei punti d'incontro autentici (degli autisti di taxi, per esempio, o degli artisti), e alla fine approdano al punto di ritrovo dei bevitori senza fissa dimora, lo zoo della stazione. All'alba, allo stremo delle forze, abbandonate su una scalinata della stazione, le due donne sono sommerse dalla folla che cammina su di loro facendo finta di non vederle. Chiusa in una cella tappezzata di specchi dal pavimento al soffitto, "Lei" vi sprofonda, mentre il vetro si spezza poco a poco, scricchiolando atrocemente.
Amaro viaggio al termine della solitudine, "Bildnis einer Trinkerin" è il film di una fotografa visionaria (ricordo il suo "Freak Orlando", vera e propria leggenda tra i cinefili oltranzisti) che non ha paura di sfiorare continuamente il kitsch, provocando in qualche spettatore/critico reazioni violentemente negative (che belli i film non carini e che dividono...). "Una Berlino notturna, accesa da una luminosità diffusa e spettrale, una Berlino che vive ormai solo di sussulti, luogo della ripetizione e dei rifiuti, regno dell'anonimato e della plastica, offre complicità e scenografie a uno sregolato e insensato viaggio nel bere" (Grignaffini). Ma, nota Montebello, "quello che avrebbe potuto essere la descrizione di un abbrutimento, è di fatto un inno alla volontà, a una volontà assolutamente negativa. E' un suicidio, che ha questo di impressionante, che è lento e che la certezza della disperazione bussa a ogni sequenza, sotto le forme più diverse: uno sguardo assente sul nulla, degli abiti deliranti per vestire il vuoto, delle parole disabitate".
(post fatto col contributo di una recensione di Robert Fischer)
di Ulrike Ottinger (1979 RFT 108')
con Tabea Blumenschein, Lutze, Magdalena Montezuma, Nina Hagen, Kurt Raab, Volker Spengler
"Lei", una signora dell'alta borghesia, bella, colta ed elegante, vola con un biglietto di sola andata a Berlino, dove vuole abbandonarsi interamente - fino a morirne - alla sua unica e grande passione: bere. Qui incontra un'altra bevitrice, appartenente ad un ambiente sociale opposto al suo. Insieme girano la città, da un bar all'altro, passando accanto ai monumenti e ai luoghi turistici, ma anche nei punti d'incontro autentici (degli autisti di taxi, per esempio, o degli artisti), e alla fine approdano al punto di ritrovo dei bevitori senza fissa dimora, lo zoo della stazione. All'alba, allo stremo delle forze, abbandonate su una scalinata della stazione, le due donne sono sommerse dalla folla che cammina su di loro facendo finta di non vederle. Chiusa in una cella tappezzata di specchi dal pavimento al soffitto, "Lei" vi sprofonda, mentre il vetro si spezza poco a poco, scricchiolando atrocemente.
Amaro viaggio al termine della solitudine, "Bildnis einer Trinkerin" è il film di una fotografa visionaria (ricordo il suo "Freak Orlando", vera e propria leggenda tra i cinefili oltranzisti) che non ha paura di sfiorare continuamente il kitsch, provocando in qualche spettatore/critico reazioni violentemente negative (che belli i film non carini e che dividono...). "Una Berlino notturna, accesa da una luminosità diffusa e spettrale, una Berlino che vive ormai solo di sussulti, luogo della ripetizione e dei rifiuti, regno dell'anonimato e della plastica, offre complicità e scenografie a uno sregolato e insensato viaggio nel bere" (Grignaffini). Ma, nota Montebello, "quello che avrebbe potuto essere la descrizione di un abbrutimento, è di fatto un inno alla volontà, a una volontà assolutamente negativa. E' un suicidio, che ha questo di impressionante, che è lento e che la certezza della disperazione bussa a ogni sequenza, sotto le forme più diverse: uno sguardo assente sul nulla, degli abiti deliranti per vestire il vuoto, delle parole disabitate".
(post fatto col contributo di una recensione di Robert Fischer)
14/05/08
Albert, perchè?
Albert, perchè? Albert - warum?
di Josef Rödl (1978 RFT 105')
con Fritz Binner, Michael Eichenseer, Elfriede Bleisteiner, Georg Schiessl
Saggio di diploma, girato dal regista per la scuola di cinema di Monaco, narra di Albert, figlio di un contadino benestante, ritratto al momento della dimissione da una clinica psichiatrica. Il padre, che durante il suo lungo ricovero ha affidato la fattoria ad un cugino di Albert di nome Hans, va ad accoglierlo alla stazione. Albert non riesce ad adattarsi al nuovo ambiente e si ritira in una vecchia casa diroccata situata accanto alla nuova fattoria. Solo quando Hans è costretto ad andare in ospedale, Albert ha la possibilità di dimostrare che sa perfettamente destreggiarsi nel lavoro dei campi. Dopo il ritorno di Hans però, Albert viene nuovamente rifiutato dagli abitanti del paese che lo considerano debole di mente , perchè balbetta ed è stato in "manicomio". Ovunque, nella locanda, in discoteca e per strada, Albert viene messo alla berlina, schernito e offeso. I suoi timidi tentativi di approccio con le donne del paese vengono brutalmente stroncati. Alcool, campagna e animali rappresentano la sua unica consolazione. Albert tenta disperatamente di difendersi compiendo gesti che esprimono il suo rifiuto ma che al tempo stesso sono purtroppo quelli che la gente si aspetta da un imbecille. Uccide animali, ruba conigli e dà fuoco ad una baracca. Man mano che il tempo passa i suoi sfoghi diventano sempre più eccentrici e talora pericolosi: fa il bagno a un animale e arriva a ferire un ragazzo. Gli abitanti del paese sono sempre più insofferenti alle sue stranezze e parlano fra di loro della possibilità di internarlo di nuovo. Venuto a conoscenza delle loro intenzioni, Albert si impicca al campanile di una chiesa.
Premiato al festival di Berlino nel 1979 e poi disperso nei mille enigmatici rivoli della distribuzione, fu all'epoca un caso ed una rivelazione, anche perchè interpretato e dedicato a Fritz Binner, autentico disadattato, che riesce con la sua sofferta performance a far recepire allo spettatore la sua figura come assolutamente autentica. Albert è un "diverso" all'interno del villaggio basso-bavarese in cui vive, una comunità chiusa, inflessibile, irrigidita nelle sue norme, che emargina chi non accetta di adeguarsi ad essa. Nell'impari lotta Albert si rivela una persona straordinariamente forte e sensibile che rifiuta, a ragion veduta, di piegarsi alle regole dei suoi concittadini. Solo la frustrata ricerca d'amore, di sicurezza o di qualcosa che gli assomigli, e non certo un presunto pentimento o un senso di colpa, lo spinge a togliersi la vita. Il fatto che si appenda alla fune della campana conferisce al suo gesto un significato di orgogliosa e dignitosa accusa. Fritz Binner, con la sua imponente corporatura e il suo viso ostinato e soave, dà ad Albert una presenza fisica che lo spettatore percepisce come assolutamente veritiera. Al realismo nell'interpretazione dei personaggi e del loro ambiente, Rödl contrappone, per una scelta ben precisa, la poesia formale. La cinepresa riprende in bianco e nero immagini di grande forza e di suggestiva bellezza, e proprio esse, accompagnate talora da un sottofondo di musica classica, conferiscono ad Albert, apparentemente senza aiuto, una sorta di arcaica dignità e consapevole orgoglio. Soprattutto in questi momenti "Albert - warum?" ricorda, nel tema e nell'ambiente, un'opera affine di Bresson, "Mouchette".
