Cheers!
Sanitkasan
di Ondrej Svadlena (2007 Repubblica Ceca 7')
ehehehehehe....
31/12/08
Souvenir de chine (körner union)
Souvenir de chine
di körner union
"L'arte non dovrebbe mai cercare di rendersi popolare.
E' il pubblico che dovrebbe cercare di rendersi artistico.
C'è un enorme differenza."
(Oscar Wilde)
di körner union
"L'arte non dovrebbe mai cercare di rendersi popolare.
E' il pubblico che dovrebbe cercare di rendersi artistico.
C'è un enorme differenza."
(Oscar Wilde)
30/12/08
Sciany (Piotr Dumala)
Sciany
di Piotr Dumala (1988 POL 8')
I RAGNI
Nelle case dove muoiono i bambini
s'intrufolano dei tipi vecchissimi.
Si siedono nell'anticamera
coi bastoni tra le nere ginocchia
e ascoltano, scuotendo la testa.
Ogni volta che un bambino tossisce
le loro mani si stringono ai cuori
generando grandi ragni gialli.
E la tosse si strazia nell'angolo fra i mobili
e sollevandosi mollemente come pallida farfalla
va a sbattere contro l'opprimente soffitto.
Ai loro fuggevoli sorrisi
la tosse del bambino si arresta
e i grandi ragni gialli, tremando,
indugiano sulle impugnature di lucido bosso
dei bastoni, fra le ginocchia ossute.
Alla fine, quando il bambino è morto
tutti questi vecchi si levano e se ne vanno altrove...
(Boris Vian)
di Piotr Dumala (1988 POL 8')
I RAGNI
Nelle case dove muoiono i bambini
s'intrufolano dei tipi vecchissimi.
Si siedono nell'anticamera
coi bastoni tra le nere ginocchia
e ascoltano, scuotendo la testa.
Ogni volta che un bambino tossisce
le loro mani si stringono ai cuori
generando grandi ragni gialli.
E la tosse si strazia nell'angolo fra i mobili
e sollevandosi mollemente come pallida farfalla
va a sbattere contro l'opprimente soffitto.
Ai loro fuggevoli sorrisi
la tosse del bambino si arresta
e i grandi ragni gialli, tremando,
indugiano sulle impugnature di lucido bosso
dei bastoni, fra le ginocchia ossute.
Alla fine, quando il bambino è morto
tutti questi vecchi si levano e se ne vanno altrove...
(Boris Vian)
26/12/08
Gennaio Cinema 2009 al Clan Destino
Gennaio Cinema 2009 Scaglie
Domenica 4 Gennaio ore 21.30
Todo Modo
di Elio Petri (1976 ITA/FRA FRA 120')
Uno dei film maledetti del cinema italiano, ispirato ad un racconto di Leonardo Sciascia, volutamente mantenuto invisibile in tutti questi anni dal potere costituito. L’inquietante vicenda ha luogo in un albergo/eremo/prigione, nel quale capi politici, grandi industriali, banchieri e dirigenti d'azienda, oltre a tanti servi e leccapiedi, tutti appartenenti alle varie correnti democristiane, si ritrovano per gli annuali esercizi spirituali di tre giorni, al fine di espiare i reati di corruzione e altre che essi erano soliti praticare. Questa volta la riunione avviene in concomitanza con una misteriosa epidemia che miete numerose vittime in Italia.
Una pesantissima e simbolica denuncia verso la corruzione, l’affarismo distorto, il malcostume e il dilagare di interessi personali nella gestione della cosa pubblica da parte di chi comanda e dirige lo stato italiano. Tuttora un pugno nello stomaco dello spettatore, interpretato da un indimenticabile Gian Maria Volonté, calato nei panni del Presidente, oscura ed enigmatica figura che richiama nelle movenze, nei comportamenti e nel modo di parlare quella di Aldo Moro. Nel cast anche Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia (in un cameo da brividi) e Michel Piccoli. E’ il film che ha ispirato Sorrentino per la costruzione del suo “Il Divo”. Da vedere e rivedere, anche per capire meglio l’attualità.
Domenica 11 Gennaio ore 21.30
Flickering Lights
di Anders Thomas Jensen (2000 DAN/SVEZ 109')
Un gruppo di quattro piccoli delinquenti decide di tenersi il bottino di una rapina su commissione. Per sfuggire alla vendetta del committente, un violento boss chiamato Eskimo, scappano alla volta di Barcellona ma il motore dell'auto si fonde lungo una strada che attraversa il bosco. Uno di loro è ferito e, per poterlo curare, sono costretti a rifugiarsi nel rudere di un vecchio ristorante nel cuore del bosco stesso. Al fine di non destare sospetti, dapprima fingono di voler ristrutturare e riaprire il ristorante poi, progressivamente, il luogo e i loro strambi vicini li conquistano. I quattro amici decidono di restare ma Eskimo è già sulle loro tracce...
Il film è stato un enorme successo in patria ed è veramente incomprensibile la miopia dei nostri distributori che lo hanno completamente ignorato. Si tratta in effetti di un film delizioso. Una favola dai toni agrodolci che mescola violenza, humour e psicanalisi in un cocktail intelligente, pieno di trovate esilaranti e senza cedimenti fino alla fine. Gli attori, un cast di “all stars”, sono perfetti. La fotografia, premiata in patria, meravigliosa. La regia sicura, personale ma senza troppi fronzoli, con tempi equilibratissimi. La storia di gangster è in realtà un pretesto per raccontare l'amicizia che lega i protagonisti e l'evoluzione dei loro caratteri. Per farlo, Jensen, si serve di drammatici (ma al contempo spassosi) flashback nell'adolescenza di ognuno. Il legame tra il carattere esibito dall'adulto e il trauma subito in adolescenza è volutamente e grottescamente didascalico. Ed è proprio l'insolito equilibrio che si viene a creare tra i diversi generi (il dramma, la commedia, l'action, il grottesco) che dona a questo film una cifra stilistica assai accattivante e fa di questo regista una delle migliori new entry in ambito europeo di questi anni (da Asian World).
Domenica 18 Dicembre ore 21.30
The Damned - L’abisso
di Joseph Losey (1963 UK 96')
Simon Wells, un americano in viaggio in Inghilterra, convince Joan, una ladruncola che lo aveva assalito, ad abbandonare i teppisti ai quali si era unita. Inseguiti dal fratello di lei, i due sono costretti a fuggire a bordo di un motoscafo. Raggiunta una insenatura isolata, vicina ad una base militare, Simon e Joan si addentrano in una cavità e scoprono un misteroso ambiente sotterraneo che ospita un gruppo di enigmatici bambini. Gli adolescenti sono lì trattenuti in stato di prigionia dal professor Bernard che, d'accordo con le autorità inglesi, ne cura l'educazione ma ne impedisce qualsiasi contatto con l'esterno. Come ben presto Simon e Joan vengono a sapere, i bambini sono gli sfortunati figli di alcune coppie, rimaste vittime, tempo prima, di un esperimento atomico non riuscito. Guardati a vista da guardie coperte da tute protettive, i "figli della luce" (privi di sorriso e dalla pelle fredda) sono segnati dalle radiazioni, ma sopravvivono, per costituire - secondo il disegno dello scienziato - il nucleo della rinascita del genere umano all'indomani della probabile guerra nucleare che sterminerà ogni forma di vita. Simon e Joan tentano di liberare i ragazzi dal bunker, ma...Sulla base di un romanzo di H.L. Lawrence, Losey costruisce un film fortemente pessimistico, una storia senza speranze che ipotizza il potere impegnato in un freddo calcolo per la costruzione di un nuovo ordine sociale da istituire dopo le devastazioni di una guerra atomica, data come evento futuro inevitabile e non prevenibile (da fantafilm.net). Si tratta di uno splendido film, quasi esoterico, che richiama “Il villaggio dei dannati” di Rilla e anticipa di quasi dieci anni le scorribande dei boys di “Arancia Meccanica”. Un cult assoluto, impreziosito dalla presenza di un favoloso Oliver Reed. Stranamente non è mai stato adeguatamente rivalutato dai critici del nostro paese.
Domenica 25 Dicembre ore 21.30
Johanna
di Kornél Mundruczo (2005 Ung 86')
Ufo di cristallina entità, prodotto da Bela Tarr. Miracolosamente sopravvissuta ad un'overdose, la tossicodipendente Johanna, grazie alle premure di un giovane dottore, diventa infermiera nell'ospedale in cui è stata salvata e decide di dedicare la vita agli altri. Comincerà a guarire i pazienti senza bisturi, semplicemente donando loro il proprio corpo. Ma ciò non sarà visto di buon occhio dai medici. Opera davvero curiosa questa trasposizione della vicenda di Giovanna d'Arco ai giorni nostri che, oltre all'estrosa rilettura del personaggio storico, vanta il primato di essere la prima ad utilizzare un'Opera appositamente composta. La colonna sonora è infatti una suggestiva Opera sulla quale si adagiano i dialoghi dei personaggi. Bellissima la fotografia virata al giallo/verdastro che proietta umori logori e stagnanti nei corridoi e nelle stanze dell'ospedale e il lavoro sulle luci, col volto di Johanna che stancamente emerge dalle tenebre (da Asian World).
Domenica 4 Gennaio ore 21.30
Todo Modo
di Elio Petri (1976 ITA/FRA FRA 120')
Uno dei film maledetti del cinema italiano, ispirato ad un racconto di Leonardo Sciascia, volutamente mantenuto invisibile in tutti questi anni dal potere costituito. L’inquietante vicenda ha luogo in un albergo/eremo/prigione, nel quale capi politici, grandi industriali, banchieri e dirigenti d'azienda, oltre a tanti servi e leccapiedi, tutti appartenenti alle varie correnti democristiane, si ritrovano per gli annuali esercizi spirituali di tre giorni, al fine di espiare i reati di corruzione e altre che essi erano soliti praticare. Questa volta la riunione avviene in concomitanza con una misteriosa epidemia che miete numerose vittime in Italia.
Una pesantissima e simbolica denuncia verso la corruzione, l’affarismo distorto, il malcostume e il dilagare di interessi personali nella gestione della cosa pubblica da parte di chi comanda e dirige lo stato italiano. Tuttora un pugno nello stomaco dello spettatore, interpretato da un indimenticabile Gian Maria Volonté, calato nei panni del Presidente, oscura ed enigmatica figura che richiama nelle movenze, nei comportamenti e nel modo di parlare quella di Aldo Moro. Nel cast anche Marcello Mastroianni, Ciccio Ingrassia (in un cameo da brividi) e Michel Piccoli. E’ il film che ha ispirato Sorrentino per la costruzione del suo “Il Divo”. Da vedere e rivedere, anche per capire meglio l’attualità.
Domenica 11 Gennaio ore 21.30
Flickering Lights
di Anders Thomas Jensen (2000 DAN/SVEZ 109')
Un gruppo di quattro piccoli delinquenti decide di tenersi il bottino di una rapina su commissione. Per sfuggire alla vendetta del committente, un violento boss chiamato Eskimo, scappano alla volta di Barcellona ma il motore dell'auto si fonde lungo una strada che attraversa il bosco. Uno di loro è ferito e, per poterlo curare, sono costretti a rifugiarsi nel rudere di un vecchio ristorante nel cuore del bosco stesso. Al fine di non destare sospetti, dapprima fingono di voler ristrutturare e riaprire il ristorante poi, progressivamente, il luogo e i loro strambi vicini li conquistano. I quattro amici decidono di restare ma Eskimo è già sulle loro tracce...
Il film è stato un enorme successo in patria ed è veramente incomprensibile la miopia dei nostri distributori che lo hanno completamente ignorato. Si tratta in effetti di un film delizioso. Una favola dai toni agrodolci che mescola violenza, humour e psicanalisi in un cocktail intelligente, pieno di trovate esilaranti e senza cedimenti fino alla fine. Gli attori, un cast di “all stars”, sono perfetti. La fotografia, premiata in patria, meravigliosa. La regia sicura, personale ma senza troppi fronzoli, con tempi equilibratissimi. La storia di gangster è in realtà un pretesto per raccontare l'amicizia che lega i protagonisti e l'evoluzione dei loro caratteri. Per farlo, Jensen, si serve di drammatici (ma al contempo spassosi) flashback nell'adolescenza di ognuno. Il legame tra il carattere esibito dall'adulto e il trauma subito in adolescenza è volutamente e grottescamente didascalico. Ed è proprio l'insolito equilibrio che si viene a creare tra i diversi generi (il dramma, la commedia, l'action, il grottesco) che dona a questo film una cifra stilistica assai accattivante e fa di questo regista una delle migliori new entry in ambito europeo di questi anni (da Asian World).
Domenica 18 Dicembre ore 21.30
The Damned - L’abisso
di Joseph Losey (1963 UK 96')
Simon Wells, un americano in viaggio in Inghilterra, convince Joan, una ladruncola che lo aveva assalito, ad abbandonare i teppisti ai quali si era unita. Inseguiti dal fratello di lei, i due sono costretti a fuggire a bordo di un motoscafo. Raggiunta una insenatura isolata, vicina ad una base militare, Simon e Joan si addentrano in una cavità e scoprono un misteroso ambiente sotterraneo che ospita un gruppo di enigmatici bambini. Gli adolescenti sono lì trattenuti in stato di prigionia dal professor Bernard che, d'accordo con le autorità inglesi, ne cura l'educazione ma ne impedisce qualsiasi contatto con l'esterno. Come ben presto Simon e Joan vengono a sapere, i bambini sono gli sfortunati figli di alcune coppie, rimaste vittime, tempo prima, di un esperimento atomico non riuscito. Guardati a vista da guardie coperte da tute protettive, i "figli della luce" (privi di sorriso e dalla pelle fredda) sono segnati dalle radiazioni, ma sopravvivono, per costituire - secondo il disegno dello scienziato - il nucleo della rinascita del genere umano all'indomani della probabile guerra nucleare che sterminerà ogni forma di vita. Simon e Joan tentano di liberare i ragazzi dal bunker, ma...Sulla base di un romanzo di H.L. Lawrence, Losey costruisce un film fortemente pessimistico, una storia senza speranze che ipotizza il potere impegnato in un freddo calcolo per la costruzione di un nuovo ordine sociale da istituire dopo le devastazioni di una guerra atomica, data come evento futuro inevitabile e non prevenibile (da fantafilm.net). Si tratta di uno splendido film, quasi esoterico, che richiama “Il villaggio dei dannati” di Rilla e anticipa di quasi dieci anni le scorribande dei boys di “Arancia Meccanica”. Un cult assoluto, impreziosito dalla presenza di un favoloso Oliver Reed. Stranamente non è mai stato adeguatamente rivalutato dai critici del nostro paese.
Domenica 25 Dicembre ore 21.30
Johanna
di Kornél Mundruczo (2005 Ung 86')
Ufo di cristallina entità, prodotto da Bela Tarr. Miracolosamente sopravvissuta ad un'overdose, la tossicodipendente Johanna, grazie alle premure di un giovane dottore, diventa infermiera nell'ospedale in cui è stata salvata e decide di dedicare la vita agli altri. Comincerà a guarire i pazienti senza bisturi, semplicemente donando loro il proprio corpo. Ma ciò non sarà visto di buon occhio dai medici. Opera davvero curiosa questa trasposizione della vicenda di Giovanna d'Arco ai giorni nostri che, oltre all'estrosa rilettura del personaggio storico, vanta il primato di essere la prima ad utilizzare un'Opera appositamente composta. La colonna sonora è infatti una suggestiva Opera sulla quale si adagiano i dialoghi dei personaggi. Bellissima la fotografia virata al giallo/verdastro che proietta umori logori e stagnanti nei corridoi e nelle stanze dell'ospedale e il lavoro sulle luci, col volto di Johanna che stancamente emerge dalle tenebre (da Asian World).
Rapporto Confidenziale Numero Dieci (Speciale su La Croce dalle Sette Pietre)
Rapporto Confidenziale
Numero Dieci
Rivista Digitale di Cultura Cinematografica
Speciale su "La Croce dalle Sette Pietre" alias "L'uomo lupo contro la Camorra"
Anteprima qui
Download gratuito qui
EDITORIALE di Roberto Rippa
Numerodieci. In realtà dodicesima uscita per Rapporto confidenziale, compreso il numerozero e il numero speciale dedicato allo scorso Festival internazionale del film di Locarno. In dodici mesi.
Senza farla troppo lunga, questo è il nostro primo compleanno.
In queste occasioni, uno vorrebbe non ritrovarsi a scrivere cose che pronuncerebbe un o una qualsiasi nuovo/a cantante R&B ritirando un Grammy (avete presente i: “Ringrazio Dio per il dono della voce”? Ecco, appunto) o una Miss Italia appena eletta, ma evidentemente non si scappa, sono le celebrazioni - per quanto non troppo insistite da queste parti - a chiamare la banalità. E quindi, malgrado la dose massiccia di Herschell Gordon Lewis assunta prima di mettermi davanti allo schermo…
…modalità commozione ON
Era il novembre dello scorso anno quando Alessio ed io ci trovammo a parlare per la prima volta di quello che sarebbe poi diventato Rapporto confidenziale..
Sembrava un’idea aleatoria, su cui comunque ponderare e discutere lungamente, ma, appena due settimane dopo, in dicembre appunto, il numerozero era già disponibile. Da allora ne abbiamo pubblicati dodici. Tutti, più o meno, come li avremmo voluti (con la necessaria evoluzione tra i primi e questo) e tutti sempre liberi, indipendenti e gratuiti come avevamo deciso inizialmente.
Molte cose sono cambiate in quest anno: alcuni collaboratori sono passati fugacemente, altri si sono aggiunti e hanno scelto di restare, la mira è stata aggiustata più volte e ancora non è finita.
Già, perché Rapporto confidenziale è un progetto sempre in corsa: finito un numero si lavora già a quello seguente, e spesso non è esattamente una passeggiata di salute.
Le ambizioni sono molte, le stesse iniziali, quella di proporre la rivista che vorremmo leggere se non la facessimo noi, una rivista che tratta senza barriere del cinema che ci piace, con la massima libertà di scelta sui temi da pubblicare, innanzitutto. Ma se ne aggiungono altre: quella di diffondere più e meglio la rivista e quella di promuovere sempre di più la collaborazione tra chi scrive, per citarne due. Non solo, ci sono progetti che riguardano anche l’uscire dalle pagine della rivista – come abbiamo già fatto lo scorso mese, con la presentazione in anteprima del bellissimo Sisifo con Daniele Coluccini, Matteo Botrugno e Andrea Esposito - ma di questo parleremo presto.
