RAPPORTO CONFIDENZIALE. rivista digitale di cultura cinematografica
NUMERO16 | LUGLIO-AGOSTO’09
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EDITORIALE di Alessio Galbiati
Il cinema esiste fintantoché c’è un pubblico.
La frase è semplice, quasi banale. Ma il segreto, ed il dramma, stanno tutti qui.
Il FUS ora, la legge di scopo prima, hanno reciso quel legame spontaneo che teneva uniti fra loro il pubblico ed i registi, il pubblico ed i produttori. Saltato questo meccanismo scopriamo che certe pellicole non possono più evadere dalle sale d’essai, dai festival, dall’home-video cinefilo. Un’opera prima non ha pubblico. Il cinema non ha pubblico.
FUS. Finiamolo d’essere Untuosi Servi. Liberiamo il cinema dal finanziamento statale-ministeriale, recidiamo il cordone ombelicale e torniamo ad un’arte povera, con le pezze al culo. Il cinema di cui parla Rapporto Confidenziale non sa nemmeno cosa sia il FUS, ne ha sentito parlare, lo ha letto sui giornali avvolto dalla cattiva stampa e dalla coltre fumogena alzata da chi è riuscito a metterci mano. La timida (ed anacronistica) proposta che avanziamo è la seguente. Escano tutte le associazioni di categoria cinematografiche dal FUS, si chiamino fuori dal recinto e lascino altri a sbranarsi. Il cinema non necessita di denaro statale per tornare ad essere vitale e parlare al proprio pubblico, che è cambiato negli anni e, forse, non usa nemmeno più la sala come chiesa dove celebrare il proprio rito. Uscire dal FUS per riportare i costi di produzione al loro reale valore di mercato, dai noleggi di materiale e attrezzature, al costo di attori e comparse.
Diciamolo chiaro e tondo, il sistema attualmente in vigore è uno schifo clientelare non accessibile agli indipendenti. Noi vogliamo che sia tutelata questa categoria di cinematografari. Il discorso non è volto al massacro, non perseguiamo la logica dell’immiserimento collettivo, siccome io non ho niente voglio che tutti non abbiano niente, ma proponiamo una riforma più sostanziale che non può avere un interlocutore credibile nell’attuale congiuntura politica. La manifestazione di qualche settimana fa ha reso manifesta la gravità della situazione soprattutto perché il quadro di insieme è deplorevole. In piazza c’erano tutti i cinematografari con base a Roma (pare che i tagli colpiranno proprio lì), Cento Autori, registi vari, rappresentanti del centro sinistra e del centro destra (Carlucci e Barbareschi), accolti in delegazione da Gianni Letta su intermediazione di Walter Veltroni. Che una trattativa proceda con questi nomi e queste modalità e che oltretutto abbiano come referenti finali l’attuale Ministro della Cultura, Bondi, ma soprattutto il Ministro dell’Economia, il post-moderno Giulio Tremonti francamente, scoraggia. Le stesse parti in causa che hanno creato l’attuale situazione sono chiamate a trovare una soluzione. È di ieri la notizia che Silvio Berlusconi intercederà per il mondo della cultura, planerà col suo cavallo alato sulle casse dello stato e spargerà a piene mani qualche milione di briciole fra il giubilo bi-partisan e popolare. Bene, continuiamo a farci del male!
Sul sedicesimo numero di Rapporto Confidenziale trovate tutto quel cinema che il FUS non sa nemmeno cos’è, troverete la prima puntata della storia del cinema e della vita di Augusto Tretti che pure quando ci furono vacche grasse non ebbe un soldo per produrre il proprio cinema. Di lui diceva Fellini: «Do un consiglio a tutti i miei amici produttori: acchiappate Tretti, fategli firmare subito un contratto, e lasciategli girare tutto quello che gli passa per la testa. Soprattutto non tentate di fargli riacquistare la ragione; Tretti è il matto di cui ha bisogno il cinema italiano».
Buone vacanze e buona lettura.
