Rita Renoir
Rita Renoir, negli anni Cinquanta, è stata (si esibiva in coppia con Rita Cadillac) una delle più famose stripteaseuse del Crazy Horse, folgorante icona del burlesque...negli anni Sessanta ha fatto breccia nell'immaginario collettivo, divenendo una vera e propria diva del nudo...non molto conosciuta è la sua partecipazione a diversi film interessanti, tra cui "Confetti al pepe" di Jacques Baratier (1963), "Deserto Rosso" di Michelangelo Antonioni (1964), "Chappaqua" di Conrad Rooks (1966), "Fantômas contre Scotland Yard" di André Hunebelle (1967), "Cannabis" di Pierre Koralnik (1970, con Serge Gainsbourg e Jane Birkin) e "L'Ange" di Patrick Bokanowski (1982).
Ecco cosa dichiarava nel 1970 in una bellissima intervista a "L'Europeo":
"Il nudo non è indispensabile. Lei ha visto che posso lavorare vestita e liberare il mio erotismo con la sola forza dell'espressione. Questo è il punto. Questo è l'equivoco. Prenda la pièce di stasera: quanta gente l'ha capita? Quanti hanno compreso che la mia è una ricerca teatrale, non uno strip-tease? Restano scioccati, disorientati, ma forse non afferrano che io incarno la forza dell'inconscio, la crudeltà dell'erotismo, non ne captano l'incantesimo, l'isteria surrealista, il magnetismo...Non comprendono che l'arte sperimentale è l'annuncio che esiste una forma di espressione nuova e che il mio è un lavoro rigoroso, moderno, drammatico, erotico...l'erotico...è l'introduzione alla nuova drammaturgia, capisce? Dicono: Rita Renoir, la regina del sexy. Balle! Casomai regina dell'erotismo...esiste l'erotismo che passa attraverso la sessualità e quello che può non passare attraverso la sessualità, e io faccio cose erotiche non sexy, e il pubblico forse non capisce, forse si chiede cosa c'è sotto le sue emozioni epidermiche, e bisogna aiutarlo...qualcuno dovrà pur leggere quello che lei scrive, no? E magari ne rimarrà incuriosito e verrà qui con uno stato d'animo diverso e sarà già importante avergli detto che Rita Renoir amava lo strip dieci anni fa, quando era una cosa rivoluzionaria, il primo passo dell'evoluzione, il primo tempo della rivolta contro le strutture della vita sessuale, era la liberazione del corpo, quasi una scuola di spudoratezza fisica e intellettuale, ma oggi non lo ama più, oggi vuole la distruzione del sexy a favore dell'erotico...Comprende? Comprende che se anche sono in pochi a capirmi io devo andare avanti, perché è indispensabile che la violenza dell'espressione si manifesti qui, e adesso...Questa è l'avanguardia. Al di là della contestazione, l'arte è l'annuncio della vita moderna, e la gente deve rendersene conto...dica che vengano a vedere un atto erotico che potrà anche scioccarli, perché espresso in una forma non proprio piacevole, anzi un po' terrorizzante, e sarà già un primo passo, e lei avrà già fatto molto..."
Immensa
28/04/08
25/04/08
Weibang MaXu
Weibang MaXu
Weibang MaXu è il primo regista cinese di film horror della storia del cinema, degno epigono di altri poeti della difformità quali Tod Browning e James Whale, capace di creare un'originale fusione tra suggestioni provenienti dall'espressionismo tedesco, miscelate con atmosfere echeggianti i classici horror americani degli anni Trenta ("Frankenstein", "Freaks" etc), unite alle tradizioni culturali proprie del suo paese di origine.
Ne risulta un'amalgama in celluloide profondamente suggestiva ed insolita per lo spettatore occidentale, sospesa tra melodramma, mistero e passioni inconfessabili. Il tutto arricchito da una poetica personale e attraversato da un'affascinante aura romantica, adombrata però occasionalmente da un inquietante senso di indecifrabile perversione.
Il filo conduttore del suo cinema ruota attorno alla fragilità dell'identità, messa in crisi in alcuni casi dallo sfiguramento, in altri dalla società, in altri ancora da rapporti umani coercitivi. I temi ricorrenti della sua opera sono l'immagine del doppio, quella dello specchio e la figura del sosia. Spesso il regista ricorre all'apparizione di ermetiche bambole feticcio e sottolinea l'esistenza, nella sua realtà, di una sorta di circolarità di tempo e spazio, quasi che i suoi film scaturissero direttamente dalla fase percettiva di quegli attimi che si vivono quando ci si trova tra lo stato di sonno e quello di veglia.
Weibang Ma-Xu riesce, nei suoi film, anche a far intuire alcuni segreti inconfessabili della Cina feudale (altrimenti accuratamente occultati), rendendo evidente l'inesorabile caduta della vecchia società, ma parallelamente presentendo la futura imposizione di modelli esterni occidentali che porteranno ad una censura a tappeto da parte del regime dittatoriale che andrà ad instaurarsi.
L'unico suo film che ha goduto di una discreta distribuzione internazionale è lo struggente "Song at Midnight" (1937), sorta di remake de "Il fantasma dell'opera", incentrato sullo sfigurato Song Dapping, contemporaneamente eroe della rivoluzione antifeudale cinese e sorta di Cyrano, che insegna a cantare ad un giovane attore, per riuscire a fare indirette serenate alla sua amata, ma gli sviluppi della vicenda elaborati dal talento del regista saranno veramente spiazzanti e insondabili. Questo film è stato rifatto da Ronny Yu nel 1995 col titolo di "The Phantom Lover". Anche il seguito "Song at Midnight II" (1941) fu in patria all'epoca un notevole successo, tanto che il protagonista divenne l'icona simbolo della rivoluzione dei nazionalisti cinesi contro i giapponesi e i maoisti.
Gli ingredienti del sequel sono quelli del gotico più puro, con una notevole attenzione alla musica e al sottinteso messaggio politico. Tra le altre sue opere, tutte quasi invisibili, merita una citazione "The Cry of the Apes in the Deserted Valley", perla psicotronica datata 1930. Avremo mai una distribuzione in Italia, non limitata ad occasionali apparizioni ai Festival?
Weibang MaXu è il primo regista cinese di film horror della storia del cinema, degno epigono di altri poeti della difformità quali Tod Browning e James Whale, capace di creare un'originale fusione tra suggestioni provenienti dall'espressionismo tedesco, miscelate con atmosfere echeggianti i classici horror americani degli anni Trenta ("Frankenstein", "Freaks" etc), unite alle tradizioni culturali proprie del suo paese di origine.
Ne risulta un'amalgama in celluloide profondamente suggestiva ed insolita per lo spettatore occidentale, sospesa tra melodramma, mistero e passioni inconfessabili. Il tutto arricchito da una poetica personale e attraversato da un'affascinante aura romantica, adombrata però occasionalmente da un inquietante senso di indecifrabile perversione.
Il filo conduttore del suo cinema ruota attorno alla fragilità dell'identità, messa in crisi in alcuni casi dallo sfiguramento, in altri dalla società, in altri ancora da rapporti umani coercitivi. I temi ricorrenti della sua opera sono l'immagine del doppio, quella dello specchio e la figura del sosia. Spesso il regista ricorre all'apparizione di ermetiche bambole feticcio e sottolinea l'esistenza, nella sua realtà, di una sorta di circolarità di tempo e spazio, quasi che i suoi film scaturissero direttamente dalla fase percettiva di quegli attimi che si vivono quando ci si trova tra lo stato di sonno e quello di veglia.
Weibang Ma-Xu riesce, nei suoi film, anche a far intuire alcuni segreti inconfessabili della Cina feudale (altrimenti accuratamente occultati), rendendo evidente l'inesorabile caduta della vecchia società, ma parallelamente presentendo la futura imposizione di modelli esterni occidentali che porteranno ad una censura a tappeto da parte del regime dittatoriale che andrà ad instaurarsi.
