17/12/12

Rudolf Steiner e il sogno del serpente verde



Il barcaiolo rappresenta le forze inferiori della natura; egli riposa sulla riva opposta – la vita mentale – del fiume, che rappresenta il mondo astrale, il piano della brama.
Due fuochi fatui, in cui vive solamente il kama-manas, l’intelletto inferiore, vogliono pagare il barcaiolo con l’oro, ma egli non ne ha bisogno. L’intelletto inferiore non può dominare le forze inferiori della natura.
Il fiume significa la passione.
I frutti della Terra, tre cavoli, tre cipolle, tre carciofi – tre volte tre fa nove –, esprimono l’elemento sensoriale umano.
La voragine separa i quattro principi inferiori da quelli superiori. Nella voragine vi abita il bel serpente verde, il manas superiore, il sé spirituale.
Il barcaiolo raccoglie l’oro e lo va a gettare nella voragine, dove il serpente lo ingoia, diventando, per questo, trasparente e luminoso. Egli ne ricerca il donatore e trova i fuochi fatui, rallegrandosi d’incontrare dei parenti. Essi gli dicono di essere imparentati con lui solo in apparenza. Il serpente si sente a disagio in quella compagnia, non può drizzarsi verso l’alto e teme di perdere il suo splendore. Chiede da dove provenga l’oro ed essi se ne scrollano una gran quantità; egli lo ingoia con avidità, diventando più luminoso, e li servirà per riconoscenza. Essi gli chiedono qual è la via per andare dalla bella Lilia – la somma beatitudine – e vengono a sapere che essa abita al di là dell’acqua, da dove essi provenivano.
Il barcaiolo trasporta solo di qua e non di là – veniamo al mondo tramite le forze di natura; l’uomo deve poi ritornare da se stesso nel mondo superiore. Il serpente indica ai fuochi fatui due possibilità: egli si offre di traghettarli a mezzogiorno; il gigante offre la seconda possibilità – la morte –, il cui corpo non è capace di far nulla, ma la cui ombra – il sonno, il sonno profondo, il trance – può fare molto, anzi, tutto: essa si distende sul fiume la sera e al mattino. I fuochi fatui si allontanano, il serpente torna nella voragine rocciosa dove soleva andare. Lì, già precedentemente, aveva fatto una strana scoperta; attraverso un crepaccio, aveva trovato cose che erano sino allora sconosciute. Fino a quel momento aveva incontrato soltanto prodotti naturali che poteva distinguere col suo sentire anche negli spazi sotterranei; portava alla luce cristalli, argento e molte pietre preziose. Si stupì di trovare pareti lisce, colonne ben modellate e figure umane. Con la sua luce non poteva rischiarare completamente la volta sotterranea, ma riconobbe gli oggetti.
La prima figura, un re d’oro – manas, il pensare –, la seconda un re d’argento – budhi –, la terza un re di bronzo – atman –, l’uomo con la lampada – la religione; la fiamma della lampada illuminava l’intero tempio. Il quarto re – i quattro principi inferiori – aveva venature d’oro, d’argento e di bronzo non ben amalgamate: i tre superiori mescolati in modo disarmonico con gli inferiori.
La fiamma della lampada, la forza della religione, però, non può illuminare se non le vien incontro la fede. Il serpente vede ora il quarto re.
Il re d’oro chiede all’uomo: «Quanti segreti conosci?». «Tre», risponde il vecchio. «Qual è il più importante?», chiede il re d’argento. «Quello palese». «Vuoi manifestarlo anche a noi?», chiede il re di bronzo. «Appena saprò il quarto».
«Io so il quarto», dice il serpente; e bisbiglia al vecchio qualcosa nell’orecchio. Il vecchio esclama con voce possente: «È giunta l’ora!». Il tempio riecheggia, le statue risuonano, il vecchio sprofonda verso occidente, il serpente verso oriente.