Sarebbe lungo elencare i motivi di enorme soddisfazione di questi ultimi dodici mesi, ne cito quindi solo alcuni: la presenza di molti fedeli collaboratori, i festival cinematografici che ci hanno accreditati riconoscendo il progetto, il Volcano Film Festival che ci ha scelti come referenti per la stampa, la tesi universitaria scritta sulla rivista da Raffaele Marco della Monica…
Ultimo, non per importanza, quello di essere entrati in contatto con tante persone interessanti, e non mi riferisco solo a coloro che scrivono per la rivista.
Un ringraziamento particolare però va ad Alessio, il cui entusiasmo (nonché l’impressionante capacità di non staccarsi dal computer anche per 48 ore di seguito quando la data prevista per la pubblicazione va rispettata contro ogni logica), quello che ci permette da un anno di uscire ogni mese con numeri talvolta dalle dimensioni titaniche e dall’aspetto grafico sempre più curato, è stato e rimane fondamentale per questa rivista.
modalità commozione OFF
Talvolta noi peniamo parecchio per rispettare l’uscita mensile, toccava a noi, questa volta, infliggere una pena a voi. Ecco quindi lo speciale su L’uomo lupo contro la camorra.
A gennaio e buona lettura (Robero Rippa)
PS: Rapporto Confidenziale è anche (obbligatoriamente visti i tempi) su facebook.
A proposito di Facebook...è il social network virale che sta togliendo sempre più interesse verso i blog (a mio parere autentico strumento rivoluzionario di informazione), apparentemente dirigendolo verso sterili pettegolezzi e puerili sciocchezzuole...ok hanno vinto Loro anche questa volta...
facciamo qualcosa (Zonekiller)
Numero Dieci
Rivista Digitale di Cultura Cinematografica
Speciale su "La Croce dalle Sette Pietre" alias "L'uomo lupo contro la Camorra"
Anteprima qui
Download gratuito qui
EDITORIALE di Roberto Rippa
Numerodieci. In realtà dodicesima uscita per Rapporto confidenziale, compreso il numerozero e il numero speciale dedicato allo scorso Festival internazionale del film di Locarno. In dodici mesi.
Senza farla troppo lunga, questo è il nostro primo compleanno.
In queste occasioni, uno vorrebbe non ritrovarsi a scrivere cose che pronuncerebbe un o una qualsiasi nuovo/a cantante R&B ritirando un Grammy (avete presente i: “Ringrazio Dio per il dono della voce”? Ecco, appunto) o una Miss Italia appena eletta, ma evidentemente non si scappa, sono le celebrazioni - per quanto non troppo insistite da queste parti - a chiamare la banalità. E quindi, malgrado la dose massiccia di Herschell Gordon Lewis assunta prima di mettermi davanti allo schermo…
…modalità commozione ON
Era il novembre dello scorso anno quando Alessio ed io ci trovammo a parlare per la prima volta di quello che sarebbe poi diventato Rapporto confidenziale..
Sembrava un’idea aleatoria, su cui comunque ponderare e discutere lungamente, ma, appena due settimane dopo, in dicembre appunto, il numerozero era già disponibile. Da allora ne abbiamo pubblicati dodici. Tutti, più o meno, come li avremmo voluti (con la necessaria evoluzione tra i primi e questo) e tutti sempre liberi, indipendenti e gratuiti come avevamo deciso inizialmente.
Molte cose sono cambiate in quest anno: alcuni collaboratori sono passati fugacemente, altri si sono aggiunti e hanno scelto di restare, la mira è stata aggiustata più volte e ancora non è finita.
Già, perché Rapporto confidenziale è un progetto sempre in corsa: finito un numero si lavora già a quello seguente, e spesso non è esattamente una passeggiata di salute.
Le ambizioni sono molte, le stesse iniziali, quella di proporre la rivista che vorremmo leggere se non la facessimo noi, una rivista che tratta senza barriere del cinema che ci piace, con la massima libertà di scelta sui temi da pubblicare, innanzitutto. Ma se ne aggiungono altre: quella di diffondere più e meglio la rivista e quella di promuovere sempre di più la collaborazione tra chi scrive, per citarne due. Non solo, ci sono progetti che riguardano anche l’uscire dalle pagine della rivista – come abbiamo già fatto lo scorso mese, con la presentazione in anteprima del bellissimo Sisifo con Daniele Coluccini, Matteo Botrugno e Andrea Esposito - ma di questo parleremo presto.
Sarebbe lungo elencare i motivi di enorme soddisfazione di questi ultimi dodici mesi, ne cito quindi solo alcuni: la presenza di molti fedeli collaboratori, i festival cinematografici che ci hanno accreditati riconoscendo il progetto, il Volcano Film Festival che ci ha scelti come referenti per la stampa, la tesi universitaria scritta sulla rivista da Raffaele Marco della Monica…
Ultimo, non per importanza, quello di essere entrati in contatto con tante persone interessanti, e non mi riferisco solo a coloro che scrivono per la rivista.
Un ringraziamento particolare però va ad Alessio, il cui entusiasmo (nonché l’impressionante capacità di non staccarsi dal computer anche per 48 ore di seguito quando la data prevista per la pubblicazione va rispettata contro ogni logica), quello che ci permette da un anno di uscire ogni mese con numeri talvolta dalle dimensioni titaniche e dall’aspetto grafico sempre più curato, è stato e rimane fondamentale per questa rivista.
modalità commozione OFF
Talvolta noi peniamo parecchio per rispettare l’uscita mensile, toccava a noi, questa volta, infliggere una pena a voi. Ecco quindi lo speciale su L’uomo lupo contro la camorra.
A gennaio e buona lettura (Robero Rippa)
PS: Rapporto Confidenziale è anche (obbligatoriamente visti i tempi) su facebook.
A proposito di Facebook...è il social network virale che sta togliendo sempre più interesse verso i blog (a mio parere autentico strumento rivoluzionario di informazione), apparentemente dirigendolo verso sterili pettegolezzi e puerili sciocchezzuole...ok hanno vinto Loro anche questa volta...
facciamo qualcosa (Zonekiller)
19/12/08
Robert Rich
Robert Rich
Robert Rich è uno dei personaggi cardine del rinnovamento musicale di fine novecento. Nato a Menlo Park, California, nel 1963, inaugura la sua vasta produzione musicale pubblicando le prime opere non ancora ventenne, poco prima di laurearsi in matematica e psicologia all'Università di Stanford. In questo periodo collabora con Stephen LaBerge, eminente studioso che dirige ricerche sul cosiddetto “Lucid Dreaming”, ovvero il fenomeno del mantenere coscienza durante il sogno, e partecipa alla realizzazione di apparecchiature elettroniche per il monitoraggio del sonno e per l'induzione di sogno lucido a fini di studio.
Questa esperienza avrà un ruolo fondante nel percorso musicale di Rich.
Le prime sperimentazioni prendono le mosse dalle coordinate Ambient di Brian Eno e Pauline Oliveros, e consistono in lunghissime sessioni elettroniche in cui strutture musicali appena accennate si ripetono con variazioni minime su tappeti magmatici in evoluzione. Risalgono a questo periodo Sunyata, Trances, Drones. Subito evidenti due istanze fondamentali, da un lato una pulsione evolutiva, caotica e dionisiaca battezzata “Glurp”, uno humus di suoni asintattici e gorgoglianti, dall'altro una volontà di forma, “Shimmer”, strumento strutturale, cristallino ed iterativo.
Diviene presto famoso per i suoi “Sleep Concerts”, concerti in cui suona tutta notte per platee dormienti, accompagnando il sonno del pubblico con tappeti sonori; risalgono a questo periodo esperimenti atti a vivificare l'attività onirica tramite uno studio accurato dell'intonazione delle scale musicali e dei loops.
Parleremo meglio tra poco di questi esperimenti psicoacustici, a mio parere l'aspetto più interessante dell'opera di Rich.
E' prima prudente distinguere (quasi tutta) l'opera di Rich dal vasto e sempre troppo prolifico sottobosco NewAge. Indubbiamente una forte componente ascetica permea la sua musica, ma sarebbe sbagliato sovrapporre due realtà lontane poichè il compiacimento melodico e la retorica misticheggiante tipici della New Age sono estranei all'opera di Rich.
Il punto di partenza non sono grossolane melasse di precetti spirituali impoveriti, ma una profonda ricerca nel campo del rapporto musica-coscienza. Lo stesso Rich parla dell'influenza della musica estatica di tutto il mondo sulla sua opera, ma tra i suoi riferimenti e la sua produzione musicale passa un complesso metabolismo che tiene alla larga facili citazionismi e semplificazioni. L'obiettivo che spinge Rich ai primi passi musicali non è la musica in se, ma la creazione un “altrove” psicoattivo tramite la musica.
A Sunyata seguono a breve Geometry e Numena, album con cui rende omaggio alla scuola tedesca dei correri cosmici (Tangerine Dream) e al minimalismo (Terry Riley). Il tema profondo della sua ricerca continua ad essere la struttura, che in questa fase si fa più cristallina ed apollinea; rimangono pochissime le concessioni melodiche.
Robert Rich è uno dei personaggi cardine del rinnovamento musicale di fine novecento. Nato a Menlo Park, California, nel 1963, inaugura la sua vasta produzione musicale pubblicando le prime opere non ancora ventenne, poco prima di laurearsi in matematica e psicologia all'Università di Stanford. In questo periodo collabora con Stephen LaBerge, eminente studioso che dirige ricerche sul cosiddetto “Lucid Dreaming”, ovvero il fenomeno del mantenere coscienza durante il sogno, e partecipa alla realizzazione di apparecchiature elettroniche per il monitoraggio del sonno e per l'induzione di sogno lucido a fini di studio.
Questa esperienza avrà un ruolo fondante nel percorso musicale di Rich.
Le prime sperimentazioni prendono le mosse dalle coordinate Ambient di Brian Eno e Pauline Oliveros, e consistono in lunghissime sessioni elettroniche in cui strutture musicali appena accennate si ripetono con variazioni minime su tappeti magmatici in evoluzione. Risalgono a questo periodo Sunyata, Trances, Drones. Subito evidenti due istanze fondamentali, da un lato una pulsione evolutiva, caotica e dionisiaca battezzata “Glurp”, uno humus di suoni asintattici e gorgoglianti, dall'altro una volontà di forma, “Shimmer”, strumento strutturale, cristallino ed iterativo.
Diviene presto famoso per i suoi “Sleep Concerts”, concerti in cui suona tutta notte per platee dormienti, accompagnando il sonno del pubblico con tappeti sonori; risalgono a questo periodo esperimenti atti a vivificare l'attività onirica tramite uno studio accurato dell'intonazione delle scale musicali e dei loops.
Parleremo meglio tra poco di questi esperimenti psicoacustici, a mio parere l'aspetto più interessante dell'opera di Rich.
E' prima prudente distinguere (quasi tutta) l'opera di Rich dal vasto e sempre troppo prolifico sottobosco NewAge. Indubbiamente una forte componente ascetica permea la sua musica, ma sarebbe sbagliato sovrapporre due realtà lontane poichè il compiacimento melodico e la retorica misticheggiante tipici della New Age sono estranei all'opera di Rich.
Il punto di partenza non sono grossolane melasse di precetti spirituali impoveriti, ma una profonda ricerca nel campo del rapporto musica-coscienza. Lo stesso Rich parla dell'influenza della musica estatica di tutto il mondo sulla sua opera, ma tra i suoi riferimenti e la sua produzione musicale passa un complesso metabolismo che tiene alla larga facili citazionismi e semplificazioni. L'obiettivo che spinge Rich ai primi passi musicali non è la musica in se, ma la creazione un “altrove” psicoattivo tramite la musica.
* * *
Negli anni '80 Rich conosce Steve Roach, uno dei padri di quella che verrà definita “ritual ambient”, musica ancestrale ed entropica in cui si fondono elettronica e suoni primitivi. Tra le collaborazioni si ricordano Strata e Soma. Trascurabili, a mio avviso, alcuni album del periodo immediatamente successivo, probabilmente concessioni a necessità di mercato: Propagation e Rainforest. Periodo fortunatamente breve, seguito dai nuovi fasti di Night Sky Replies ma soprattutto di Stalker, frutto di una collaborazione con Lustmord, opera a tinte scurissime in omaggio al magnificente film di Tarkovsky. Segue il notevole Fissures, collaborazione con l'italiano Alio Die (Stefano Musso). Nel 2001 viene pubblicato Somnium, uno sleep concert di sette ore. La discografia successiva è un insieme di collaborazioni e sperimentazioni in direzioni che qui trascurerò; segnalo solo Outpost, con Ian Boddy, e Calling Down the sky, notevoli reinterpretazioni delle tematiche ambient delle origini.
* * *
A chiusura di questa breve ed incompleta cronistoria discografica, un consiglio: Trances / Drones.
Questo il titolo del doppio album del 1996, ristampa dei primi esperimenti psicoacustici e sleep concerts risalenti agli anni '83-'84. Probabilmente il miglior lavoro di Rich, ed una delle migliori opere dell'elettronica di sempre. In “Trances” due soli brani, lunghissimi, in cui sibili e frequenze elettroniche intessono trame estatiche ed accompagnano l'ascoltatore alla catarsi. In “Drones”, vortici di loops e lap-steel guitar oscillano sospesi imitando le geometrie ora di un mare astratto (nel bellissimo brano “Seascape”), ora di impensabili strutture minerali.
La musica viene trattata come organismo vivente, più che come esercizio di volontà formale e metodica; alimentato dal proprio feedback e dalle proprie risonanze, il tappeto sonoro può evolvere e continuare a nascere da se stesso per gemmazione, tramite l'amplificazione delle proprie impurità.
In tutta la sua opera, Rich utilizza una differente scala musicale, chiamata Just Intonation. “E' un modo diverso di intonare la musica e di pensare l'armonia,” dice, “ E' antica quanto Pitagora o addirittura i Babilonesi. E' un sistema di accordatura basato sulla divisione delle armoniche in numeri interi, ed è corrispondente al nostro modo di percepire l'armonia. Molto più dell 'Equal Temperament, lo standard di accordatura nella cultura occidentale recente, basato in realtà su un'approssimazione dell'armonia.”
L'uso della Just Intonation e gli studi sul sogno sopra menzionati rendono questa musica capace di insinuarsi tra le pieghe della coscienza e, nel passaggio tra veglia e sonno, traghettarla nell'oceano onirico attraverso esplosioni di immagini ipnagogiche.
Superfluo osservare che l'ascolto di un album non possa che essere il surrogato di uno Sleep Concert; tuttavia costituisce un'esperienza di ascolto straordinaria ed intensa, e restituisce somaticamente il concetto di “musica come veicolo per l'anima” caro a tutte le tradizioni religiose e rituali primitive.
* * *
Questo il titolo del doppio album del 1996, ristampa dei primi esperimenti psicoacustici e sleep concerts risalenti agli anni '83-'84. Probabilmente il miglior lavoro di Rich, ed una delle migliori opere dell'elettronica di sempre. In “Trances” due soli brani, lunghissimi, in cui sibili e frequenze elettroniche intessono trame estatiche ed accompagnano l'ascoltatore alla catarsi. In “Drones”, vortici di loops e lap-steel guitar oscillano sospesi imitando le geometrie ora di un mare astratto (nel bellissimo brano “Seascape”), ora di impensabili strutture minerali.
La musica viene trattata come organismo vivente, più che come esercizio di volontà formale e metodica; alimentato dal proprio feedback e dalle proprie risonanze, il tappeto sonoro può evolvere e continuare a nascere da se stesso per gemmazione, tramite l'amplificazione delle proprie impurità.
In tutta la sua opera, Rich utilizza una differente scala musicale, chiamata Just Intonation. “E' un modo diverso di intonare la musica e di pensare l'armonia,” dice, “ E' antica quanto Pitagora o addirittura i Babilonesi. E' un sistema di accordatura basato sulla divisione delle armoniche in numeri interi, ed è corrispondente al nostro modo di percepire l'armonia. Molto più dell 'Equal Temperament, lo standard di accordatura nella cultura occidentale recente, basato in realtà su un'approssimazione dell'armonia.”
L'uso della Just Intonation e gli studi sul sogno sopra menzionati rendono questa musica capace di insinuarsi tra le pieghe della coscienza e, nel passaggio tra veglia e sonno, traghettarla nell'oceano onirico attraverso esplosioni di immagini ipnagogiche.
Superfluo osservare che l'ascolto di un album non possa che essere il surrogato di uno Sleep Concert; tuttavia costituisce un'esperienza di ascolto straordinaria ed intensa, e restituisce somaticamente il concetto di “musica come veicolo per l'anima” caro a tutte le tradizioni religiose e rituali primitive.
Invisible Map
Invisible Map è un progetto di esplorazione obliqua nelle sperimentazioni musicali contemporanee,
elettroniche e non. Il nome vuole essere un tributo alla musica di una formazione, i Biota, di cui si parlerà diffusamente in futuro.
Il progetto seguirà traiettorie suggestive più che intenti di esaustività; non un percorso metodico di recensioni tematiche, ma piuttosto di una costellazione semi-casuale di carotaggi nei tessuti profondi della musica sperimentale. Una sorta di “mappa invisibile” per indicare nuove rotte di ricerca, o semplicemente nuove possibilità di ascolto.
elettroniche e non. Il nome vuole essere un tributo alla musica di una formazione, i Biota, di cui si parlerà diffusamente in futuro.
Il progetto seguirà traiettorie suggestive più che intenti di esaustività; non un percorso metodico di recensioni tematiche, ma piuttosto di una costellazione semi-casuale di carotaggi nei tessuti profondi della musica sperimentale. Una sorta di “mappa invisibile” per indicare nuove rotte di ricerca, o semplicemente nuove possibilità di ascolto.
15/12/08
A Pier Paolo Pasolini
Mi aggiro fra ricatti e botte e licenzio
la mia anima mezza vuota e peccatrice
e la derelitta crocifissione mia sola
sa chi sono: spia e ricattatore
che odia i suoi simili. E non trovo
pace in questa sordida lotta
contro la mia rovina, il suo sfacelo.