Scrive Spagnoletti: "L'opera sorprendentemente fresca si situa in una felice costellazione tra documento e fiction, tra realtà e memoria, in una zona già al di là della programmaticità del cosiddetto Heimatfilm critico fine anni Sessanta, il cui più noto prodotto fu Scene di Caccia in Bassa Baviera di Peter Fleischmann. Girato nel villaggio natale dell'autore, il film di Rödl rappresenta uno spaccato assai vivido della triste vita di provincia narrata attraverso la storia vera di Fritz Binner, considerato lo "scemo del villaggio", e perciò escluso e discriminato dalla piccola comunità. I parallelismi tra la realtà e la fiction hanno assunto caratteri agghiaccianti: Binner è morto subito dopo la fine delle riprese per abuso di alcool. E' un'ulteriore e tragica conferma della tesi che il film riesce molto bene a illustrare con tristi immagini in bianco e nero: l'incomprensione può essere altrettanto letale dell'omicidio."
Il film fu dedicato a "Fritz Binner e a tutti coloro che non hanno la possibilità di difendersi".
Opera di un'attualità stringente, che probabilmente non avremo mai la possibilità di vedere.
(post fatto col contributo di una recensione di Joe Hembus)
di Josef Rödl (1978 RFT 105')
con Fritz Binner, Michael Eichenseer, Elfriede Bleisteiner, Georg Schiessl
Saggio di diploma, girato dal regista per la scuola di cinema di Monaco, narra di Albert, figlio di un contadino benestante, ritratto al momento della dimissione da una clinica psichiatrica. Il padre, che durante il suo lungo ricovero ha affidato la fattoria ad un cugino di Albert di nome Hans, va ad accoglierlo alla stazione. Albert non riesce ad adattarsi al nuovo ambiente e si ritira in una vecchia casa diroccata situata accanto alla nuova fattoria. Solo quando Hans è costretto ad andare in ospedale, Albert ha la possibilità di dimostrare che sa perfettamente destreggiarsi nel lavoro dei campi. Dopo il ritorno di Hans però, Albert viene nuovamente rifiutato dagli abitanti del paese che lo considerano debole di mente , perchè balbetta ed è stato in "manicomio". Ovunque, nella locanda, in discoteca e per strada, Albert viene messo alla berlina, schernito e offeso. I suoi timidi tentativi di approccio con le donne del paese vengono brutalmente stroncati. Alcool, campagna e animali rappresentano la sua unica consolazione. Albert tenta disperatamente di difendersi compiendo gesti che esprimono il suo rifiuto ma che al tempo stesso sono purtroppo quelli che la gente si aspetta da un imbecille. Uccide animali, ruba conigli e dà fuoco ad una baracca. Man mano che il tempo passa i suoi sfoghi diventano sempre più eccentrici e talora pericolosi: fa il bagno a un animale e arriva a ferire un ragazzo. Gli abitanti del paese sono sempre più insofferenti alle sue stranezze e parlano fra di loro della possibilità di internarlo di nuovo. Venuto a conoscenza delle loro intenzioni, Albert si impicca al campanile di una chiesa.
Premiato al festival di Berlino nel 1979 e poi disperso nei mille enigmatici rivoli della distribuzione, fu all'epoca un caso ed una rivelazione, anche perchè interpretato e dedicato a Fritz Binner, autentico disadattato, che riesce con la sua sofferta performance a far recepire allo spettatore la sua figura come assolutamente autentica. Albert è un "diverso" all'interno del villaggio basso-bavarese in cui vive, una comunità chiusa, inflessibile, irrigidita nelle sue norme, che emargina chi non accetta di adeguarsi ad essa. Nell'impari lotta Albert si rivela una persona straordinariamente forte e sensibile che rifiuta, a ragion veduta, di piegarsi alle regole dei suoi concittadini. Solo la frustrata ricerca d'amore, di sicurezza o di qualcosa che gli assomigli, e non certo un presunto pentimento o un senso di colpa, lo spinge a togliersi la vita. Il fatto che si appenda alla fune della campana conferisce al suo gesto un significato di orgogliosa e dignitosa accusa. Fritz Binner, con la sua imponente corporatura e il suo viso ostinato e soave, dà ad Albert una presenza fisica che lo spettatore percepisce come assolutamente veritiera. Al realismo nell'interpretazione dei personaggi e del loro ambiente, Rödl contrappone, per una scelta ben precisa, la poesia formale. La cinepresa riprende in bianco e nero immagini di grande forza e di suggestiva bellezza, e proprio esse, accompagnate talora da un sottofondo di musica classica, conferiscono ad Albert, apparentemente senza aiuto, una sorta di arcaica dignità e consapevole orgoglio. Soprattutto in questi momenti "Albert - warum?" ricorda, nel tema e nell'ambiente, un'opera affine di Bresson, "Mouchette".
Scrive Spagnoletti: "L'opera sorprendentemente fresca si situa in una felice costellazione tra documento e fiction, tra realtà e memoria, in una zona già al di là della programmaticità del cosiddetto Heimatfilm critico fine anni Sessanta, il cui più noto prodotto fu Scene di Caccia in Bassa Baviera di Peter Fleischmann. Girato nel villaggio natale dell'autore, il film di Rödl rappresenta uno spaccato assai vivido della triste vita di provincia narrata attraverso la storia vera di Fritz Binner, considerato lo "scemo del villaggio", e perciò escluso e discriminato dalla piccola comunità. I parallelismi tra la realtà e la fiction hanno assunto caratteri agghiaccianti: Binner è morto subito dopo la fine delle riprese per abuso di alcool. E' un'ulteriore e tragica conferma della tesi che il film riesce molto bene a illustrare con tristi immagini in bianco e nero: l'incomprensione può essere altrettanto letale dell'omicidio."
Il film fu dedicato a "Fritz Binner e a tutti coloro che non hanno la possibilità di difendersi".
Opera di un'attualità stringente, che probabilmente non avremo mai la possibilità di vedere.
(post fatto col contributo di una recensione di Joe Hembus)
12/05/08
La Montagna Sacra
La Montagna Sacra - The Holy Mountain
di Alejandro Jodorowsky (1973 MEX/USA 114')
con Alejandro Jodorowsky, Horacio Salinas, Zamira Saunders
Film di culto che, all'epoca d'uscita, ebbe un impressionante successo all'interno degli ambienti della controcultura degli anni Settanta. Magica opera di uno dei più grandi artisti dei nostri tempi: l'alchimista/poeta Jodorowsky che, del film, cura regia, scenografie, musica, soggetto, sceneggiatura, costumi ed interpreta la parte della guida spirituale. Un viaggio alla ricerca del segreto dell'immortalità, intriso di straziante poesia, che viene a configurarsi simultaneamente come avventura iniziatica ed esperienza lisergica. Liberamente ispirato all'opera di San Giovanni della Croce (Subida al monte Carmelo) e al romanzo "Il monte analogo" di René Daumal, ma ricchissimo di riferimenti cinematografici (Buñuel, Fellini, Cocteau, Russell...), pittorici (Dalì, Goya, Bosch...) culturali (il surrealismo, Freud, le Sacre Scritture, la Divina Commedia, il fumetto...) e religiosi. Impossibile riassumerne la trama in poche righe, in quanto le linee tematiche e le sollecitazioni visive all'interno dell'opera sono innumerevoli, tanto che si potrebbe pensare che in soli 10 minuti di questo film ci siano le idee da cui partire per sviluppare altri 5-6 films!