SOMMARIO
04 La copertina. ilcanediPavlov!
05 Editoriale di Alessio Galbiati
06 Brevi. appunti sparsi di immagini in movimento di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
07 Il Piccolo Manucinema di Tuia Cherici. In una Cascina vicino Firenze esiste l’Atelier del cinemanufatto di Mario Verger
10 Intervista a Tuia Cherici di Mario Verger
12 LINGUA DI CELLULOIDE. BEKET (manuli) cineparole di Ugo Perri
14 RC SPECIALE. PRIMA PARTE
AUGUSTO TRETTI, o dell’anarchica innocenza di un irregolare del cinema italiano a cura di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
Augusto Tretti di Stefano Andreoli 15
Il potere di Samuele Lanzarotti 20
Il potere. La critica (ufficiale). Con le recensioni di Ugo Casiraghi, Ennio Flaiano e Alberto Moravia 22
Filmografia 24
28 TreQuarti di Roberto Rippa
29 Intervista a Roberto Longo di Alessio Galbiati e Roberto Rippa
34 Zombi 2 di Alessandra Cavisi, Alessio Galbiati e Roberto Rippa
40 Wes Anderson and the Substance of Style di Alessio Galbiati
44 SECONDI POSTI IN PIEDI. Non aprite quella cesta! Basket Case di Frank Henenlotter di Roberto Rippa
46 LO SCHERMO NEGATO. Hei yanquan di Roberto Rippa
48 RiP: A remix manifesto. Uno spettro si aggira per la rete di Alessio Galbiati
50 LE RELAZIONI PERICOLOSE. connessioni tra suoni e immagini. “Due minuti e ventitre secondi di Musica senza tempo” di Romeo Sandri
49 Win or Lose: A Summer Camp Story di Kathie Smith
Intervista a Louis Lapat, regista di Win or Lose: A Summer Camp Story di Kathie Smith 49
Win or Lose visto da un europeo di Roberto Rippa 54
55 ABDICAZIONI. L`archivio letterario di Rapporto Confidenziale
For a song di Luca Salvatore
57 www.rapportoconfidenziale.org
"Per me la vita si può manifestare egregiamente nel coraggio di svelare ai nuovi figli ciò che io veramente sento verso di loro. La vita consiste prima di tutto nell'imperterrito esercizio della ragione: non certo nei partiti presi, e tanto meno nel partito preso della vita, che è puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che nemici della realtà."
(Pier Paolo Pasolini, "Lettere luterane")
30/07/09
What is it? (Crispin Glover)
What is it?
di Crispin Glover (2005 USA 82')
"Assolutamente l'opera più intransigente e originale che ho visto. Le persone tentano di compararlo ai capolavori dell'eroe surrealista Luis Buñuel e al funambolico Werner Herzog, ma io dico che Glover li ha addirittura trascesi."
(Kelly O - The Seattle Stranger Weekly)
"È diverso da qualsiasi cosa che io abbia mai visto prima...l'id non represso di un artista in purezza e per giunta lasciato senza freni inibitori, senza paura di mostrare sullo schermo ciò che altri giudiziosamente lascerebbero fuori. Il film di Glover è come il sogno febbricitante di un folle."
(Dennis Dermody - Paper Magazine)
"Scene con donne nude in maschere di elefante, Shirley Temple, Glover che è il deus-ex-machina sottosoglia in sequenze in stile Maxfield Parrish...È come vedere Fellini in preda a droghe psichedeliche...molto creativo ma completamente stordito."
(Jane Ganahl - San Francisco Examiner)
"Crispin Hellion Glover, autore, è una forza della natura con cui vanno fatti i conti"
(Laura Kern - The New York Times)
A quando una sua distribuzione europea in dvd?
Dopo aver notato la distribuzione addirittura di un'edizione speciale dell'innominabile Vase de Noces di Thierry Zeno, direi che la speranza è l'ultima a morire...
di Crispin Glover (2005 USA 82')
"Assolutamente l'opera più intransigente e originale che ho visto. Le persone tentano di compararlo ai capolavori dell'eroe surrealista Luis Buñuel e al funambolico Werner Herzog, ma io dico che Glover li ha addirittura trascesi."
(Kelly O - The Seattle Stranger Weekly)
"È diverso da qualsiasi cosa che io abbia mai visto prima...l'id non represso di un artista in purezza e per giunta lasciato senza freni inibitori, senza paura di mostrare sullo schermo ciò che altri giudiziosamente lascerebbero fuori. Il film di Glover è come il sogno febbricitante di un folle."
(Dennis Dermody - Paper Magazine)
"Scene con donne nude in maschere di elefante, Shirley Temple, Glover che è il deus-ex-machina sottosoglia in sequenze in stile Maxfield Parrish...È come vedere Fellini in preda a droghe psichedeliche...molto creativo ma completamente stordito."
(Jane Ganahl - San Francisco Examiner)
"Crispin Hellion Glover, autore, è una forza della natura con cui vanno fatti i conti"
(Laura Kern - The New York Times)
A quando una sua distribuzione europea in dvd?