Dio! Non attendo che la morte.
Ignoro il corso della Storia. So solo
la bestia che è in me e latra.
(Dario Bellezza)
08/12/08
07/12/08
Il Dottore (Dumbland - David Lynch)
Il Dottore - Dumbland
David Lynch (episodio 3)
Dumbland è una serie di corti in bianco e nero di animazione che rielabora l'immaginario lynchiano delle origini (The alphabet, The grandmother) coniugandolo con quello della sua leggendaria striscia a fumetti The angriest dog in the world. Il titolo parla chiaro: idiozia, sintesi, analità, devastazione. Una leccornìa.
David Lynch (episodio 3)
Dumbland è una serie di corti in bianco e nero di animazione che rielabora l'immaginario lynchiano delle origini (The alphabet, The grandmother) coniugandolo con quello della sua leggendaria striscia a fumetti The angriest dog in the world. Il titolo parla chiaro: idiozia, sintesi, analità, devastazione. Una leccornìa.
05/12/08
Graham Annable
Graham Annable
We Sing the Forest Electric
Botched
The Last Duet on Earth
Per saperne di più:
www.grickle.com
Intervista all'autore qui
We Sing the Forest Electric
Botched
The Last Duet on Earth
Per saperne di più:
www.grickle.com
Intervista all'autore qui
01/12/08
Welcome to the Machine
Welcome to the Machine
Pink Floyd
"Se prendi LSD quello che provi dipende interamente da chi sei...La nostra musica può precipitarti nell'orrore urlante o gettarti nell'estasi delirante. Più spesso la seconda. Scopriamo che il nostro pubblico adesso smette di ballare. Cerchiamo di averli lì in piedi completamente rapiti, a bocca spalancata."
(Roger Waters)
And then one day you find...Ten years have got behind you...No one told you when to run...You missed the starting gun...(da Time, n.° 4)
(per Alvino)
Pink Floyd
"Se prendi LSD quello che provi dipende interamente da chi sei...La nostra musica può precipitarti nell'orrore urlante o gettarti nell'estasi delirante. Più spesso la seconda. Scopriamo che il nostro pubblico adesso smette di ballare. Cerchiamo di averli lì in piedi completamente rapiti, a bocca spalancata."
(Roger Waters)
And then one day you find...Ten years have got behind you...No one told you when to run...You missed the starting gun...(da Time, n.° 4)
(per Alvino)
29/11/08
Herakut (Street Art rules!)
Herakut (Street Art rules!)
"Permission to paint"
Street Art in Mostra alla Leonard Street Gallery in Londons East End, aperta dal 14 Dicembre all'11 Gennaio
"Permission to paint"
Street Art in Mostra alla Leonard Street Gallery in Londons East End, aperta dal 14 Dicembre all'11 Gennaio
26/11/08
Malice in Wonderland (Vince Collins)
Malice in Wonderland (Vince Collins)
E' ora di parlare un po' di animazione psichedelica e in questo campo è bello iniziare con il semisconosciuto Vince Collins, autore di un autentico cult psicochimico come “Malice in Wonderland”, letteralmente un depravato “Alice nel Paese delle Meraviglie”, con al centro un'Alice maliziosa e lisergica. Una cicala sfolgorante il suo autore, che tuttora fa vibrare le sue ali al chiar di luna, aiutato dalla grafica computerizzata, di cui è stato uno dei primi utilizzatori grazie al programma Hypercard di Mac.
Un cortometraggio d'animazione febbricitante, ricco di stravolgimenti psichedelici, che si tuffa nel nostro inconscio e riesce a dare una scossa al nostro sopito occhio interiore. I nostri bulbi oculari vengono bombardati da ipertrofiche immagini dardeggianti e sensuali, che si impattano sui nostri sensi e sono elaborate dal nostro sistema limbico per poi essere trasformate in ermetiche immagini mentali. Un'arte, quella di Collins, dionisiaca e destabilizzante, di cui i moderni creatori hanno purtroppo smarrito la scintilla.
(video vietato ai minori di diciotto anni)
“Quando arriva una visione...arriva con terrore, come una tempesta di tuoni; ma quando la tempesta della visione è passata, il mondo è più verde e più felice, perché ovunque scende sul mondo la verità della visione, è come la pioggia...” (Alce Nero)
Piccolo post, elaborato in pochi minuti, nello spazio visionario GRAB, allestito in Faenza da Hellvis
E' ora di parlare un po' di animazione psichedelica e in questo campo è bello iniziare con il semisconosciuto Vince Collins, autore di un autentico cult psicochimico come “Malice in Wonderland”, letteralmente un depravato “Alice nel Paese delle Meraviglie”, con al centro un'Alice maliziosa e lisergica. Una cicala sfolgorante il suo autore, che tuttora fa vibrare le sue ali al chiar di luna, aiutato dalla grafica computerizzata, di cui è stato uno dei primi utilizzatori grazie al programma Hypercard di Mac.
Un cortometraggio d'animazione febbricitante, ricco di stravolgimenti psichedelici, che si tuffa nel nostro inconscio e riesce a dare una scossa al nostro sopito occhio interiore. I nostri bulbi oculari vengono bombardati da ipertrofiche immagini dardeggianti e sensuali, che si impattano sui nostri sensi e sono elaborate dal nostro sistema limbico per poi essere trasformate in ermetiche immagini mentali. Un'arte, quella di Collins, dionisiaca e destabilizzante, di cui i moderni creatori hanno purtroppo smarrito la scintilla.
(video vietato ai minori di diciotto anni)
“Quando arriva una visione...arriva con terrore, come una tempesta di tuoni; ma quando la tempesta della visione è passata, il mondo è più verde e più felice, perché ovunque scende sul mondo la verità della visione, è come la pioggia...” (Alce Nero)
Piccolo post, elaborato in pochi minuti, nello spazio visionario GRAB, allestito in Faenza da Hellvis
21/11/08
Stalker al Clan Destino di Faenza
Stalker al Clan Destino di Faenza
Domenica 23 Novembre ore 21.30
Stalker
di Andrei Tarkovsky (1979 URSS/RFT 163')
Film di genere fantascientifico per la trama, ma il cui svolgimento lo fa trascendere i limiti cinematografici e appartenere ai grandi capolavori dell'ingegno umano. Racconta del lento e profondo viaggio catartico compiuto all'interno della Zona, dove le tre diverse concezioni della vita dei protagonisti si scontrano e si mettono in discussione. Quando il cinema si fa opera d’arte e assume la complessità propria dei testi di filosofia: la Zona è un insieme di trappole e trabocchetti, tutti mortali...la Zona non fa passare né i buoni né i cattivi, ma gli infelici. Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni... e ciò che chiamiamo passione, in realtà, non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in sé stessi e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido così come l'albero. Rigidità e forza sono compagni della Morte...debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà...
“Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo di sé una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità. Il concetto stesso di ricerca è oltraggioso per un artista. Assomiglia alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no. Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere, l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò quest'altro"). L'artista dà una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L'artista deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" è semplicemente menzogna.”
“Nessuno sa che cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza è il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza è simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione "verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa verità aveva l'aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l'intera collezione di ritratti femminili, diciamo, di un Picasso non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione né di qualcosa di carino - parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si é comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua.”
“Mi sembra che l'essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l'uomo crea. In una certa misura l'uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo modo di esistere, e l'interrogativo sulla creazione ("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") è senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su cio'. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del creatore. L'artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure un'altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con l'istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere sé stesso. In un certo senso la creazione è rappresentazione dell'essenza spirituale nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa essenza spirituale. Nell'ambito delle attività umane non c'è nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c'e nulla che sarebbe più a sé stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte.”
“Nel senso più alto di questo concetto, la libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione, non esiste. Sì, l'idea della libertà esiste, è una realtà nella vita sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto un'inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà. Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente "liberi" e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per cio che concerne la libertà della creazione, di questo non si può assolutamente discutere. Senza di essa non può esistere una sola arte. L'assenza della libertà deprezza automaticamente l'opera d'arte, poiché questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L'assenza di questa libertà porta a che l'opera d'arte, nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista-individualista, invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se ne serve per evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte diventa manifestazione dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi è noto meglio che a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario, il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa consiste per me la libertà.“
(dichiarazioni di ANDREI TARKOVSKY)
Domenica 23 Novembre ore 21.30
Stalker
di Andrei Tarkovsky (1979 URSS/RFT 163')
Film di genere fantascientifico per la trama, ma il cui svolgimento lo fa trascendere i limiti cinematografici e appartenere ai grandi capolavori dell'ingegno umano. Racconta del lento e profondo viaggio catartico compiuto all'interno della Zona, dove le tre diverse concezioni della vita dei protagonisti si scontrano e si mettono in discussione. Quando il cinema si fa opera d’arte e assume la complessità propria dei testi di filosofia: la Zona è un insieme di trappole e trabocchetti, tutti mortali...la Zona non fa passare né i buoni né i cattivi, ma gli infelici. Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni... e ciò che chiamiamo passione, in realtà, non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in sé stessi e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido così come l'albero. Rigidità e forza sono compagni della Morte...debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà...
“Ogni artista nel corso della sua permanenza sulla terra trova e lascia dopo di sé una particella di verità sulla civilizzazione, sull'umanità. Il concetto stesso di ricerca è oltraggioso per un artista. Assomiglia alla raccolta di funghi in un bosco. Forse ne troveremo o forse no. Picasso diceva addirittura: "io non cerco, trovo". A mio parere, l'artista non procede affatto come un ricercatore, egli non agisce empiricamente in nessuna maniera ("proverò a fare questo, tenterò quest'altro"). L'artista dà una testimonianza sulla verità, sulla sua verità del mondo. L'artista deve essere certo che egli e la sua creazione rispondono alla verità. Io rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" è semplicemente menzogna.”
“Nessuno sa che cos'è la bellezza. L'idea che la gente si fa della bellezza, il concetto stesso di bellezza, mutano nel corso della storia assieme alle pretese filosofiche e al semplice sviluppo dell'uomo nel corso della sua vita personale. E questo mi spinge a pensare che, effettivamente, la bellezza è il simbolo di qualcos'altro. Ma di cosa esattamente? La bellezza è simbolo della verità. Non dico nel senso della contraddizione "verità/menzogna", ma nel senso di cammino di verità, che l'uomo sceglie. La bellezza (si intende quella relativa!) ha nelle diverse epoche testimoniato del livello di consapevolezza, che gli uomini di una determinata epoca hanno della verità. Ci fu un tempo in cui questa verità aveva l'aspetto della Venere di Milo. Ne consegue che l'intera collezione di ritratti femminili, diciamo, di un Picasso non ha, a rigor di termini, la minima relazione con la verità. Ma qui non parliamo della capacita di attrazione né di qualcosa di carino - parliamo della bellezza armonica, della bellezza nascosta, della bellezza in quanto tale. Picasso, invece di celebrare la bellezza, si é comportato come il suo distruttore, il suo detrattore, il suo sterminatore. La verità, manifestata dalla bellezza, è enigmatica; essa non può essere né decifrata né spiegata con le parole, ma quando un essere umano, una persona si trova accanto a questa bellezza, si imbatte in questa bellezza, sta di fronte a questa bellezza, essa fa sentire la sua presenza, almeno con quei brividi che corrono lungo la schiena. La bellezza è come un miracolo, del quale l'uomo diventa involontariamente testimone. Tutto qua.”
“Mi sembra che l'essere umano sia stato creato per vivere. Vivere nel cammino verso la verità. Ecco perché l'uomo crea. In una certa misura l'uomo crea nel cammino verso la verità. Questo è il suo modo di esistere, e l'interrogativo sulla creazione ("Per chi gli uomini creano? Perché essi creano?") è senza risposta. Effettivamente ogni artista non soltanto ha una sua concezione sulla creazione ma ha anche un suo modo personale di interrogarsi su cio'. Questo si collega a quanto io adesso dico sulla verità, alla quale noi tendiamo, alla quale contribuiamo con le nostre piccole forze. Un ruolo fondamentale gioca qui l'istinto, l'istinto del creatore. L'artista crea istintivamente, egli non sa perché proprio in quel momento fa una cosa oppure un'altra, scrive proprio di questo, dipinge proprio questo. Soltanto dopo egli comincia ad analizzare, a trovare spiegazioni, a filosofeggiare e giunge alle risposte che non hanno nulla in comune con l'istinto, col bisogno istintivo di fare, creare, esprimere sé stesso. In un certo senso la creazione è rappresentazione dell'essenza spirituale nell'uomo ed è la contrapposizione all'essenza fisica; la creazione è in un certo senso la dimostrazione dell'esistenza di questa essenza spirituale. Nell'ambito delle attività umane non c'è nulla che sarebbe più inutile, più senza scopo, non c'e nulla che sarebbe più a sé stante della creazione. Se si esclude dalle attività umane tutto quanto attiene al raggiungimento del profitto, rimarrà soltanto l'arte.”
“Nel senso più alto di questo concetto, la libertà, soprattutto nel senso artistico, nel senso della creazione, non esiste. Sì, l'idea della libertà esiste, è una realtà nella vita sociale e politica. In diverse regioni e paesi gli uomini vivono avendo più o meno libertà; ma vi sono note testimonianze che dimostrano che nelle più orribili circostanze ci sono stati uomini che hanno avuto un'inaudita libertà interiore, un mondo interiore, nobiltà. Mi sembra che la libertà non consista nella qualità della scelta: la libertà è una condizione dello spirito. Per esempio, si può essere socialmente, politicamente, completamente "liberi" e non di meno morire per la sensazione di precarietà, di oppressione, di mancanza di futuro. Per cio che concerne la libertà della creazione, di questo non si può assolutamente discutere. Senza di essa non può esistere una sola arte. L'assenza della libertà deprezza automaticamente l'opera d'arte, poiché questa assenza impedisce a chi viene per ultimo di rivelarsi nella forma migliore. L'assenza di questa libertà porta a che l'opera d'arte, nonostante la sua esistenza fisica, non esista di fatto. Nella creazione dobbiamo vedere non soltanto la creazione. Purtroppo, nel XX secolo appare predominante la tendenza secondo la quale l'artista-individualista, invece di tendere alla creazione dell'opera d'arte, se ne serve per evidenziare il proprio "io". L'opera d'arte diventa manifestazione dell'io del suo creatore e si trasforma, possiamo dire, in megafono delle sue minime pretese. Questo vi è noto meglio che a me. Ne ha scritto molto Paul Valery. Al contrario, il vero artista, e a maggior ragione il genio, appaiono schiavi del dono che distribuiscono. Essi sono legati da questo dono agli uomini, al cui nutrimento spirituale e al cui servizio sono stati scelti. Ecco in cosa consiste per me la libertà.“
(dichiarazioni di ANDREI TARKOVSKY)
20/11/08
La Metamorfosi del Vampiro
La Metamorfosi del Vampiro
La donna mentre si torceva come una serpe sulla brace
e ammaccava i seni tra le stecche del suo busto
lasciava scorrere dalla sua bocca di fragola
queste parole tutte impregnate di muschio:
"Ho le labbra umide io e lo so come si fa
a perdere l'antica coscienza in fondo ad un letto.
Asciugo ogni lacrima sui miei seni trionfanti
e faccio ridere i vecchi col riso dei bambini.
Per chi mi vede nuda e senza veli, io sono
la luna, il sole, il cielo e le stelle!
Caro sapiente, sono così esperta in voluttà
quando soffoco un uomo tra le temute braccia
o abbandono il mio petto ai suoi morsi,
sono così timida e libertina, fragile e robusta,
che su questi materazzi conturbanti di emozione
si dannerebbero per me anche gli Angeli impotenti!"
E mi succhiò fino al midollo delle ossa!
Allora mi volsi a lei, languidamente
per darle un bacio d'amore, e cosa vidi?
Soltanto un otre dai fianchi viscosi e tutto pus!
Che gelido orrore! Chiusi gli occhi
e quando li riaprii alla viva luce
non c'era più, no, quel possente fantoccio
rimpinzato di sangue a iosa, no;
ma c'erano avanzi di scheletro tremanti alla rinfusa
e sprigionanti il grido d'una banderuola
o di un'insegna in cima ad un'asta di ferro
dondolata dal vento notturno dell'inverno.
(Charles Baudelaire)
Fotografie provenienti da qui
La donna mentre si torceva come una serpe sulla brace
e ammaccava i seni tra le stecche del suo busto
lasciava scorrere dalla sua bocca di fragola
queste parole tutte impregnate di muschio:
"Ho le labbra umide io e lo so come si fa
a perdere l'antica coscienza in fondo ad un letto.
Asciugo ogni lacrima sui miei seni trionfanti
e faccio ridere i vecchi col riso dei bambini.
Per chi mi vede nuda e senza veli, io sono
la luna, il sole, il cielo e le stelle!
Caro sapiente, sono così esperta in voluttà
quando soffoco un uomo tra le temute braccia
o abbandono il mio petto ai suoi morsi,
sono così timida e libertina, fragile e robusta,
che su questi materazzi conturbanti di emozione
si dannerebbero per me anche gli Angeli impotenti!"
E mi succhiò fino al midollo delle ossa!
Allora mi volsi a lei, languidamente
per darle un bacio d'amore, e cosa vidi?
Soltanto un otre dai fianchi viscosi e tutto pus!
Che gelido orrore! Chiusi gli occhi
e quando li riaprii alla viva luce
non c'era più, no, quel possente fantoccio
rimpinzato di sangue a iosa, no;
ma c'erano avanzi di scheletro tremanti alla rinfusa
e sprigionanti il grido d'una banderuola
o di un'insegna in cima ad un'asta di ferro
dondolata dal vento notturno dell'inverno.