Il regista, per prepararsi alla pellicola, seguì per un anno l'addestramento alla disciplina messa a punto dallo sciamano Oscar Ichazo, una rutilante amalgama di Zen, Sufismo, esercizi Yoga combinati con le teorie derivate dall'Alchimia, dalla Cabala, dai Ching e dai Tarocchi (attualmente il regista è un brillante psicoterapeuta che utilizza le illuminazioni derivate dai tarocchi per applicare la sua peculiare tecnica curativa denominata Psicomagia)e associati agli insegnamenti provenienti dalle dottrine di Gurdjieff, dall'esoterismo e dal misticismo e nel film tutte queste influenze divinamente confluiscono.
Il cinema visto come arte intimamente legata all'esistenza e alla spiritualità umana, che ha la capacità (nelle intenzioni dell'autore) di affrontare i drammi del nostro mondo interiore per portare ad una trasformazione in primis dell'autore e degli attori, unica via possibile per arrivare successivamente ad una crescita spirituale degli stessi spettatori ("per mezzo dei simboli, degli archetipi, io mi rivolgo all'inconscio collettivo degli spettatori") e ad un cambiamento tangibile del sistema. La consapevolezza che "l'immortalità non è potenza, ma saggezza, carità, conoscenza, da ricercare dentro e non fuori noi stessi" (Porro 1974).
Un cinema, quindi, come atto terapeutico che può curare ed aiutare ad abbandonare il proprio ego egoistico (nel film metaforizzato da un freak senza braccia), ma anche come implacabile strumento di denuncia contro ogni ingiustizia e mercificazione (anche le più intoccabili), attraverso la creazione di una visionaria e beffarda allegoria sulla degradazione della società moderna in mano ad un disumano potere consumistico-politico-militare-religioso (all'epoca particolarmente e terribilmente evidente in America Latina).
Innumerevoli scene memorabili e sorprendenti tra cui ricordo: una rievocazione del genocidio degli aztechi recitata da iguana travestite da indios con rospi nella parte dei colonizzatori spagnoli, il risveglio del protagonista in un enorme osceno deposito di Cristi di cartapesta fatti a sua immagine, la mirabolante sequenza all'interno del Tempio dell'Alchimista atta ad introdurre il rituale alchemico della trasmutazione degli escrementi in oro, la mostra di arte contemporanea con le sculture interattive che intrecciano corpi umani e forme astratte, le case del futuro create dal potente architetto rappresentate sarcasticamente da abitacoli a forma di bara, la pungente critica agli pseudo-illuminati presenti nel bar del Pantheon ai piedi della Montagna Sacra in cui sono evidenti i riferimenti a Ginsberg e a Leary, l'impressionante materializzazione delle paure e delle angosce dei protagonisti visualizzata dalle "Visioni dei Morti"...
Un'opera ambiziosa e potente, conscia di sé stessa e dell'impossibilità del raggiungimento totale dell'obiettivo prefissatosi (quello di catturare e concentrare il segreto spirituale del cosmo attraverso la rinuncia all'io individuale da parte dei protagonisti per diventare parte di un essere collettivo) e per questo condita di humour e autoironia, con il suo autore costantemente in bilico tra la figura del profeta e quella del buffone.
Il criticatissimo finale mostra l'illusorietà della speculazione sui massimi sistemi, è il nostro microcosmo quello su cui possiamo fare il nostro piccolo miracolo: il Cristo/Ladrone poco prima di arrivare in cima alla Montagna si stacca dal gruppo, esce dalla finzione, per congiungersi alla donna prostituta che con tanto coraggio e umiltà lo ha seguito nell'impervio viaggio, sostenuta dall'amore e accompagnata da un'enigmatica scimmia...lui, illuminato dal percorso compiuto e rinforzato dall'amore, è ora pronto a ributtarsi nella vita terrena quotidiana per diventare il nuovo Maestro e provare a cambiare il mondo.
Consiglio la visione del film sul DVD recentemente editato dalla RaroVideo in un cofanetto contenente anche gli altri imperdibili film del regista (e un bel documentario "La costellazione Jodorowsky"), forte di immagini che rendono giustizia all'impatto visivo dell'opera, spettacolarmente irripetibile. DVD arricchito, tra l'altro, da una traccia del film commentata dallo stesso Jodorowsky, che dimostra come quello che ad alcuni appare come folle caos psico-visivo, nasconde invece un ordine cristallino. Dagli extra scopro che nelle intenzioni del regista il film avrebbe dovuto concludersi in un ristorante, metafora del Paradiso, in cui si assisteva ad un parto reale, ad una meravigliosa nascita di un essere umano (la gestante all'ultimo istante revocò però la sua disponibilità), atto definitivo per oltrepassare il confine dell'illusoria rappresentazione in celluloide. Da tal DVD manca però (ma è inclusa negli extra) la scena in cui davanti alla televisione il figlio adolescente del ricco Klen paga una piccola prostituta, che giace nuda di fianco a lui, sequenza che molto mi colpì e sconvolse, all'epoca in cui vidi la versione della pellicola contenuta nella rara videocassetta GVR e che, in un certo senso, anticipa l'attuale totale perdita dei valori in nome del denaro, virus infettivo attivo fin dalla più tenera infanzia.
Spesso una critica rivolta al film riguarda la sua violenza, ma bisogna attentamente distinguere tra violenza creatrice e violenza distruttrice e va sottolineato come il percorso verso la conoscenza non può non essere lastricato da dolorose esperienze traumatiche e come la stessa realtà quotidiana sia spesso fatta di crudeltà e violenza.