Il tempio è il tempio dei misteri, come si trova ancora in India, dove venivano rappresentati in modo figurato gli elementi fondamentali dell’uomo. Il serpente sussurra al vecchio di essere pronto a sacrificarsi. Il vecchio grida: «È giunta l’ora!». Il tempio risuona. Nel “Prologo in cielo” del Faust leggiamo:
243 Gareggia il sole, con l’antico suono, tra le sfere sorelle, in armonia.
Il cielo – devachan, mondo spirituale – è il piano dove risuona; là il suono – il regno, la musica delle sfere – 1
4667 risuonando è, per le orecchie spirituali, già nato il nuovo giorno.2
I passaggi che il vecchio percorre si riempiono subito d’oro dietro di lui; la lampada ha la proprietà di trasformare tutte le pietre in oro, tutto il legno in argento, gli animali morti in pietre preziose e di distruggere tutti i metalli, ma deve illuminare da sola, poiché con un’altra luce vicina produce soltanto un bel chiarore.
Il vecchio rientra nella sua capanna sulla montagna e vi trova la moglie in lacrime. Essa racconta come i fuochi fatui l’avessero importunata, si fossero scrollati di dosso l’oro e come per disgrazia il loro cagnolino ne avesse mangiato e sia ora morto. Essa aveva promesso di saldare il loro debito al barcaiolo. «Quale debito?», chiede il vecchio. «Tre cavoli, tre carciofi e tre cipolle», risponde la donna. La vecchia è l’essenza animica – la vita sensibile abituale. I fuochi fatui – la scienza intellettuale – leccano l’oro – il sapere storico – e lo spargono di nuovo; esso lusinga la natura inferiore, ma non ha alcuna forza vivificante – il cagnolino che ne mangia muore. La scienza naturale nega la forza vitale e senza la forza vivificante della lampada – per la luce che porta la religione – la vita muore attraverso il sapere morto. Nella quarta incarnazione planetaria della Terra, la Terra attuale,3 il regno minerale racchiude la forma per la saggezza. La donna paga il fiume della passione con i frutti della Terra. Il cavolo, il vegetale a buccia, rappresenta le foglie; la cipolla, l’essenza, che consiste di involucri, rappresenta la radice; il carciofo, il frutto. Essa deve pagare questo tributo al fiume. La donna spegne il fuoco del camino, raccoglie le monete d’oro e ora la lampada illumina di nuovo nel più bello splendore, i muri si ricoprono d’oro e il cagnolino è trasformato in onice.
«Prendi il tuo cesto», disse il vecchio, «e metti dentro l’onice, poi prendi i tre cavoli, i tre carciofi e le tre cipolle, sistemali intorno alla pietra e portali al fiume. A mezzogiorno fatti traghettare dal serpente e va a trovare la bella Lilia; portale l’onice; toccandolo lo renderà vivo, come toccando tutto ciò che è vivo lo uccide. Dille che non deve essere triste, che può considerare la più grande disgrazia come la più grande fortuna, poiché l’ora è arrivata».
Il cesto pesa sulla testa della vecchia appena si mette in cammino; la verdura fresca pesa, non l’onice; tutte le cose morte che porta non le sente, anzi il cesto si solleva in alto e rimane sospeso su di lei; ma una verdura fresca o un animale vivo le è molto gravoso. Calpesta quasi l’ombra del gigante, non sa come evitarlo; le mani della sua ombra le prendono un cavolo, un carciofo e una cipolla; poi egli le lascia libero il cammino; essa riflette se non debba tornare indietro, ma continua ad andare avanti fino a raggiungere il fiume e attende a lungo il barcaiolo, che alla fine arriva. Un uomo giovane, bello e nobile scende dalla barca. Il barcaiolo non accetta la verdura, poiché manca un pezzo di ciascun ortaggio, malgrado l’insistenza della donna. Egli le assicura che non dipende nemmeno da lui.
«Devo tenere assieme quello che mi spetta – egli dice – per nove ore, e non posso accettare nulla per me, finché non ne abbia dato un terzo al fiume. C’è ancora un mezzo: se garantite per il fiume, io prendo i sei capi, ma questo presenta un certo pericolo». «Se mantengo la parola non corro nessun pericolo?». «Nessuno, mettete la vostra mano nel fiume – prosegue il vecchio – e promettete di saldare il debito entro ventiquattr’ore». La vecchia fa così e si spaventa vedendo la sua mano diventata tutta nera. È infelice perché addirittura inizia ad esser più piccola. «Ora appare solo così – dice il vecchio, – ma se non mantenete la parola può diventarlo davvero; potrete fare tutto con essa, ma nessuno la vedrà».