Dopo aver notato la distribuzione addirittura di un'edizione speciale dell'innominabile Vase de Noces di Thierry Zeno, direi che la speranza è l'ultima a morire...
29/07/09
Colpo Rovente (Piero Zuffi)
Colpo Rovente
di Piero Zuffi (1969 ITA 104')
Opera unica dello scenografo romagnolo Piero Zuffi su sceneggiatura di Ennio Flaiano, si tratta di un film spiazzante, convulso sia nella trama che nelle immagini, ma assai seducente nel panorama del cinema di genere italiano. L'uso della macchina da presa è molto intrigante e visionario e la fotografia (Pasqualino De Santis) e le tematiche sono assolutamente interessanti...e questo si intuisce già dalla tremebonda versione del film a noi pervenuta tramite i numerosi passaggi televisivi su Rete 4 e l'ignominiosa versione del film editata in dvd...versioni mancanti di ben 20 minuti di pellicola (84' la durata della versione circolante)...l'unica versione integrale del film (che io purtroppo non ho mai visto) è stata proiettata al Festival di Venezia del 2004, nella rassegna curata da Marco Giusti e Luca Rea nella rassegna Storia segreta del cinema italiano. Mentre i film di Di Leo dopo il passaggio veneziano sono stati editati in dvd (e alcuni sono veramente modesti), quello di Zuffi non ha avuto alcuna distribuzione...e pensare che nel cast vi sono una splendida Barbara Bouchet, al suo primo film italiano, e un imperdibile Carmelo Bene, nella parte di un ambiguo e nevrotico killer al soldo della mafia. Il film parte dall'omicidio (splendida tra l'altro la sequenza di apertura con la preparazione dell'arma per l'assassinio) di un ricco industriale, Mac Brown, implicato nel traffico di stupefacenti a New York. L'indagine è affidata ad un commissario dai modi spicci, che per cercare prove non esita ad infiltrarsi negli ambienti della controcultura dell'epoca fino a scoprire che le associazioni mafiose sono pesantemente colluse con il mondo alternativo e fanno lauti guadagni grazie all'uso delle droghe psichedeliche diffuso tra i giovani dell'epoca. Il messaggio anti-droga del film è forte, i paradisi artificiali vengono spogliati di qualsiasi accenno poetico e viene rimarcato l'effetto devastante delle sostanze psicotrope sulla fragile psiche dei giovani (indimenticabili le sequenze all'interno del manicomio). Il finale a sorpresa, che non rivelo, suggella a meraviglia la preziosa opera di Zuffi. In mezzo vediamo scorribande degli Hell's Angels, deliranti feste hippies, spiazzanti lampi di violenza, sequenze ammalianti sospese tra il pop e il fumetto e un'inquietante istantanea dell'altra faccia della Grande Mela, il tutto è poi accompagnato dalla splendida musica di Piero Piccioni. Forse il messaggio è stato troppo diretto e il film per l'epoca non politicamente corretto e questo gli è costato un feroce ostracismo, che evidentemente dura tuttora (è possibile?). Difficile recensirlo avendo visto solo la versione mutilata...ma è possibile che i distributori siano così miopi da non accorgersi che questo è un film che se fosse stato fatto in USA sarebbe un cult assoluto universalmente riconosciuto (lo è diventato pure il modesto Repo Man dopotutto...). Editatelo integrale o cambiate mestiere!