L'unico suo film che ha goduto di una discreta distribuzione internazionale è lo struggente "Song at Midnight" (1937), sorta di remake de "Il fantasma dell'opera", incentrato sullo sfigurato Song Dapping, contemporaneamente eroe della rivoluzione antifeudale cinese e sorta di Cyrano, che insegna a cantare ad un giovane attore, per riuscire a fare indirette serenate alla sua amata, ma gli sviluppi della vicenda elaborati dal talento del regista saranno veramente spiazzanti e insondabili. Questo film è stato rifatto da Ronny Yu nel 1995 col titolo di "The Phantom Lover". Anche il seguito "Song at Midnight II" (1941) fu in patria all'epoca un notevole successo, tanto che il protagonista divenne l'icona simbolo della rivoluzione dei nazionalisti cinesi contro i giapponesi e i maoisti.
Gli ingredienti del sequel sono quelli del gotico più puro, con una notevole attenzione alla musica e al sottinteso messaggio politico. Tra le altre sue opere, tutte quasi invisibili, merita una citazione "The Cry of the Apes in the Deserted Valley", perla psicotronica datata 1930. Avremo mai una distribuzione in Italia, non limitata ad occasionali apparizioni ai Festival?
24/04/08
Raymond Bertrand
Raymond Bertrand - Scaglie di Sesso Alieno
"Il giardino dei sentieri che si biforcano è un'immagine incompleta, ma non falsa, dell'universo quale lo concepiva Ts'ui Pen. A differenza di Newton e Schopenhauer...non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s'accostano, si biforcano, si tagliano o si ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo; in alcuni esisti tu e io no; in altri io, e non tu; in altri entrambi"...in una fessura di questi contorcimenti temporo-dimensionali si è probabilmente dissolto Raymond Bertrand, notevole artista visionario, attivo negli anni Sessanta come illustratore della rivista francese "Planète" e autore tra l'altro della copertina di OZ numero 28 (maggio 1970), sconquassante giornale underground inglese, che subì il più lungo processo per oscenità che la storia ricordi.
I surreali pianeti di Bertrand sono solitamente popolati di corpi alieni mutanti di sesso femminile, frutto di spiazzanti metamorfosi tra esseri umani, forme vegetali (quali foglie, funghi e muschi) ed esapodi. Le ammalianti aliene sono spesso impegnate in enigmatici amplessi, immerse in un mondo viscoso, grondante carnali ossessioni e perversioni fatte di corpi frammisti ad avvolgenti forme vegetali.
I libri dei suoi lavori, prodotti nei primi anni Settanta da Eric Losfeld, che letteralmente materializzano le folgoranti visioni degli scritti di William Burroughs, sono da svariati anni fuori catalogo e nessun editore pensa ad una doverosa ristampa. Forse è per questo totale disinteresse e incomprensione nei suoi confronti che Raymond Betrand ha preferito abbandonare il nostro opaco mondo, probabilmente attraverso un'invisibile fenditura spazio-temporale...di lui e della sua arte infatti non si sa più nulla da decine d'anni...probabilmente ha felicemente raggiunto i suoi insoliti mondi ed è là che sorride, adeguatamente apprezzato, al centro del giardino dei sentieri che si biforcano.
(citazione iniziale da Jorge Luis Borges)
"Il giardino dei sentieri che si biforcano è un'immagine incompleta, ma non falsa, dell'universo quale lo concepiva Ts'ui Pen. A differenza di Newton e Schopenhauer...non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s'accostano, si biforcano, si tagliano o si ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo; in alcuni esisti tu e io no; in altri io, e non tu; in altri entrambi"...in una fessura di questi contorcimenti temporo-dimensionali si è probabilmente dissolto Raymond Bertrand, notevole artista visionario, attivo negli anni Sessanta come illustratore della rivista francese "Planète" e autore tra l'altro della copertina di OZ numero 28 (maggio 1970), sconquassante giornale underground inglese, che subì il più lungo processo per oscenità che la storia ricordi.
I surreali pianeti di Bertrand sono solitamente popolati di corpi alieni mutanti di sesso femminile, frutto di spiazzanti metamorfosi tra esseri umani, forme vegetali (quali foglie, funghi e muschi) ed esapodi. Le ammalianti aliene sono spesso impegnate in enigmatici amplessi, immerse in un mondo viscoso, grondante carnali ossessioni e perversioni fatte di corpi frammisti ad avvolgenti forme vegetali.
I libri dei suoi lavori, prodotti nei primi anni Settanta da Eric Losfeld, che letteralmente materializzano le folgoranti visioni degli scritti di William Burroughs, sono da svariati anni fuori catalogo e nessun editore pensa ad una doverosa ristampa. Forse è per questo totale disinteresse e incomprensione nei suoi confronti che Raymond Betrand ha preferito abbandonare il nostro opaco mondo, probabilmente attraverso un'invisibile fenditura spazio-temporale...di lui e della sua arte infatti non si sa più nulla da decine d'anni...probabilmente ha felicemente raggiunto i suoi insoliti mondi ed è là che sorride, adeguatamente apprezzato, al centro del giardino dei sentieri che si biforcano.
(citazione iniziale da Jorge Luis Borges)
18/04/08
Jesús Franco
17/04/08
L'origine del cinema
L'origine del cinema
L'Arrivée d'un train à La Ciotat
Auguste e Louis Lumière (1896 FRA 1')
"I due principali movimenti sono il movimento rotatorio e il movimento sessuale, la cui combinazione è espressa da una locomotiva composta di ruote e pistoni. Questi due movimenti si trasformano l'uno nell'altro reciprocamente. E' così che si vede che la terra girando fa accoppiare gli animali e gli uomini e (poiché il risultato è la causa quanto ciò che lo provoca) gli animali e gli uomini fanno girare la terra accoppiandosi."
(Georges Bataille)
L'Arrivée d'un train à La Ciotat
Auguste e Louis Lumière (1896 FRA 1')
"I due principali movimenti sono il movimento rotatorio e il movimento sessuale, la cui combinazione è espressa da una locomotiva composta di ruote e pistoni. Questi due movimenti si trasformano l'uno nell'altro reciprocamente. E' così che si vede che la terra girando fa accoppiare gli animali e gli uomini e (poiché il risultato è la causa quanto ciò che lo provoca) gli animali e gli uomini fanno girare la terra accoppiandosi."
(Georges Bataille)
15/04/08
La dinamite dei decimi di secondo
13/04/08
Destino cieco
PROGETTI INCOMPIUTI DI GRANDI REGISTI
"Non dirò molto: Ronnie Rocket è una commedia assurda che si svolge in due oscure fabbriche. Ronnie è alto novanta centimatri (ma non è un nano) e, a parte l'altezza, ha gravi problemi fisici. E' completamente calvo, ma una parrucca rossa gli copre la testa. Alcuni pensano che abbia l'età di un liceale perchè gli stanno venendo i brufoli. Ed è anche un film sull'elettricità."
(David Lynch)
"Se finalmente riuscirò a girare un film su John Holmes ci sarà da rallegrarsi. Inanzitutto perchè soltanto noi cattolici sappiamo di cosa si tratta quando si parla di sesso, poi perchè il protagonista dovrebbe essere Christopher Walken e infine perchè John Holmes se lo merita ampiamente."
(Abel Ferrara)
"Ci sono diversi motivi che spingono a fare qualcosa. Per me ci sono motivi di ordine pratico dietro la mia intenzione di scrivere un romanzo. Vorrei verificare se riesco a vivere senza avere altre persone attorno a me, se sono capace di vivere senza avere sempre un occhio puntato sulle persone con cui sto realizzando il mio lavoro. E poi soprattutto perchè lo scrivere offre possibilità diverse dal cinema. Posso dirlo così. Sono tutti motivi concreti. E forse ce n'è qualcun altro che io in questo momento non conosco, può anche essere che sia ciò che più mi interessa."
(Rainer Werner Fassbinder)
"Un altro progetto che ho in ballo è l'adattamento di un romanzo di Ruth Rendell: Life Flesh, una sorta di gothic contemporaneo. Io ne posseggo i diritti e quasi tutti gli studios americani sono interessati a farlo. L'eroe è un violentatore e io non voglio trattarlo come un mostro, ma la sua mentalità è una cosa che non sono mai riuscito a mettere a fuoco bene, quella è gente che non parla: i violentatori non vanno dagli psichiatri, non fanno psicanalisi e non si confessano in chiesa, si sa molto poco di loro...sì, capisco che abbiano avuto i soliti problemi familiari e di comunicazione, ma vorrei che qualche violentatore mi spiegasse l'atto impulsivo della violenza carnale."