Tre volte tre fa nove, il numero dell’elemento sensoriale umano; l’essere umano è passato attraverso tutti i tre regni. La donna paga il fiume delle passioni con i frutti della terra. Dell’essenza animica, della donna va persa una parte dei suoi istinti e frutti che essa ha acquisito con cura nell’orto, e cioè dormendo, sognando, non stando desta. Tuttavia si è impegnata a saldare il debito dei fuochi fatui – della forza intellettuale; il raziocinio da solo non essendo capace di portare né foglie, né fiori, né frutti, affida ciò alle forze animiche. Ma le forze inferiori della natura – il barcaiolo – insistono sulla loro ragione ed anche il fiume delle passioni sarà appagato. Ma qui alla donna mancano i mezzi sufficienti a questo, essa lo sconta sul suo corpo. L’uomo lascia posto alla passione, così subisce un danno. È molto particolare che la donna si rammarichi molto per l’aspetto che la gente vedrà, più che per la perdita della capacità di lavorare («Preferirei non poterla usare, ma che si vedesse», ella dice, riferendosi alla mano), che però, a dir il vero, secondo le parole del barcaiolo, non incombe su di lei. La donna prende ora il suo cesto e corre dietro al giovane. Costui, anche per il suo strano aspetto (corazza e mantello purpureo, il capo scoperto e i piedi nudi esposti alla calura del sole), la induce ad attaccar discorso con lui, ma egli se ne interessa poco. Non appena però egli viene a sapere che la strada porta anche lei dalla bella Lilia, si fa coraggio ed esclama: «Facciamo la stessa strada». Si scambiano il racconto delle loro vicende; il giovane descrive la sua situazione: corona, scettro e spada sono andati persi, corazza e mantello gli sono di peso, egli è stanco e bisognoso come ogni altro figlio della terra, poiché i begli occhi azzurri di lei, Lilia, tolgono la forza ad ogni essere vivente e quelli che non ha ucciso col suo tocco, si trovano ridotti a vivere come ombre vaganti.
Il giovane è soprattutto l’umanità che è ammalata di nostalgia della vita, l’eterno femminino la trae verso l’alto. Se l’uomo aspira alla conoscenza superiore, viene colpito da una paralisi; quindi, senza salde basi morali è pericoloso cercarla. L’attacco impetuoso ha come conseguenza la morte. L’amore uccide la vita, ma uccide affinché possa risorgere la vera vita nel senso del “muori e diventa”:4
Chi non muore prima di morire, quando muore si corrompe.5
L’io inferiore deve morire. Così la morte è la radice della vita.
Essi giungono al ponte, il serpente – il manas superiore – che si è inarcato sopra il fiume. Dall’altra parte

si accorgono che li stanno accompagnando i fuochi fatui. Inoltre il serpente stesso li segue. La donna, il giovane e il serpente vanno da Lilia, i fuochi fatui restano fino al crepuscolo nel parco di Lilia. La vecchia si avvicina per prima a Lilia ed inizia con entusiasmo a lodarne la bellezza. Lilia risponde: «Non rattristarmi con una lode inopportuna, non fai che accrescere la mia infelicità». Il suo canarino – la forza profetica –, spaventato dal falco – l’annunciatore del futuro (insegna anche a capire le leggi) – si è rifugiato sul suo seno ed ora è morto. Certo, il colpevole paralizzato dal suo sguardo sconta la propria pena sulla riva. La vecchia porta ora la notizia del marito: la più grande infelicità sia considerata come la più grande felicità, poiché «è giunta l’ora». Essa chiede a Lilia di procurarle gli ortaggi mancanti nel suo cesto. Cavoli e cipolle – foglie e radici – glieli darebbe volentieri, ma il suo giardino non ha un carciofo – frutto. La donna vedendo con spavento come la sua mano scompaia sempre di più, vuole andarsene, ma ricordatasi del cagnolino, lo dà ora a Lilia. Lilia vede con piacere e meraviglia i molti bei segni: la morte dell’uccello, la mano nera dell’amica, il cagnolino di pietra preziosa che è mandato dalla lampada; tuttavia si lamenta: «Perché il tempio non è sul fiume? Perché il ponte non è costruito?». Il serpente appare e le dice parole di incoraggiamento, la profezia sarebbe compiuta, il ponte di pietre preziose si inarca sopra il fiume. Lilia risponde che la profezia non parla solo di pedoni, ma di carrozze e cavalli che dovrebbero poter passare su un solido ponte, i cui pilastri poggerebbero sul fiume.