(Charles Baudelaire)
Fotografie provenienti da qui
18/11/08
Rapporto Confidenziale Numero 9
Rapporto Confidenziale
Numero 9
Rivista Digitale di cultura cinematografica
Anteprima qui
Download Gratuito qui
Editoriale di Alessio Galbiati
«Quello che più mi piace del cinema è l'ampiezza del pubblico. È inimmaginabile, veramente. E siccome non si riesce a immaginare il proprio pubblico, si prova un meraviglioso senso di libertà. A teatro non si può ignorare il tipo di pubblico a cui ci si rivolge: e ogni volta cambio il tono e la dizione. Nel cinema non occorre, non è neppure possibile. Il che vuol dire che si possono fare i film senza pensare al pubblico, se non altro perché il pubblico è inimmaginabilmente vasto e differenziato. Che benedizione! Sì, faccio i film per me» [Orson Welles al Sunday Times del 3.2.1963]
Essenzialmente Rapporto Confidenziale è per noi quello che il cinema è stato per Orson Welles: la possibilità di fare in libertà quel che si vorrebbe. Uno strumento per confrontarci con un pubblico del quale non conosciamo nulla ma col quale entriamo in relazione per esprimere con sempre maggior convinzione le nostre istanze cinèfile, inevitabilmente velleitarie. Si corre sempre il rischio di parlare al vento quando si sceglie di parlare di cinema, quell'immagine in movimento che sempre ci sfugge e trascende, che oltrepassa la dimensione spazio-temporale entro la quale siamo costretti. Il cinema è quello dell'esordiente Omar Pesenti (pag.37) e quello dei maestri Jodorowsky (La montagna sacra, pag.26), José Mojica Marins (pag.6), Louis Malle (Le feu follet, pag.29) ed Ermanno Olmi (Il mestiere delle armi, p.36); ma è anche lo scanzonato intrattenimento dei Clerks (pag.28) e l'oscena morbosità delle teen-ager italiche (Un gioco da ragazze, pag.35); il cinema è la sua negazione perché Niente è come sembra (pag.25), ma lo puoi anche trovare nello sguardo spietato d'un Tomas Milian d'annata (pag.10); il cinema è quel qualcosa che prova a raccontarti un pezzo di realtà (Giorni e nuvole; pag.41) e quello che cerca la strada per poterti raccontare un qualche pezzo di realtà (cinemautonome, pag. 42); il cinema a volte è un festival che si svolge nella capitale (Te lo meriti Alberto Sordi!, pag.32), altre volte è un cortometraggio che venerdì 21 novembre presenteremo in anteprima a Lugano (Sisifo, pag.30), ed altre volte ancora è un film che puoi vedere pagando un biglietto (The orphanage, pag.12). E poi ci sono i casi in cui il cinema non è nemmeno cinema, ma una serie di immagini che narrano un'assenza (In Absentia, pag.14). Anche questo mese avete fra le mani, sicuramente di fronte agli occhi, Rapporto Confidenziale, uno strumento utile alla comprensione dell'incomprensibilità dell'immagine in movimento.
Buona lettura.
SOMMARIO DEL NUMERO 9
04 La copertina. Corinne Chaufour
05 Editoriale di Alessio Galbiati
06 José Mojica Marins di Samuele Lanzarotti
10 Django Kill... Se sei vivo spara a cura di Francesco Moriconi
12 The orphanage di Alessandra Cavisi
14 In Absentia di Maurizio Giuseppucci
25 Niente è come sembra di Alessio Galbiati
26 La montagna sacra di Samuele Lanzarotti
28 A volte ritornano... Clerks 2 di Alessio Galbiati
29 Fuoco fatuo di Samuele Lanzarotti
30 RC presenta. Sisifo
32 Te lo meriti Alberto Sordi! Report del II Festival Internazionale
del Film di Roma a cura di Emanuele Palomba
con le recensioni dei film: Cliente, Let it rain,
Il passato è una terra straniera, Rembrandt's J'accuse, 8, L'uomo che ama
35 Il fascino morboso della borghesia di Mario Trifuoggi
36 Sottrazione d'epica: 'Il mestiere delle armi' di Ciro Monacella
37 Di chi è ora la citta? a cura di Roberto Rippa
38 10 domande a Omar Pesenti, filmaker
41 Giorni e nuvole di Alessio Galbiati
42 cinemautonome di malastrada.film
44 indice filmografico
Numero 9
Rivista Digitale di cultura cinematografica
Anteprima qui
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Editoriale di Alessio Galbiati
«Quello che più mi piace del cinema è l'ampiezza del pubblico. È inimmaginabile, veramente. E siccome non si riesce a immaginare il proprio pubblico, si prova un meraviglioso senso di libertà. A teatro non si può ignorare il tipo di pubblico a cui ci si rivolge: e ogni volta cambio il tono e la dizione. Nel cinema non occorre, non è neppure possibile. Il che vuol dire che si possono fare i film senza pensare al pubblico, se non altro perché il pubblico è inimmaginabilmente vasto e differenziato. Che benedizione! Sì, faccio i film per me» [Orson Welles al Sunday Times del 3.2.1963]
Essenzialmente Rapporto Confidenziale è per noi quello che il cinema è stato per Orson Welles: la possibilità di fare in libertà quel che si vorrebbe. Uno strumento per confrontarci con un pubblico del quale non conosciamo nulla ma col quale entriamo in relazione per esprimere con sempre maggior convinzione le nostre istanze cinèfile, inevitabilmente velleitarie. Si corre sempre il rischio di parlare al vento quando si sceglie di parlare di cinema, quell'immagine in movimento che sempre ci sfugge e trascende, che oltrepassa la dimensione spazio-temporale entro la quale siamo costretti. Il cinema è quello dell'esordiente Omar Pesenti (pag.37) e quello dei maestri Jodorowsky (La montagna sacra, pag.26), José Mojica Marins (pag.6), Louis Malle (Le feu follet, pag.29) ed Ermanno Olmi (Il mestiere delle armi, p.36); ma è anche lo scanzonato intrattenimento dei Clerks (pag.28) e l'oscena morbosità delle teen-ager italiche (Un gioco da ragazze, pag.35); il cinema è la sua negazione perché Niente è come sembra (pag.25), ma lo puoi anche trovare nello sguardo spietato d'un Tomas Milian d'annata (pag.10); il cinema è quel qualcosa che prova a raccontarti un pezzo di realtà (Giorni e nuvole; pag.41) e quello che cerca la strada per poterti raccontare un qualche pezzo di realtà (cinemautonome, pag. 42); il cinema a volte è un festival che si svolge nella capitale (Te lo meriti Alberto Sordi!, pag.32), altre volte è un cortometraggio che venerdì 21 novembre presenteremo in anteprima a Lugano (Sisifo, pag.30), ed altre volte ancora è un film che puoi vedere pagando un biglietto (The orphanage, pag.12). E poi ci sono i casi in cui il cinema non è nemmeno cinema, ma una serie di immagini che narrano un'assenza (In Absentia, pag.14). Anche questo mese avete fra le mani, sicuramente di fronte agli occhi, Rapporto Confidenziale, uno strumento utile alla comprensione dell'incomprensibilità dell'immagine in movimento.
Buona lettura.
SOMMARIO DEL NUMERO 9
04 La copertina. Corinne Chaufour
05 Editoriale di Alessio Galbiati
06 José Mojica Marins di Samuele Lanzarotti
10 Django Kill... Se sei vivo spara a cura di Francesco Moriconi
12 The orphanage di Alessandra Cavisi
14 In Absentia di Maurizio Giuseppucci
25 Niente è come sembra di Alessio Galbiati
26 La montagna sacra di Samuele Lanzarotti
28 A volte ritornano... Clerks 2 di Alessio Galbiati
29 Fuoco fatuo di Samuele Lanzarotti
30 RC presenta. Sisifo
32 Te lo meriti Alberto Sordi! Report del II Festival Internazionale
del Film di Roma a cura di Emanuele Palomba
con le recensioni dei film: Cliente, Let it rain,
Il passato è una terra straniera, Rembrandt's J'accuse, 8, L'uomo che ama
35 Il fascino morboso della borghesia di Mario Trifuoggi
36 Sottrazione d'epica: 'Il mestiere delle armi' di Ciro Monacella
37 Di chi è ora la citta? a cura di Roberto Rippa
38 10 domande a Omar Pesenti, filmaker
41 Giorni e nuvole di Alessio Galbiati
42 cinemautonome di malastrada.film
44 indice filmografico
Kim Joon (body painting)
Kim Joon
Artista coreano che fa del body painting un incredibile immersione in un altro universo: formato da dolci figure diafane, forse alieni dotati di alt(r)e libertà spirituali, con anime fatte di latte e miele, volti invisibili e corpi intarsiati con arabeschi fluidi e ipnotizzanti, ai quali è impossibile non stupirsi, per poi lasciarsi andare inebriati e sognanti. Forse si tratta di un'evoluzione della razza umana: il frutto di una misteriosa metamorfosi atta a contrastare l'attuale desertificazione su scala planetaria dell'amore. O forse sono sfingi, anime leggere e avvolgenti venute per dare un salutare scossone all'indifferenza del mondo.
La passione di Kim Joon per i tatuaggi inizia nella sua adolescenza ed è ammantata da una notevole aura trasgressiva, in quanto in Corea i tatuaggi sono tuttora proibiti alla popolazione civile, essendo permessi e tollerati solo addosso ai malviventi o ai combattenti militari. All'artista interessano le interconnessioni tra pelle e anima e le due cose sono senza dubbio intimamente legate poichè durante l'embriogenesi umana la corteccia cerebrale si forma congiuntamente alla pelle e all'apparato genitale. Tale comune origine fa sì che la la formazione del soggetto psichico sia assolutamente inscindibile da quella del soggetto corporeo. La pelle è così uno specchio che ci mette irrimediabilmente a nudo, rendendo superficiale ciò che normalmente riteniamo profondo: pensieri, emozioni, sentimenti. I corpi delle creature di Kim Joon sono invece meravigliosamente decorati da tatuaggi seducenti, ottenuti manipolando al computer fotografie digitali, con una minuziosa tecnica innovativa, da lui ironicamente denominata "Mouse Paintings". Peccato che diverse multinazionali abbiano sponsorizzato la sua arte, andando probabilmente ora a disperderne la primigenia purezza...ma si sa che i nostri mercanti di tutto conoscono il prezzo, di niente il valore.
"Mi interessano i tatuaggi come metafora di un desiderio nascosto o una sorta di pulsione imprigionata nella coscienza umana. Io vedo la pelle, o in alcuni casi il monitor, come un'estensione della tela." (Kim Joon)
Artista coreano che fa del body painting un incredibile immersione in un altro universo: formato da dolci figure diafane, forse alieni dotati di alt(r)e libertà spirituali, con anime fatte di latte e miele, volti invisibili e corpi intarsiati con arabeschi fluidi e ipnotizzanti, ai quali è impossibile non stupirsi, per poi lasciarsi andare inebriati e sognanti. Forse si tratta di un'evoluzione della razza umana: il frutto di una misteriosa metamorfosi atta a contrastare l'attuale desertificazione su scala planetaria dell'amore. O forse sono sfingi, anime leggere e avvolgenti venute per dare un salutare scossone all'indifferenza del mondo.
La passione di Kim Joon per i tatuaggi inizia nella sua adolescenza ed è ammantata da una notevole aura trasgressiva, in quanto in Corea i tatuaggi sono tuttora proibiti alla popolazione civile, essendo permessi e tollerati solo addosso ai malviventi o ai combattenti militari. All'artista interessano le interconnessioni tra pelle e anima e le due cose sono senza dubbio intimamente legate poichè durante l'embriogenesi umana la corteccia cerebrale si forma congiuntamente alla pelle e all'apparato genitale. Tale comune origine fa sì che la la formazione del soggetto psichico sia assolutamente inscindibile da quella del soggetto corporeo. La pelle è così uno specchio che ci mette irrimediabilmente a nudo, rendendo superficiale ciò che normalmente riteniamo profondo: pensieri, emozioni, sentimenti. I corpi delle creature di Kim Joon sono invece meravigliosamente decorati da tatuaggi seducenti, ottenuti manipolando al computer fotografie digitali, con una minuziosa tecnica innovativa, da lui ironicamente denominata "Mouse Paintings". Peccato che diverse multinazionali abbiano sponsorizzato la sua arte, andando probabilmente ora a disperderne la primigenia purezza...ma si sa che i nostri mercanti di tutto conoscono il prezzo, di niente il valore.
"Mi interessano i tatuaggi come metafora di un desiderio nascosto o una sorta di pulsione imprigionata nella coscienza umana. Io vedo la pelle, o in alcuni casi il monitor, come un'estensione della tela." (Kim Joon)
15/11/08
Dicembre Cinema 2008 al Clan Destino
Dicembre Cinema 2008 Scaglie
Domenica 7 Dicembre ore 21.30
Il Porto delle Nebbie
di Marcel Carné (1938 FRA 91')
Domenica 14 Dicembre ore 21.30
Songs from the second floor
di Roy Andersson (2000 SVEZ/NOR/DAN 98')
Domenica 21 Dicembre ore 21.30
Walk on the Wild Side
di Edward Dmytrik (1962 USA 114')
Domenica 28 Dicembre ore 21.30
Demonlover
di Olivier Assayas (2002 FRA 121')
Domenica 7 Dicembre ore 21.30
Il Porto delle Nebbie
di Marcel Carné (1938 FRA 91')
Domenica 14 Dicembre ore 21.30
Songs from the second floor
di Roy Andersson (2000 SVEZ/NOR/DAN 98')
Domenica 21 Dicembre ore 21.30
Walk on the Wild Side
di Edward Dmytrik (1962 USA 114')
Domenica 28 Dicembre ore 21.30
Demonlover
di Olivier Assayas (2002 FRA 121')
Smorzacandela
Smorzacandela
"Mi sono fermato perché non mi piaceva più il genere, veniva fuori Banfi, quelle cose orrende con Pierino, con quei guardoni, o quei film con quelle donne tanto desiderate coi culi di fuori. Io non toccavo le donne nei film come facevano gli altri, con quei tocchetti vigliacchi, io le portavo a letto, era ben diverso. Quel cinema non mi piaceva, così ho deciso di non fare più quel genere di commedia erotica, rifiutando tante proposte."
(Lando Buzzanca)
"Mi sono fermato perché non mi piaceva più il genere, veniva fuori Banfi, quelle cose orrende con Pierino, con quei guardoni, o quei film con quelle donne tanto desiderate coi culi di fuori. Io non toccavo le donne nei film come facevano gli altri, con quei tocchetti vigliacchi, io le portavo a letto, era ben diverso. Quel cinema non mi piaceva, così ho deciso di non fare più quel genere di commedia erotica, rifiutando tante proposte."
(Lando Buzzanca)
14/11/08
Locandina Scaglie Cinema Novembre 2008
Locandina Scaglie Cinema Novembre 2008
(opera di Terri)
Domenica 16 Novembre ore 21.30
I'm a Cyborg, But That's OK
di Park Chan Wook (2006 Sud Corea 105')
Young-goon, é convinta di essere un robot e per questo motivo si trova in un ospedale psichiatrico. Tra i pazienti che condividono con lei la reclusione, ne incontra uno che é convinto di poter tirar via l’anima delle persone. Chi ha visto Old Boy o Mr. e Lady Vengeance potrebbe rimanere sorpreso. Invece il nostro amato regista coreano non sbaglia nemmeno questa volta. Si allontana dalla violenza eccessiva e sfrontata della più famosa trilogia sulla vendetta per approdare ad un genere più "leggero", quello della commedia romantica, letteralmente ribaltandolo. Ovviamente. Perchè nulla è lineare e scontato con Park, che con questa stramba storia d'amore rivela il suo lato più poetico e delicato. Immaginate "Qualcuno volò sul nido del cuculo" rivisto e corretto da Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello)...il manicomio in cui si muovono i personaggi di Park è un circo coloratissimo dove ogni "ospite" vive la sua esuberante follia con purezza e dignità, un mondo visionario dove una ragazza Cyborg riuscirà a trovare un sorriso dietro la maschera di un pazzo cleptomane, ladro di compassione.
(recensione tratta da No Surrender ad opera di Spino)
Domenica 23 Novembre ore 21.30
Stalker
di Andrei Tarkovskij (1979 URSS/RFT 163')
Film di genere fantascientifico per la trama, ma il cui svolgimento lo fa trascendere i limiti cinematografici e appartenere ai grandi capolavori dell'ingegno umano. Racconta del lento e profondo viaggio catartico compiuto all'interno della Zona, dove le tre diverse concezioni della vita dei protagonisti si scontrano e si mettono in discussione. Quando il cinema si fa opera d’arte e assume la complessità propria dei testi di filosofia: la Zona è un insieme di trappole e trabocchetti, tutti mortali...la Zona non fa passare né i buoni né i cattivi, ma gli infelici. Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni... e ciò che chiamiamo passione, in realtà, non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in sé stessi e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido così come l'albero. Rigidità e forza sono compagni della Morte...debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà...
(opera di Terri)
Domenica 16 Novembre ore 21.30
I'm a Cyborg, But That's OK
di Park Chan Wook (2006 Sud Corea 105')
Young-goon, é convinta di essere un robot e per questo motivo si trova in un ospedale psichiatrico. Tra i pazienti che condividono con lei la reclusione, ne incontra uno che é convinto di poter tirar via l’anima delle persone. Chi ha visto Old Boy o Mr. e Lady Vengeance potrebbe rimanere sorpreso. Invece il nostro amato regista coreano non sbaglia nemmeno questa volta. Si allontana dalla violenza eccessiva e sfrontata della più famosa trilogia sulla vendetta per approdare ad un genere più "leggero", quello della commedia romantica, letteralmente ribaltandolo. Ovviamente. Perchè nulla è lineare e scontato con Park, che con questa stramba storia d'amore rivela il suo lato più poetico e delicato. Immaginate "Qualcuno volò sul nido del cuculo" rivisto e corretto da Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello)...il manicomio in cui si muovono i personaggi di Park è un circo coloratissimo dove ogni "ospite" vive la sua esuberante follia con purezza e dignità, un mondo visionario dove una ragazza Cyborg riuscirà a trovare un sorriso dietro la maschera di un pazzo cleptomane, ladro di compassione.