(Pedro Almodovar)
"Sì, Francois Truffaut avrebbe dovuto dirigere Kramer contro Kramer, ma ci conoscevamo da prima. Gangster Story lo scrivemmo per lui e arrivammo anche a proporglielo. Disse che gli piaceva molto ma che siccome stava per iniziare Fahrenheit 451 non poteva occuparsene in quel momento. Ci raggiunse comunque a New York e passammo due giorni a parlare, per preparare un trattamento. In Gangster story c'è ancora un'intera sequenza completamente sua: ce la dettò, materialmente. E' quella in cui loro sono seduti in macchina, mentre piove, mangiano biscotti e lei legge la ballata di Bonnie e Clyde, fino a quando ci sono loro due nel campo. Quella è interamente scritta da Truffaut."
(Robert Benton)
"Ho effettivamente pensato ad un Cristo cinematografico, e se dovessi fare un film di questo tipo, ed essendo io inglese, credo che adotterei una chiave moderna. Se facciamo un passo indietro alla pittura inglese degli anni Venti, troviamo un artista eccentrico e meraviglioso come Stanley Spencer che di fatto ha realizzato le nostre migliori opere religiose di questo secolo. E le ha dipinte tutte nel proprio villaggio, cosicché dovendo ritrarre l'entrata a Gerusalemme la rappresentò nel suo villaggio con tutti gli abitanti che guardavano dalla finestra, oppure sul tamigi, Cristo sul Tamigi, quadri stupendi. Sarebbe il modo in cui affronterei il problema, e credo che se potessi scegliere prenderei senz'altro una donna per la figura di Cristo."
(Derek Jarman)
"Scrissi una sceneggiatura sugli indiani Sioux, ambientata nel 1850 e intitolata Conquering Horse che però nelle mie intenzioni doveva essere girata interamente in lingua Sioux (con sottotitoli) e presentata come un film sulla nazione Sioux..."
(Michael Cimino)
"...e poi ho sempre un progetto nel cassetto. Una di quelle sfide impossibili che mi piacciono tanto: la storia di una donna che, da sola, vuole scavare una galleria sotto le Alpi."
(Werner Herzog)
opera di Gustav Klimt
(col contributo di segnocinema 73)
"Non dirò molto: Ronnie Rocket è una commedia assurda che si svolge in due oscure fabbriche. Ronnie è alto novanta centimatri (ma non è un nano) e, a parte l'altezza, ha gravi problemi fisici. E' completamente calvo, ma una parrucca rossa gli copre la testa. Alcuni pensano che abbia l'età di un liceale perchè gli stanno venendo i brufoli. Ed è anche un film sull'elettricità."
(David Lynch)
"Se finalmente riuscirò a girare un film su John Holmes ci sarà da rallegrarsi. Inanzitutto perchè soltanto noi cattolici sappiamo di cosa si tratta quando si parla di sesso, poi perchè il protagonista dovrebbe essere Christopher Walken e infine perchè John Holmes se lo merita ampiamente."
(Abel Ferrara)
"Ci sono diversi motivi che spingono a fare qualcosa. Per me ci sono motivi di ordine pratico dietro la mia intenzione di scrivere un romanzo. Vorrei verificare se riesco a vivere senza avere altre persone attorno a me, se sono capace di vivere senza avere sempre un occhio puntato sulle persone con cui sto realizzando il mio lavoro. E poi soprattutto perchè lo scrivere offre possibilità diverse dal cinema. Posso dirlo così. Sono tutti motivi concreti. E forse ce n'è qualcun altro che io in questo momento non conosco, può anche essere che sia ciò che più mi interessa."
(Rainer Werner Fassbinder)
"Un altro progetto che ho in ballo è l'adattamento di un romanzo di Ruth Rendell: Life Flesh, una sorta di gothic contemporaneo. Io ne posseggo i diritti e quasi tutti gli studios americani sono interessati a farlo. L'eroe è un violentatore e io non voglio trattarlo come un mostro, ma la sua mentalità è una cosa che non sono mai riuscito a mettere a fuoco bene, quella è gente che non parla: i violentatori non vanno dagli psichiatri, non fanno psicanalisi e non si confessano in chiesa, si sa molto poco di loro...sì, capisco che abbiano avuto i soliti problemi familiari e di comunicazione, ma vorrei che qualche violentatore mi spiegasse l'atto impulsivo della violenza carnale."
(Pedro Almodovar)
"Sì, Francois Truffaut avrebbe dovuto dirigere Kramer contro Kramer, ma ci conoscevamo da prima. Gangster Story lo scrivemmo per lui e arrivammo anche a proporglielo. Disse che gli piaceva molto ma che siccome stava per iniziare Fahrenheit 451 non poteva occuparsene in quel momento. Ci raggiunse comunque a New York e passammo due giorni a parlare, per preparare un trattamento. In Gangster story c'è ancora un'intera sequenza completamente sua: ce la dettò, materialmente. E' quella in cui loro sono seduti in macchina, mentre piove, mangiano biscotti e lei legge la ballata di Bonnie e Clyde, fino a quando ci sono loro due nel campo. Quella è interamente scritta da Truffaut."
(Robert Benton)
"Ho effettivamente pensato ad un Cristo cinematografico, e se dovessi fare un film di questo tipo, ed essendo io inglese, credo che adotterei una chiave moderna. Se facciamo un passo indietro alla pittura inglese degli anni Venti, troviamo un artista eccentrico e meraviglioso come Stanley Spencer che di fatto ha realizzato le nostre migliori opere religiose di questo secolo. E le ha dipinte tutte nel proprio villaggio, cosicché dovendo ritrarre l'entrata a Gerusalemme la rappresentò nel suo villaggio con tutti gli abitanti che guardavano dalla finestra, oppure sul tamigi, Cristo sul Tamigi, quadri stupendi. Sarebbe il modo in cui affronterei il problema, e credo che se potessi scegliere prenderei senz'altro una donna per la figura di Cristo."
(Derek Jarman)
"Scrissi una sceneggiatura sugli indiani Sioux, ambientata nel 1850 e intitolata Conquering Horse che però nelle mie intenzioni doveva essere girata interamente in lingua Sioux (con sottotitoli) e presentata come un film sulla nazione Sioux..."
(Michael Cimino)
"...e poi ho sempre un progetto nel cassetto. Una di quelle sfide impossibili che mi piacciono tanto: la storia di una donna che, da sola, vuole scavare una galleria sotto le Alpi."
(Werner Herzog)
opera di Gustav Klimt
(col contributo di segnocinema 73)
10/04/08
Bruce Bickford
Bruce Bickford
Bruce Bickford, folle e geniale animatore di plastilina, è uno dei personaggi più sottovalutati nel panorama dell'animazione contemporanea: deve la sua sotterranea fama alla straordinaria collaborazione con Frank Zappa durante gli anni Settanta (dal 1973 al 1980), che sfociò nel 1987 nella creazione di un esaltante mediometraggio, dal titolo "The Amazing Mr. Bickford". Zappa concesse al singolare artista di creare in assoluta libertà e senza problemi economici, permettendogli così di mettere a punto le bizzarre coordinate di una vera e propria dimensione parallela, che costituisce l'allucinogeno universo animato di Bruce Bickford. Le sue strabilianti invenzioni appaiono in varie pellicole di Zappa, tra cui "Baby Snakes", "Dub Room Special" e "A token of his extreme".
Grazie all'esperienza artistica con Zappa, la sua animazione in plastilina è ormai leggendaria in ambito underground e Bickford stesso è un'icona riverberante nel sotterraneo panorama dell'animazione in stop-motion.
Ma forse non tutti sanno che, a partire dai luminosi anni Settanta, Bickford non ha mai smesso di lavorare, continuando a modellare incessantemente i suoi scenari lisergici e i suoi personaggi surreali, animando senza sosta il suo mondo, il cui semplice contatto è sovente letteralmente in grado di vaporizzare la mente dello sconcertato spettatore.
Purtroppo però non rimane praticamente traccia visibile al pubblico del suo fertile magma creativo, anche perchè l'artista è talmente assorbito dalle sue incessanti visioni, che non ha assolutamente il tempo materiale di dedicarsi al montaggio e all'editing video dei suoi sconfinati progetti.