La vecchia, con gli occhi fissi sulla mano, vorrebbe andare; Lilia le chiede di portare con sé il canarino, affinché la lampada lo possa trasformare in un bel topazio; essa poi lo farà rivivere. «Ma fate in fretta – dice alla donna – poiché al tramonto una putrefazione prenderà la povera bestiola». La vecchia mette il cadavere tra le foglie nel cesto e se ne va in fretta.
«Il tempio è costruito», riprende il serpente. «Ma non si alza ancora sul fiume», obietta Lilia. «Giace ancora nelle profondità della terra, – dice il serpente – io ho parlato con i re». «Quando si alzeranno?», chiede Lilia. Risponde il serpente: «Ho sentito risuonare nel tempio le grandi parole: “È giunta l’ora!”». Divenuta serena, Lilia dice: «Io odo già per la seconda volta, oggi, queste parole felici; quando verrà il giorno in cui le sentirò per la terza volta?». Tre ancelle le si avvicinano. Intanto lei gioca con il cagnolino rianimato, dotato però solo di mezza vita.
Il giovane si avvicina abbattuto e pallido; porta sulla mano il falco – il messaggero del futuro, la profezia dei misteri –, alla cui vista Lilia è contrariata, poiché ha ucciso il suo beniamino. «Non rimproverare l’uccello – ribatte il giovane – e concedimi di stare insieme al compagno della mia sventura». Geloso del cane che ella stringe al seno, si risveglia nel giovane l’ultima scintilla del suo eroismo. Il falco vola via dalla sua mano, egli si avventa sulla bella e cade esanime ai suoi piedi. Lilia disperata cerca aiuto. Il serpente forma col suo corpo un cerchio attorno al cadavere, afferra con i denti l’estremità della coda e rimane lì fermo.
Ora si avvicinano le ancelle: la prima porta un seggiolino a Lilia, la seconda le mette un velo color del fuoco attorno al capo, la terza le porge un’arpa. Appena Lilia ne trae alcuni suoni, la prima torna con uno specchio in modo che Lilia vi scorga la propria immagine risparmiata dal dolore. In quel momento torna senza fiato la donna col cesto; né il barcaiolo né il gigante la vogliono traghettare. Il serpente e Lilia aspettano con impazienza e tristezza, vedono in alto nell’aria il falco, il cui petto di color rosso fuoco raccoglie gli ultimi raggi del sole. Si sono inviati i fuochi fatui per far venire l’uomo con la lampada. Il serpente è molto contento del buon segno, che non inganna, poiché poco dopo vi arriva l’uomo con la lampada sul lago, come se camminasse sui pattini. Egli tranquillizza Lilia e dice: «Un individuo singolo non può esser d’aiuto, ma solo chi si unisce con molti altri al momento giusto».