A tal proposito riporto le parole di Jodorowsky tratte da un bel libro di Massimo Monteleone "La Talpa e la Fenice":
"Per me la violenza è la vita stessa. Quando nasce una galassia è una grande violenza, il sole è una grande violenza, la vita è una grande violenza. Io non parlo della violenza negativa, della guerra o cose del genere, parlo della violenza nell'arte, parlo di poesia. Mi piace ciò che è poetico e ciò che è violento, sono le due facce della stessa medaglia. Non concepisco un'arte senza violenza. Quando una persona mi dice che persegue un'arte poetica e mi presenta un film sdolcinato, io penso che è un imbecille. Poiché un cinema di poesia è un cinema poetico-violento. Nel surrealismo Bréton ha detto che la poesia o sarà esplosiva o non sarà affatto. Credo a questo. Rilke disse che tutti gli angeli sono terribili. Terribili o angelici è la stessa cosa. Non posso fare dei film senza azioni molto forti. Intendo creare un'immagine, anche un secondo o due, che tutto il pubblico non possa più dimenticare. Voglio fare delle immagini una droga allucinogena: tu guardi l'immagine e deliri. Questo è ciò che mi interessa."
di Alejandro Jodorowsky (1973 MEX/USA 114')
con Alejandro Jodorowsky, Horacio Salinas, Zamira Saunders
Film di culto che, all'epoca d'uscita, ebbe un impressionante successo all'interno degli ambienti della controcultura degli anni Settanta. Magica opera di uno dei più grandi artisti dei nostri tempi: l'alchimista/poeta Jodorowsky che, del film, cura regia, scenografie, musica, soggetto, sceneggiatura, costumi ed interpreta la parte della guida spirituale. Un viaggio alla ricerca del segreto dell'immortalità, intriso di straziante poesia, che viene a configurarsi simultaneamente come avventura iniziatica ed esperienza lisergica. Liberamente ispirato all'opera di San Giovanni della Croce (Subida al monte Carmelo) e al romanzo "Il monte analogo" di René Daumal, ma ricchissimo di riferimenti cinematografici (Buñuel, Fellini, Cocteau, Russell...), pittorici (Dalì, Goya, Bosch...) culturali (il surrealismo, Freud, le Sacre Scritture, la Divina Commedia, il fumetto...) e religiosi. Impossibile riassumerne la trama in poche righe, in quanto le linee tematiche e le sollecitazioni visive all'interno dell'opera sono innumerevoli, tanto che si potrebbe pensare che in soli 10 minuti di questo film ci siano le idee da cui partire per sviluppare altri 5-6 films!
Il regista, per prepararsi alla pellicola, seguì per un anno l'addestramento alla disciplina messa a punto dallo sciamano Oscar Ichazo, una rutilante amalgama di Zen, Sufismo, esercizi Yoga combinati con le teorie derivate dall'Alchimia, dalla Cabala, dai Ching e dai Tarocchi (attualmente il regista è un brillante psicoterapeuta che utilizza le illuminazioni derivate dai tarocchi per applicare la sua peculiare tecnica curativa denominata Psicomagia)e associati agli insegnamenti provenienti dalle dottrine di Gurdjieff, dall'esoterismo e dal misticismo e nel film tutte queste influenze divinamente confluiscono.
Il cinema visto come arte intimamente legata all'esistenza e alla spiritualità umana, che ha la capacità (nelle intenzioni dell'autore) di affrontare i drammi del nostro mondo interiore per portare ad una trasformazione in primis dell'autore e degli attori, unica via possibile per arrivare successivamente ad una crescita spirituale degli stessi spettatori ("per mezzo dei simboli, degli archetipi, io mi rivolgo all'inconscio collettivo degli spettatori") e ad un cambiamento tangibile del sistema. La consapevolezza che "l'immortalità non è potenza, ma saggezza, carità, conoscenza, da ricercare dentro e non fuori noi stessi" (Porro 1974).
Un cinema, quindi, come atto terapeutico che può curare ed aiutare ad abbandonare il proprio ego egoistico (nel film metaforizzato da un freak senza braccia), ma anche come implacabile strumento di denuncia contro ogni ingiustizia e mercificazione (anche le più intoccabili), attraverso la creazione di una visionaria e beffarda allegoria sulla degradazione della società moderna in mano ad un disumano potere consumistico-politico-militare-religioso (all'epoca particolarmente e terribilmente evidente in America Latina).
Innumerevoli scene memorabili e sorprendenti tra cui ricordo: una rievocazione del genocidio degli aztechi recitata da iguana travestite da indios con rospi nella parte dei colonizzatori spagnoli, il risveglio del protagonista in un enorme osceno deposito di Cristi di cartapesta fatti a sua immagine, la mirabolante sequenza all'interno del Tempio dell'Alchimista atta ad introdurre il rituale alchemico della trasmutazione degli escrementi in oro, la mostra di arte contemporanea con le sculture interattive che intrecciano corpi umani e forme astratte, le case del futuro create dal potente architetto rappresentate sarcasticamente da abitacoli a forma di bara, la pungente critica agli pseudo-illuminati presenti nel bar del Pantheon ai piedi della Montagna Sacra in cui sono evidenti i riferimenti a Ginsberg e a Leary, l'impressionante materializzazione delle paure e delle angosce dei protagonisti visualizzata dalle "Visioni dei Morti"...
Un'opera ambiziosa e potente, conscia di sé stessa e dell'impossibilità del raggiungimento totale dell'obiettivo prefissatosi (quello di catturare e concentrare il segreto spirituale del cosmo attraverso la rinuncia all'io individuale da parte dei protagonisti per diventare parte di un essere collettivo) e per questo condita di humour e autoironia, con il suo autore costantemente in bilico tra la figura del profeta e quella del buffone.
Il criticatissimo finale mostra l'illusorietà della speculazione sui massimi sistemi, è il nostro microcosmo quello su cui possiamo fare il nostro piccolo miracolo: il Cristo/Ladrone poco prima di arrivare in cima alla Montagna si stacca dal gruppo, esce dalla finzione, per congiungersi alla donna prostituta che con tanto coraggio e umiltà lo ha seguito nell'impervio viaggio, sostenuta dall'amore e accompagnata da un'enigmatica scimmia...lui, illuminato dal percorso compiuto e rinforzato dall'amore, è ora pronto a ributtarsi nella vita terrena quotidiana per diventare il nuovo Maestro e provare a cambiare il mondo.
Consiglio la visione del film sul DVD recentemente editato dalla RaroVideo in un cofanetto contenente anche gli altri imperdibili film del regista (e un bel documentario "La costellazione Jodorowsky"), forte di immagini che rendono giustizia all'impatto visivo dell'opera, spettacolarmente irripetibile. DVD arricchito, tra l'altro, da una traccia del film commentata dallo stesso Jodorowsky, che dimostra come quello che ad alcuni appare come folle caos psico-visivo, nasconde invece un ordine cristallino. Dagli extra scopro che nelle intenzioni del regista il film avrebbe dovuto concludersi in un ristorante, metafora del Paradiso, in cui si assisteva ad un parto reale, ad una meravigliosa nascita di un essere umano (la gestante all'ultimo istante revocò però la sua disponibilità), atto definitivo per oltrepassare il confine dell'illusoria rappresentazione in celluloide. Da tal DVD manca però (ma è inclusa negli extra) la scena in cui davanti alla televisione il figlio adolescente del ricco Klen paga una piccola prostituta, che giace nuda di fianco a lui, sequenza che molto mi colpì e sconvolse, all'epoca in cui vidi la versione della pellicola contenuta nella rara videocassetta GVR e che, in un certo senso, anticipa l'attuale totale perdita dei valori in nome del denaro, virus infettivo attivo fin dalla più tenera infanzia.
Spesso una critica rivolta al film riguarda la sua violenza, ma bisogna attentamente distinguere tra violenza creatrice e violenza distruttrice e va sottolineato come il percorso verso la conoscenza non può non essere lastricato da dolorose esperienze traumatiche e come la stessa realtà quotidiana sia spesso fatta di crudeltà e violenza.