A Bickford necessitano anni di meticoloso e infaticabile lavoro per portare a termine le sue folli animazioni, che scaturiscono da singoli fotogrammi, mirabilmente animati con la tecnica dello stop-motion. Le sue opere sono flussi di coscienza visivi, costituiti da un personale assemblaggio di fluide immagini vibranti, continuamente mutanti e non di rado urticanti, che vanno a costituire un unicum percettivo che scardina le regole della comprensione logica e della linearità narrativa. Un lavoro di pura immaginazione il suo, quasi magico, nel quale l'unica strada percorribile è quella di lasciarsi immergere e invadere, come da un sogno...un'arte da vivere come un'esperienza interiore, immaginifica e rutilante.
La sua elaborata tecnica prevede che i suoi personaggi, gli oggetti e il paesaggio continuamente appaiano e scompaiano uno nell'altro, in una perpetua enigmatica metamorfosi, con un accelerato ciclo biologico di nascita e morte, che raramente ha una durata superiore ai 5 secondi. Un personaggio minuscolo si può improvvisamente trasmutare in uno gigantesco, così come il paesaggio si può trasformare nel personaggio e viceversa. La mutazione è sempre divampante e in questo modo viene meno qualsiasi appiglio percettivo, che possa sostenere le sicurezze dello spettatore.
I temi delle sue opere sono quelli del sogno e delle insicurezze dell'infanzia, nel suo universo vige la relatività delle dimensioni e tutto è allo stesso tempo affascinante e pauroso. Nelle sue visioni il senso di pericolo è costantemente in agguato e spesso dà origine a immagini grottesche e disturbanti.
Tra le influenze Bickford cita il maestro Ray Harryhausen, il film "King Kong" del 1933, "Peter Pan" del 1953 e "I vichinghi" di Richard Fleischer del 1958 ed infatti i suoi film sono infarciti di scene in cui i personaggi agiscono brandendo coltelli o spade. Altra influenza fondamentale per Bickford è "Il mucchio selvaggio" di Sam Peckinpah e la conseguente deflagrante rappresentazione "fisica" della violenza che ne deriva.
"Prometheus' Garden" è l'unico mediometraggio completato negli ultimi anni dal visionario artista, ispirato al mito greco di Prometeo, titano benefattore, considerato origine della condizione esistenziale umana e celebrato per aver creato i primi uomini della storia del mondo, modellandoli con la creta. Bickford, nell'incipit del film, novello Prometeo contemporaneo entra nel suo fantasmagorico mondo, attraverso un giardino modellato nella plastilina, dove la terra e la materia pulsano vitalità e letteralmente crea personaggi dalla creta instillandogli la scintilla vitale...da questi personaggi origineranno altri favolosi personaggi, dando così vita al mito della creazione. La complicatissima ripresa d'apertura è sbalorditiva e si compone di otto sequenze consecutive, ognuna della durata di una manciata di secondi, nelle quali un numero crescente di personaggi in plastilina appare saltando fuori dal terreno del giardino. Per ottenere questo magma creativo Bickford ha scolpito attentamente ogni personaggio in ciascuno degli stadi della metamorfosi, a partire da microscopiche creature in plastilina per arrivare a personaggi a grandezza naturale. Per ognuna delle otto sequenze citate, Bickford ha creato non meno di 24 scenari, ognuno composto da numerosi personaggi (da sedici a oltre il centinaio per alcuni scenari) in costante progressione dimensionale e dinamica. Il film "Prometheus' Garden" è da poche settimane disponibile in DVD grazie all'encomiabile lavoro di Brett Ingram, ex ingegnere della Nasa nell'ambito del progetto Space Shuttle, che nel 1990 ha scambiato il suo palmare per una telecamera digitale e da allora è diventato un avventuroso documentarista alla ricerca di storie ai confini della realtà.
Nel 2004 Brett Ingram ha girato tra l'altro "Monster Road", struggente e imperdibile documentario su Bruce Bickford, la sua famiglia e la sua arte (il filmato a fine post ne è un estratto). Nel suo sito troverete numerose sorprese: www.brettingram.org
Bruce Bickford è un'artista insolito nel mondo contemporaneo: pensatore originale e fuori dalle logiche consumistiche e iconoclasta per vocazione.
Il suo psichedelico lavoro, volto ad indagare in maniera profonda le interconnessioni esistenti tra materia ed energia, merita profonda attenzione: www.brucebickford.com
Bruce Bickford, folle e geniale animatore di plastilina, è uno dei personaggi più sottovalutati nel panorama dell'animazione contemporanea: deve la sua sotterranea fama alla straordinaria collaborazione con Frank Zappa durante gli anni Settanta (dal 1973 al 1980), che sfociò nel 1987 nella creazione di un esaltante mediometraggio, dal titolo "The Amazing Mr. Bickford". Zappa concesse al singolare artista di creare in assoluta libertà e senza problemi economici, permettendogli così di mettere a punto le bizzarre coordinate di una vera e propria dimensione parallela, che costituisce l'allucinogeno universo animato di Bruce Bickford. Le sue strabilianti invenzioni appaiono in varie pellicole di Zappa, tra cui "Baby Snakes", "Dub Room Special" e "A token of his extreme".
Grazie all'esperienza artistica con Zappa, la sua animazione in plastilina è ormai leggendaria in ambito underground e Bickford stesso è un'icona riverberante nel sotterraneo panorama dell'animazione in stop-motion.
Ma forse non tutti sanno che, a partire dai luminosi anni Settanta, Bickford non ha mai smesso di lavorare, continuando a modellare incessantemente i suoi scenari lisergici e i suoi personaggi surreali, animando senza sosta il suo mondo, il cui semplice contatto è sovente letteralmente in grado di vaporizzare la mente dello sconcertato spettatore.
Purtroppo però non rimane praticamente traccia visibile al pubblico del suo fertile magma creativo, anche perchè l'artista è talmente assorbito dalle sue incessanti visioni, che non ha assolutamente il tempo materiale di dedicarsi al montaggio e all'editing video dei suoi sconfinati progetti.
A Bickford necessitano anni di meticoloso e infaticabile lavoro per portare a termine le sue folli animazioni, che scaturiscono da singoli fotogrammi, mirabilmente animati con la tecnica dello stop-motion. Le sue opere sono flussi di coscienza visivi, costituiti da un personale assemblaggio di fluide immagini vibranti, continuamente mutanti e non di rado urticanti, che vanno a costituire un unicum percettivo che scardina le regole della comprensione logica e della linearità narrativa. Un lavoro di pura immaginazione il suo, quasi magico, nel quale l'unica strada percorribile è quella di lasciarsi immergere e invadere, come da un sogno...un'arte da vivere come un'esperienza interiore, immaginifica e rutilante.
La sua elaborata tecnica prevede che i suoi personaggi, gli oggetti e il paesaggio continuamente appaiano e scompaiano uno nell'altro, in una perpetua enigmatica metamorfosi, con un accelerato ciclo biologico di nascita e morte, che raramente ha una durata superiore ai 5 secondi. Un personaggio minuscolo si può improvvisamente trasmutare in uno gigantesco, così come il paesaggio si può trasformare nel personaggio e viceversa. La mutazione è sempre divampante e in questo modo viene meno qualsiasi appiglio percettivo, che possa sostenere le sicurezze dello spettatore.
I temi delle sue opere sono quelli del sogno e delle insicurezze dell'infanzia, nel suo universo vige la relatività delle dimensioni e tutto è allo stesso tempo affascinante e pauroso. Nelle sue visioni il senso di pericolo è costantemente in agguato e spesso dà origine a immagini grottesche e disturbanti.
Tra le influenze Bickford cita il maestro Ray Harryhausen, il film "King Kong" del 1933, "Peter Pan" del 1953 e "I vichinghi" di Richard Fleischer del 1958 ed infatti i suoi film sono infarciti di scene in cui i personaggi agiscono brandendo coltelli o spade. Altra influenza fondamentale per Bickford è "Il mucchio selvaggio" di Sam Peckinpah e la conseguente deflagrante rappresentazione "fisica" della violenza che ne deriva.