Egli si pone con la lampada vicino al serpente in modo da far cadere la luce sul giovane. Anche il canarino viene messo sul cadavere. Giunge la vecchia, ancor sempre preoccupata per la sua mano, con i fuochi fatui che si intrattengono con Lilia. Il sole è tramontato; la lampada, il serpente e il velo della giovane donna illuminano, ciascuno con una propria luce. Preoccupazione e dolore erano attenuati da una sicura speranza. Intanto si era fatta mezzanotte. Il vecchio guarda le stelle e dice: «Siamo riuniti in un momento fortunato, ognuno compia il proprio compito, e una felicità generale dissolverà i singoli dolori, come un’infelicità generale distrugge le singole gioie». Ognuno era soddisfatto del proprio compito, parlandone ad alta voce. Solo le tre ancelle dormono per la stanchezza. Il vecchio dice al falco: «Prendi lo specchio e con il primo raggio di sole illumina le fanciulle addormentate e svegliale con la luce riflessa dall’alto». Il serpente si scioglie e si reca verso il fiume, seguito dai fuochi fatui con aria seria. Il vecchio e sua moglie tirano il cesto in lunghezza, che ora diffonde una propria luce, prima non notata, vi adagiano dentro il corpo del giovane e l’uccellino morto. Il cesto si libra in alto sopra il capo della vecchia, Lilia segue col cane, l’uomo con la lampada chiude il corteo. Giunti a riva vedono il serpente che ha dispiegato un magnifico arco sul fiume; tutti avanzano, il serpente li raggiunge e richiude un cerchio intorno al cadavere. Il barcaiolo li osserva con stupore. Il vecchio chiede al serpente che cosa ha deciso. «Di sacrificarmi prima di venire sacrificato». Lilia tocca il serpente con la mano sinistra e il giovane con la destra; egli ritorna in vita, si mette ritto, l’uccellino vola sulla sua spalla, ma lo spirito non era ancora tornato in loro. Si accorgono con stupore che il serpente si era frantumato in migliaia di pietre preziose. Il vecchio e sua moglie ne raccolgono i pezzi e li gettano nel fiume.
Il vecchio apre il corteo che va verso il tempio con la lampada, il giovane lo segue in modo meccanico, Lilia esitante si tiene a una certa distanza, la vecchia cerca di portare la sua mano nella luce della lampada, i fuochi fatui chiudono il corteo. La via conduce attraverso la roccia che si apre davanti a loro. Essi giungono a una grande porta di bronzo con i battenti chiusi da una serratura d’oro. I fuochi fatui leccano serratura e chiavistello – l’accesso ai gradini superiori della coscienza deve dapprima essere cercato dall’intelletto. Le porte si aprono di scatto, il bronzo risuona forte e nel tempio appaiono le figure dei re illuminate dalle luci che entrano. Tutti si inchinano davanti a loro; il re d’oro chiede: «Da dove venite?». «Dal mondo», risponde il vecchio. «Dove andate?», chiese il re d’argento. «Nel mondo», dice il vecchio. «Che cosa volete da noi?», chiede il re di bronzo. «Accompagnarvi», dice il vecchio. I fuochi fatui vogliono avvicinarsi al re d’oro, che li allontana; dopo aver illuminato il re d’argento, si dirigono di soppiatto, passando davanti a quello di bronzo, al re misto. «Chi dominerà il mondo?», chiese questi. «Chi sta sui propri piedi», risponde il vecchio. «Sono io quello!», dice il re misto. «Si vedrà, poiché è giunta l’ora», dice il vecchio.
La bella Lilia si getta al collo del vecchio e lo bacia nel modo più affettuoso: «Padre santo, ti ringrazio infinitamente, perché odo per la terza volta le parole profetiche».
Ora, appena finito di parlare, il terreno comincia a tremare sotto di loro, ed ella si aggrappa strettamente al vecchio. Il giovane e la vecchia si tengono l’un l’altro. Il tempio comincia a muoversi dapprima nelle profondità, poi sotto il fiume, e nella salita le macerie della piccola capanna del barcaiolo cadono attraverso la cupola del tempio e coprono il vecchio e il giovane. Le donne balzano di lato; il tempio si scuote come una nave che inaspettatamente tocchi terra. Nella penombra le donne si aggirano intorno alla capanna, la porta è chiusa. Ascoltano meravigliate il legno che inizia a tintinnare: la lampada lo ha trasformato in argento, che si amplia in un magnifico tempietto o altare d’argento in mezzo al grande tempio. Il giovane sale in alto per una scala, l’uomo con la lampada gli fa luce e un altro in una corta veste bianca, con in mano un remo d’argento, sembra sorreggerlo: è l’ex barcaiolo. Attraverso il passaggio sul ponte, il tempio doveva rendersi visibile grazie alla cooperazione di tutte le forze. Solo attraverso lo spirito di sacrificio dell’io è possibile il superamento del fiume delle passioni. I fuochi fatui devono aprire il tempio. Occorre avere la conoscenza della natura per penetrare i segreti.