A tal proposito riporto le parole di Jodorowsky tratte da un bel libro di Massimo Monteleone "La Talpa e la Fenice":
"Per me la violenza è la vita stessa. Quando nasce una galassia è una grande violenza, il sole è una grande violenza, la vita è una grande violenza. Io non parlo della violenza negativa, della guerra o cose del genere, parlo della violenza nell'arte, parlo di poesia. Mi piace ciò che è poetico e ciò che è violento, sono le due facce della stessa medaglia. Non concepisco un'arte senza violenza. Quando una persona mi dice che persegue un'arte poetica e mi presenta un film sdolcinato, io penso che è un imbecille. Poiché un cinema di poesia è un cinema poetico-violento. Nel surrealismo Bréton ha detto che la poesia o sarà esplosiva o non sarà affatto. Credo a questo. Rilke disse che tutti gli angeli sono terribili. Terribili o angelici è la stessa cosa. Non posso fare dei film senza azioni molto forti. Intendo creare un'immagine, anche un secondo o due, che tutto il pubblico non possa più dimenticare. Voglio fare delle immagini una droga allucinogena: tu guardi l'immagine e deliri. Questo è ciò che mi interessa."
08/05/08
The Addiction
The Addiction
di Abel Ferrara (1995 USA 82')
con Lili Taylor, Annabella Sciorra, Christopher Walken
L'ontologia del male nella storia...devastante capolavoro al termine della notte, creato da Abel Ferrara e Nicholas St. John (dodici anni di lavoro sulla sceneggiatura...), incentrato sul vampirismo come metafora di un mondo, non dissimile da quello contemporaneo, che non ha praticamente più nessun'altra forma di relazione che non sia quella del divorarsi e dello sbranarsi vicendevolmente. Il ritratto di un'umanità allucinata dove gli esseri umani sono praticamente ridotti ad alberi sanguinanti in attesa del giudizio finale, fatidico momento in cui potranno impiccarsi ai propri stessi rami. Un'umanità barbara che si è dannatamente sforzata di vivere al di là del bene e del male (vi ricorda qualcosa?), dimenticandosi della storia e delle nefandezze del passato, forse perchè l'essere umano non è malvagio per via del male che fa, ma è portato a fare del male proprio perchè è intrinsecamente malvagio.
Non c'è possibilità di fuga perché il libero arbitrio porta inevitabilmente sulla strada del male: la vampira lascia la sua vittima libera di andarsene dicendogli "guarda il peccato in faccia e digli di andarsene con fermezza e convinzione", ma quasi nessuno se ne va (solo un predicatore per strada riesce a rifiutare).
A tal proposito l'addiction (la dipendenza) del titolo è parte integrante della natura dell'organismo umano, anche perchè sopperisce ad una duplice funzione, da una parte soddisfa lo stimolo continuo che scaturisce dalla propensione al male, dall'altra parte ottunde magicamente la percezione, in modo da rendere evanescente la coscienza e diminuire l'autoconsapevolezza del nostro stato. A tal punto l'esistenza diventa ricerca di sollievo dal vizio, ma beffardamente il vizio è l'unico sollievo che possiamo trovare. Le biblioteche non sono altro che cimiteri zeppi di pietre tombali e la filosofia si riduce a sterile propaganda in quanto tende continuamente a cambiare l'oggetto in base alle proprie esigenze contingenti...ciò che rimane fondamentale è il nostro impatto sugli altri ego...nel film estremizzato dalle scintillanti immagini dell'orgia cannibalica in occasione della festa di laurea. Il cinema di Ferrara e St. John è perennemente e meravigliosamente incentrato sul rapporto tra uomo e fede, sulla correlazione tra vizio e riscatto, sul peccato e la possibilità di redenzione e questo film non fa eccezione.
Ma qui la fatalità dell'autodistruzione che emerge è quasi soffocante e il vampirismo non è un trastullo fine a sé stesso, anzi è proprio l'allegoria perfetta per il perverso meccanismo fondante della nostra società: chi morde si conficca nella carne dell'altro trascendendo la carne stessa, chi viene morso desiste ad una violenza soverchiante.
Captiamo contemporaneamente l'aggressività e la lassità tipiche delle forme ancestrali di sessualità, insite nel caleidoscopio dell'erotismo, fin dentro la morte. Il film, estremo e morale, non fa sconti. Proprio per questo se non si percepisce la corrispondenza tra il lampo dell'orgasmo e quello della dissoluzione, si corre il rischio di non riconoscere il nucleo pulsante, sensuale e illuminante da cui origina la pellicola.
Girato a New York in soli venti giorni, con una fotografia in un bianco e nero livido e contrastato, è un prodigio di essenzialità, memorabilmente interpretato da due mostri sacri come Lili Taylor e Christopher Walken/Peina e intensificato dalle musiche di Joe Delia.
"I'm the resurrection"
di Abel Ferrara (1995 USA 82')
con Lili Taylor, Annabella Sciorra, Christopher Walken
L'ontologia del male nella storia...devastante capolavoro al termine della notte, creato da Abel Ferrara e Nicholas St. John (dodici anni di lavoro sulla sceneggiatura...), incentrato sul vampirismo come metafora di un mondo, non dissimile da quello contemporaneo, che non ha praticamente più nessun'altra forma di relazione che non sia quella del divorarsi e dello sbranarsi vicendevolmente. Il ritratto di un'umanità allucinata dove gli esseri umani sono praticamente ridotti ad alberi sanguinanti in attesa del giudizio finale, fatidico momento in cui potranno impiccarsi ai propri stessi rami. Un'umanità barbara che si è dannatamente sforzata di vivere al di là del bene e del male (vi ricorda qualcosa?), dimenticandosi della storia e delle nefandezze del passato, forse perchè l'essere umano non è malvagio per via del male che fa, ma è portato a fare del male proprio perchè è intrinsecamente malvagio.
Non c'è possibilità di fuga perché il libero arbitrio porta inevitabilmente sulla strada del male: la vampira lascia la sua vittima libera di andarsene dicendogli "guarda il peccato in faccia e digli di andarsene con fermezza e convinzione", ma quasi nessuno se ne va (solo un predicatore per strada riesce a rifiutare).
A tal proposito l'addiction (la dipendenza) del titolo è parte integrante della natura dell'organismo umano, anche perchè sopperisce ad una duplice funzione, da una parte soddisfa lo stimolo continuo che scaturisce dalla propensione al male, dall'altra parte ottunde magicamente la percezione, in modo da rendere evanescente la coscienza e diminuire l'autoconsapevolezza del nostro stato. A tal punto l'esistenza diventa ricerca di sollievo dal vizio, ma beffardamente il vizio è l'unico sollievo che possiamo trovare. Le biblioteche non sono altro che cimiteri zeppi di pietre tombali e la filosofia si riduce a sterile propaganda in quanto tende continuamente a cambiare l'oggetto in base alle proprie esigenze contingenti...ciò che rimane fondamentale è il nostro impatto sugli altri ego...nel film estremizzato dalle scintillanti immagini dell'orgia cannibalica in occasione della festa di laurea. Il cinema di Ferrara e St. John è perennemente e meravigliosamente incentrato sul rapporto tra uomo e fede, sulla correlazione tra vizio e riscatto, sul peccato e la possibilità di redenzione e questo film non fa eccezione.
