La chambre verte
di François Truffaut (1978 FRA 94')
con François Truffaut, Nathalie Baye, Jean Dastè, Serge Rosseau.
Liberamente ispirato a tre novelle di Henry James (L'Autel des Morts, Les Amis des amis, La Bête dans la jungle), "la chambre verte" è il film più cupo e crepuscolare di Truffaut. A discapito di quanto potrebbe apparire ad una lettura superficiale del film, lo stesso regista ha avuto, però, modo di sottolineare che il tema portante de La camera verde «non è il culto della morte. È effettivamente un'estensione dell'amore della gente che abbiamo conosciuto e non c'è più; è l'idea che questa gente continui a essere presente. Io non aderisco completamente al personaggio e spesso mi capita di criticarlo. È un mezzo pazzo con un'idea fissa, ma ciò che conta è che egli rifiuta l'oblio. Per me è importante questo rifiuto. [...] Io sono contro l'oblio, che è una frivolezza enorme [...]. È una cosa che non sopporto.»
Più che la fedeltà alla morte, il soggetto del film è, dunque, la fedeltà pura e semplice, «la lotta dell'assoluto e del relativo, del provvisorio e del definitivo. L'oblio progressivo corrisponde alla legge della vita. [...] Tutto ciò che è di dominio affettivo reclama l'assoluto. Il bambino vuole la madre per la vita; gli innamorati vogliono amarsi per la vita; tutto in noi reclama il definitivo, mentre la vita ci insegna il provvisorio. Mi chiedo se ciò che c'è di più importante al mondo non sia il momento in cui si vacilla, in cui ci si rende conto, per esempio, che i nostri bambini contano più dei nostri genitori... Più si va avanti e più ci conviene dimenticare i nostri morti, perchè dimenticandoli dimentichiamo la nostra stessa morte. Proust ha detto: «Non è perchè gli altri sono morti che il nostro affetto per loro si affievolisce, è perchè moriamo noi stessi...» Sì, il vero distacco sta lì, in questa necessità, per sopravvivere, di accettare il provvisorio.»
«Nella Nuit américaine c'era l'esaltazione del lavoro dei cineasti, qui c'è l'esaltazione delle persone che hanno contato. È un po' come una dichiarazione d'amore. Non è nè deprimente, nè morboso, nè triste. È l'idea che la forza del ricordo, della fedeltà e delle idee fisse sia più forte del presente, dell'attualità. Non staccarsi dalla gente di cui non si parla più: continuare a viverci insieme, se la si ama. Io mi rifiuto di dimenticare.»
Truffaut crea, così, un luogo simbolico dove raccogliere coloro che sono stati gli ispiratori della sua arte: Henry James, Marcel Proust, Henry-Pierre Roché, Jean Cocteau (che insieme a Bazin ha così lucidamente sottolineato il rapporto tra il cinema e la morte), Oscar Wilde, Maurice Jaubert - autore del "Concert flamand", registrato prima di girare e sul cui ritmo è stata sincronizzata tutta l'azione, movimenti della macchina da presa compresi, culminando nell'emozionante finale -, i ritratti dei quali sono riconoscibili dapprima nella camera verde, e poi nella cappella restaurata.
Truffaut dedica all'amore "maggiore attenzione, un rispetto quasi ossessivo: mostra le cose che ama, vuole che acquistino il fascino che hanno per lui, costringe anche la morte [...] a partecipare a questa sua sublimazione dell'amore. La sua ritualità ci coinvolge, ci sconvolge. A seguirlo si finisce col creare un legame che lo schermo non riesce a trattenere. I suoi film riescono a farcelo conoscere senza mediazione (scompare l'arte, scompare il muro odioso della critica). È un caro amico. Succede così che, di passaggio a Parigi, si finisca per l'essere richiamati e, verso Montmartre, ci si accinga a salire sul colle, ad entrare nello spazio chiuso e, senza nessuna religione che ci sorregga, a fissare per un po' la nera e semplicissima lapide di un uomo che, come un amico fraterno, riposa a pochi metri da noi".
Perchè anche noi, insieme a lui, ci ostiniamo a rifiutiare l'oblio.
«Ho appena compiuto quarantasei anni e comincio già a essere circondato di morti. Un film come "Tirate sul pianista"... la metà degli attori che vi hanno preso parte se n'è andata. Ogni tanto le persone che ho perso mi mancano, come se fossero appena morte. Jean Cocteau, per esempio. Allora prendo uno dei suoi dischi e lo ascolto...Ascolto la sua voce, la mattina, in bagno. Mi manca.»
(F. Truffaut, 1978)
(post con citazione da Cineforum 350 di "Il caro amico che riposa a Montmartre" di Demetrio Salvi e estratti di interviste di François Truffaut sul cinema)
12/03/08
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