Lilia sale all’altare, deve ancora tenersi lontana dal suo amato. La vecchia è infelice per il fatto che fra tanti prodigi non ve ne sia uno che possa salvarle la mano. Suo marito indica la porta aperta e dice: «Guarda, sta spuntando il giorno, corri a bagnarti nel fiume». Essa ne ha paura perché non ha ancora pagato il suo debito. «Va’, – dice il vecchio, – «dammi retta! Tutti i debiti sono rimessi». Essa si precipita di corsa e in quel momento appare la luce del sole che sorge sulla corona della cupola. Il vecchio si mette tra il giovane e la fanciulla ed esclama ad alta voce: «Sono tre che dominano sulla terra: la saggezza, la bellezza e la potenza». Alla prima parola si alza il re d’oro, alla seconda quello d’argento e alla terza quello di bronzo. Il re misto ad un tratto si mette goffamente a sedere; i fuochi fatui ne avevano succhiato tutto l’oro che lo tenevano unito ed egli crolla in un ammasso informe.
L’uomo con la lampada conduce giù dall’altare il giovane che ha sempre lo sguardo fisso davanti a sé e lo porta dal re di bronzo, ai cui piedi vi è una spada in un fodero di bronzo; il giovane se la cinge. «La spada a sinistra – solo per la difesa, non per l’attacco –, la destra libera – per offrire benedizione e pace», esclama il potente re. Poi vanno dal re d’argento che porge il suo scettro al giovane; costui lo prende e il re dice con voce cortese: «Pasci le pecore!». Giungono al re d’oro che con gesto di benedizione paterna pone sulla testa del giovane la corona di quercia e dice: «Riconosci ciò che è supremo!».
Il vecchio osserva come, dopo aver cinto la spada, il petto del giovane si sollevi, le sue braccia si muovano e i piedi poggino più sicuri; prendendo lo scettro, la sua forza pare mitigarsi e divenire ancor più poderosa per una grazia indicibile, ma quando la corona di quercia adorna i suoi riccioli, i tratti del suo viso si animano, gli occhi brillano di una inesprimibile spiritualità e la prima parola sulle sue labbra è: «Lilia!».
Egli le corre incontro su per i gradini dell’altare ed esclama: «Lilia! Lilia! Che cosa può desiderare un uomo, che possiede già tutto, di più prezioso dell’innocenza e del silenzioso affetto che il tuo cuore mi offre! Oh, amico mio, – continua, rivolgendosi al vecchio e guardando le tre sacre statue, – il regno dei nostri padri è splendido e sicuro, ma tu hai dimenticato la quarta forza che ancor più certa domina il mondo: la forza dell’amore». E si getta al collo della bella fanciulla, che ha gettato via il velo. A ciò il vecchio, sorridendo, replica: «L’amore non domina, ma forma, e questo è ancor più».
Ormai è pieno giorno ed essi vedono attraverso la porta aperta un grande spazio circondato da colonne, che forma l’atrio, in fondo al quale si vede un lungo e magnifico ponte che si estende sopra il fiume, ormai completamente animato da persone di ogni genere che lo percorrono sia a piedi che in carrozza; il re e la sua sposa guardano tutto quel popolo, felici del loro amore.
«Ricorda con onore il serpente, – disse l’uomo con la lampada, – tu gli devi la vita, i tuoi popoli il ponte. Quelle pietre preziose, resti del suo corpo sacrificato, sono i pilastri di questo magnifico ponte, su cui si è costruito e si manterrà». Si stava appunto per chiedergli un chiarimento di questo segreto, quando entrarono delle belle fanciulle. Dall’arpa, dall’ombrellino e dal seggiolino si riconobbero le ancelle di Lilia; la quarta era sconosciuta. «Mi crederai di più in futuro, cara donna? – disse alla bella l’uomo con la lampada. – Salute a te e ad ogni creatura che questa mattina si bagnerà nel fiume!». Anche il vecchio era diventato più giovane e prestante.