"Prometheus' Garden" è l'unico mediometraggio completato negli ultimi anni dal visionario artista, ispirato al mito greco di Prometeo, titano benefattore, considerato origine della condizione esistenziale umana e celebrato per aver creato i primi uomini della storia del mondo, modellandoli con la creta. Bickford, nell'incipit del film, novello Prometeo contemporaneo entra nel suo fantasmagorico mondo, attraverso un giardino modellato nella plastilina, dove la terra e la materia pulsano vitalità e letteralmente crea personaggi dalla creta instillandogli la scintilla vitale...da questi personaggi origineranno altri favolosi personaggi, dando così vita al mito della creazione. La complicatissima ripresa d'apertura è sbalorditiva e si compone di otto sequenze consecutive, ognuna della durata di una manciata di secondi, nelle quali un numero crescente di personaggi in plastilina appare saltando fuori dal terreno del giardino. Per ottenere questo magma creativo Bickford ha scolpito attentamente ogni personaggio in ciascuno degli stadi della metamorfosi, a partire da microscopiche creature in plastilina per arrivare a personaggi a grandezza naturale. Per ognuna delle otto sequenze citate, Bickford ha creato non meno di 24 scenari, ognuno composto da numerosi personaggi (da sedici a oltre il centinaio per alcuni scenari) in costante progressione dimensionale e dinamica. Il film "Prometheus' Garden" è da poche settimane disponibile in DVD grazie all'encomiabile lavoro di Brett Ingram, ex ingegnere della Nasa nell'ambito del progetto Space Shuttle, che nel 1990 ha scambiato il suo palmare per una telecamera digitale e da allora è diventato un avventuroso documentarista alla ricerca di storie ai confini della realtà.
Nel 2004 Brett Ingram ha girato tra l'altro "Monster Road", struggente e imperdibile documentario su Bruce Bickford, la sua famiglia e la sua arte (il filmato a fine post ne è un estratto). Nel suo sito troverete numerose sorprese: www.brettingram.org
Bruce Bickford è un'artista insolito nel mondo contemporaneo: pensatore originale e fuori dalle logiche consumistiche e iconoclasta per vocazione.
Il suo psichedelico lavoro, volto ad indagare in maniera profonda le interconnessioni esistenti tra materia ed energia, merita profonda attenzione: www.brucebickford.com
08/04/08
Rapporto Confidenziale
"Amare il cinema significa essere tentati, prima o poi dalla ricerca di una verità definitiva, di una regola aurea, di un segreto centrale."
(Roger Tailleur)
E l'inesauribile ricerca unita ad una palpitante passione è il collante di questa nuova titanica avventura...http://confidenziale.wordpress.com
05/04/08
Blast of Silence
Blast of Silence - Cronaca di un assassinio
di Allen Baron (1961 USA 77’)
con Allen Baron, Molly McCarthy, Larry Tucker, Peter H. Clune.
L'orfano Frank "Baby Boy" Bono è un abile killer di professione: mandato, sotto Natale, dai suoi committenti a New York per uccidere il temibile capo di una banda di gangsters. Frank, per eseguire il lavoro, acquista da un viscido ricettatore, l'obeso Ralph, una pistola con silenziatore, con cui successivamente eliminerà il medesimo perchè a causa di un incontro casuale col medesimo in un night viene messa in pericolo la sua identità segreta...ma le sue sicurezze stanno venendo meno e il buco nero rappresentato da una vita fondata su solitudine e vicoli ciechi si sta inesorabilmente rivelando alla sua sopita coscienza. La crisi esistenziale conseguente è profonda e lacerante, tanto da arrivare ad incrinare la sua solitamente impeccabile professionalità. Da una voce narrante fuori campo (quella di Lionel Stander, sessantenne, forse il padre che Frankie non ha mai avuto) veniamo resi partecipi del tormentato flusso di coscienza emotivo del protagonista, le cui precedentemente inossidabili certezze traballano quando incontra la sorella di un ex-compagno di scuola, sua mai dimenticata vecchia fiamma. Corroso dai dubbi il killer tenta così di cancellare telefonicamente la sua missione, per poi rendersi conto dell'errore e ripensarci. L'ormai stanco e depresso Frankie prepara comunque l'assassinio con l'abituale meticolosità e riuscirà ugualmente a portare a termine il sofferto contratto, col pensiero di ritirarsi a nuova vita con l'aiuto dei loschi guadagni, ma un destino beffardo lo aspetta dietro l'angolo...
Folgorante noir, diretto con pochi mezzi, ma anche interpretato e sceneggiato da Allen Baron, all'epoca considerato l'enfant prodige del cinema indipendente americano, poi per un destino beffardo (analogo a quello del protagonista del film) scomparso dal circuito del cinema in sala e letteralmente sprecato nella regia di una moltitudine di inutili episodi di modeste serie televisive. "Blast of silence" è un intenso noir esistenzialista, sospeso tra il classicismo e l'avanguardia, dotato di una fotografia in bianco e nero affascinante e numerose sequenze memorabili, che riesce ad afferrare l'anima misteriosa ed oscura della giungla di New York, rappresentando i bassifondi della metropoli nei suoi recessi più sconosciuti ed inesplorati (all'epoca) dal mondo in celluloide.
Il film, visionario e ammaliante, accompagnato da una ricercata colonna sonora jazz, si è creato nel tempo un notevole seguito tra i dedali dell’universo B-movie, influenzando sottilmente le opere di autori imprescindibili, quali Martin Scorsese, Abel Ferrara e Jean Pierre Melville tra gli altri.
Allen Baron, dopo un'opera così sofisticata, aveva davanti a sé una mirabolante carriera, ma i mille rivoli imperscrutabili della sorte hanno fatto sì che ciò non sia accaduto e che anche questo suo primo film risulti di estremamente difficile reperibilità. Perché? Non è dato sapere, anche perchè come dice il suo protagonista: "la vita è misteriosa"...
Racconta Baron in un'intervista di D'Agnolo Vallan: "Il mio film, finito nel 1959, non è stato distribuito fino al 1961. In un certo senso, io e Cassavetes, che conoscevo abbastanza bene, abbiamo iniziato il cinema indipendente degli anni '60, anche se qualcuno era già attivo durante la decade precedente, come Morris Engel. Non è che ci fosse un movimento, anche se c'erano in giro molti che poi sono diventati famosi. Ci vedevamo tutti in un ristorante irlandese, sull'Ottava Avenue tra la Quarantaquattresima e la Quarantacinquesima Strada. C'erano Peter Bogdanovich, Tennessee Williams, Steve McQueen, Paul Newman, Henry Jaglom, che mi ricorda sempre come sia stato proprio io a incoraggiarlo sulla strada del cinema contro il parere della sua ricca famiglia. L'Actor's Studio era dietro l'angolo...si stava alzati a parlare fino alla mattina. Non credo che ci sia più niente di simile..."
"Blast of Silence is my favourite New York city movie" (Martin Scorsese)
"I gangsters e gli artisti sono uguali agli occhi delle masse: sono ammirati, adorati, ma c'è chi si dà un gran da fare per distruggerli"
(Stanley Kubrick)
di Allen Baron (1961 USA 77’)
con Allen Baron, Molly McCarthy, Larry Tucker, Peter H. Clune.
L'orfano Frank "Baby Boy" Bono è un abile killer di professione: mandato, sotto Natale, dai suoi committenti a New York per uccidere il temibile capo di una banda di gangsters. Frank, per eseguire il lavoro, acquista da un viscido ricettatore, l'obeso Ralph, una pistola con silenziatore, con cui successivamente eliminerà il medesimo perchè a causa di un incontro casuale col medesimo in un night viene messa in pericolo la sua identità segreta...ma le sue sicurezze stanno venendo meno e il buco nero rappresentato da una vita fondata su solitudine e vicoli ciechi si sta inesorabilmente rivelando alla sua sopita coscienza. La crisi esistenziale conseguente è profonda e lacerante, tanto da arrivare ad incrinare la sua solitamente impeccabile professionalità. Da una voce narrante fuori campo (quella di Lionel Stander, sessantenne, forse il padre che Frankie non ha mai avuto) veniamo resi partecipi del tormentato flusso di coscienza emotivo del protagonista, le cui precedentemente inossidabili certezze traballano quando incontra la sorella di un ex-compagno di scuola, sua mai dimenticata vecchia fiamma. Corroso dai dubbi il killer tenta così di cancellare telefonicamente la sua missione, per poi rendersi conto dell'errore e ripensarci. L'ormai stanco e depresso Frankie prepara comunque l'assassinio con l'abituale meticolosità e riuscirà ugualmente a portare a termine il sofferto contratto, col pensiero di ritirarsi a nuova vita con l'aiuto dei loschi guadagni, ma un destino beffardo lo aspetta dietro l'angolo...