Ma qui la fatalità dell'autodistruzione che emerge è quasi soffocante e il vampirismo non è un trastullo fine a sé stesso, anzi è proprio l'allegoria perfetta per il perverso meccanismo fondante della nostra società: chi morde si conficca nella carne dell'altro trascendendo la carne stessa, chi viene morso desiste ad una violenza soverchiante.
Captiamo contemporaneamente l'aggressività e la lassità tipiche delle forme ancestrali di sessualità, insite nel caleidoscopio dell'erotismo, fin dentro la morte. Il film, estremo e morale, non fa sconti. Proprio per questo se non si percepisce la corrispondenza tra il lampo dell'orgasmo e quello della dissoluzione, si corre il rischio di non riconoscere il nucleo pulsante, sensuale e illuminante da cui origina la pellicola.
Girato a New York in soli venti giorni, con una fotografia in un bianco e nero livido e contrastato, è un prodigio di essenzialità, memorabilmente interpretato da due mostri sacri come Lili Taylor e Christopher Walken/Peina e intensificato dalle musiche di Joe Delia.
"I'm the resurrection"
05/05/08
Francis Bacon a Milano
Francis Bacon in mostra a Milano - Palazzo Reale - fino al 29/06/08
"Ciò che vuole l'uomo moderno è la smorfia felina senza gatto, cioè la sostanza senza la tradizionale elaborazione"
Tanti sono i motivi per non perdere la mostra di Milano: l'opera di Francis Bacon è felicemente refrattaria a qualsiasi interpretazione simbolica e questo a differenza della maggioranza dell'arte contemporanea in cui le elucubrazioni critiche spesso acquisiscono un'importanza maggiore dell'opera in sé.
I suoi quadri non significano nulla, guardandoli si avverte la sensazione di stare assistendo ad un'esperienza vissuta, come presenziare ad un incidente stradale o subire un intervento chirurgico in anestesia locale, a tal proposito Bacon confessa "si tratta di un tentativo per far sì che la figurazione raggiunga il sistema nervoso nel modo più violento e straziante possibile. La vera pittura è una misteriosa e ininterrotta lotta con il caso, misteriosa perchè la vera essenza può agire direttamente sul sistema nervoso...penso che oggi dipingere sia pura intuizione e fortuna e significhi sfruttare ciò che si offre al tuo spirito, quando esso si trovi in condizione particolarmente ricettiva."
La sua arte non appartiene ad un movimento artistico particolare e fa sorridere a tal proposito ricordare che l'Esposizione Surrealista del 1936 respinse le sue opere; inoltre le sue tele, assolutamente peculiari, non si sono facilmente prestate all'imitazione.
L'obiettivo della sua pittura Bacon lo vede "come un tentativo di catturare l'apparenza con l'insieme di sensazioni che quell'apparenza concreta suscita in me. Si tratta veramente, per me, di essere capace di mettere una trappola per cogliere il fatto nel suo punto più vivido. Ciò che a mio avviso l'uomo vuole di generazione in generazione è reinventare i modi nei quali l'apparenza può essere prodotta e riportata sul suo sistema nervoso più violentemente, più immediatamente di quanto sia stato fatto in precedenza, perchè ciò è già diventato una soluzione assorbita. Così ogni generazione deve reinventare l'apparenza...quello che voglio fare, è deformare la cosa e scostarla dall'apparenza, ma in questa deformazione ricondurla a una registrazione dell'apparenza...va però precisato che se una cosa viene trasmessa in modo diretto, la gente la sente come terrificante...ha la tendenza a offendersi dei fatti, di ciò che si ha l'abitudine di chiamare verità."
Nelle sue opere, in cui si percepisce una tensione costante che dà l'impressione di essere derivata da un combattimento dall'esito incerto, per quanto grande possa diventare la deformazione dei volti e il ricorso alla convulsione della carne, i personaggi raffigurati risultano sempre ben riconoscibili e individuabili, immortalati nella loro essenza profonda.
Il suo sofferto processo creativo, ci dice lui stesso, "sembra venire direttamente da ciò che abbiamo deciso di chiamare l'inconscio, con la schiuma dell'inconscio avvolta intorno, il che fa la sua freschezza."
Un'arte necessaria quindi, capace di rendersi partecipe della commovente vulnerabilità della condizione umana, colta nei suoi attimi più laceranti, con l'uomo praticamente "intrappolato nell'acuta consapevolezza della sua mortalità".
Le fonti d'ispirazione della pittura di Bacon sono state le più disparate, dai poeti greci ai grandi tragediografi (soprattutto Eschilo), da Shakespeare a Balzac, da Proust a Racine e Baudelaire, dal dipinto "Innocenzo X" di Velazquez al quadro "La strage degli innocenti" di Poussin. Ma altre influenze fondamentali della sua opera sono state le sconvolgenti creazioni in celluloide di Sergej Ejzenstejn e Luis Buñuel, dai cui fotogrammi hanno preso corpo illuminanti spunti. Altre suggestioni sono nate all'artista osservando le fotografie di Edward Muybridge, quelle di K.C. Clark, reportages di guerra o esaminando radiografie e immagini mediche di ambito stomatologico. La bocca, infatti, è sempre stata la parte del corpo umano che più di tutte ha attirato l'attenzione di Bacon e l'artista ha sempre ritenuto che la bocca, molto più degli occhi, fosse il vero e proprio specchio dell'anima umana.
Bacon afferma "voglio un'immagine molto ordinata, ma voglio che essa si produca fatalmente...il mio ideale sarebbe prendere una manciata di pittura e lanciarla sulla tela con la speranza che il ritratto vi si realizzasse" e per far questo infatti spesso ricorre alla manipolazione fisica, con le sue stesse mani o con altri oggetti non convenzionali, della materia pittorica.
Proprio per questo viscerale coinvolgimento, il tipo di rapporto che viene ad instaurarsi tra il pubblico e la sua arte può essere paragonato a quello che prova il voyeur, cliente occasionale di un peep show, "messo di fronte alla figura nella sua intimità più profonda".
"Bacon colpisce l'occhio come involucro con un segno in rilievo, in maniera tale che lo sguardo passi, in anticipo, al di là dell'accecamento che lo aspetta"
(Gilles Deleuze)
A completamento delle parole di Bacon, leggetevi la sfolgorante analisi di Lenny Nero, anima di un blog incandescente e forse gemello: http://lennynero.wordpress.com/2008/04/27/deformografia-i-francis-bacon
(nel post citazioni da interviste a Francis Bacon)
"Ciò che vuole l'uomo moderno è la smorfia felina senza gatto, cioè la sostanza senza la tradizionale elaborazione"
Tanti sono i motivi per non perdere la mostra di Milano: l'opera di Francis Bacon è felicemente refrattaria a qualsiasi interpretazione simbolica e questo a differenza della maggioranza dell'arte contemporanea in cui le elucubrazioni critiche spesso acquisiscono un'importanza maggiore dell'opera in sé.
