Blue Movie
di Alberto Cavallone (1978 ITA 81')
Altra controversa pellicola dall'autore del radicale Spell Dolce Mattatoio, anche questa all'insegna di un cinema borderline, contemporaneamente stimolante e massacrante, nichilista e punitivo, in poche parole una fucilata (a pallettoni) ai genitali dello spettatore. Rabbiosa fucilata evidente fin dai titoli di testa che alternano immagini di frammenti di pellicola con in sottofondo il suono di spari: per Cavallone le immagini sono inequivocabilmente proiettili e lo spettatore è il suo bersaglio. Il titolo accattivante, recitazione e scenografie da porno d'accatto e squallidi inserti hardcore (sempre volutamente privati del climax finale) lo resero all'epoca un discreto successo nel florido (e imbecille) circuito a luci rosse, segno che lo sberleffo estremo del regista era incredibilmente andato a segno. Da questo suicidario film in poi la sua strada autoriale deragliò nell'invisibilità o negli squallidi meandri del cinema porno tra nani perversi e violenza gratuita, spesso con l'interessante nickname di Baron Corvo. Il film girato con scarsi mezzi e in pochissimo tempo(otto giorni di riprese e dieci giorni di montaggio) è incentrato su un allucinato fotografo, ex reporter di guerra, misogino e fondamentalmente impotente, che abborda ragazze in difficoltà e in crisi d'identità (una modella masochista, una schizofrenica forse vittima di violenza carnale, una senzatetto disperata) ospitandole in casa propria e instaurando con queste dei bizzarri rapporti sado-masochistici. Il fotografo odia e rifiuta la nascente società consumistica del bello e nella sua nichilistica protesta ricerca visceralmente l'abiezione e la paura sul viso delle sue vittime (idea che viene da l'Occhio che uccide), che ottiene quando le tratta in modo spregevole e spiazzante o le umilia nei modi più impensati. Allo stesso tempo fotografa senza sosta lattine di coca cola e fanta schiacciate, proprio per produrre immagini inutilmente provocatorie. Nel tempo libero colleziona feticci tra i più disparati, gioca smontando braccia e gambe a bamboline che avvolge con garza idrofila, riempie il frigo di lattine colme di urina e di pacchetti di marlboro riempiti di escrementi, predispone bizzarre scenografie per fare provocatorie fotografie. Trama confusa, flashback a go go, attori dalla recitazione dilettantesca, sprazzi visionari, andamento lento, scene di sesso anti-erotiche, comportamenti inspiegabili fanno di questo film una scommessa per l'affranto e disgustato spettatore. L'identità occidentale è la tematica centrale di questo film oltraggioso e il protagonista è l'alter ego del regista in crisi d'identità che non può fare altro che perdersi ad osservare il proprio riflesso deformato da una lastra di alluminio.
Numerose comunque sono le sequenze stimolanti tra cui quella del rito funereo del protagonista col talamo mortuale coperto di elementi simbolici e circondato da lattine che termina con l'accoppiamento tra lo statuario nero e la schizofrenica che ha un minaccioso ragno disegnato sui genitali. Altra sequenza notevole è quella del servizio fotografico tra i magnifici murales infarciti di slogan rivoluzionari (tra i quali salta all'occhio la fumettistica Mafalda che esclama "Io sono Mia"), che inverte la posizione di vittima e carnefice tra il protagonista e l'imprevedibile schizofrenica. Altra scena memorabile è quella della vasca blu elettrico riempita di sangue da cui esce una minacciosa mano zombesca in una delle allucinazioni della protagonista. Altra scena degna di nota è quella che vede il protagonista guidare l'eccitazione della modella con una lampada puntata sulle zone erogene del corpo di questa.
Spiazzante e provocatorio (ricorda l'Arancia Meccanica di Kubrick) l'uso della musica classica di Bach e Offenbach abbinata a immagini violentemente perverse. I numi tutelari cinematografici del regista sono Warhol e il suo cinema punitivo, il Salò di Pasolini (citato in una scena in cui la protagonista cammina carponi con rifiuti in bocca), la Bestia di Borowczyk citato nella scena dell'inseguimento nel posto abbandonato, il durissimo Sweet Movie di Makavejev radicalmente e disperatamente citato in una scena in cui però al cioccolato è sostituita la merda. Da Makavejev Cavallone prende anche l'urticante e irritante idea di inframmezzare la pellicola di sequenze documentarie reali (di esecuzioni, campi di concentramento, corpi ammassati da ruspe, bonzi che si danno fuoco) fucilando così definitivamente la Società dello Spettacolo e mettendo una disperata pietra tombale sulle nostre speranze di ripresa.
27/11/11
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