Folgorante noir, diretto con pochi mezzi, ma anche interpretato e sceneggiato da Allen Baron, all'epoca considerato l'enfant prodige del cinema indipendente americano, poi per un destino beffardo (analogo a quello del protagonista del film) scomparso dal circuito del cinema in sala e letteralmente sprecato nella regia di una moltitudine di inutili episodi di modeste serie televisive. "Blast of silence" è un intenso noir esistenzialista, sospeso tra il classicismo e l'avanguardia, dotato di una fotografia in bianco e nero affascinante e numerose sequenze memorabili, che riesce ad afferrare l'anima misteriosa ed oscura della giungla di New York, rappresentando i bassifondi della metropoli nei suoi recessi più sconosciuti ed inesplorati (all'epoca) dal mondo in celluloide.
Il film, visionario e ammaliante, accompagnato da una ricercata colonna sonora jazz, si è creato nel tempo un notevole seguito tra i dedali dell’universo B-movie, influenzando sottilmente le opere di autori imprescindibili, quali Martin Scorsese, Abel Ferrara e Jean Pierre Melville tra gli altri.
Allen Baron, dopo un'opera così sofisticata, aveva davanti a sé una mirabolante carriera, ma i mille rivoli imperscrutabili della sorte hanno fatto sì che ciò non sia accaduto e che anche questo suo primo film risulti di estremamente difficile reperibilità. Perché? Non è dato sapere, anche perchè come dice il suo protagonista: "la vita è misteriosa"...
Racconta Baron in un'intervista di D'Agnolo Vallan: "Il mio film, finito nel 1959, non è stato distribuito fino al 1961. In un certo senso, io e Cassavetes, che conoscevo abbastanza bene, abbiamo iniziato il cinema indipendente degli anni '60, anche se qualcuno era già attivo durante la decade precedente, come Morris Engel. Non è che ci fosse un movimento, anche se c'erano in giro molti che poi sono diventati famosi. Ci vedevamo tutti in un ristorante irlandese, sull'Ottava Avenue tra la Quarantaquattresima e la Quarantacinquesima Strada. C'erano Peter Bogdanovich, Tennessee Williams, Steve McQueen, Paul Newman, Henry Jaglom, che mi ricorda sempre come sia stato proprio io a incoraggiarlo sulla strada del cinema contro il parere della sua ricca famiglia. L'Actor's Studio era dietro l'angolo...si stava alzati a parlare fino alla mattina. Non credo che ci sia più niente di simile..."
"Blast of Silence is my favourite New York city movie" (Martin Scorsese)
"I gangsters e gli artisti sono uguali agli occhi delle masse: sono ammirati, adorati, ma c'è chi si dà un gran da fare per distruggerli"
(Stanley Kubrick)
04/04/08
Periodo di v(u)oto
Storia, materialismo, monismo, positivismo e tutti gli "ismi" di questo mondo sono attrezzi vecchi e rugginosi di cui non ho più bisogno o interesse. Il mio principio è la vita, la mia fine è la morte. Desidero vivere la mia vita intensamente per abbracciare tragicamente la mia morte.
State aspettando la rivoluzione? La mia è iniziata molto tempo fa!
Quando sarete pronti (Dio, che attesa senza fine!) non mi dispiacerà andare insieme a voi per un pezzo. Ma quando vi fermerete, io continuerò sulla mia insana e trionfale via verso la grande e sublime conquista del nulla!
Ogni società che costruite avrà i suoi limiti. E fuori dai limiti di ogni società vagabondi eroici e indisciplinati vagheranno con i loro pensieri vergini e selvaggi - coloro i quali non possono vivere senza progettare nuove e terribili esplosioni di ribellione!
Io sarò tra di loro!
E dopo di me, come prima di me, ci saranno quelli che diranno ai loro simili: "Rivolgetevi a voi stessi invece che ai vostri Dei o ai vostri idoli. Trovate quel che si nasconde in voi; portatelo alla luce; mostratevi!".
Perché ogni persona che cercando la propria interiorità, estrae ciò che fu misteriosamente nascosto lì, è un'ombra che eclissa ogni società che possa esistere sotto il sole!
Tutte le società tremano quando la sprezzante aristocrazia dei vagabondi, gli inaccessibili, gli unici, i dominatori dell'ideale e i conquistatori del niente risolutamente avanza.
Così, suvvia iconoclasti, avanti!
"Già il cielo ostile cresce scuro e silente!"
(Renzo Novatore, 1920)
State aspettando la rivoluzione? La mia è iniziata molto tempo fa!
Quando sarete pronti (Dio, che attesa senza fine!) non mi dispiacerà andare insieme a voi per un pezzo. Ma quando vi fermerete, io continuerò sulla mia insana e trionfale via verso la grande e sublime conquista del nulla!
Ogni società che costruite avrà i suoi limiti. E fuori dai limiti di ogni società vagabondi eroici e indisciplinati vagheranno con i loro pensieri vergini e selvaggi - coloro i quali non possono vivere senza progettare nuove e terribili esplosioni di ribellione!
Io sarò tra di loro!
E dopo di me, come prima di me, ci saranno quelli che diranno ai loro simili: "Rivolgetevi a voi stessi invece che ai vostri Dei o ai vostri idoli. Trovate quel che si nasconde in voi; portatelo alla luce; mostratevi!".
Perché ogni persona che cercando la propria interiorità, estrae ciò che fu misteriosamente nascosto lì, è un'ombra che eclissa ogni società che possa esistere sotto il sole!
Tutte le società tremano quando la sprezzante aristocrazia dei vagabondi, gli inaccessibili, gli unici, i dominatori dell'ideale e i conquistatori del niente risolutamente avanza.
Così, suvvia iconoclasti, avanti!
"Già il cielo ostile cresce scuro e silente!"
(Renzo Novatore, 1920)
01/04/08
Il giardino delle delizie
Il giardino delle delizie
di Silvano Agosti (1967 ITA 75')
con Maurice Ronet, Evelyn Stewart, Lea Massari, Franco Bertoni.
Sono contento di aver creato questo blog che mi permette di mettere in luce film magnifici che, per un motivo o per l'altro, sono stati fraintesi e sottovalutati dalla svogliata critica ufficiale, spesso sottomessa alle ferree leggi del mercato e occasionalmente mancante di passione...quel corroborante sentimento vitale e intenso che turba lo spirito...inoltre dieci anni fa se uno cercava informazioni su un film si serviva dei famigerati dizionari, in cui autori cristallini (ma fuori dagli schemi) venivano sbeffeggiati e conseguentemente bollati per l'eternità con un giudizio sommario e poche stelline, ora le informazioni sui film si cercano sui motori di ricerca...
Il poetico Agosti gira nel 1967, in epoca precedente alla legge sul divorzio, questo suo primo straordinario lungometraggio incentrato sulle due notti susseguenti al matrimonio di Carlo e Carla, coppia ordinaria, apparentemente radioso prodotto di una vincente borghesia, allevata nel rigoroso rispetto delle convenzioni sociali e morali universalmente riconosciute.
Nel film emerge e deflagra il disagio esistenziale del protagonista, interpretato da un meraviglioso Maurice Ronet, vittima suo malgrado di una rigida educazione schizofrenicamente ambigua, che provoca nella sua psiche diversi nodi irrisolti.
Si tratta di un film molto complesso, personale e toccante, in cui ogni sequenza non è messa a caso, ma profondamente sofferta e pensata, in cui si assiste ad un continuo alternarsi di passato e futuro e di mondo fenomenico e immaginazione. Agosti, sin dal suo esordio, si dimostra un virtuoso del montaggio e riesce a comunicarci con esso, veramente, una miriade di messaggi...nel tentativo di parlare del film mi sono infatti dissolto nei sottili rivoli di senso a cui portano le sue fulminanti immagini, vero e proprio flusso di coscienza psichico e psicanalitico, materializzato in celluloide.
Il funambolico intreccio tra fantasia e realtà, tra reminescenze traumatiche dell'infanzia e immagini preveggenti della futura vita coniugale, ci mostra come la vita del protagonista sia in realtà sequestrata entro un percorso a priori preordinato e scontato, in cui egli è stato addestrato a "comportarsi come un cane da circo", praticamente docilmente ammaestrato a camminare sulle zampe posteriori.