(recensione tratta da No Surrender ad opera di Spino)
Domenica 23 Novembre ore 21.30
Stalker
di Andrei Tarkovskij (1979 URSS/RFT 163')
Film di genere fantascientifico per la trama, ma il cui svolgimento lo fa trascendere i limiti cinematografici e appartenere ai grandi capolavori dell'ingegno umano. Racconta del lento e profondo viaggio catartico compiuto all'interno della Zona, dove le tre diverse concezioni della vita dei protagonisti si scontrano e si mettono in discussione. Quando il cinema si fa opera d’arte e assume la complessità propria dei testi di filosofia: la Zona è un insieme di trappole e trabocchetti, tutti mortali...la Zona non fa passare né i buoni né i cattivi, ma gli infelici. Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni... e ciò che chiamiamo passione, in realtà, non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno. E soprattutto che possano credere in sé stessi e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente. Quando l'uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido così come l'albero. Rigidità e forza sono compagni della Morte...debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza, ciò che si è irrigidito non vincerà...
13/11/08
The Brood (David Cronenberg)
The Brood
di David Cronenberg (1979 CAN 91’)
con Oliver Reed, Samantha Eggar, Art Hindle, Nuala Fitzgerald
Quarto lungometraggio di Cronenberg, The Brood, segna la fine del primo ciclo creativo del regista canadese, in tutti questi anni comunque fedele alle proprie tematiche come pochi altri, tanto da diventare uno dei punti di riferimento nel mondo dell’arte contemporanea in senso lato. Nel film in questione sono già presenti molte delle ossessioni del cinema di Cronenberg: i devianti tentativi di frange della scienza medica di modificare il processo evolutivo umano; l’intrinseca capacità del corpo umano di mutare in risposta a stimoli stressanti fino a manifestare vere e proprie malattie psico-somatiche; il nucleo familiare come groviglio generante angosce; la tematica della maternità difficile e quella della nascita traumatica; una certa fobia della procreazione e l’oscenità della riproduzione.
Sotto le apparenze di un horror di serie B si nasconde in realtà un gioiellino metacinematografico: favolosa l’idea della branca psichiatrica chiamata Psicoplasmica e messa in atto nel film dal dottor Raglan, sorta di pratica esorcistico/terapeutica incentrata sullo studio della capacità umana di manifestare sulla propria superficie o addirittura materializzare al proprio esterno i prodotti dell’ira, del dolore, del senso di colpa, della gelosia e della paura...The Shape of Rage...in pratica la manifestazione fisica della nostra rabbia, il metodo definitivo per scaricare le nostre pulsioni aggressive e le nostre tormentose tensioni. E’ evidente come la Psicoplasmica si venga a configurare come pratica analoga al fare cinema, straordinaria descrizione auto-riflessiva del lavoro di Cronenberg, incentrato fin dai primi film a materializzare immagini inerenti le interconnessioni, a volte spaventose, tra mente e corpo e tra carne e malattia. Ma molto interessante, a tal proposito, è riportare le parole di Cronenberg in un'intervista prestata a Chris Rodley, che ha la profondità cristallina di un filosofo: “...forse stiamo per cominciare una fase molto importante della nostra evoluzione, che io ritengo sarà principalmente fisica...Non penso che la selezione naturale, così come l’ha concepita Darwin, continui realmente a operare all’interno dell’evoluzione umana. Penso piuttosto che qualcosa tipo il disastro nucleare sia, forse, una parte naturale della nostra evoluzione. Può essere una strana filosofia, o forse no, ma il mio istinto sembra suggerirmi che siamo fatti per contaminare qualsiasi cosa, lo abbiamo già fatto, e che questo si rifletterà su di noi modificandoci...Dal principio del genere umano noi siamo certamente cambiati in senso psicologico; di fatto siamo anche cambiati fisicamente. Siamo fisicamente diversi dai nostri antenati, in parte per quello che ingeriamo, e in parte a causa di cose come gli occhiali e la chirurgia plastica. Ma c’è un ulteriore passo che potrebbe essere fatto, cioè quello di poter sviluppare un altro braccio, di poter realmente cambiare il proprio aspetto fisico, di compiere una mutazione...Sto parlando della possibilità che gli esseri umani diventino capaci di mutare fisicamente a loro piacere, anche se ci volessero cinque anni per completare la mutazione. La pura forza della volontà ci permetterebbe di trasformare il nostro io fisico”. E questo Cronenberg lo diceva venti anni fa...
Queste premesse, la “godibile” trama, attori indimenticabili come la Eggar /ape regina e il compianto Reed, uniti alla nervosa e inquietante colonna sonora ad opera di Howard Shore fanno di questo film un’opera assolutamente imprescindibile. Splendido finale, tra l’altro, con un sapore tipico del cinema horror di quegli anni, ben diverso dalle innocue storielle macabre per adolescenti brufolosi tipiche dei blockbuster horror dei nostri giorni. Va ricordato che con “The Brood” inaugurammo il 3 dicembre del 1995 la prima proiezione di mezzanotte di Scaglie. Gloria e Vita alla Nuova Carne!
“E’ stato fantastico scrivere The Shape of Rage! Sono sicuro che sarebbe un grande succeso editoriale. Ho sempre detto che se non sfondavo nel mondo del cinema potevo sempre aprire una clinica di Psicoplasmica a nord di Los Angeles. L’idea fondamentale della Psicoplasmica è che vengono realmente degli sfoghi cutanei alle persone quando sono messe in una condizione di forte stress; i muscoli si irrigidiscono sul serio”
(David Cronenberg)
Potrebbe essere un'idea...
di David Cronenberg (1979 CAN 91’)
con Oliver Reed, Samantha Eggar, Art Hindle, Nuala Fitzgerald
Quarto lungometraggio di Cronenberg, The Brood, segna la fine del primo ciclo creativo del regista canadese, in tutti questi anni comunque fedele alle proprie tematiche come pochi altri, tanto da diventare uno dei punti di riferimento nel mondo dell’arte contemporanea in senso lato. Nel film in questione sono già presenti molte delle ossessioni del cinema di Cronenberg: i devianti tentativi di frange della scienza medica di modificare il processo evolutivo umano; l’intrinseca capacità del corpo umano di mutare in risposta a stimoli stressanti fino a manifestare vere e proprie malattie psico-somatiche; il nucleo familiare come groviglio generante angosce; la tematica della maternità difficile e quella della nascita traumatica; una certa fobia della procreazione e l’oscenità della riproduzione.
Sotto le apparenze di un horror di serie B si nasconde in realtà un gioiellino metacinematografico: favolosa l’idea della branca psichiatrica chiamata Psicoplasmica e messa in atto nel film dal dottor Raglan, sorta di pratica esorcistico/terapeutica incentrata sullo studio della capacità umana di manifestare sulla propria superficie o addirittura materializzare al proprio esterno i prodotti dell’ira, del dolore, del senso di colpa, della gelosia e della paura...The Shape of Rage...in pratica la manifestazione fisica della nostra rabbia, il metodo definitivo per scaricare le nostre pulsioni aggressive e le nostre tormentose tensioni. E’ evidente come la Psicoplasmica si venga a configurare come pratica analoga al fare cinema, straordinaria descrizione auto-riflessiva del lavoro di Cronenberg, incentrato fin dai primi film a materializzare immagini inerenti le interconnessioni, a volte spaventose, tra mente e corpo e tra carne e malattia. Ma molto interessante, a tal proposito, è riportare le parole di Cronenberg in un'intervista prestata a Chris Rodley, che ha la profondità cristallina di un filosofo: “...forse stiamo per cominciare una fase molto importante della nostra evoluzione, che io ritengo sarà principalmente fisica...Non penso che la selezione naturale, così come l’ha concepita Darwin, continui realmente a operare all’interno dell’evoluzione umana. Penso piuttosto che qualcosa tipo il disastro nucleare sia, forse, una parte naturale della nostra evoluzione. Può essere una strana filosofia, o forse no, ma il mio istinto sembra suggerirmi che siamo fatti per contaminare qualsiasi cosa, lo abbiamo già fatto, e che questo si rifletterà su di noi modificandoci...Dal principio del genere umano noi siamo certamente cambiati in senso psicologico; di fatto siamo anche cambiati fisicamente. Siamo fisicamente diversi dai nostri antenati, in parte per quello che ingeriamo, e in parte a causa di cose come gli occhiali e la chirurgia plastica. Ma c’è un ulteriore passo che potrebbe essere fatto, cioè quello di poter sviluppare un altro braccio, di poter realmente cambiare il proprio aspetto fisico, di compiere una mutazione...Sto parlando della possibilità che gli esseri umani diventino capaci di mutare fisicamente a loro piacere, anche se ci volessero cinque anni per completare la mutazione. La pura forza della volontà ci permetterebbe di trasformare il nostro io fisico”. E questo Cronenberg lo diceva venti anni fa...
Queste premesse, la “godibile” trama, attori indimenticabili come la Eggar /ape regina e il compianto Reed, uniti alla nervosa e inquietante colonna sonora ad opera di Howard Shore fanno di questo film un’opera assolutamente imprescindibile. Splendido finale, tra l’altro, con un sapore tipico del cinema horror di quegli anni, ben diverso dalle innocue storielle macabre per adolescenti brufolosi tipiche dei blockbuster horror dei nostri giorni. Va ricordato che con “The Brood” inaugurammo il 3 dicembre del 1995 la prima proiezione di mezzanotte di Scaglie. Gloria e Vita alla Nuova Carne!
“E’ stato fantastico scrivere The Shape of Rage! Sono sicuro che sarebbe un grande succeso editoriale. Ho sempre detto che se non sfondavo nel mondo del cinema potevo sempre aprire una clinica di Psicoplasmica a nord di Los Angeles. L’idea fondamentale della Psicoplasmica è che vengono realmente degli sfoghi cutanei alle persone quando sono messe in una condizione di forte stress; i muscoli si irrigidiscono sul serio”
(David Cronenberg)
Potrebbe essere un'idea...
11/11/08
Violenza per una giovane (Luis Bunuel)
Violenza per una giovane - The Young One
di Luis Buñuel (1960 USA/MEX 96')
con Zachary Scott, Bernie Hamilton, Key Meersman, Crahan Denton, Claudio Brook
Unico film girato con produzione statunitense ed in lingua inglese dall'esule Buñuel, che non perde un'ottima occasione per far saltare in aria tutti gli stereotipi e scardinare sottilmente alcuni radicati pregiudizi della cultura americana. In un'isola del Sud degli Stati Uniti, una giovane adolescente orfana di nome Evie perde improvvisamente il nonno, suo unico tutore e custode dell'isola, trasformata dal nascente capitalismo in riserva di caccia per annoiati ricconi. La ragazza rimane così nelle mani del severo e brusco guardiacaccia Miller, unico altro abitante dell'isola, che però non tarda molto ad accorgersi dell'esuberante sensualità che sta sbocciando dall'inconsapevole fanciulla. Le cose si complicano quando nell'isola naufraga un nero di nome Traver, ricercato sulla terraferma per il presunto stupro di una donna bianca. Dopo un giorno passato a vagabondare sull'isola, nutrendosi di granchi vivi, il nero trova le tracce degli unici abitanti dell'isola e il caso vuole che sia proprio lo stesso giorno in cui il guardiacaccia è tornato sulla terraferma per fare rifornimento di benzina e viveri. L'incontro con la splendida Evie potrebbe sfociare in tragedia, invece il nero si dimostra un autentico gentiluomo, che cerca solo un fucile, viveri e benzina e che per giunta è disposto a pagare una cifra considerevole per averli. La giovane rimane molto colpita dalla gentilezza dell'estraneo, che si dimostra anche un eccellente musicista jazz, allegro suonatore di clarinetto. Tornato alla sua barca dopo aver mangiato e fumato un presumibile spinello, il nero la danneggerà con un colpo di fucile partito per sbaglio. Traver tornerà così dalla ragazza per cercare l'occorrente per ripararla, trovandola nel frattempo intenta a lavarsi sotto una doccia allestita all'aperto. Il suo turbamento alla vista del corpo della giovane avvolto da un asciugamano sarà notevole, ma il raziocinio e la buona creanza gli permetteranno di resistere alla evidente tentazione. Traver tornerà così alla barca con l'intento di sistemarla e ripartire il più velocemente possibile. Al ritorno del guardiacaccia, Evie gli racconterà tutta la storia, tralasciando il fatto che per il disturbo le siano stati dati ben venti dollari. Partirà così una feroce caccia al negro, considerato come ladro infame, che porterà al suo tentativo di omicidio da parte di Miller. Dopo una serie di aspri contrasti, i due concorderanno un armistizio: Traver potrà restare sull'isola per il tempo necessario a riparare la barca, a condizione però che egli collabori nel portare a termine i numerosi lavori della fattoria. La nuova sistemazione porterà però Evie a dormire nella stessa baracca di Miller e questo sarà fatale per la sua tenera innocenza. La crudeltà del mondo si impossesserà così dell'ingenua fanciulla, ma lei ne uscirà apparentemente senza capire cosa le sia realmente successo. Interessante come in una sequenza limitrofa a quella (fuori campo) dello stupro si veda un tasso penetrare in un pollaio e divorare selvaggiamente una gallina, chiara metafora della ferocia istintuale insita nella natura, anche in quella umana. Il giorno seguente sbarcheranno sull'isola altri due personaggi, il reverendo e il barcaiolo Jackson, portando con sé l'idea per un innovativo progetto riguardante una speculazione edilizia architettata dalla chiesa al fine di sfruttare l'isola a fini turistici, ma porteranno anche la notizia della fuga dalla città di un negro accusato di stupro. Immediatamente la furia razzista dello spietato Jackson e di Miller si scatenerà, rinnovando l'ennesima caccia all'uomo, scappato nel frattempo. Va notato come, nella visione del regista, il reverendo non sia estraneo al pregiudizio razziale, chiedendo infatti di voltare il materasso su cui ha dormito il negro il giorno precedente, in quanto infastidito dall'odore di quest'ultimo. Il pastore si preoccuperà comunque di Evie, portandola con l'inganno a battezzarsi sulle acque del fiume e scoprirà poi della violenza subita dalla giovane. Traver verrà catturato, picchiato e legato ad un palo, ma proclamerà continuamente la sua innocenza, nonostante le torture subite. La sua salvezza arriverà grazie al reverendo che, sentendo la storia e il nome della donna presunta stuprata, si convincerà della sua innocenza e arriverà invece a ricattare Miller per la sua terribile condotta. Notevoli i motivi di interesse della pellicola, primo fra tutti la figura di Evie, tenera inconsapevole lolita, dotata di uno sguardo penetrante e di una recitazione straniata, che non può non richiamare analoghi personaggi, protagonisti dei film di Robert Bresson. In secondo luogo il film smaschera due facce oscure del razzismo, che in Miller viene vissuto e subito come un'imposizione naturale derivante dalla cultura e dalla società; mentre in Jackson si evidenzia l'aspetto più ottuso e inguaribile della mentalità razzista, per la quale il negro non può essere considerato un essere umano, in quanto completamente privo di anima. Infatti vedremo Jackson trattarlo come un animale, provandone quasi pietà, portandogli l'acqua e una sigaretta prima della possibile esecuzione finale. Miller lungo lo svolgersi del film, invece, riuscirà a riconoscere il lato umano del "diverso", arrivando a vedere in lui caratteristiche affini e forse a trovare (nel finale) una sorta di fratellanza, in mezzo alle intemperie della vita. Lo stesso Traver è tratteggiato non come un eroe, ma come un essere umano problematico e complesso, non tutto positivo né tutto negativo. Figura quindi molto diversa da quella del "nero buono e dolce" raffigurato in quegli anni nel cinema di Hollywood ed infatti la pellicola di Buñuel, quando proiettata ad Harlem, causò vibranti proteste della comunità di colore, sfociando in minacce di impiccagione per l'incauto regista, che aveva osato ritrarre Traver non propriamente come un eroe senza macchia. Il capitalismo, poi, nel film è il vero e proprio demone corruttore: la natura è stata resa proprietà privata e anche l'innocente Evie è ormai sensibile solo ai richiami del denaro, essendo apparentemente disposta a tutto pur di avere in cambio banconote e oro. In tal senso, nell'inquietante finale, la vediamo vestita elegantemente, pronta a imbarcarsi per la terraferma, saltellando allegramente sul pontile sopra le sue nuove scarpe col tacco alto (precedente regalo di Miller) Evie appare fremente, con un'evidente voglia di conquista in testa, immagine che non può non richiamare alla mente la condizione femminile attuale, con l'immagine della donna forse irreparabilmente "velinizzata".