di Piero Zuffi (1969 ITA 104')
Opera unica dello scenografo romagnolo Piero Zuffi su sceneggiatura di Ennio Flaiano, si tratta di un film spiazzante, convulso sia nella trama che nelle immagini, ma assai seducente nel panorama del cinema di genere italiano. L'uso della macchina da presa è molto intrigante e visionario e la fotografia (Pasqualino De Santis) e le tematiche sono assolutamente interessanti...e questo si intuisce già dalla tremebonda versione del film a noi pervenuta tramite i numerosi passaggi televisivi su Rete 4 e l'ignominiosa versione del film editata in dvd...versioni mancanti di ben 20 minuti di pellicola (84' la durata della versione circolante)...l'unica versione integrale del film (che io purtroppo non ho mai visto) è stata proiettata al Festival di Venezia del 2004, nella rassegna curata da Marco Giusti e Luca Rea nella rassegna Storia segreta del cinema italiano. Mentre i film di Di Leo dopo il passaggio veneziano sono stati editati in dvd (e alcuni sono veramente modesti), quello di Zuffi non ha avuto alcuna distribuzione...e pensare che nel cast vi sono una splendida Barbara Bouchet, al suo primo film italiano, e un imperdibile Carmelo Bene, nella parte di un ambiguo e nevrotico killer al soldo della mafia. Il film parte dall'omicidio (splendida tra l'altro la sequenza di apertura con la preparazione dell'arma per l'assassinio) di un ricco industriale, Mac Brown, implicato nel traffico di stupefacenti a New York. L'indagine è affidata ad un commissario dai modi spicci, che per cercare prove non esita ad infiltrarsi negli ambienti della controcultura dell'epoca fino a scoprire che le associazioni mafiose sono pesantemente colluse con il mondo alternativo e fanno lauti guadagni grazie all'uso delle droghe psichedeliche diffuso tra i giovani dell'epoca. Il messaggio anti-droga del film è forte, i paradisi artificiali vengono spogliati di qualsiasi accenno poetico e viene rimarcato l'effetto devastante delle sostanze psicotrope sulla fragile psiche dei giovani (indimenticabili le sequenze all'interno del manicomio). Il finale a sorpresa, che non rivelo, suggella a meraviglia la preziosa opera di Zuffi. In mezzo vediamo scorribande degli Hell's Angels, deliranti feste hippies, spiazzanti lampi di violenza, sequenze ammalianti sospese tra il pop e il fumetto e un'inquietante istantanea dell'altra faccia della Grande Mela, il tutto è poi accompagnato dalla splendida musica di Piero Piccioni. Forse il messaggio è stato troppo diretto e il film per l'epoca non politicamente corretto e questo gli è costato un feroce ostracismo, che evidentemente dura tuttora (è possibile?). Difficile recensirlo avendo visto solo la versione mutilata...ma è possibile che i distributori siano così miopi da non accorgersi che questo è un film che se fosse stato fatto in USA sarebbe un cult assoluto universalmente riconosciuto (lo è diventato pure il modesto Repo Man dopotutto...). Editatelo integrale o cambiate mestiere!
26/07/09
Il medico della mutua (Luigi Zampa)
Il medico della mutua
di Luigi Zampa (1968 ITA 98')
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, quella che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quella che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, il film quello che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quello che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film, coadiuvato dalla splendida colonna sonora di Piccioni, viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
"La mutua è una grande casa, alta e ben intonacata, con entrata principale e uscite secondarie. Davanti a questa grande casa il medico si sente meschino e smarrito. Una volta non c'era, la mutua, e i medici di una volta se la passavano bene: quasi tutti diventavano ricchi, alcuni ricchissimi. Tutti facevano i loro soldi, c'erano clienti a volontà, lavoro sempre garantito. Un giovane medico non aveva bisogno di aspettare tanto, di fare una trafila di burocrazia, di scrivere domande, di armarsi di una decorosa pazienza: gli bastava aprire un ambulatorio, e subito si faceva la sua affezionata clientela. Una laurea in medicina era una laurea come si deve.
Oggi purtroppo c'è la mutua: succhia il sangue di noi medici, dei mutuati e dei padroni, e lo trasforma in corridoi, uffici, ascensori, uscieri, dattilografe, impiegati, capi e dirigenti amministrativi, direttori sanitari, medici funzionari, infermieri, e così via. Tutta roba che è fatta apposta per tarpare le ali alla nostra libera professione..."
(Giuseppe D'Agata, Il medico della mutua, prima edizione Feltrinelli 1964)
di Luigi Zampa (1968 ITA 98')
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, quella che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quella che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
La figura di Guido Tersilli è quella che ha tolto il velo di purezza dalla professione medica, il film quello che ha rivelato l'insana abitudine di istituire un mercato dei mutuati, quello che ha svelato la poco lusinghiera consuetudine del medico di base di ottenere percentuali economiche derivanti da richieste di visite o esami strumentali specialistici. All'origine il graffiante romanzo di Giuseppe D'Agata (conseguentemente espulso dalla professione medica) e i risultati di un'inchiesta sui medici della mutua e i loro pazienti svolta in quegli anni dal regista con lo sceneggiatore Sergio Amidei. Alberto Sordi in una memorabile interpretazione, intento a fare visite lampo, sgnaccare diagnosi all'ingrosso e piazzare terapie sconclusionate, imposte però ai mutuati come necessarie e insostituibili, “tanto quello che conta è l'effetto psicologico visto che ogni malattia dopotutto ha il suo corso”. Altro che stare a cavillare sui segni semeiologici e rompersi il capo con la diagnostica differenziale come in clinica universitaria. Dall'altra parte un implacabile ritratto dei mutuati italiani, assidui frequentatori di ambulatorio e incredibili divoratori di ricette, considerati alla stregua di una mandria di buoi, che obbedisce disciplinata al momento del cambio del medico, non prendendosi la briga di effettuare una scelta autonoma poiché questo comporterebbe un certo impegno mentale e l'intera responsabilità di un eventuale errore.