Centrale nel film è il tema del peccato e della conseguente punizione, che letteralmente ossessiona l'incolpevole protagonista, vittima di un'educazione spirituale fondata sulla pratica della repressione e sul permanente rinvio della soddisfazione del piacere. Ciò che emerge è il conflitto fra l'anèlito di libertà del singolo e le soffocanti gabbie (matrimonio, famiglia borghese, riti religiosi) che, incessantemente, il potere gli erige attorno.
Lo stile delle splendide inquadrature di Agosti è estremamente concentrato sul particolare, consapevole di come dalle impercettibili sfumature degli atteggiamenti fisici dei suoi personaggi e parallelamente dai loro occhi, vero e proprio specchio dell'anima, si possano cogliere molte più informazioni e verità, che dalle loro parole ormai svuotate di senso, in quanto inesorabilmente obbedienti a rituali e circostanze prefissati.
Uno dei temi che ha scatenato contro Agosti gli strali del potere religioso e politico, all'epoca dell'uscita della pellicola, è stato il mostrare una volta per tutte ed inequivocabilmente l’ipocrita binomio fra un atteggiarsi esteriormente sessuofobo delle istituzioni che presiedono all'educazione formativa del bambino (chiesa, scuola e famiglia), e la paradossale recondita pratica morbosa e violenta della sessualità stessa da parte di coloro che di quelle istituzioni sono esponenti e sostenitori (il padre che costringe la madre a un rapporto sessuale forzato e violento, il prete che dà a Carlo una carezza un po’ troppo ambigua subito prima di punirlo, la traumatica esperienza scolastica in cui Carlo subisce le avances sessuali del suo maestro...).
L'attacco frontale al matrimonio (e a tutte le convenzioni sociali e religiose che si porta dietro) è implacabile, nel ripercorrere gli impeccabili rituali viene selvaggiamente evidenziato l'elemento di insanabile frattura...il protagonista è ammalato di una malattia esistenziale, ormai incurabile, sicuramente causata dagli equivoci messaggi di una società repressiva, autoritaria ed ipocrita. Tenta di opporsi in molti modi, posseduto da una rabbiosa insofferenza, ma il suo coinvolgimento nelle maglie perverse del sistema è talmente avanzato che il suo destino è comunque ineluttabilmente segnato. La moglie, incinta di tre mesi, è invece ormai definitivamente un burattino del sistema, un'attrice perfettamente in parte nella sciatta banalità del quotidiano, che in ogni situazione rispetta le regole e i rituali prestabiliti...alla domanda innervosita di lui sul perché legarsi a doppio filo per tutta una vita...lei risponde candidamente "Carlo, io non lo so, ma se si è sempre fatto vuol dire che un senso c'è". A tal proposito viene ad essere geniale l'utilizzo del rumore dello sciacquone guasto del water, come accompagnamento costante alla prima notte di nozze dei due sposini.
Magnetica ed enigmatica la figura della silenziosa donna coi capelli neri, d'aspetto antitetica alla bellissima bionda moglie, in realtà chimera di libertà, materializzazione della soddisfazione del famelico desiderio di Carlo, che si evidenzia in una pulsante sequenza in cui i due hanno un proibito e lacerante rapporto, "girato con affannosi primi piani su toni drammatici, quasi infernali". La punizione non tarderà ad arrivare...(ma non la svelo per non rovinarvi la visione).
Altra mirabolante sequenza è quella della danza gioiosa e spensierata, al ritmo di un'ipnotica musica beat, dei giovani sulla spiaggia che viene intercettata da una irreprensibile processione. Il contatto tra i due mondi porta all'interruzione della danza da parte dei ragazzi alla ricerca di un qualche tipo di scambio comunicativo, mentre la processione continua ottusamente la sua marcia, e questo la dice lunga sul diverso grado di apertura mentale...
E ovviamente punto di partenza e di arrivo del film è "il giardino delle delizie" di Bosch, vero e proprio summa di tutto ciò che possono essere i rapporti umani.
http://www.silvanoagosti.com
Per approfondire consiglio la strabiliante dissezione del film ad opera di Filippo Schillaci: http://www.mat.uniroma2.it/~schillac/cinema/agosti/cap1.htm
"Il film fu linciato durante la proiezione al festival di Pesaro: urla, fischi, schiamazzi, rimproveri. Compensati dal fatto che il pubblico attribuì al mio film il primo premio del Festival. Sono stato grato alla gente e non a caso la gente mi ha sempre sostenuto, in un modo molto forte. Mentre i critici mi hanno sempre ostacolato perché hanno un senso di colpa che nasce da allora. A un certo punto, un prete o sedicente tale, un certo Don Sorge, non il magnifico Gesuita ma un «Sorgino», si alzò e gridò: «Sacrilegio, sacrilegio!», perché c’era il bambino che giocava alla messa con la bambola crocefissa. Questa esperienza mi ha fatto capire tante cose e ho deciso irrevocabilmente che non avrei mai più fatto del cinema. Ma non fu a Pesaro che decisi, decisi dopo, in Vaticano, quando per fare uscire il film ci fu una proiezione. La proiezione si fece in via della Conciliazione alla presenza di tutti gli autori cattolici: Liliana Cavani, Italo Moscati, Cavallaro, Cardinale... Non era previsto che ci fossi io, ma ci andai ugualmente e fui sottoposto a un esame che durò almeno due ore e mezza, dopo il film. Psicologicamente, almeno sei o sette ore per me. Ciò che mi fece decidere irrevocabilmente di non fare più del cinema, fu quello scheletro con la papalina viola che si alzò e disse: «Agosti può continuare a fare del cinema purché affiancato da persone responsabili, in fase di sceneggiatura». A me questa frase risultò talmente assurda e talmente incomprensibile, battuta nell’incomprensibilità, solo dalla frase che uno dei massimi esponenti democristiani del Parlamento mi disse subito dopo. Quest’uomo che si chiamava Silvano Battisti, la sera prima mi aveva detto: «Io combatterò sempre il tuo film». Dopo questo interrogatorio in Vaticano, mi prese sottobraccio e mi disse: «Abbiamo vinto». Come abbiamo vinto! Si era improvvisamente alleato con me, dopo aver detto, la sera prima, che avrebbe combattuto il mio film. Questo magma scolpito nell’ipocrisia, nell’imprecisione, nell’arroganza, nella violenza estrema, di stampo, addirittura preriformistico, da inquisizione... In fondo avevo solo fatto un film, non avevo mica ammazzato nessuno...Nel frattempo il film era stato visto da una commissione per l’esposizione nelle sale di Montreal, ed era stato invitato come uno dei dieci film più importanti, allora dicevano, del mondo. A Montreal ho incontrato dei personaggi come Jean Renoir, Fritz Lang, John Ford, era troppo vecchio, l’ho solo toccato. Poi c’erano Glauber Rocha, Dusan Makavejev e Monte Hellman con cui sono rimasto amico tutta la vita..."
Silvano Agosti
(da un'intervista a cura dell'Associazione Culturale L'Alambicco di Cagliari)
di Silvano Agosti (1967 ITA 75')
con Maurice Ronet, Evelyn Stewart, Lea Massari, Franco Bertoni.
Sono contento di aver creato questo blog che mi permette di mettere in luce film magnifici che, per un motivo o per l'altro, sono stati fraintesi e sottovalutati dalla svogliata critica ufficiale, spesso sottomessa alle ferree leggi del mercato e occasionalmente mancante di passione...quel corroborante sentimento vitale e intenso che turba lo spirito...inoltre dieci anni fa se uno cercava informazioni su un film si serviva dei famigerati dizionari, in cui autori cristallini (ma fuori dagli schemi) venivano sbeffeggiati e conseguentemente bollati per l'eternità con un giudizio sommario e poche stelline, ora le informazioni sui film si cercano sui motori di ricerca...
Il poetico Agosti gira nel 1967, in epoca precedente alla legge sul divorzio, questo suo primo straordinario lungometraggio incentrato sulle due notti susseguenti al matrimonio di Carlo e Carla, coppia ordinaria, apparentemente radioso prodotto di una vincente borghesia, allevata nel rigoroso rispetto delle convenzioni sociali e morali universalmente riconosciute.