“Io voglio far sentire allo spettatore più comune che non vive nel migliore dei mondi possibile” (Luis Buñuel)
di Luis Buñuel (1960 USA/MEX 96')
con Zachary Scott, Bernie Hamilton, Key Meersman, Crahan Denton, Claudio Brook
Unico film girato con produzione statunitense ed in lingua inglese dall'esule Buñuel, che non perde un'ottima occasione per far saltare in aria tutti gli stereotipi e scardinare sottilmente alcuni radicati pregiudizi della cultura americana. In un'isola del Sud degli Stati Uniti, una giovane adolescente orfana di nome Evie perde improvvisamente il nonno, suo unico tutore e custode dell'isola, trasformata dal nascente capitalismo in riserva di caccia per annoiati ricconi. La ragazza rimane così nelle mani del severo e brusco guardiacaccia Miller, unico altro abitante dell'isola, che però non tarda molto ad accorgersi dell'esuberante sensualità che sta sbocciando dall'inconsapevole fanciulla. Le cose si complicano quando nell'isola naufraga un nero di nome Traver, ricercato sulla terraferma per il presunto stupro di una donna bianca. Dopo un giorno passato a vagabondare sull'isola, nutrendosi di granchi vivi, il nero trova le tracce degli unici abitanti dell'isola e il caso vuole che sia proprio lo stesso giorno in cui il guardiacaccia è tornato sulla terraferma per fare rifornimento di benzina e viveri. L'incontro con la splendida Evie potrebbe sfociare in tragedia, invece il nero si dimostra un autentico gentiluomo, che cerca solo un fucile, viveri e benzina e che per giunta è disposto a pagare una cifra considerevole per averli. La giovane rimane molto colpita dalla gentilezza dell'estraneo, che si dimostra anche un eccellente musicista jazz, allegro suonatore di clarinetto. Tornato alla sua barca dopo aver mangiato e fumato un presumibile spinello, il nero la danneggerà con un colpo di fucile partito per sbaglio. Traver tornerà così dalla ragazza per cercare l'occorrente per ripararla, trovandola nel frattempo intenta a lavarsi sotto una doccia allestita all'aperto. Il suo turbamento alla vista del corpo della giovane avvolto da un asciugamano sarà notevole, ma il raziocinio e la buona creanza gli permetteranno di resistere alla evidente tentazione. Traver tornerà così alla barca con l'intento di sistemarla e ripartire il più velocemente possibile. Al ritorno del guardiacaccia, Evie gli racconterà tutta la storia, tralasciando il fatto che per il disturbo le siano stati dati ben venti dollari. Partirà così una feroce caccia al negro, considerato come ladro infame, che porterà al suo tentativo di omicidio da parte di Miller. Dopo una serie di aspri contrasti, i due concorderanno un armistizio: Traver potrà restare sull'isola per il tempo necessario a riparare la barca, a condizione però che egli collabori nel portare a termine i numerosi lavori della fattoria. La nuova sistemazione porterà però Evie a dormire nella stessa baracca di Miller e questo sarà fatale per la sua tenera innocenza. La crudeltà del mondo si impossesserà così dell'ingenua fanciulla, ma lei ne uscirà apparentemente senza capire cosa le sia realmente successo. Interessante come in una sequenza limitrofa a quella (fuori campo) dello stupro si veda un tasso penetrare in un pollaio e divorare selvaggiamente una gallina, chiara metafora della ferocia istintuale insita nella natura, anche in quella umana. Il giorno seguente sbarcheranno sull'isola altri due personaggi, il reverendo e il barcaiolo Jackson, portando con sé l'idea per un innovativo progetto riguardante una speculazione edilizia architettata dalla chiesa al fine di sfruttare l'isola a fini turistici, ma porteranno anche la notizia della fuga dalla città di un negro accusato di stupro. Immediatamente la furia razzista dello spietato Jackson e di Miller si scatenerà, rinnovando l'ennesima caccia all'uomo, scappato nel frattempo. Va notato come, nella visione del regista, il reverendo non sia estraneo al pregiudizio razziale, chiedendo infatti di voltare il materasso su cui ha dormito il negro il giorno precedente, in quanto infastidito dall'odore di quest'ultimo. Il pastore si preoccuperà comunque di Evie, portandola con l'inganno a battezzarsi sulle acque del fiume e scoprirà poi della violenza subita dalla giovane. Traver verrà catturato, picchiato e legato ad un palo, ma proclamerà continuamente la sua innocenza, nonostante le torture subite. La sua salvezza arriverà grazie al reverendo che, sentendo la storia e il nome della donna presunta stuprata, si convincerà della sua innocenza e arriverà invece a ricattare Miller per la sua terribile condotta. Notevoli i motivi di interesse della pellicola, primo fra tutti la figura di Evie, tenera inconsapevole lolita, dotata di uno sguardo penetrante e di una recitazione straniata, che non può non richiamare analoghi personaggi, protagonisti dei film di Robert Bresson. In secondo luogo il film smaschera due facce oscure del razzismo, che in Miller viene vissuto e subito come un'imposizione naturale derivante dalla cultura e dalla società; mentre in Jackson si evidenzia l'aspetto più ottuso e inguaribile della mentalità razzista, per la quale il negro non può essere considerato un essere umano, in quanto completamente privo di anima. Infatti vedremo Jackson trattarlo come un animale, provandone quasi pietà, portandogli l'acqua e una sigaretta prima della possibile esecuzione finale. Miller lungo lo svolgersi del film, invece, riuscirà a riconoscere il lato umano del "diverso", arrivando a vedere in lui caratteristiche affini e forse a trovare (nel finale) una sorta di fratellanza, in mezzo alle intemperie della vita. Lo stesso Traver è tratteggiato non come un eroe, ma come un essere umano problematico e complesso, non tutto positivo né tutto negativo. Figura quindi molto diversa da quella del "nero buono e dolce" raffigurato in quegli anni nel cinema di Hollywood ed infatti la pellicola di Buñuel, quando proiettata ad Harlem, causò vibranti proteste della comunità di colore, sfociando in minacce di impiccagione per l'incauto regista, che aveva osato ritrarre Traver non propriamente come un eroe senza macchia. Il capitalismo, poi, nel film è il vero e proprio demone corruttore: la natura è stata resa proprietà privata e anche l'innocente Evie è ormai sensibile solo ai richiami del denaro, essendo apparentemente disposta a tutto pur di avere in cambio banconote e oro. In tal senso, nell'inquietante finale, la vediamo vestita elegantemente, pronta a imbarcarsi per la terraferma, saltellando allegramente sul pontile sopra le sue nuove scarpe col tacco alto (precedente regalo di Miller) Evie appare fremente, con un'evidente voglia di conquista in testa, immagine che non può non richiamare alla mente la condizione femminile attuale, con l'immagine della donna forse irreparabilmente "velinizzata".
“Io voglio far sentire allo spettatore più comune che non vive nel migliore dei mondi possibile” (Luis Buñuel)
09/11/08
Cime tempestose (Luis Bunuel)
Cime tempestose - Abismos de pasión
di Luis Buñuel (1953 MEX 90')
con Jorge Mistral, Irasema Dilian, Lilia Prado, Ernesto Alonso, Luis Aceveda Castaneda
Film maledetto del maestro Buñuel, che cercò di realizzarlo sia nel 1933 che nel 1935, senza però riuscire a trovare un produttore che credesse nel potenziale di una pellicola incentrata su un amore così estremo e totale, come quello raccontato nel libro della Bronte. Personalmente devo dire che è anche stato il film che più ho faticato a reperire negli anni passati. Solo negli ultimi anni infatti ha goduto di un passaggio sul satellite e poi di una proiezione nelle abbacinanti notti di Fuori Orario su Rai Tre. Si tratta di un melodramma a tinte fosche con un inizio che è già tutto un programma: numerosi grossi corvi vengono fatti scappare dai rami secchi di un albero spettrale a causa di un colpo di fucile sparato da un'isterica di nome Catarina. Il marito Eduardo è invece intento ad infilzare insetti di ogni tipo, tra cui una splendida farfalla, per la propria collezione. La bizzarra monotonia della famigliola viene sconvolta dall'arrivo del vigoroso e rancoroso Alejandro, il fratellastro di Catarina, maltrattato in passato dalla sua famiglia, che, dopo anni di esilio e fattosi ricco, ritorna per ottenere la meritata vendetta. Alejandro e Catarina si amano ancora follemente e forse è stata proprio questa passione inopportuna la causa dell'allontanamento di Alejandro in passato. Alejandro sbeffeggia apertamente Eduardo, ritenendolo uno smidollato. Catarina si avvampa di passione vedendo i modi risoluti di Alejandro ed è pronta a saltargli immediatamente tra le braccia. Ma anche la giovane sorella di Eduardo, Isabel, rimane intimamente colpita dalla forza e audacia dell'intruso. Alejandro, oltre a pretendere Catarina come sposa, vuole anche impossessarsi delle proprietà dell'altro fratellastro Ricardo, uno scapestrato ubriacone che ha perso tutto al gioco e che odia Alejandro visceralmente. La trama della pellicola poi prende una piega da telenovela tragica con Isabel e Alejandro che arrivano addirittura a sposarsi. Catarina e Alejandro sono lacerati e divorati dalla passione a tal punto che alternano momenti di amore assoluto ad altri di odio totale e in questa ottica va visto il matrimonio tra Alejandro e Isabel, cioè come un tentativo di far soffrire spietatamente Catarina da parte dell'amante follemente geloso. Tutti i rapporti umani del film sono incentrati sulla crudeltà più assoluta e tutti i personaggi sono tagliati con l'accetta, assolutamente privi di sfumature psicologiche positive. Anche la natura esterna è spoglia e selvaggia e tra le scene del film due rimangono incastonate nel cervello: una è quella dell'uccisione del maiale con il terribile eterno urlo della bestia che ha capito cosa l'aspetta, l'altra è la scena in cui una mosca viene gettata su una grossa ragnatela e immediatamente un feroce ragno esce da un pertugio e la divora, chiara metafora dei rapporti umani nel film.
Ciò che poi rende maledetto il film è il tragico finale in cui Catarina muore di parto e un allucinato Alejandro vaga nel cimitero per ricongiungersi a lei. Quando però Alejandro trova la cripta viene raggiunto da un proiettile proveniente dal fucile di Ricardo. Faticosamente si trascina dentro la tomba dove trova la bara in cui è racchiusa Catarina, in preda ad un'ossessione amorosa fatale Alejandro prima le stringe la mano poi bacia con dolcezza le labbra del suo freddo cadavere. In quel momento ode un gentile richiamo, alza lo sguardo e vede Catarina risorta che lo chiama a sé sulle scale della cripta. Mentre però Alejandro si avvia per raggiungerla,Catarina si tramuta in Ricardo, che armato spara il colpo di grazia sul volto di Alejandro, che viene sbalzato all'indietro stecchito, andando a scivolare proprio dentro la bara fra le braccia della sua amata. Ricardo completa l'opera e rinchiude saldamente la bara. A parte la delirante trama, il film è molto datato e risulta poco credibile, certo non aiutato da un pessimo doppiaggio in italiano dei personaggi. Romanticamente ciò che vale è la rappresentazione dell'amor fou in grado di travolgere qualsiasi cosa, che Buñuel con questo film ci regala, non distante probabilmente dallo spirito originario del romanzo e lontano anni luce dalla melassa hollywoodiana di quegli anni. Va sottolineato anche come un finale del genere negli anni Cinquanta fosse un discreto pugno nello stomaco.
“Nessuna voce che non sia quella della passione potrà condurvi alla felicità”
(Donatien Alphonse François de Sade)
di Luis Buñuel (1953 MEX 90')
con Jorge Mistral, Irasema Dilian, Lilia Prado, Ernesto Alonso, Luis Aceveda Castaneda
Film maledetto del maestro Buñuel, che cercò di realizzarlo sia nel 1933 che nel 1935, senza però riuscire a trovare un produttore che credesse nel potenziale di una pellicola incentrata su un amore così estremo e totale, come quello raccontato nel libro della Bronte. Personalmente devo dire che è anche stato il film che più ho faticato a reperire negli anni passati. Solo negli ultimi anni infatti ha goduto di un passaggio sul satellite e poi di una proiezione nelle abbacinanti notti di Fuori Orario su Rai Tre. Si tratta di un melodramma a tinte fosche con un inizio che è già tutto un programma: numerosi grossi corvi vengono fatti scappare dai rami secchi di un albero spettrale a causa di un colpo di fucile sparato da un'isterica di nome Catarina. Il marito Eduardo è invece intento ad infilzare insetti di ogni tipo, tra cui una splendida farfalla, per la propria collezione. La bizzarra monotonia della famigliola viene sconvolta dall'arrivo del vigoroso e rancoroso Alejandro, il fratellastro di Catarina, maltrattato in passato dalla sua famiglia, che, dopo anni di esilio e fattosi ricco, ritorna per ottenere la meritata vendetta. Alejandro e Catarina si amano ancora follemente e forse è stata proprio questa passione inopportuna la causa dell'allontanamento di Alejandro in passato. Alejandro sbeffeggia apertamente Eduardo, ritenendolo uno smidollato. Catarina si avvampa di passione vedendo i modi risoluti di Alejandro ed è pronta a saltargli immediatamente tra le braccia. Ma anche la giovane sorella di Eduardo, Isabel, rimane intimamente colpita dalla forza e audacia dell'intruso. Alejandro, oltre a pretendere Catarina come sposa, vuole anche impossessarsi delle proprietà dell'altro fratellastro Ricardo, uno scapestrato ubriacone che ha perso tutto al gioco e che odia Alejandro visceralmente. La trama della pellicola poi prende una piega da telenovela tragica con Isabel e Alejandro che arrivano addirittura a sposarsi. Catarina e Alejandro sono lacerati e divorati dalla passione a tal punto che alternano momenti di amore assoluto ad altri di odio totale e in questa ottica va visto il matrimonio tra Alejandro e Isabel, cioè come un tentativo di far soffrire spietatamente Catarina da parte dell'amante follemente geloso. Tutti i rapporti umani del film sono incentrati sulla crudeltà più assoluta e tutti i personaggi sono tagliati con l'accetta, assolutamente privi di sfumature psicologiche positive. Anche la natura esterna è spoglia e selvaggia e tra le scene del film due rimangono incastonate nel cervello: una è quella dell'uccisione del maiale con il terribile eterno urlo della bestia che ha capito cosa l'aspetta, l'altra è la scena in cui una mosca viene gettata su una grossa ragnatela e immediatamente un feroce ragno esce da un pertugio e la divora, chiara metafora dei rapporti umani nel film.
Ciò che poi rende maledetto il film è il tragico finale in cui Catarina muore di parto e un allucinato Alejandro vaga nel cimitero per ricongiungersi a lei. Quando però Alejandro trova la cripta viene raggiunto da un proiettile proveniente dal fucile di Ricardo. Faticosamente si trascina dentro la tomba dove trova la bara in cui è racchiusa Catarina, in preda ad un'ossessione amorosa fatale Alejandro prima le stringe la mano poi bacia con dolcezza le labbra del suo freddo cadavere. In quel momento ode un gentile richiamo, alza lo sguardo e vede Catarina risorta che lo chiama a sé sulle scale della cripta. Mentre però Alejandro si avvia per raggiungerla,Catarina si tramuta in Ricardo, che armato spara il colpo di grazia sul volto di Alejandro, che viene sbalzato all'indietro stecchito, andando a scivolare proprio dentro la bara fra le braccia della sua amata. Ricardo completa l'opera e rinchiude saldamente la bara. A parte la delirante trama, il film è molto datato e risulta poco credibile, certo non aiutato da un pessimo doppiaggio in italiano dei personaggi. Romanticamente ciò che vale è la rappresentazione dell'amor fou in grado di travolgere qualsiasi cosa, che Buñuel con questo film ci regala, non distante probabilmente dallo spirito originario del romanzo e lontano anni luce dalla melassa hollywoodiana di quegli anni. Va sottolineato anche come un finale del genere negli anni Cinquanta fosse un discreto pugno nello stomaco.
“Nessuna voce che non sia quella della passione potrà condurvi alla felicità”
(Donatien Alphonse François de Sade)
08/11/08
Sisifo (Matteo Botrugno & Daniele Coluccini)
Sisifo
un cortometraggio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Soggetto di Andrea Esposito
Sceneggiatura di Daniele Coluccini, Matteo Botrugno, Andrea Esposito
Interprete: Simone Crisari
Rapporto confidenziale -
Rivista digitale di cultura cinematografica
presenta, in anteprima
21 novembre 2008, ore 21.30
presso
Living Room Club
Lugano, via Trevano 89A
nel corso della serata, verranno proiettati anche Chrysalis e EUROPA (2007), di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Sinossi
Un uomo legge il giornale seduto ad un tavolo. Non si accorge che la stanza in cui è rinchiuso non ha porte, così come sembra non sentire i forti rumori provenienti dall’esterno. Qualche goccia di sangue gli esce dalla bocca. L’uomo si alza e si dirige verso lo specchio. A sanguinare è un dente: se lo estrae con forza e nota che la radice ha un aspetto anomalo. Da quel momento in poi l’uomo inizierà a prendere pian piano consapevolezza del mondo che lo circonda e della sua “missione”.
Note di regia
Sisifo è un viaggio nel corpo e nella psiche di un essere umano. Come nel mito di riferimento (in cui l’eroe condannato da Zeus spinge un masso fin sulla vetta di un monte per poi vederlo cadere e dover ripetere la sua fatica per l’eternità), il protagonista del cortometraggio è costretto ad auto-infliggersi una punizione corporale che, secondo lui, dovrebbe fargli trovare una via di fuga. Il film è costruito come un crescendo musicale, in cui pian piano l’uomo riesce a prendere consapevolezza della sua condizione di prigioniero. La speranza di poter superare le mura della sua prigione lo illudono fino a spegnere in lui ogni barlume di ragione. Ogni dente estratto è un passo in avanti verso una nuova scoperta. La sofferenza lascia spazio prima alla cieca caparbia e, successivamente, alla consapevolezza di aver agito inutilmente. La ciclicità e l’inutilità della “fatica” di Sisifo o, se vogliamo, di ogni essere umano, viene descritta con queste semplici e profonde parole di Albert Camus, autore de Le mythe de Sisife: “Il vivere sotto un tal cielo soffocante richiede che se ne esca o che vi si rimanga. Si tratta di sapere come se ne esca nel primo caso e perché si resti nel secondo”. Terzo capitolo della Trilogia della Prigione (preceduto da Chrysalis ed EUROPA), Sisifo è un racconto filosofico, carico del fascino della narrazione mitica, mascherato da horror.
un cortometraggio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Soggetto di Andrea Esposito
Sceneggiatura di Daniele Coluccini, Matteo Botrugno, Andrea Esposito
Interprete: Simone Crisari
Rapporto confidenziale -
Rivista digitale di cultura cinematografica
presenta, in anteprima
21 novembre 2008, ore 21.30
presso
Living Room Club
Lugano, via Trevano 89A
nel corso della serata, verranno proiettati anche Chrysalis e EUROPA (2007), di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini
Sinossi
Un uomo legge il giornale seduto ad un tavolo. Non si accorge che la stanza in cui è rinchiuso non ha porte, così come sembra non sentire i forti rumori provenienti dall’esterno. Qualche goccia di sangue gli esce dalla bocca. L’uomo si alza e si dirige verso lo specchio. A sanguinare è un dente: se lo estrae con forza e nota che la radice ha un aspetto anomalo. Da quel momento in poi l’uomo inizierà a prendere pian piano consapevolezza del mondo che lo circonda e della sua “missione”.
Note di regia
Sisifo è un viaggio nel corpo e nella psiche di un essere umano. Come nel mito di riferimento (in cui l’eroe condannato da Zeus spinge un masso fin sulla vetta di un monte per poi vederlo cadere e dover ripetere la sua fatica per l’eternità), il protagonista del cortometraggio è costretto ad auto-infliggersi una punizione corporale che, secondo lui, dovrebbe fargli trovare una via di fuga. Il film è costruito come un crescendo musicale, in cui pian piano l’uomo riesce a prendere consapevolezza della sua condizione di prigioniero. La speranza di poter superare le mura della sua prigione lo illudono fino a spegnere in lui ogni barlume di ragione. Ogni dente estratto è un passo in avanti verso una nuova scoperta. La sofferenza lascia spazio prima alla cieca caparbia e, successivamente, alla consapevolezza di aver agito inutilmente. La ciclicità e l’inutilità della “fatica” di Sisifo o, se vogliamo, di ogni essere umano, viene descritta con queste semplici e profonde parole di Albert Camus, autore de Le mythe de Sisife: “Il vivere sotto un tal cielo soffocante richiede che se ne esca o che vi si rimanga. Si tratta di sapere come se ne esca nel primo caso e perché si resti nel secondo”. Terzo capitolo della Trilogia della Prigione (preceduto da Chrysalis ed EUROPA), Sisifo è un racconto filosofico, carico del fascino della narrazione mitica, mascherato da horror.