I suoi quadri non significano nulla, guardandoli si avverte la sensazione di stare assistendo ad un'esperienza vissuta, come presenziare ad un incidente stradale o subire un intervento chirurgico in anestesia locale, a tal proposito Bacon confessa "si tratta di un tentativo per far sì che la figurazione raggiunga il sistema nervoso nel modo più violento e straziante possibile. La vera pittura è una misteriosa e ininterrotta lotta con il caso, misteriosa perchè la vera essenza può agire direttamente sul sistema nervoso...penso che oggi dipingere sia pura intuizione e fortuna e significhi sfruttare ciò che si offre al tuo spirito, quando esso si trovi in condizione particolarmente ricettiva."
La sua arte non appartiene ad un movimento artistico particolare e fa sorridere a tal proposito ricordare che l'Esposizione Surrealista del 1936 respinse le sue opere; inoltre le sue tele, assolutamente peculiari, non si sono facilmente prestate all'imitazione.
L'obiettivo della sua pittura Bacon lo vede "come un tentativo di catturare l'apparenza con l'insieme di sensazioni che quell'apparenza concreta suscita in me. Si tratta veramente, per me, di essere capace di mettere una trappola per cogliere il fatto nel suo punto più vivido. Ciò che a mio avviso l'uomo vuole di generazione in generazione è reinventare i modi nei quali l'apparenza può essere prodotta e riportata sul suo sistema nervoso più violentemente, più immediatamente di quanto sia stato fatto in precedenza, perchè ciò è già diventato una soluzione assorbita. Così ogni generazione deve reinventare l'apparenza...quello che voglio fare, è deformare la cosa e scostarla dall'apparenza, ma in questa deformazione ricondurla a una registrazione dell'apparenza...va però precisato che se una cosa viene trasmessa in modo diretto, la gente la sente come terrificante...ha la tendenza a offendersi dei fatti, di ciò che si ha l'abitudine di chiamare verità."
Nelle sue opere, in cui si percepisce una tensione costante che dà l'impressione di essere derivata da un combattimento dall'esito incerto, per quanto grande possa diventare la deformazione dei volti e il ricorso alla convulsione della carne, i personaggi raffigurati risultano sempre ben riconoscibili e individuabili, immortalati nella loro essenza profonda.
Il suo sofferto processo creativo, ci dice lui stesso, "sembra venire direttamente da ciò che abbiamo deciso di chiamare l'inconscio, con la schiuma dell'inconscio avvolta intorno, il che fa la sua freschezza."
Un'arte necessaria quindi, capace di rendersi partecipe della commovente vulnerabilità della condizione umana, colta nei suoi attimi più laceranti, con l'uomo praticamente "intrappolato nell'acuta consapevolezza della sua mortalità".
Le fonti d'ispirazione della pittura di Bacon sono state le più disparate, dai poeti greci ai grandi tragediografi (soprattutto Eschilo), da Shakespeare a Balzac, da Proust a Racine e Baudelaire, dal dipinto "Innocenzo X" di Velazquez al quadro "La strage degli innocenti" di Poussin. Ma altre influenze fondamentali della sua opera sono state le sconvolgenti creazioni in celluloide di Sergej Ejzenstejn e Luis Buñuel, dai cui fotogrammi hanno preso corpo illuminanti spunti. Altre suggestioni sono nate all'artista osservando le fotografie di Edward Muybridge, quelle di K.C. Clark, reportages di guerra o esaminando radiografie e immagini mediche di ambito stomatologico. La bocca, infatti, è sempre stata la parte del corpo umano che più di tutte ha attirato l'attenzione di Bacon e l'artista ha sempre ritenuto che la bocca, molto più degli occhi, fosse il vero e proprio specchio dell'anima umana.
Bacon afferma "voglio un'immagine molto ordinata, ma voglio che essa si produca fatalmente...il mio ideale sarebbe prendere una manciata di pittura e lanciarla sulla tela con la speranza che il ritratto vi si realizzasse" e per far questo infatti spesso ricorre alla manipolazione fisica, con le sue stesse mani o con altri oggetti non convenzionali, della materia pittorica.
Proprio per questo viscerale coinvolgimento, il tipo di rapporto che viene ad instaurarsi tra il pubblico e la sua arte può essere paragonato a quello che prova il voyeur, cliente occasionale di un peep show, "messo di fronte alla figura nella sua intimità più profonda".
"Bacon colpisce l'occhio come involucro con un segno in rilievo, in maniera tale che lo sguardo passi, in anticipo, al di là dell'accecamento che lo aspetta"
(Gilles Deleuze)
A completamento delle parole di Bacon, leggetevi la sfolgorante analisi di Lenny Nero, anima di un blog incandescente e forse gemello: http://lennynero.wordpress.com/2008/04/27/deformografia-i-francis-bacon
(nel post citazioni da interviste a Francis Bacon)
04/05/08
Saga de Xam
Saga de Xam
Opera sovversiva, in forma di libro a fumetti erotico, editata dall'illuminato Eric Losfeld nel 1967 e attualmente ricercata con golosa bramosia dai collezionisti di tutto il mondo. Saga de Xam unisce l'affascinante arte grafica del disegnatore franco-vietnamita Nicolas Devil ai fulminanti testi del regista e scrittore francese Jean Rollin, autore di alcuni autentici capolavori del surrealismo in celluloide, quali "Fascination" e "Lèvres de sang", indimenticabili opere visionarie e barocche, colme di raffinate immagini pittoriche, sospese in atmosfere oniriche e fluttuanti in bizzarre dimensioni alienanti.
La storia ha inizio da Xam, pianeta all'interno di una bolla/universo ai confini di una dimensione parallela, in cui il tempo e lo spazio assumono un significato a sé stante. Un mondo, quello di Xam, abitato da pacifiche aliene di sesso femminile, che vivono in armonia, non conoscendo né paura né sofferenza. La loro tranquillità viene però improvvisamente turbata quando i Troggs, esseri maschi (altrettanto pacifici delle xamiane), chiedono di avere ospitalità a Xam, poichè il loro mondo sta per annientarsi nel nulla. Il consiglio delle scienziate di Xam, nel desiderio di difendersi da questa preoccupante intrusione, inizia a cercare soluzioni alternative, individuando proprio sul pianeta Terra la possibilità di costruire una sorta di barriera (chiamata raggio di pensiero collettivo) catalizzante, quindi impenetrabile e indistruttibile. Il suddetto consiglio decide di mandare in avanscoperta la saggia Saga per sondare la situazione terrestre. La giovane dalla pelle blu, dotata di straordinaria bellezza e di un animo cristallino, dovrà verificare approfonditamente tutti i luoghi terrestri, attraverso una cavalcata spazio-temporale comprendente tutte le epoche umane, dalla preistoria agli anni Sessanta. Il contatto con la malvagità degli esseri umani, vera e propria costante di tutte le epoche esperite dalla giovane, sarà per lei brutalmente scioccante. La sua avventura passerà attraverso varie esperienze apocalittiche (subirà un processo per stregoneria, vivrà sfrenate esperienze sessuali, fino a perdersi nel paradiso artificiale dato dal ricorso all'acido lisergico) tanto che la sua psiche ne uscirà irrimediabilmente rovinata, quasi come se la violenza umana fosse ormai un inarrestabile virus contagioso. Saga, ormai irrimediabilmente folle, tornerà nel suo pianeta originario, trasportando e diffondendo il contagioso bagaglio di implacabile violenza imparato sulla Terra. Splendida parabola che scoperchia l'ineluttabilità del male nel mondo, evidenziando parallelamente come possa esistere una realtà diversa.