Numerose le battute esilaranti come quella che configura l'aspetto eroico della medicina del tempo: “resterà per me sempre un mistero come un ferito può sopravvivere ad un trasporto in ambulanza”. Altra intuizione geniale, ripresa dal libro, è quella in cui uno sciopero dei medici della mutua per questioni economiche determina la drastica riduzione dell'affluenza negli ambulatori e pone l'arcano dilemma: “o in questo periodo tutti hanno ritrovato una salute di ferro, o la mutua e i medici hanno davvero creato i malati”. Indimenticabile anche la figura della madre che batte incessantemente tutti i luoghi di ritrovo del quartiere per fare pubblicità alle virtù del suo figliolo neo-laureato.
Apparentemente il film, coadiuvato dalla splendida colonna sonora di Piccioni, viene a configurarsi come una farsa divertente e paradossale su un episodio marginale della sanità italiana dell'epoca, ma forse rappresenta qualcosa di più visto che negli anni Settanta la commissione parlamentare incaricata di preparare la legge istitutiva del futuro Sistema Sanitario Nazionale, acquisì il romanzo come un vero e proprio documento sullo situazione della Sanità in Italia. Il finale poi è profetico con Sordi intento a fare diagnosi e dettare la cura per telefono, dopo essere stato costretto a chiudere temporaneamente l'ambulatorio successivamente ad una sincope da burn-out, dovuto al raggiungimento della cifra record di 3115 mutuati, numero che determina 21000 visite all'anno cioè circa 7 visite per mutuato, suddivise in 70 visite ambulatoriali e 5 domiciliari al giorno per un totale di 13 ore di lavoro quotidiane.
Tali cifre difficili da spiegare razionalmente trovano forse una giustificazione in una frase che D'Agata scriveva nel suo romanzo: “non c'è alcuna convenienza ad essere completamente sani: qualche disturbo di tipo cronico rappresenta un ottimo antidoto contro l'angoscia e il suicidio”.
"La mutua è una grande casa, alta e ben intonacata, con entrata principale e uscite secondarie. Davanti a questa grande casa il medico si sente meschino e smarrito. Una volta non c'era, la mutua, e i medici di una volta se la passavano bene: quasi tutti diventavano ricchi, alcuni ricchissimi. Tutti facevano i loro soldi, c'erano clienti a volontà, lavoro sempre garantito. Un giovane medico non aveva bisogno di aspettare tanto, di fare una trafila di burocrazia, di scrivere domande, di armarsi di una decorosa pazienza: gli bastava aprire un ambulatorio, e subito si faceva la sua affezionata clientela. Una laurea in medicina era una laurea come si deve.
Oggi purtroppo c'è la mutua: succhia il sangue di noi medici, dei mutuati e dei padroni, e lo trasforma in corridoi, uffici, ascensori, uscieri, dattilografe, impiegati, capi e dirigenti amministrativi, direttori sanitari, medici funzionari, infermieri, e così via. Tutta roba che è fatta apposta per tarpare le ali alla nostra libera professione..."
(Giuseppe D'Agata, Il medico della mutua, prima edizione Feltrinelli 1964)
Blue Man Group - Drumbone
Blue Man Group
Drumbone
"Chiamavano Chuck Berry il "meccanico della chitarra". Perché? Perché qualsiasi idiota poteva suonare quegli accordi. Il che, come sappiamo sin dalla preistoria del punk, è la vera bellezza di questa musica. Ma pensate: se qualsiasi idiota può farlo, perché non inserire Johnny B. Goode in un computer e lasciare le macchine suonare in totale acquiescenza all'inevitabile tecnologico?"
(Lester Bangs, 1975)
Drumbone
"Chiamavano Chuck Berry il "meccanico della chitarra". Perché? Perché qualsiasi idiota poteva suonare quegli accordi. Il che, come sappiamo sin dalla preistoria del punk, è la vera bellezza di questa musica. Ma pensate: se qualsiasi idiota può farlo, perché non inserire Johnny B. Goode in un computer e lasciare le macchine suonare in totale acquiescenza all'inevitabile tecnologico?"
(Lester Bangs, 1975)
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