07/11/08
El (Luis Bunuel)
El
di Luis Buñuel (1952 MEX 92')
con Arturo de Cordova, Delia Garces, Luis Beristain, Aurora Walker, Carlos Martinez Baena
Si tratta di una sarcastica vivisezione dei meandri della mente di uno psicopatico paranoico di nome Francisco Galvan. Francisco è all'apparenza un elegante benestante di quarant'anni, fervente cattolico e morigerato borghese, stimato e ammirato da tutti per la sobrietà dei suoi costumi e per la sua dirittura morale. Nessuno sospetta che dietro tale facciata immacolata si celi un possessivo paranoico feticista della peggior risma...Il film si apre beffardamente in chiesa durante le celebrazioni del Giovedì Santo e più precisamente durante il rito del lavaggio dei piedi dei bambini poveri in cui vediamo Francisco assistere al cerimoniale in qualità di Cavaliere del Santo Sacramento. Tutto procede normale fino a quando Francisco non nota un eccesso di compiacimento nel bacio portato da padre Velasco al piede di un fanciullo. La sottile ambiguità della situazione porta il pio Francisco a distogliere lo sguardo dalla scena e a rivolgerlo verso le gambe dei fedeli assorti nella preghiera. Tra queste la sua attenzione viene sorprendentemente attratta da un paio di piedi raffinati avvolti da eleganti calzature, appartenenti ad una bella giovane, che pare turbata dallo sguardo dell'uomo. Inaspettatamente, alla vista della donna, tutta l'anima di Francisco viene scossa da un fremito di passione inarrestabile e questo impulso travolgente, sconvenientemente, lo porta a cercare di conoscere immediatamente la ragazza attraverso lo scambio dell'acqua santa all'uscita della chiesa. Ritornato nella sua splendida casa, che ricorda le opere architettoniche di Gaudì, Francisco è visibilmente scosso, situazione anomala per lui arrivato a quaranta anni ancora beatamente vergine. Dalla sua vita monastica è infatti sempre stata tenuta lontana ogni lascivia ed egli quel giorno stesso non esita un secondo a licenziare la cameriera, quando scopre della sua tresca col maggiordomo. E qui si evidenzia già un tarlo di Francisco: per lui la donna è colpevole a priori, anche in un caso come quello della sua servitù in cui è stato palesemente l'uomo a sedurre (o violentare?) la donna. Nei giorni successivi alcuni piccoli particolari evidenziano la personalità maniacale di Francisco, come quando lo vediamo raddrizzare i quadri storti alle pareti o quando si arrabbia se i tomi nella libreria non sono perfettamente allineati. Il caso e un'ostinata ricerca fanno sì che Francisco ritrovi la sua ossessione, la bella giovane di nome Gloria, durante una festa in casa dell'amico ingegnere Raùl. La ragazza è però la fidanzata di quest'ultimo, ma Francisco non si scoraggia e sfodera tutto il suo stile e la sua dolcezza pur di conquistarla...ci riesce grazie a delle parole che il geniale Buñuel non ci fa ascoltare, in quanto Francisco le pronuncia mentre i due sono schermati da un vetro di una finestra. Espediente questo che in seguito riprenderanno in tanti, non ultimo Kieslowski nella sua trilogia. Da lì al matrimonio il passo tra i due è breve e Francisco vede finalmente nella donna realizzati tutti i suoi sogni e le sue illusioni. Durante il viaggio di nozze però la situazione prende una piega inaspettata e una domanda insistente di Francisco perseguita la fanciulla: “A chi stai pensando?”. L'uomo sostiene che la moglie gli debba confessare tutto sulle sue storie precedenti, perché per lui vivere nel dubbio è veramente intollerabile. La situazione precipita quando i due incontrano un vecchio amico di lei, Riccardo, che si abbandona ad una serie di languidi apprezzamenti sulla bellezza della giovane. Per Francisco è la goccia che fa traboccare il vaso, il suo onore e la sua reputazione rischiano di essere irrimediabilmente rovinati. All'incontro segue una furibonda scenata di gelosia che preoccupa la ragazza. Dopo pochi minuti però Francisco si scusa per aver perso la testa e chiede gentilmente di dimenticare l'accaduto. Il destino però è beffardo in quanto i due si ritrovano Riccardo sia come vicino di tavolo, che addirittura come vicino di camera. Francisco a questo punto perde completamente le staffe, nella convinzione che il rivale lo derida e si prenda gioco di lui, tanto da arrivare ad infilare un lungo spillone nella serratura della porta tra le due stanze con l'intenzione di accecare il presunto voyeur. La paranoia lo porterà a scontrarsi fisicamente col rivale, rimediandone un paio di ceffoni. Al termine della querelle si rivolgerà alla moglie dicendo: “sei tu la responsabile di tutto questo!”. Il rientro a casa sarà terribile per la donna, forzatamente isolata persino dai suoi familiari più stretti e succube dei continui e immotivati sbalzi d'umore del marito. Nel rapporto di coppia Francisco appare assente e l'unico momento di risveglio erotico ce l'ha una sera a cena quando dopo l'ennesimo litigio, vede casualmente sotto il tavolo gli straordinari piedi della donna e viene così colto da un'istantanea irrefrenabile passione. La lucidità di Francisco traballa anche a causa di un problema legale su alcuni suoi terreni, egli vede ingiustizie dappertutto e vaga da un avvocato all'altro con la sensazione di essere vittima di un complotto. Una sera in cui è in buona chiede alla moglie di essere gentile verso il suo nuovo avvocato durante una festa nella loro dimora. La gelosia nel vederli ballare insieme però sarà esplosiva, tanto che Francisco prima sparerà alla donna con una pistola caricata a salve e poi arriverà a portarla sul campanile di una cattedrale con l'intenzione di strangolarla. Sul campanile, prima di aggredirla, Francisco svela il suo pensiero sul genere umano, vedendoli dall'alto gli omini gli appaiono come vermi che strisciano sulla terra e così esclama “Mi piacerebbe essere Dio per schiacciarli! Odio la felicità degli stupidi!”. Da notare come la scena del campanile sia poi stata ripresa da Hitchcock per il suo “Vertigo”.
Successivamente Francisco dirà che i due tentativi di uxoricidio non erano altro che un perfido scherzo da lui architettato per punire e spaventare la moglie infedele. La moglie cercherà invano aiuto dalla madre e dal prete, a tutti sembrerà però impossibile che il mansueto Francisco sia stato capace di tali aberrazioni.
Mentre Gloria vaga disperata per le strade della città incontra casualmente Raùl e gli racconta le sue disavventure. Al rientro a casa Francisco è appostato su un'altura e vede la moglie scendere da un auto guidata da un uomo. Immediatamente affronta la donna chiedendo spiegazioni. Trasale poi di rabbia quando scopre che la donna ha rivelato all'ex amante i particolari della loro intimità. La notte stessa Francisco è teso e stizzito e prima sale la scalinata a zigzag, poi sbatte ritmicamente una sbarra divelta sulle scale di casa. In piena notte, invasato dalla rabbia, prepara la sua terribile vendetta, armandosi di lametta, forbici, ago, filo e una robusta corda. Così attrezzato si dirige verso la camera della moglie con la palese intenzione di risolvere il problema alla radice. Ma mentre sta legando i polsi della donna, questa si sveglia e inizia a urlare a squarciagola, tanto da far ritornare sui propri passi l'uomo, che corre a rifugiarsi nella sua stanza, piangendo e disperandosi al pensiero dell'infamia che lo ha investito. In seguito si addormenta vestito e stravolto, per essere poi risvegliato dal maggiordomo che gli dice che la moglie è scappata. Francisco implode totalmente, beve un liquore e carica la pistola, prendendola con sé e partendo alla ricerca della moglie fedifraga. Vaga per la città, recandosi a casa dell'ingegnere senza trovarvi nessuno, poi stravolto dalla follia vede la moglie truccarsi a bordo di un auto. La insegue e la vede entrare in chiesa abbracciata a Raùl. Nel momento in cui sta per sparare si rende però conto di avere avuto un'allucinazione e piange disperato su una panca della chiesa, ma un colpo di tosse di un vecchio passante innesca una serie di allucinazioni visive e uditive che gli fanno credere che l'intera chiesa lo stia deridendo e dileggiando. Quando poi vede l'amico padre Velasco sull'altare schernirlo e fargli il segno delle corna, non ci vede più e lo aggredisce selvaggiamente per tentare di strangolarlo. Molti anni dopo ritroviamo Francisco in un convento, il giorno in cui Gloria e Raùl, ora sposati e con un figlio di nome Francisco, si vanno a informare sulle sue condizioni di salute. Il padre priore dice che Francisco è stato in tutti quegli anni incredibilmente umile e buono e ha sempre tenuto un comportamento esemplare. Alla domanda se il bambino sia figlio loro o di Francisco i due evitano di rispondere, per poi allontanarsi frettolosamente. Il padre priore successivamente si reca da Francisco e questi dice di aver visto tutto, che poi non si sbagliava di tanto e che il tempo gli ha dato ragione. Chiede inoltre se il bambino sia di Raùl. Il padre priore annuisce e dichiara che solo la fede ora può aiutare Francisco. Francisco appare convinto e dice di aver raggiunto la pace dell'anima grazie alla preghiera. Ma vediamo che allontanandosi lungo il viale ha ripreso la sua inquietante camminata a zigzag, sicuro preludio di future catastrofi. Buñuel parlando del film rivela che: “è forse il film in cui ho messo più di mio. C'è nel protagonista qualcosa che mi appartiene”. Ed infatti è proprio Buñuel stesso che interpreta il protagonista di spalle nell'ultima scena del film, quella della camminata a zigzag nel convento. Che il film sia un capolavoro non ci sono dubbi, talmente è ricco di fini sfaccettature psicologiche e gustosi momenti di tagliente umorismo nero. Lo dimostra anche il fatto che il famoso psichiatra Jacques Lacan lo ha utilizzato come materiale didattico durante le sue lezioni sulla paranoia, per presentare il concetto psicanalitico di gelosia come omosessualità repressa. Chi altro negli anni Cinquanta riusciva a fare film con questa modernità di linguaggio e con questa sconcertante capacità introspettiva? Buñuel rules!
di Luis Buñuel (1952 MEX 92')
con Arturo de Cordova, Delia Garces, Luis Beristain, Aurora Walker, Carlos Martinez Baena
Si tratta di una sarcastica vivisezione dei meandri della mente di uno psicopatico paranoico di nome Francisco Galvan. Francisco è all'apparenza un elegante benestante di quarant'anni, fervente cattolico e morigerato borghese, stimato e ammirato da tutti per la sobrietà dei suoi costumi e per la sua dirittura morale. Nessuno sospetta che dietro tale facciata immacolata si celi un possessivo paranoico feticista della peggior risma...Il film si apre beffardamente in chiesa durante le celebrazioni del Giovedì Santo e più precisamente durante il rito del lavaggio dei piedi dei bambini poveri in cui vediamo Francisco assistere al cerimoniale in qualità di Cavaliere del Santo Sacramento. Tutto procede normale fino a quando Francisco non nota un eccesso di compiacimento nel bacio portato da padre Velasco al piede di un fanciullo. La sottile ambiguità della situazione porta il pio Francisco a distogliere lo sguardo dalla scena e a rivolgerlo verso le gambe dei fedeli assorti nella preghiera. Tra queste la sua attenzione viene sorprendentemente attratta da un paio di piedi raffinati avvolti da eleganti calzature, appartenenti ad una bella giovane, che pare turbata dallo sguardo dell'uomo. Inaspettatamente, alla vista della donna, tutta l'anima di Francisco viene scossa da un fremito di passione inarrestabile e questo impulso travolgente, sconvenientemente, lo porta a cercare di conoscere immediatamente la ragazza attraverso lo scambio dell'acqua santa all'uscita della chiesa. Ritornato nella sua splendida casa, che ricorda le opere architettoniche di Gaudì, Francisco è visibilmente scosso, situazione anomala per lui arrivato a quaranta anni ancora beatamente vergine. Dalla sua vita monastica è infatti sempre stata tenuta lontana ogni lascivia ed egli quel giorno stesso non esita un secondo a licenziare la cameriera, quando scopre della sua tresca col maggiordomo. E qui si evidenzia già un tarlo di Francisco: per lui la donna è colpevole a priori, anche in un caso come quello della sua servitù in cui è stato palesemente l'uomo a sedurre (o violentare?) la donna. Nei giorni successivi alcuni piccoli particolari evidenziano la personalità maniacale di Francisco, come quando lo vediamo raddrizzare i quadri storti alle pareti o quando si arrabbia se i tomi nella libreria non sono perfettamente allineati. Il caso e un'ostinata ricerca fanno sì che Francisco ritrovi la sua ossessione, la bella giovane di nome Gloria, durante una festa in casa dell'amico ingegnere Raùl. La ragazza è però la fidanzata di quest'ultimo, ma Francisco non si scoraggia e sfodera tutto il suo stile e la sua dolcezza pur di conquistarla...ci riesce grazie a delle parole che il geniale Buñuel non ci fa ascoltare, in quanto Francisco le pronuncia mentre i due sono schermati da un vetro di una finestra. Espediente questo che in seguito riprenderanno in tanti, non ultimo Kieslowski nella sua trilogia. Da lì al matrimonio il passo tra i due è breve e Francisco vede finalmente nella donna realizzati tutti i suoi sogni e le sue illusioni. Durante il viaggio di nozze però la situazione prende una piega inaspettata e una domanda insistente di Francisco perseguita la fanciulla: “A chi stai pensando?”. L'uomo sostiene che la moglie gli debba confessare tutto sulle sue storie precedenti, perché per lui vivere nel dubbio è veramente intollerabile. La situazione precipita quando i due incontrano un vecchio amico di lei, Riccardo, che si abbandona ad una serie di languidi apprezzamenti sulla bellezza della giovane. Per Francisco è la goccia che fa traboccare il vaso, il suo onore e la sua reputazione rischiano di essere irrimediabilmente rovinati. All'incontro segue una furibonda scenata di gelosia che preoccupa la ragazza. Dopo pochi minuti però Francisco si scusa per aver perso la testa e chiede gentilmente di dimenticare l'accaduto. Il destino però è beffardo in quanto i due si ritrovano Riccardo sia come vicino di tavolo, che addirittura come vicino di camera. Francisco a questo punto perde completamente le staffe, nella convinzione che il rivale lo derida e si prenda gioco di lui, tanto da arrivare ad infilare un lungo spillone nella serratura della porta tra le due stanze con l'intenzione di accecare il presunto voyeur. La paranoia lo porterà a scontrarsi fisicamente col rivale, rimediandone un paio di ceffoni. Al termine della querelle si rivolgerà alla moglie dicendo: “sei tu la responsabile di tutto questo!”. Il rientro a casa sarà terribile per la donna, forzatamente isolata persino dai suoi familiari più stretti e succube dei continui e immotivati sbalzi d'umore del marito. Nel rapporto di coppia Francisco appare assente e l'unico momento di risveglio erotico ce l'ha una sera a cena quando dopo l'ennesimo litigio, vede casualmente sotto il tavolo gli straordinari piedi della donna e viene così colto da un'istantanea irrefrenabile passione. La lucidità di Francisco traballa anche a causa di un problema legale su alcuni suoi terreni, egli vede ingiustizie dappertutto e vaga da un avvocato all'altro con la sensazione di essere vittima di un complotto. Una sera in cui è in buona chiede alla moglie di essere gentile verso il suo nuovo avvocato durante una festa nella loro dimora. La gelosia nel vederli ballare insieme però sarà esplosiva, tanto che Francisco prima sparerà alla donna con una pistola caricata a salve e poi arriverà a portarla sul campanile di una cattedrale con l'intenzione di strangolarla. Sul campanile, prima di aggredirla, Francisco svela il suo pensiero sul genere umano, vedendoli dall'alto gli omini gli appaiono come vermi che strisciano sulla terra e così esclama “Mi piacerebbe essere Dio per schiacciarli! Odio la felicità degli stupidi!”. Da notare come la scena del campanile sia poi stata ripresa da Hitchcock per il suo “Vertigo”.
Successivamente Francisco dirà che i due tentativi di uxoricidio non erano altro che un perfido scherzo da lui architettato per punire e spaventare la moglie infedele. La moglie cercherà invano aiuto dalla madre e dal prete, a tutti sembrerà però impossibile che il mansueto Francisco sia stato capace di tali aberrazioni.