Nel film emerge e deflagra il disagio esistenziale del protagonista, interpretato da un meraviglioso Maurice Ronet, vittima suo malgrado di una rigida educazione schizofrenicamente ambigua, che provoca nella sua psiche diversi nodi irrisolti.
Si tratta di un film molto complesso, personale e toccante, in cui ogni sequenza non è messa a caso, ma profondamente sofferta e pensata, in cui si assiste ad un continuo alternarsi di passato e futuro e di mondo fenomenico e immaginazione. Agosti, sin dal suo esordio, si dimostra un virtuoso del montaggio e riesce a comunicarci con esso, veramente, una miriade di messaggi...nel tentativo di parlare del film mi sono infatti dissolto nei sottili rivoli di senso a cui portano le sue fulminanti immagini, vero e proprio flusso di coscienza psichico e psicanalitico, materializzato in celluloide.
Il funambolico intreccio tra fantasia e realtà, tra reminescenze traumatiche dell'infanzia e immagini preveggenti della futura vita coniugale, ci mostra come la vita del protagonista sia in realtà sequestrata entro un percorso a priori preordinato e scontato, in cui egli è stato addestrato a "comportarsi come un cane da circo", praticamente docilmente ammaestrato a camminare sulle zampe posteriori.
Centrale nel film è il tema del peccato e della conseguente punizione, che letteralmente ossessiona l'incolpevole protagonista, vittima di un'educazione spirituale fondata sulla pratica della repressione e sul permanente rinvio della soddisfazione del piacere. Ciò che emerge è il conflitto fra l'anèlito di libertà del singolo e le soffocanti gabbie (matrimonio, famiglia borghese, riti religiosi) che, incessantemente, il potere gli erige attorno.
Lo stile delle splendide inquadrature di Agosti è estremamente concentrato sul particolare, consapevole di come dalle impercettibili sfumature degli atteggiamenti fisici dei suoi personaggi e parallelamente dai loro occhi, vero e proprio specchio dell'anima, si possano cogliere molte più informazioni e verità, che dalle loro parole ormai svuotate di senso, in quanto inesorabilmente obbedienti a rituali e circostanze prefissati.
Uno dei temi che ha scatenato contro Agosti gli strali del potere religioso e politico, all'epoca dell'uscita della pellicola, è stato il mostrare una volta per tutte ed inequivocabilmente l’ipocrita binomio fra un atteggiarsi esteriormente sessuofobo delle istituzioni che presiedono all'educazione formativa del bambino (chiesa, scuola e famiglia), e la paradossale recondita pratica morbosa e violenta della sessualità stessa da parte di coloro che di quelle istituzioni sono esponenti e sostenitori (il padre che costringe la madre a un rapporto sessuale forzato e violento, il prete che dà a Carlo una carezza un po’ troppo ambigua subito prima di punirlo, la traumatica esperienza scolastica in cui Carlo subisce le avances sessuali del suo maestro...).
L'attacco frontale al matrimonio (e a tutte le convenzioni sociali e religiose che si porta dietro) è implacabile, nel ripercorrere gli impeccabili rituali viene selvaggiamente evidenziato l'elemento di insanabile frattura...il protagonista è ammalato di una malattia esistenziale, ormai incurabile, sicuramente causata dagli equivoci messaggi di una società repressiva, autoritaria ed ipocrita. Tenta di opporsi in molti modi, posseduto da una rabbiosa insofferenza, ma il suo coinvolgimento nelle maglie perverse del sistema è talmente avanzato che il suo destino è comunque ineluttabilmente segnato. La moglie, incinta di tre mesi, è invece ormai definitivamente un burattino del sistema, un'attrice perfettamente in parte nella sciatta banalità del quotidiano, che in ogni situazione rispetta le regole e i rituali prestabiliti...alla domanda innervosita di lui sul perché legarsi a doppio filo per tutta una vita...lei risponde candidamente "Carlo, io non lo so, ma se si è sempre fatto vuol dire che un senso c'è". A tal proposito viene ad essere geniale l'utilizzo del rumore dello sciacquone guasto del water, come accompagnamento costante alla prima notte di nozze dei due sposini.
Magnetica ed enigmatica la figura della silenziosa donna coi capelli neri, d'aspetto antitetica alla bellissima bionda moglie, in realtà chimera di libertà, materializzazione della soddisfazione del famelico desiderio di Carlo, che si evidenzia in una pulsante sequenza in cui i due hanno un proibito e lacerante rapporto, "girato con affannosi primi piani su toni drammatici, quasi infernali". La punizione non tarderà ad arrivare...(ma non la svelo per non rovinarvi la visione).
Altra mirabolante sequenza è quella della danza gioiosa e spensierata, al ritmo di un'ipnotica musica beat, dei giovani sulla spiaggia che viene intercettata da una irreprensibile processione. Il contatto tra i due mondi porta all'interruzione della danza da parte dei ragazzi alla ricerca di un qualche tipo di scambio comunicativo, mentre la processione continua ottusamente la sua marcia, e questo la dice lunga sul diverso grado di apertura mentale...
E ovviamente punto di partenza e di arrivo del film è "il giardino delle delizie" di Bosch, vero e proprio summa di tutto ciò che possono essere i rapporti umani.
http://www.silvanoagosti.com
Per approfondire consiglio la strabiliante dissezione del film ad opera di Filippo Schillaci: http://www.mat.uniroma2.it/~schillac/cinema/agosti/cap1.htm
"Il film fu linciato durante la proiezione al festival di Pesaro: urla, fischi, schiamazzi, rimproveri. Compensati dal fatto che il pubblico attribuì al mio film il primo premio del Festival. Sono stato grato alla gente e non a caso la gente mi ha sempre sostenuto, in un modo molto forte. Mentre i critici mi hanno sempre ostacolato perché hanno un senso di colpa che nasce da allora. A un certo punto, un prete o sedicente tale, un certo Don Sorge, non il magnifico Gesuita ma un «Sorgino», si alzò e gridò: «Sacrilegio, sacrilegio!», perché c’era il bambino che giocava alla messa con la bambola crocefissa. Questa esperienza mi ha fatto capire tante cose e ho deciso irrevocabilmente che non avrei mai più fatto del cinema. Ma non fu a Pesaro che decisi, decisi dopo, in Vaticano, quando per fare uscire il film ci fu una proiezione. La proiezione si fece in via della Conciliazione alla presenza di tutti gli autori cattolici: Liliana Cavani, Italo Moscati, Cavallaro, Cardinale... Non era previsto che ci fossi io, ma ci andai ugualmente e fui sottoposto a un esame che durò almeno due ore e mezza, dopo il film. Psicologicamente, almeno sei o sette ore per me. Ciò che mi fece decidere irrevocabilmente di non fare più del cinema, fu quello scheletro con la papalina viola che si alzò e disse: «Agosti può continuare a fare del cinema purché affiancato da persone responsabili, in fase di sceneggiatura». A me questa frase risultò talmente assurda e talmente incomprensibile, battuta nell’incomprensibilità, solo dalla frase che uno dei massimi esponenti democristiani del Parlamento mi disse subito dopo. Quest’uomo che si chiamava Silvano Battisti, la sera prima mi aveva detto: «Io combatterò sempre il tuo film». Dopo questo interrogatorio in Vaticano, mi prese sottobraccio e mi disse: «Abbiamo vinto». Come abbiamo vinto! Si era improvvisamente alleato con me, dopo aver detto, la sera prima, che avrebbe combattuto il mio film. Questo magma scolpito nell’ipocrisia, nell’imprecisione, nell’arroganza, nella violenza estrema, di stampo, addirittura preriformistico, da inquisizione... In fondo avevo solo fatto un film, non avevo mica ammazzato nessuno...Nel frattempo il film era stato visto da una commissione per l’esposizione nelle sale di Montreal, ed era stato invitato come uno dei dieci film più importanti, allora dicevano, del mondo. A Montreal ho incontrato dei personaggi come Jean Renoir, Fritz Lang, John Ford, era troppo vecchio, l’ho solo toccato. Poi c’erano Glauber Rocha, Dusan Makavejev e Monte Hellman con cui sono rimasto amico tutta la vita..."
Silvano Agosti
(da un'intervista a cura dell'Associazione Culturale L'Alambicco di Cagliari)
Iscriviti a:
Post (Atom)