Léolo
di Jean Claude Lauzon (1992 CAN/FRA 107')
Sublime mistione autobiografica di realtà e fantasia per uno dei registi più importanti dei primi anni Novanta, purtroppo tragicamente scomparso a soli quarantaquattro anni a causa di un incidente aereo, mentre volava su territori selvaggi del Quebec. All'epoca mi spezzò il cuore la perdita di un talento di tal portata...e piansi...medesima sensazione provata alcuni anni più tardi per la morte dello straordinario scrittore Jean-Claude Izzo.
Léolo è in parte ispirato all'opera "L'Avalée des Avalés" di Rejean Ducharme e racconta l'adolescenza di un ragazzino di Montréal (Canada) durante gli anni Cinquanta, che ama immaginare la sua vita e quella dei suoi familiari come se si trattasse di una storia di finzione che egli stesso annota sulle pagine di un diario, sua magnifica ossessione, che poi strappa. La sua fervida fantasia immagina che lui sia figlio di un pomodoro contaminato (cioé inseminato da un contadino siciliano!!!) attraverso un incidente occorso alla grassa madre e questo è il motivo per il quale pretende di essere chiamato Léo Lozone e ama tutto ciò che proviene dall'Italia, specie una graziosa adolescente, di nome Bianca, che è figlia dei suoi vicini di casa immigrati dalla Sicilia e nei cui confronti prova un amor fou degno dei surrealisti. Il taglio del film è onirico, poetico e malinconico ed è arricchito da numerose divertenti e spiazzanti scene grottesche, tra tacchini nella vasca da bagno, masturbazioni con bistecche di fegato, cimiteri di frigoriferi sott'acqua e strambe perversioni erotiche (come quella di farsi mangiare le unghie dei piedi...). La famiglia di Léolo è tra le più strambe in assoluto viste al cinema: con un padre obeso ossessionato dal far andare di corpo i familiari (per questo li purga regolarmente in un rituale casalingo che richiama l'Eucaristia), un fratello ritardato e culturista sfegatato, una madre imbarazzantemente oversize, due sorelle abituali ospiti dell'ospedale psichiatrico (una delle due riesce a comunicare solamente con gli insetti) ed un nonno magnificamente perverso. In mezzo a tutto questo Léolo scoprirà la sessualità come un limbo sospeso tra l'ignoranza e l'orrore...
Le pagine strappate dal diario sono lette da un anziano "domatore di versi", misterioso depositario della cultura umana (nel bel finale aperto del film si vede portare il manoscritto del ragazzino nei polverosi sotterranei di una maestosa biblioteca dove sono evidentemente conservati i capolavori dell'uomo). La volontà di Lauzon, sospeso tra tenerezza e disgusto, è quella di trattare temi alti maneggiando materia bassa e direi che riesce nell'impresa, rendendo in pieno veritiera l'affermazione di Douglas Sirk, per il quale "tra l'arte e la spazzatura c'è pochissima distanza, e la spazzatura che contiene un grano di follia è per questo più vicina all'arte". Un'opera profondamente toccante, quando ci ricorda che il cinema è sogno. A rendere ancora più affascinante la pellicola è poi la complessa colonna sonora che spazia da canti buddisti alle musiche del maestro Tom Waits, rendendo così pienamente giustizia all'originale talento visionario e fuori dagli schemi del regista canadese. Non manca poi una scena insostenibile, probabilmente ispiratrice di Gummo di Korine, in cui un gatto riceve le attenzioni di un teppistello amico del protagonista sulle note di You can't always get what you want dei Rolling Stones. Nel 1992 al festival di Cannes Léolo era il favorito numero uno per la Palma d'oro, ma un approccio un pò rude, "What the boy in the film does to the piece of liver, I want to do to you", detto dal regista alla giurata Jamie Lee Curtis durante un banchetto gli costò l'esclusione dal Palmares. Il Time ha reso giustizia all'oblio che circondava questo film e nel 2005 lo ha incluso tra i cento film più importanti di tutti i tempi. Because I dream I am not...
30/09/10
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