Mentre Gloria vaga disperata per le strade della città incontra casualmente Raùl e gli racconta le sue disavventure. Al rientro a casa Francisco è appostato su un'altura e vede la moglie scendere da un auto guidata da un uomo. Immediatamente affronta la donna chiedendo spiegazioni. Trasale poi di rabbia quando scopre che la donna ha rivelato all'ex amante i particolari della loro intimità. La notte stessa Francisco è teso e stizzito e prima sale la scalinata a zigzag, poi sbatte ritmicamente una sbarra divelta sulle scale di casa. In piena notte, invasato dalla rabbia, prepara la sua terribile vendetta, armandosi di lametta, forbici, ago, filo e una robusta corda. Così attrezzato si dirige verso la camera della moglie con la palese intenzione di risolvere il problema alla radice. Ma mentre sta legando i polsi della donna, questa si sveglia e inizia a urlare a squarciagola, tanto da far ritornare sui propri passi l'uomo, che corre a rifugiarsi nella sua stanza, piangendo e disperandosi al pensiero dell'infamia che lo ha investito. In seguito si addormenta vestito e stravolto, per essere poi risvegliato dal maggiordomo che gli dice che la moglie è scappata. Francisco implode totalmente, beve un liquore e carica la pistola, prendendola con sé e partendo alla ricerca della moglie fedifraga. Vaga per la città, recandosi a casa dell'ingegnere senza trovarvi nessuno, poi stravolto dalla follia vede la moglie truccarsi a bordo di un auto. La insegue e la vede entrare in chiesa abbracciata a Raùl. Nel momento in cui sta per sparare si rende però conto di avere avuto un'allucinazione e piange disperato su una panca della chiesa, ma un colpo di tosse di un vecchio passante innesca una serie di allucinazioni visive e uditive che gli fanno credere che l'intera chiesa lo stia deridendo e dileggiando. Quando poi vede l'amico padre Velasco sull'altare schernirlo e fargli il segno delle corna, non ci vede più e lo aggredisce selvaggiamente per tentare di strangolarlo. Molti anni dopo ritroviamo Francisco in un convento, il giorno in cui Gloria e Raùl, ora sposati e con un figlio di nome Francisco, si vanno a informare sulle sue condizioni di salute. Il padre priore dice che Francisco è stato in tutti quegli anni incredibilmente umile e buono e ha sempre tenuto un comportamento esemplare. Alla domanda se il bambino sia figlio loro o di Francisco i due evitano di rispondere, per poi allontanarsi frettolosamente. Il padre priore successivamente si reca da Francisco e questi dice di aver visto tutto, che poi non si sbagliava di tanto e che il tempo gli ha dato ragione. Chiede inoltre se il bambino sia di Raùl. Il padre priore annuisce e dichiara che solo la fede ora può aiutare Francisco. Francisco appare convinto e dice di aver raggiunto la pace dell'anima grazie alla preghiera. Ma vediamo che allontanandosi lungo il viale ha ripreso la sua inquietante camminata a zigzag, sicuro preludio di future catastrofi. Buñuel parlando del film rivela che: “è forse il film in cui ho messo più di mio. C'è nel protagonista qualcosa che mi appartiene”. Ed infatti è proprio Buñuel stesso che interpreta il protagonista di spalle nell'ultima scena del film, quella della camminata a zigzag nel convento. Che il film sia un capolavoro non ci sono dubbi, talmente è ricco di fini sfaccettature psicologiche e gustosi momenti di tagliente umorismo nero. Lo dimostra anche il fatto che il famoso psichiatra Jacques Lacan lo ha utilizzato come materiale didattico durante le sue lezioni sulla paranoia, per presentare il concetto psicanalitico di gelosia come omosessualità repressa. Chi altro negli anni Cinquanta riusciva a fare film con questa modernità di linguaggio e con questa sconcertante capacità introspettiva? Buñuel rules!
05/11/08
Estasi di un delitto (Luis Bunuel)
Estasi di un delitto - Ensayo de un crimen
di Luis Buñuel (1955 MEX 89')
con Ernesto Alonso, Miroslava Stern, Ariadna Welter, Rita Macedo.
Emerson a proposito del buon romanziere dichiarava: “il romanziere avrà degnamente assolto la sua missione quando avrà spazzato via il convenzionalismo che ne copre o distorce la natura, avrà distrutto l'ottimismo del mondo borghese e avrà costretto il lettore a dubitare della perennità dell'ordine esistente, anche senza prendere apertamente posizione...”. Questa frase si coniuga alla perfezione con l'idea di cinema di Luis Buñuel e questo folgorante “Estasi di un delitto” non fa che metterne in atto gli assunti. Si tratta della storia di un omicida in potenza, di nome Archibaldo de la Cruz, cioè di un assassino che per motivi e condizioni fortuite non riesce a mettere in pratica i delitti da lui accuratamente pianificati e immaginati.
Si tratta anche della storia delle ossessioni di un feticista, rimasto invischiato in un complesso di Edipo irrisolto e perennemente frustrato da situazioni esterne casuali al momento della piena soddisfazione del suo desiderio. L'ironia e lo humour nero di Buñuel fanno in modo che il film scorra fluido e lieve, apparentemente con i modi di una farsa ben architettata, in realtà le allusioni al legame inscindibile tra erotismo e morte affiorano ripetutamente dalle immagini sullo schermo, andando a scardinare le certezze dello spettatore di allora e di oggi.
La storia ha inizio con Archibaldo, bambino benestante e viziato, scoperto e sgridato dalla baby-sitter perché trovato rinchiuso dentro un armadio con addosso i vestiti della madre. Da quel momento il piccolo Archibaldo proverà intenso odio verso la donna che si è frapposta alla soddisfazione del proprio piacere. In una sequenza successiva la madre, superficiale e distante, regala al piccolo un carillon con una ballerina danzante, pur di poter andare liberamente a teatro, lasciando Archibaldo in custodia alla baby-sitter. Quest'ultima, vedendo il regalo, racconta al bambino una favola in cui quel carillon ha il potere magico di sopprimere le persone che sono causa della sua rabbia o della sua paura. Il piccolo aziona così il carillon con un intento ben preciso, mentre si odono grida e spari provenienti dalla strada sottostante...la rivoluzione intanto è iniziata e si sta spandendo a macchia d'olio...la baby-sitter incuriosita si affaccia alla finestra e, mentre Archibaldo la sta osservando, una pallottola vagante la colpisce alla giugulare facendola cadere a terra senza vita. Archibaldo si sente l'autore del delitto e avverte così un'ebbrezza di potenza, ritenendosi in grado di poter gestire la vita delle persone grazie al carillon, e provando un ambiguo e intenso piacere alla vista delle cosce bianche della donna con reggicalze nero e anche del sangue sul suo collo.
Nelle immagini successive scopriamo che Archibaldo sta raccontando questa storia ad una suora-infermiera che lo accudisce, in quanto ricoverato per disturbi nervosi, ma il rievocare la sua ossessione lo fa di nuovo uscire dai binari, fino ad arrivare a minacciare la suora con uno dei sette rasoi che gelosamente colleziona e custodisce in un'apposita scatola. La suora spaventata dalla scena scappa, andando a cercare riparo nel vano dell'ascensore, non rendendosi però conto che l'ascensore non c'è...il risultato sarà un volo con successivo micidiale schianto al terreno.
Sconvolto da sé stesso, Archibaldo andrà a confessare i propri crimini immaginari al commissario di polizia, che lo liquiderà con un “si compri un bel rasoio elettrico...e speriamo bene...non sarà comunque l'unico a piede libero”.
Il film ripercorre in flashback tutto il resto della vita di Archibaldo, incentrata sulla permanente fusione tra realtà e inconscio e sulla ricerca dell'immagine materna nelle donne che incontra. Vedremo come il ritrovare il vecchio carillon in una bottega di un antiquario e risentire il tema musicale lo porterà ad una regressione infantile nel limbo delle sue ossessioni (Archibaldo beve solo latte...). Tre donne saranno al centro del racconto, ognuna simbolica di una determinata femminilità e di ognuna Archibaldo immaginerà l'assassinio. La prima è una donna isterica e provocante, che seduce e domina gli uomini che la circondano, compagna di un ricco anziano che ritiene che sia “preferibile essere ingannati, piuttosto che rinunciare alle illusioni”, praticamente una puttana. La seconda è la fidanzata di Archibaldo, tenera fanciulla di buona famiglia e fervida credente, praticamente una santa. Tra le due c'è Lavinia, misteriosa ed enigmatica modella, che sbarca il lunario accompagnando turisti americani lungo il Messico e che è sempre controllata a distanza da un anziano compagno. Archibaldo la vede nel negozio dell'antiquario e poi la rivede in un bar avvolta tra le fiamme di un punch al rum, “donna inafferrabile e sintesi perfetta tra virtù e peccato”...subito mette in moto le sue doti da seduttore impenitente. In seguito scoprirà che la donna posa per la creazione di manichini messicani usati per saloni di bellezza e questa evenienza non farà altro che stuzzicare il feticismo dell'uomo, che organizzerà un incontro con la donna nella sua casa, a fianco di un manichino/copia perfetta di Lavinia. Archibaldo vista la riluttanza della donna a cedere alle sue avances, inizierà a corteggiare e baciare il manichino, andando a stimolare le fantasie di Lavinia, che successivamente arriverà a scambiarsi vestiti e indumenti intimi con la propria copia perfetta.
Anche in questo caso l'omicidio architettato fallirà per una serie di casualità indipendenti dalla volontà dell'uomo e Archibaldo si ritroverà con in mano solo il manichino della donna. Sublimerà il suo desiderio e sfogherà la sua rabbia su quest'ultimo, facendolo ardere nel forno per ceramica, che solitamente usa per creare i suoi vasi. Va notato come nel trasporto verso il forno il manichino perderà una gamba, menomazione che preannuncia quella della Deneuve in “Tristana”. In seguito, grazie ad una lettera anonima, Archibaldo scoprirà che l'apparentemente virginale fidanzata lo tradisce con un architetto sposato. E così si chiude il cerchio e come dice Edoardo Bruno: “ognuno è diverso da quel che appare con gli abiti di un perbenismo assurdo, ingeneroso frutto di convenzioni e di conformismo. Tutto il film è un continuo sussurrare dietro le quinte, un continuo svelare, dietro la facciata dell'apparenza, una realtà diversa...”. A questo punto Archibaldo immagina di uccidere dopo il matrimonio anche la sua fidanzata, ma sarà invece l'amante abbandonato a farlo all'uscita della chiesa, dopo la celebrazione del matrimonio con Archibaldo. Il rito del matrimonio è un occasione che consente a Buñuel di mettere alla berlina l'ipocrisia della società, rappresentando in disparte alla cerimonia un prete, un generale e il commissario della polizia che dialogano sulla bellezza e importanza del matrimonio religioso rispetto a quello civile. Nel finale Archibaldo dopo una breve riflessione, che sembra una seduta di auto-psicanalisi, decide di gettare il carillon nel lago, acquistando immediatamente un nuovo vigore...ora non gli resta che la libertà di essere sé stesso. Passeggiando per il parco, risparmia la vita ad una cavalletta su un albero, scena che richiama quella di “Monsieur Verdoux” con la lumaca, per poi incontrare fortuitamente la bella Lavinia, dichiararle il proprio amore e allontanarsi felice abbracciandola. In termini psicanalitici la perdita del feticcio non può fare altro che precipitare il protagonista nella paranoia, ma il finale aperto ci fa restare nel dubbio. La realtà successiva però ammanta il film di un'aura oscura, l'attrice Miroslava Stern, che nel film interpreta Lavinia, si suiciderà una ventina di giorni dopo la fine delle riprese e il suo corpo verrà cremato, come da lei precedentemente disposto...
di Luis Buñuel (1955 MEX 89')
con Ernesto Alonso, Miroslava Stern, Ariadna Welter, Rita Macedo.
Emerson a proposito del buon romanziere dichiarava: “il romanziere avrà degnamente assolto la sua missione quando avrà spazzato via il convenzionalismo che ne copre o distorce la natura, avrà distrutto l'ottimismo del mondo borghese e avrà costretto il lettore a dubitare della perennità dell'ordine esistente, anche senza prendere apertamente posizione...”. Questa frase si coniuga alla perfezione con l'idea di cinema di Luis Buñuel e questo folgorante “Estasi di un delitto” non fa che metterne in atto gli assunti. Si tratta della storia di un omicida in potenza, di nome Archibaldo de la Cruz, cioè di un assassino che per motivi e condizioni fortuite non riesce a mettere in pratica i delitti da lui accuratamente pianificati e immaginati.
Si tratta anche della storia delle ossessioni di un feticista, rimasto invischiato in un complesso di Edipo irrisolto e perennemente frustrato da situazioni esterne casuali al momento della piena soddisfazione del suo desiderio. L'ironia e lo humour nero di Buñuel fanno in modo che il film scorra fluido e lieve, apparentemente con i modi di una farsa ben architettata, in realtà le allusioni al legame inscindibile tra erotismo e morte affiorano ripetutamente dalle immagini sullo schermo, andando a scardinare le certezze dello spettatore di allora e di oggi.
La storia ha inizio con Archibaldo, bambino benestante e viziato, scoperto e sgridato dalla baby-sitter perché trovato rinchiuso dentro un armadio con addosso i vestiti della madre. Da quel momento il piccolo Archibaldo proverà intenso odio verso la donna che si è frapposta alla soddisfazione del proprio piacere. In una sequenza successiva la madre, superficiale e distante, regala al piccolo un carillon con una ballerina danzante, pur di poter andare liberamente a teatro, lasciando Archibaldo in custodia alla baby-sitter. Quest'ultima, vedendo il regalo, racconta al bambino una favola in cui quel carillon ha il potere magico di sopprimere le persone che sono causa della sua rabbia o della sua paura. Il piccolo aziona così il carillon con un intento ben preciso, mentre si odono grida e spari provenienti dalla strada sottostante...la rivoluzione intanto è iniziata e si sta spandendo a macchia d'olio...la baby-sitter incuriosita si affaccia alla finestra e, mentre Archibaldo la sta osservando, una pallottola vagante la colpisce alla giugulare facendola cadere a terra senza vita. Archibaldo si sente l'autore del delitto e avverte così un'ebbrezza di potenza, ritenendosi in grado di poter gestire la vita delle persone grazie al carillon, e provando un ambiguo e intenso piacere alla vista delle cosce bianche della donna con reggicalze nero e anche del sangue sul suo collo.
Nelle immagini successive scopriamo che Archibaldo sta raccontando questa storia ad una suora-infermiera che lo accudisce, in quanto ricoverato per disturbi nervosi, ma il rievocare la sua ossessione lo fa di nuovo uscire dai binari, fino ad arrivare a minacciare la suora con uno dei sette rasoi che gelosamente colleziona e custodisce in un'apposita scatola. La suora spaventata dalla scena scappa, andando a cercare riparo nel vano dell'ascensore, non rendendosi però conto che l'ascensore non c'è...il risultato sarà un volo con successivo micidiale schianto al terreno.
Sconvolto da sé stesso, Archibaldo andrà a confessare i propri crimini immaginari al commissario di polizia, che lo liquiderà con un “si compri un bel rasoio elettrico...e speriamo bene...non sarà comunque l'unico a piede libero”.
Il film ripercorre in flashback tutto il resto della vita di Archibaldo, incentrata sulla permanente fusione tra realtà e inconscio e sulla ricerca dell'immagine materna nelle donne che incontra. Vedremo come il ritrovare il vecchio carillon in una bottega di un antiquario e risentire il tema musicale lo porterà ad una regressione infantile nel limbo delle sue ossessioni (Archibaldo beve solo latte...). Tre donne saranno al centro del racconto, ognuna simbolica di una determinata femminilità e di ognuna Archibaldo immaginerà l'assassinio. La prima è una donna isterica e provocante, che seduce e domina gli uomini che la circondano, compagna di un ricco anziano che ritiene che sia “preferibile essere ingannati, piuttosto che rinunciare alle illusioni”, praticamente una puttana. La seconda è la fidanzata di Archibaldo, tenera fanciulla di buona famiglia e fervida credente, praticamente una santa. Tra le due c'è Lavinia, misteriosa ed enigmatica modella, che sbarca il lunario accompagnando turisti americani lungo il Messico e che è sempre controllata a distanza da un anziano compagno. Archibaldo la vede nel negozio dell'antiquario e poi la rivede in un bar avvolta tra le fiamme di un punch al rum, “donna inafferrabile e sintesi perfetta tra virtù e peccato”...subito mette in moto le sue doti da seduttore impenitente. In seguito scoprirà che la donna posa per la creazione di manichini messicani usati per saloni di bellezza e questa evenienza non farà altro che stuzzicare il feticismo dell'uomo, che organizzerà un incontro con la donna nella sua casa, a fianco di un manichino/copia perfetta di Lavinia. Archibaldo vista la riluttanza della donna a cedere alle sue avances, inizierà a corteggiare e baciare il manichino, andando a stimolare le fantasie di Lavinia, che successivamente arriverà a scambiarsi vestiti e indumenti intimi con la propria copia perfetta.
Anche in questo caso l'omicidio architettato fallirà per una serie di casualità indipendenti dalla volontà dell'uomo e Archibaldo si ritroverà con in mano solo il manichino della donna. Sublimerà il suo desiderio e sfogherà la sua rabbia su quest'ultimo, facendolo ardere nel forno per ceramica, che solitamente usa per creare i suoi vasi. Va notato come nel trasporto verso il forno il manichino perderà una gamba, menomazione che preannuncia quella della Deneuve in “Tristana”. In seguito, grazie ad una lettera anonima, Archibaldo scoprirà che l'apparentemente virginale fidanzata lo tradisce con un architetto sposato. E così si chiude il cerchio e come dice Edoardo Bruno: “ognuno è diverso da quel che appare con gli abiti di un perbenismo assurdo, ingeneroso frutto di convenzioni e di conformismo. Tutto il film è un continuo sussurrare dietro le quinte, un continuo svelare, dietro la facciata dell'apparenza, una realtà diversa...”. A questo punto Archibaldo immagina di uccidere dopo il matrimonio anche la sua fidanzata, ma sarà invece l'amante abbandonato a farlo all'uscita della chiesa, dopo la celebrazione del matrimonio con Archibaldo. Il rito del matrimonio è un occasione che consente a Buñuel di mettere alla berlina l'ipocrisia della società, rappresentando in disparte alla cerimonia un prete, un generale e il commissario della polizia che dialogano sulla bellezza e importanza del matrimonio religioso rispetto a quello civile. Nel finale Archibaldo dopo una breve riflessione, che sembra una seduta di auto-psicanalisi, decide di gettare il carillon nel lago, acquistando immediatamente un nuovo vigore...ora non gli resta che la libertà di essere sé stesso. Passeggiando per il parco, risparmia la vita ad una cavalletta su un albero, scena che richiama quella di “Monsieur Verdoux” con la lumaca, per poi incontrare fortuitamente la bella Lavinia, dichiararle il proprio amore e allontanarsi felice abbracciandola. In termini psicanalitici la perdita del feticcio non può fare altro che precipitare il protagonista nella paranoia, ma il finale aperto ci fa restare nel dubbio. La realtà successiva però ammanta il film di un'aura oscura, l'attrice Miroslava Stern, che nel film interpreta Lavinia, si suiciderà una ventina di giorni dopo la fine delle riprese e il suo corpo verrà cremato, come da lei precedentemente disposto...
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