Le psichedeliche tavole di Devil sono dotate di vita propria, immaginifiche e ricche di ammalianti particolari, in un caleidoscopio di situazioni che permettono all'autore di liberare la sua sfrenata fantasia grafica e di urlare il suo grido di protesta contro le terribili dinamiche intrinseche alla società umana.
All'epoca il critico di "Le Magazine Littérarie" entusiasta scrisse: "Saga è l'eroina il cui nome significa Storia, ma una Storia divinizzata e leggendaria come la Storia della collera di Achille che si chiama Iliade. Saga, storia ed eroina, salta di epoca in epoca: il regno del fanatismo religioso, i tempi dei faraoni, la preistoria, il futuro assoluto, per compiersi in un poema puro, descrittivo e sontuoso. Sono sicuro che Saga de Xam segna una data, una svolta nella storia della bande dessinée. Con Devil, la bande dessinée ha trovato il suo Omero, e con Saga de Xam la sua Iliade. il fantastico di Redon, la sontuosità di Velasquez, la grazia e il ritmo dei corpi di Picasso, l'orrore di Bosch e di Goya, ecco i padri poetici del disegno di Devil..."
Opera sovversiva, in forma di libro a fumetti erotico, editata dall'illuminato Eric Losfeld nel 1967 e attualmente ricercata con golosa bramosia dai collezionisti di tutto il mondo. Saga de Xam unisce l'affascinante arte grafica del disegnatore franco-vietnamita Nicolas Devil ai fulminanti testi del regista e scrittore francese Jean Rollin, autore di alcuni autentici capolavori del surrealismo in celluloide, quali "Fascination" e "Lèvres de sang", indimenticabili opere visionarie e barocche, colme di raffinate immagini pittoriche, sospese in atmosfere oniriche e fluttuanti in bizzarre dimensioni alienanti.
La storia ha inizio da Xam, pianeta all'interno di una bolla/universo ai confini di una dimensione parallela, in cui il tempo e lo spazio assumono un significato a sé stante. Un mondo, quello di Xam, abitato da pacifiche aliene di sesso femminile, che vivono in armonia, non conoscendo né paura né sofferenza. La loro tranquillità viene però improvvisamente turbata quando i Troggs, esseri maschi (altrettanto pacifici delle xamiane), chiedono di avere ospitalità a Xam, poichè il loro mondo sta per annientarsi nel nulla. Il consiglio delle scienziate di Xam, nel desiderio di difendersi da questa preoccupante intrusione, inizia a cercare soluzioni alternative, individuando proprio sul pianeta Terra la possibilità di costruire una sorta di barriera (chiamata raggio di pensiero collettivo) catalizzante, quindi impenetrabile e indistruttibile. Il suddetto consiglio decide di mandare in avanscoperta la saggia Saga per sondare la situazione terrestre. La giovane dalla pelle blu, dotata di straordinaria bellezza e di un animo cristallino, dovrà verificare approfonditamente tutti i luoghi terrestri, attraverso una cavalcata spazio-temporale comprendente tutte le epoche umane, dalla preistoria agli anni Sessanta. Il contatto con la malvagità degli esseri umani, vera e propria costante di tutte le epoche esperite dalla giovane, sarà per lei brutalmente scioccante. La sua avventura passerà attraverso varie esperienze apocalittiche (subirà un processo per stregoneria, vivrà sfrenate esperienze sessuali, fino a perdersi nel paradiso artificiale dato dal ricorso all'acido lisergico) tanto che la sua psiche ne uscirà irrimediabilmente rovinata, quasi come se la violenza umana fosse ormai un inarrestabile virus contagioso. Saga, ormai irrimediabilmente folle, tornerà nel suo pianeta originario, trasportando e diffondendo il contagioso bagaglio di implacabile violenza imparato sulla Terra. Splendida parabola che scoperchia l'ineluttabilità del male nel mondo, evidenziando parallelamente come possa esistere una realtà diversa.
Le psichedeliche tavole di Devil sono dotate di vita propria, immaginifiche e ricche di ammalianti particolari, in un caleidoscopio di situazioni che permettono all'autore di liberare la sua sfrenata fantasia grafica e di urlare il suo grido di protesta contro le terribili dinamiche intrinseche alla società umana.
All'epoca il critico di "Le Magazine Littérarie" entusiasta scrisse: "Saga è l'eroina il cui nome significa Storia, ma una Storia divinizzata e leggendaria come la Storia della collera di Achille che si chiama Iliade. Saga, storia ed eroina, salta di epoca in epoca: il regno del fanatismo religioso, i tempi dei faraoni, la preistoria, il futuro assoluto, per compiersi in un poema puro, descrittivo e sontuoso. Sono sicuro che Saga de Xam segna una data, una svolta nella storia della bande dessinée. Con Devil, la bande dessinée ha trovato il suo Omero, e con Saga de Xam la sua Iliade. il fantastico di Redon, la sontuosità di Velasquez, la grazia e il ritmo dei corpi di Picasso, l'orrore di Bosch e di Goya, ecco i padri poetici del disegno di Devil..."
02/05/08
Scimmie?
"Eccovi la vostra sorte, in questo spazio, se spazio può chiamarsi...Era un pozzo profondo in cui io discesi. C'era una quantità di scimmie, incatenate per la vita, che ghignavano le une contro le altre e facevano l'atto di abbrancarsi, ma erano trattenute dalle loro catene troppo corte. Tuttavia vidi che spesso crescevan di numero e allora le forti abbrancavano le deboli e, con un ghigno, le dilaniavano, divorando prima un membro e dopo un altro, finchè del corpo non rimaneva che un miserabile troncone. E questo, dopo aver ghignato e averlo baciato con una parvenza di tenerezza, lo divoravano pure."
(William Blake)
(William Blake)
01/05/08
Lee Hazlewood
Un tutto nebuloso giace davanti all'anima, la nostra sensibilità vi si smarrisce, i nostri sensi non bastano più e noi, ahimé, aneliamo a lasciarci andare con tutto il nostro essere per lasciarci colmare dalla voluttà di un unico, grande, splendido sentimento...Ahimé, e quando vi accorriamo, quando il "là" diventa "qui", tutto è come prima, ci ritroviamo nella nostra miseria di sempre, nella nostra limitatezza, e la nostra anima riprende a struggersi per quella promessa rinviata.
Per questo il vagabondo più inquieto alla fine sospira per la sua patria e trova nella sua capanna, accanto alla sua sposa, nella cerchia dei suoi figli, nello strapazzo per mantenerli, quella voluttà che ha cercato invano nella vastità del mondo. (Goethe)
The Nights
Lee Hazlewood
Per questo il vagabondo più inquieto alla fine sospira per la sua patria e trova nella sua capanna, accanto alla sua sposa, nella cerchia dei suoi figli, nello strapazzo per mantenerli, quella voluttà che ha cercato invano nella vastità del mondo. (Goethe)
The Nights
Lee Hazlewood
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