Il medico della mutua
di Luigi Zampa (1968 ITA 98')
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, quella che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quella che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, il film quello che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quello che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film, coadiuvato dalla splendida colonna sonora di Piccioni, viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
"La mutua è una grande casa, alta e ben intonacata, con entrata principale e uscite secondarie. Davanti a questa grande casa il medico si sente meschino e smarrito. Una volta non c'era, la mutua, e i medici di una volta se la passavano bene: quasi tutti diventavano ricchi, alcuni ricchissimi. Tutti facevano i loro soldi, c'erano clienti a volontà, lavoro sempre garantito. Un giovane medico non aveva bisogno di aspettare tanto, di fare una trafila di burocrazia, di scrivere domande, di armarsi di una decorosa pazienza: gli bastava aprire un ambulatorio, e subito si faceva la sua affezionata clientela. Una laurea in medicina era una laurea come si deve.
Oggi purtroppo c'è la mutua: succhia il sangue di noi medici, dei mutuati e dei padroni, e lo trasforma in corridoi, uffici, ascensori, uscieri, dattilografe, impiegati, capi e dirigenti amministrativi, direttori sanitari, medici funzionari, infermieri, e così via. Tutta roba che è fatta apposta per tarpare le ali alla nostra libera professione..."
(Giuseppe D'Agata, Il medico della mutua, prima edizione Feltrinelli 1964)
26/07/09
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