Un momento di disagio nella felicità generale viene recato dal grosso gigante che avanza barcollando sul ponte. Ebbro di sonno, intende bagnarsi come al solito nel fiume e trova inaspettatamente il ponte, dove si infila in modo goffo tra uomini e animali; sebbene susciti meraviglia in tutti, nessuno lo avverte. Quando però il sole gli abbaglia gli occhi ed egli alza le mani per stropicciarseli, l’ombra dei suoi enormi pugni passa sulla folla in modo così maldestro che uomini e animali cadono in gran quantità, correndo il rischio di venir gettati nel fiume.
Il re alla vista di quella scena porta istintivamente la mano alla spada, ma poi riflette e guarda calmo il suo scettro, la lampada e il remo dei suoi compagni.
«Indovino i tuoi pensieri, – disse l’uomo con la lampada, – ma noi siamo impotenti di fronte a questo impotente; è l’ultima volta che fa danno». Intanto il gigante si avvicina, lascia cadere le mani per lo stupore di quello che vede e non provoca più nessun danno. Entra nell’atrio a bocca aperta e giunto alla porta del tempio, all’improvviso viene trattenuto in mezzo al cortile. Rimane là come una colossale, poderosa statua e la sua ombra segna le ore a terra, non in numeri, ma in immagini nobili e significative. Il popolo lo osserva stupito e preme alla porta; in quel momento il falco con lo specchio si libra in alto sul tempio, raccoglie la luce del sole e la proietta sul gruppo che sta all’altare. Il re, la regina e i loro accompagnatori appaiono illuminati da un celeste splendore e il popolo si prostra. Quando la folla si riprende, il re con i suoi è sceso dall’altare per raggiungere il suo palazzo attraverso sale segrete. Il popolo si sparpaglia nel tempio e osserva con riverenza l’immagine dei tre re, ma quando giunge al quarto, l’ammasso informe è coperto con un prezioso tappeto che nessuno può sollevare. La folla si sarebbe schiacciata nel tempio, se i fuochi fatui, tra scherza e risa, non si fossero scrollato da sé l’oro, su cui la gente si precipita. Alla fine essa si disperde e fino ad oggi il ponte brulica di viandanti e il tempio è il più frequentato di tutto il mondo.
C’è ancora molto da spiegare, il serpente che si morde la coda e circonda il giovane morto, è il principio budhi che deve essere vissuto e amato.
Ciò che risplende del divino – atma – è la pace, l’armonia, l’onnicoscienza. Questo viene raggiunto grazie alla trasformazione in amore del desiderio. Tutto ringiovanisce.
La capanna che si sgretola delle forze inferiori viene trasformata grazie allo spirito vitale, ora queste possono condurre di là e di qua.
Il gigante, le forze della natura, hanno perso la loro forza distruttiva; questa è la conclusione che si verificherà solo dopo un determinato periodo di tempo. L’ultimo avversario è la morte; poi esse segnano solo il ritmo del tempo. E il ponte? Non è la fede che rende beati anche senza la visione dei misteri!
Ma la cosa suprema si nasconde all’occhio della folla, il re e la regina si nascondono. Tutta la beatitudine si rivela alla fede, se si aggiunge la saggezza alla fede, solo poi può essere raggiunta la perfezione.
Ciò che Goethe ci ha voluto dire con la Fiaba possiamo riassumerlo brevemente: è la rappresentazione simbolica della redenzione dell’uomo singolo, nonché di tutto il genere umano; il segreto del divenire, del morire e dell’animico-spirituale finale. Si è chiesto a Goethe di dare egli stesso una spiegazione. Egli promise di farlo se fossero state fornite cento interpretazioni. Quindi si iniziò a raccoglierle e pagarle; tuttavia fino alla sua morte non si riuscì a raggiungere quel numero.
Di conseguenza finora è mancata una giusta interpretazione. Probabilmente, usando le stesse parole della fiaba, “non era ancora l’ora”. Quella giusta la può appunto dare solo chi conosce i misteri.
Ci sono ancora diverse spiegazioni più profonde, ma potrebbero venir comprese solo nella misura in cui l’uomo stesso sia iniziato ai misteri. 

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